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LE RELAZIONI SUL GOVERNO SOCIETARIO DELLE SOCIETA' A CONTROLLO PUBBLICO ALLA LUCE DEL NUOVO TESTO UNICO

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN STRATEGIA

MANAGEMENT E CONTROLLO

TESI DI LAUREA

LE RELAZIONI SUL GOVERNO

SOCIETARIO DELLE SOCIETA' A

CONTROLLO PUBBLICO ALLA LUCE DEL

NUOVO TESTO UNICO

Relatore: Alessandra Rigolini

Candidato: Lorenzo Marcori

(2)

“Vivere secondo i desideri non ci renderà mai felici, per essere pienamente umani bisogna cercare di vivere secondo le nostre idee ed i nostri ideali; non certo misurando la vita in base a quanto abbiamo raggiunto di quello che desideravamo ma in base ai piccoli momenti di integrità, compassione, razionalità e sacrificio perché alla fine, se vogliamo veramente misurare il valore della nostra vita, bisogna dare valore alla vita degli altri” Il Séminaire VI “Le désir et son interprétation” J.Lacan

(3)

iii

Indice

1. Introduzione 3

2. Le società a partecipazione pubblica 5

2.1 Definizione 5

2.2 Nascita ed evoluzione storica delle società a partecipazione

pubblica in Italia 7

Lo stato imprenditore 7

La privatizzazione 9

L’esternalizzazione 10

2.3 Sviluppo del dibattito sulla Corporate Governance nella evoluzione delle società a partecipazione pubblica 10

3. La normativa di riferimento 16

3.1 Legge delega del 7 agosto 2015, n. 124 16

Art. 18: Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie

delle amministrazioni pubbliche 17

3.2 Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 18

Gli obiettivi del nuovo testo unico 18

Art. 6: Principi fondamentali sull’organizzazione e sulla

gestione delle società a controllo pubblico 21

3.3 Il concetto di trasparenza alla luce della Legge Madia 25 4. La nuova informativa delle società a partecipazione pubblica

alla luce del nuovo testo unico 29

4.1 Principi di corporate governance 29

La RBV e la stewardship theory 34

4.2 La governance degli organi societari (Art. 11 del D.Lgs

n.175 del 19 Agosto 2016) 36

4.3 Il codice di autodisciplina 39

4.4 Corporate disclosure: la relazione sulla gestione 48 Art. 123 bis del Testo Unico sulla Finanza (TUF) 53

(4)

4.5 Corporate disclosure: le variabili chiave individuate dalle

analisi empiriche 56

5. Il progetto di ricerca 62

5.1 Soggetti commissionanti e obiettivi di ricerca. 62

5.2 Le fasi del progetto 64

La predisposizione del campione 64

La predisposizione delle variabili discriminanti 76

La variabile di Dummy 78

5.3 Analisi di Statistica descrittiva 82

Presenza di una relazione di Corporate governance 83 Adesione al Decreto Legislativo del 19 agosto 2017 nr. 175 89

Corrispondenza art. 123 bis del TUF 96

Analisi senza punti di massimo e punti di minimo 114

6. Conclusioni 117

Bibliografia e sitografia 120

(5)
(6)
(7)

3

1.

I

NTRODUZIONE

Il tema del Valore Pubblico, sebbene recentemente formalizzato in letteratura (Moore, 1995), affonda le sue radici indietro nel tempo. Già Dante nel XXI canto della Divina Commedia offriva un giudizio sugli amministratori pubblici di Lucca condannandoli nella bolgia dei barattieri (corrotti) ad essere immersi nella pece in ebollizione. Là dove manca la trasparenza si genera il cono d’ombra entro cui possono trovare spazio quei fatti di corruzione o di concussione che rendono poi indispensabile l’intervento del giudice penale: intervento che a sua volta, prima ancora del definitivo accertamento dei fatti, può avere anche l’effetto, non voluto, di generare un clima di sospetto, una nebbia mefitica che sembra tutto avvolgere e genera sfiducia da parte dei cittadini onesti. Intendimento del presente lavoro è quello di selezionare le principali leve che hanno

sollecitato la redazione del nuovo testo unico sulle società a

partecipazione pubblica, e quindi, analizzarne l’adozione nella specificità del delicato tema della disclosure societaria che tanto si lega ai temi di trasparenza, corruzione, creazione di valore pubblico e razionalizzazione.

