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4. L A NUOVA INFORMATIVA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA ALLA LUCE DEL NUOVO TESTO

4.1 Principi di corporate governance

La corporate governance “è un articolato complesso di regole, relazioni, ruoli e funzioni che lega i soci, le strutture di vertice e gli altri attori aziendali, concorrendo a determinare i caratteri di struttura e di funzionamento delle aziende e, in ultima istanza, le sue performance. Essa è il risultato di norme e tradizioni, di comportamenti e consuetudini, generati nei singoli sistemi industriali nell’ambito delle tradizioni

giuridiche e culturali sviluppate nei diversi paesi e che hanno giustificato, sinora, il mantenimento di alcune sostanziali diversità nei modelli di governo e controllo aziendale di fatto adottati”41.

Lo scopo della corporate governance è quello di contribuire a creare un ambiente di fiducia, trasparenza e responsabilità, necessari per

promuovere investimenti a lungo termine, stabilità finanziaria ed integrità aziendale, sostenendo così una crescita più forte e società più inclusive.

La definizione di coroporate governance è fortemente influenzata dal dibattito che essa stessa ha subito nel tempo. Volendo estremizzare questa combinazione possiamo affermare che gli studi di governo delle imprese possono essere suddivise in “concezione ristretta” o “allargata” di corporate governance. Nel primo caso troviamo tutti gli studi che

considerano meritevoli di tutela solo gli interessi degli azionisti e vedono il CdA l’unico organo preposto a svolgere la funzione di governo

economico. Questa concezione è tipica dei paesi anglosassoni, nel nostro paese, invece, la borsa rappresenta una piccola parte della economia. Le

principali caratteristiche di questa concezione: gli azionisti sono quella categoria remunerata in modo residuale e sono gli unici stakeholder che sono motivati a massimizzare il valore creato. Gli azionisti hanno il diritto di nominare i membri del Cda come loro garanti per il controllo

dell'operato dei manager (questa relazione fa nascere la teoria

dell'agenzia42). La concezione “allargata” parte dal presupposto che le

imprese non possano limitarsi a perseguire la soddisfazione dell’interesse degli azionisti e la massimizzazione del valore azionario, ma devono soddisfare le attese di coloro che apportano un contributo utile allo svolgimento dell’attività economica, e quindi di coloro che influenzano o sono influenzati dall’attività economica d’impresa. La concezione

“allargata” di corporate governance, infatti, estende la propria attenzione a tutti gli stakeholder dell’impresa, considerando capaci di condizionare il governo economico dell’impresa gli elementi interni (CdA, assemblea, sistemi di controllo interno, ecc.); e gli elementi esterni (mercato per il controllo societario, società di revisione, cultura nazionale, normativa di riferimento).

Il termine stakeholder è semplice ed immediato, ma ha il limite di non definire con precisione quali categorie di soggetti sono comprese e quali sono viceversa escluse. In un contributo degli autori Freeman e Reed del 1993 viene individuata una prima distinzione:

• “in senso allargato gli stakeholder sono un qualsiasi gruppo di persone (o qualsiasi persona) che può condizionare il raggiungimento degli obiettivi dell’istituto o che è influenzato dal comportamento dell’impresa.

42 Una relazione di agenzia è quella dove un soggetto (l’agente) agisce per un

secondo soggetto (il principale). Il principale delega un’attività all’agente e ne stabilisce le regole che sovraintendono la relazione, l’agente realizza l’attività che gli viene delegata. La relazione qui in esame diventa problematica in presenza di incertezza e asimmetria informativa creando i c.d. costi d’agenzia.

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• In senso stretto indica qualsiasi gruppo di persone (o singola persona) da cui l’istituto dipende per la sua sopravvivenza futura.”43

L’accettazione di una concezione così allargata di stakeholder produce l’effetto di complicare notevolmente i compiti dei manager

relativi al bilanciamento degli interessi di tutti gli stakeholder. Per ovviare a questo problema i manager costituiscono dei modelli e degli strumenti che permettano loro di identificare diverse tipologie di stakeholder in moda da saperne individuare le esigenze e rispondere ad esse in modo efficiente. Individuiamo due tipologie di modelli: “teoria di creazione di valore per gli azionisti” e la “teoria di creazione di valore per gli

stakeholder”.