La definizione di società a controllo pubblico ed il suo relativo percorso di sviluppo a cavallo dei principali avvenimenti caratterizzanti la storia del nostro paese, sono gli aspetti che il presente lavoro si è proposto di affrontare nel secondo capitolo. Quest’ultimo, in particolare, coincide con l’inizio della tesi stessa e, pertanto, anche con l’intento di predisporre una base informativa capace di dare al lettore nozioni sulla definizione di società a controllo pubblico, sull’evoluzione storica delle stesse e sul legame che hanno instaurato queste società nel tempo con i termini di corporate governance e disclosure.

Con l’obiettivo di fornire le citate nozioni, contemporaneamente, è stato tracciato l’excursus storico che ha portato al processo di

(8)

razionalizzazione, sfociato dapprima nella redazione della legge delega del 7 agosto 2015 n. 124 (c.d. Legge Madia) e successivamente nella redazione del D.Lgs del 19 agosto 2016, n. 175. Il terzo capitolo si occupa quindi del nuovo testo unico in materia di società a partecipazione pubblica attraverso una analisi inizialmente generica, con l’esplicazione degli obiettivi che tale testo unico si pone, e successivamente con una focalizzazione dell’articolo 6 rispetto al tema della relazione sul governo societario.

L’esplicazione dei principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico hanno quindi allargato la base informativa del lettore sul tema della trasparenza; allo stesso tempo hanno aperto una finestra sui temi di disclosure societaria, codice di

autodisciplina e corporate governace: temi di cui si è occupato il capitolo 4. Il preludio all’inizio della ricerca sulle società a controllo pubblico fornisce anche al lettore gli strumenti idonei a leggere le dinamiche di corporate governance societaria, quali: agency theory, RBV theory, stewardship theory, creazione di valore per gli azionisti, creazione di valore per gli stakeholder, ecc.

Il cuore del presente lavoro è situato nel capitolo cinque, dove, attraverso una ricerca su base campionaria, sono state evidenziate le peculiarità economiche, finanziarie e manageriale delle società che hanno aderito alla nuova disciplina, rispetto a quelle che non vi hanno aderito. La ricerca dei tratti comuni ricorrenti, attraverso una analisi statistica descrittiva, ha indotto alla redazione delle conclusioni; tale paragrafo finale non ha la presunzione di sentenziare, bensì ha il semplice obiettivo di descrivere i risultati registrati dal campone stesso.

(9)

5

2.

L

E SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA

2.1 Definizione

Le definizioni che la dottrina offre al fine di individuare le società a partecipazione pubblica sono molteplici; in vista del raggiungimento degli obiettivi preposti, questa ricerca si è soffermata sulle seguenti:

• “Le società a partecipazione pubblica sono enti giuridici costituiti secondo le disposizioni ed il regime di diritto

privato, salva la adozione di regimi di specialità: esercitano e gestiscono attività di servizio pubblico; sono partecipate dallo stato, dagli enti locali e da enti pubblici”1

• “Le società a partecipazione pubblica sono: le società a controllo pubblico nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico”2

I tratti caratterizzanti le società a partecipazione pubblica descritti dal D.Lgs n.175\2016 definiscono con più precisione le peculiarità più rilevanti e quindi sono quelli presi in considerazione al fine dello sviluppo della tesi. La partecipazione, ex D.Lgs n. 175 del 19 agosto 2016, può essere esercitata con due modalità:

• Titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società

• Titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi

1 Lacchini M., Mauro A. C.; 2017; La gestione delle società partecipate alla luce del

nuovo testo unico; Giappichelli

(10)

Nella fattispecie in cui lo Stato (o altro ente pubblico) sia titolare di una partecipazione totalitaria o di maggioranza allora parliamo di società a controllo pubblico, cioè di società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo3.

Dalla definizione si evince come le caratteristiche che differenziano una società a partecipazione pubblica da una privata non si rilevano solo nella disciplina applicabile oppure nella struttura operativa agente, ma si rilevano anche a livello gestionale. Da qui la necessità di definire i tratti che caratterizzano una società pubblica sotto il profilo proprietario e sotto il profilo governativo. Lo stato opera in settori tendenti al monopolio (es. settore ferroviario, energia elettrica, forze di polizia, e così via)

controllandone spesso una quota di azioni tale da garantirgli il controllo. Questo diritto di controllo è però motivo di controversia in quanto esercitato da top manager di nomina politica cioè “da persone che non vantano alcun diritto sul flusso di cassa generato dalla società, il quale è infatti è di pertinenza dei cittadini”4. La proprietà così definita si

caratterizza quindi per una separazione netta fra controllo e rendimento che determina un orientamento politico e non economico dei manager che vi operano. Tali criticità permeano a cascata anche l’organo di governo, in molti casi incapace di soddisfare i requisiti di competenza ed

indipendenza. Questa precisa fattispecie spinge il seguente lavoro ad analizzare la delicata problematica della disclosure di questa tipologia di società.

3 “società a controllo pubblico”: le società in cui una o più amministrazioni

pubbliche esercitano poteri di controllo. Per “controllo” si intendono le situazioni descritte dall’art. 2359 del Codice Civile.

(11)

7

2.2 Nascita ed evoluzione storica delle società a partecipazione pubblica in Italia

Il fenomeno delle società partecipate si riconduce essenzialmente a tre cause principali: l’affermazione dello Stato imprenditore negli anni Trenta del secolo scorso, la privatizzazione formale di enti pubblici negli anni Novanta e la esternalizzazione di attività svolte da apparati

amministrativi.

Lo stato imprenditore

Il modello dello Stato imprenditore si sviluppa soprattutto in Italia dal 1920 fino alla metà del secolo scorso. In questo periodo lo Stato

assunse un ruolo predominante nell’economia, con l’intento di gestire e dirigere direttamente le imprese e anche di produrre beni e servizi. Durante questi anni furono create molte imprese pubbliche riguardanti due settori in particolare: quello dei servizi pubblici e quello del credito5.

Quello a cavallo degli anni Trenta è stato un periodo storico caratterizzato da una crisi mondiale capace di colpire le imprese italiane ed a cascata anche gli istituti di credito. Le principali banche dell’epoca (Banca commerciale italiana, Credito italiano, Banco di Roma)

partecipavano alle più importanti imprese del settore industriale come holding e allo stesso tempo finanziavano quest’ultime. Con l’obiettivo di tutelare i risparmiatori, il Governo nel 1933 istituisce l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale). Questo istituto divenne proprietario del 40% dell’intero capitale azionario delle imprese italiane e nel 1937 venne modificato insieme alla legge bancaria al fine di creare una separazione netta fra l’attività della banca legata al deposito e quella legata alla attività di istituto creditizio.

(12)

Finita la seconda guerra mondiale, con l’introduzione della

Costituzione, l’Italia conosce una crescita economica senza precedenti (c.d. miracolo economico). Nella Carta Costituzionale non erano presenti

disposizioni limitative del fenomeno della partecipazione statale in società, l’art. 41 Cost. stabilisce che “L’iniziativa economica è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni, perché l’attività economica pubblica e privata possa essere coordinata e indirizzata ai fini sociali”. Inoltre l’art. 43 Cost. statuisce che “Ai fini di utilità la legge può riservare originariamente o trasferire allo Stato (enti pubblici o a comunità di lavoratori o utenti) determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Si desume che non vi siano limiti nella tipologia di attività assumibili da parte dello Stato, non si dovrà trattare esclusivamente di servizi pubblici, fonti di energia o

monopoli. Tutto ciò ha quindi determinato la crescita del settore pubblico, che aveva già contraddistinto il regime fascista, non provocandone

l’arresto.