Le principali assunzione per la “teoria di creazione di valore per gli azionisti” sono:

• La massimizzazione del valore per gli azionisti conduce alla massimizzazione del valore complessivamente creato

dall’impresa e, di conseguenza, rappresenta un obiettivo valido anche dal punto di vista della società nel suo complesso.

• I mercati finanziari siano considerati efficienti quindi la

performance azionaria è la misura migliore del valore creato per gli azionisti. Ciò significa che chiunque di noi ha a disposizione le stesse informazioni di chiunque altro. Diviene fondamentale la trasparenza altrimenti l'andamento del mercato sarà falsato. • L’obiettivo di massimizzare il valore azionario consente di

disciplinare il management incentivato a perseguire una performance orientata al futuro, con un obiettivo unico e semplice, facilmente controllabile.

• Definizione di piani di incentivazione a base azionaria per il management facendo divenire anche loro stessi azionisti. • Il mercato per il controllo societario efficiente. Il mercato per il

controllo societario attribuisce il controllo dell’azienda a coloro che le attribuiscono il maggior valore. Nel caso in cui le

performance aziendali non fossero soddisfacenti il valore dell’azienda sul mercato scenderebbe e ci potrebbe essere l’interesse da parte di alcuni investitori ad acquisire il controllo dell’azienda mediante il c.d. meccanismo delle scalate ostili. Questa minaccia al cambiamento del controllo incentiva il management a conseguire performance soddisfacenti. • Dove ci sono azionisti di controllo non ha senso parlare di

questo.

• 6. Il diritto societario USA sancisce la supremazia degli azionisti sugli altri stakeholder. Nel nostro paese tradizionalmente

considera i creditori come categoria da tutelare maggiormente. Le principali assunzione per la “teoria di creazione di valore per gli stakeholder” sono:

• La massimizzazione del valore per gli azionisti non conduce alla massimizzazione del valore per l’impresa: non sempre prendere decisioni pensando di massimizzare il valore per gli azionisti consente di massimizzare il valore dell’azienda in modo duraturo e continuo. Si rischia, nel medio lungo termine, di danneggiare l’azienda.

• I mercati finanziari non sono efficienti: ci sono sempre delle asimmetrie informative per le quali il prezzo delle azioni non sempre rispecchia l’effettivo valore dell’azienda. In generale non è vero che i mercati in ogni momento sono in grado di

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• L’obiettivo di massimizzare il valore azionario non disciplina il management con il rischio di comportamenti opportunistici.44

• I piani di incentivazione azionaria non portano alla

massimizzazione del valore nel medio-lungo termine; questo per due motivi:

o Potrebbe falsare il valore delle azioni;

o Deve sempre essere data al management una “finestra” per vendere le azioni. Lo si può vincolare per un limitato periodo di tempo ma prima o poi gli deve essere data l’opportunità di vendere le azioni in suo possesso. • Il contributo del mercato del controllo societario alla creazione

di valore è incerto: questo perché non tutti i paesi sono costituiti da public companies. Molti sono costituiti ad azionisti di

riferimento pertanto, sulla base di quanto spiegato prima sulla contendibilità dell’azienda, il mercato per il controllo societario non sempre è un meccanismo efficiente.

• La normativa ha ampliato la responsabilità dell’impresa agli stakeholder aziendali: la normativa impone al management l’obbligo di tutelare gli interessi nei confronti degli azionisti ma anche quello degli altri stakeholder aziendali.

Le aziende devono cercare di bilanciare il valore del contributo offerto dagli stakeholder e delle ricompense che essi ricevono. Gli stakeholder che ritengono di non essere adeguatamente ricompensati dal contributo

fornito all’impresa tendono infatti a ridurre l’impegno e l’attenzione che dedicano alla realizzazione delle prestazioni a essi assegnate oppure, in

44 Se il management non viene adeguatamente guidato può tenere

comportamenti opportunistici, ad esempio compiere azioni volte a falsare il valore delle azioni.

casi estremi, abbandonano l’impresa per trasferirsi in un'altra che offre loro una relazione più vantaggiosa.45

Precedentemente abbiamo accennato la teoria dell’agenzia,

definendola come: “una relazione dove un soggetto (l’agente) agisce per un secondo soggetto (il principale). Il principale delega un’attività

all’agente e ne stabilisce le regole che sovraintendono la relazione, l’agente realizza l’attività che gli viene delegata. La relazione qui in esame diventa problematica in presenza di incertezza e asimmetria informativa creando i c.d. costi d’agenzia:

• Costi di controllo e incentivazione: costi sostenuti dal principale per controllare il comportamento dell’agente (li manager);

• Costi di obbligazione/rassicurazione: costi sostenuti dall’agente per garantire al principale che non prenderà decisioni contro il suo interesse;

• Costi residuali: perdita residuale di benessere che si crea a causa dell’impossibilità di conciliare i costi di agenzia.

Tanto più l'azionariato è disperso tanto minore è la creazione di valore che l'azienda riesce a generare. Esistono dei meccanismi per limitare questi costi, ma in sostanza tanto più vi è delega tanto più il rischio di inesattezza del compiuto è elevato.

La RBV e la stewardship theory46

La teoria dell’agenzia è uno strumento molto utilizzato al fine di esaminare le public company, a mano a mano che il capitale di una impresa si intensifica sotto un unico soggetto, però, gli strumenti che riescono a definirne le leve di creazione del lavoro sono altri. In

45 Zattoni A., 2011 ”who should control a corporation?”, Journal of Business Ethics,

103, 2011: 255:274

46 Passeri R. e Mazzi C., 2012 ” Impresa familiare e benessere: dalla creazione di

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particolare, le società a controllo pubblico possono identificarsi proprio in società dove almeno il 51% del capitale è collocato sotto un unico soggetto (lo stato); questa tipologia di società potrebbe essere paragonabile ad una azienda familiare. Le teorie capaci di analizzare le performance di

suddette aziende possono essere, fra le altre: la resource-based view (RBV) e la stewardship theory.

La teoria RBV è utilizzata come modello di riferimento per identificare le risorse e competenze che determinano le performance di un’impresa. Qualora esse siano inimitabili, fortemente radicate

nell’impresa e adattabili alla dinamicità dell’ambiente, rappresentano una potenziale fonte di vantaggio competitivo47. Basandosi sulla teoria RBV,

Habbershon e Williams (1999) definiscono “familiness” il nucleo di risorse e competenze accumulate dall’impresa familiare, che derivano

dall’interazione dei suoi subsistemi: la famiglia, i suoi componenti e il business. In quest’ottica, l’impresa deve essere considerata come un sistema dinamico che può generare competenze distintive (distinctive familiness) o inibirne lo sviluppo (constrictive familiness) e dunque influire sulla creazione di ricchezza. Secondo Sirmon e Hitt (2003), la risorsa principale che distingue un’impresa familiare è il social capital. Tale risorsa emana dalle relazioni di fiducia che si creano tra gli individui e l’organizzazione in cui essi operano, generando un circolo virtuoso di valori. L’impresa familiare è una fonte di social capital, poiché esso è, per definizione, una risorsa socialmente complessa e legata alle norme, ai valori, alla vision e alla fiducia tipici del family business.

47 Il vantaggio competitivo è una superiorità quali-quantitativa del

processo gestionale che si trasforma in una superiorità quali-quantitativa dei prodotti e che, percepita dal cliente, dà vita complessivamente a maggiori ritorni economico-finanziari (Bertini)

Secondo la stewardship theory, molti imprenditori non mirano solamente alla massimizzazione della loro utilità, ma si comportano in maniera altruistica e seguono un percorso virtuoso che mira ad ottenere risultati per l’intera organizzazione. Questa attitudine si ritrova con grande

frequenza nelle imprese familiari per via del legame emotivo tra famiglia e business, che guida le scelte presenti e quelle future in termine di

successione imprenditoriale. Miller e Le Breton-Miller (2006) rilevano che nelle imprese familiari la stewardship si manifesta in tre forme principali: la longevità e gli obiettivi di lungo periodo; il legame coi collaboratori e la creazione di un ambiente di lavoro stabile; le relazioni consolidate e di fiducia con le controparti. La stewardship può quindi essere considerata una determinante delle performance delle imprese familiari, fonte di vantaggio competitivo.

4.2 La governance degli organi societari (Art. 11 del

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