L’intervento pubblico nell’economia, a partire dagli anni ’60, ha cominciato ad attenuarsi, soprattutto per il fatto che si sono verificate gravi perdite economiche nello Stato. Quindi il sistema, incapace di

autofinanziarsi, accumulò numerose perdite, che potevano essere risanate solo con interventi periodici dello Stato6. Le ragioni della crisi del sistema

si colgono:

• nell’eccessiva espansione dei settori d’intervento7;

6 Ministero del Tesoro, 1993, Pensioni privatizzazioni e spesa pubblica, Roma 7 Merusi F., 1990, Partecipazioni pubbliche, in Enc. Giur. XXII, Roma

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9

• nell’abbandono del modello imprenditoriale per favorire settori in crisi strutturale, al fine di perseguire obiettivi politici e sociali8;

• nella dipendenza del sistema dal meccanismo di finanziamento gestito dal potere pubblico statale;

• nella non presenza nelle società a partecipazione pubblica della “sanzione economica” per mantenere l’equilibrio finanziario della gestione: il socio pubblico, differentemente dal socio privato, può destinare le risorse finanziarie

necessarie alla propria impresa, privo di condizionamenti del mercato9.

La privatizzazione

I principi di libero mercato introdotti con la Comunità Europea hanno comportato anch’essi un importante cambiamento nel sistema delle partecipazioni statali, non più caratterizzato dall’intervento pubblico in economia. Seppur neutrale il diritto comunitario nei riguardi del regime proprietario delle imprese, insieme al principio concorrenziale e delle libertà comunitarie ad esso strumentale, ha interrotto il sistema di privilegi, che hanno sempre contraddistinto fin dal passato, l’impresa pubblica. Come ad esempio le politiche di liberalizzazione che hanno completamente smantellato i monopoli dei servizi pubblici

(telecomunicazioni, energia elettrica e gas, servizi postali, ecc.) o la disciplina di aiuti di Stato, che non ha permesso più il rifinanziamento delle imprese in perdita. A tutto ciò si è aggiunta l’esigenza della Nazione di recuperare risorse finanziarie e di ridimensionamento del debito

pubblico per rispettare i vincoli imposti a livello comunitario. Da qui si

8 Minervini G., 1982, Società a partecipazione pubblica, 1982

9 Visentini G., 1979, Partecipazioni pubbliche in società di diritto comune e di diritto

(14)

sono ridotte le partecipazioni statali nell’esercizio dell’attività di impresa. Questa riduzione delle partecipazioni statali a livello di attività di impresa è avvenuta attraverso un processo detto di “privatizzazione” che ha

comportato il cambiamento della forma giuridica dell’impresa pubblica in società di diritto privato (privatizzazione formale o fredda) e la vendita a privati delle partecipazioni delle società, anche le quotazioni in borsa (ENI ed ENEL) per risanare il bilancio pubblico (privatizzazione sostanziale o materiale)10.

L’esternalizzazione

Il terzo fattore capace di influire sulla diffusione delle società a partecipazione statale deriva dai processi di razionalizzazione degli apparati pubblici. Le pubbliche amministrazioni hanno ritenuto

opportuno in alcuni casi esternalizzare le proprie attività, cioè affidarle a società strumentali, che svolgono la propria attività per conto o su

commissione di pubbliche amministrazioni o enti pubblici (come ad esempio la SOGEI, che si impegna a riscuotere, per conto del Ministero dell’economia, le imposte)

2.3 Sviluppo del dibattito sulla Corporate Governance nella evoluzione delle società a partecipazione pubblica

Contemporaneamente alla evoluzione delle società a partecipazione pubblica, si sviluppano anche gli studi ed i dibattiti sulla corporate

governance ripercorribili anche attraverso il pensiero strategico degli imprenditori di data epoca storica.

(15)

11

Negli Anni ’30 in USA iniziano i primi studi sulle Public

Company11. Berle e Means12 analizzarono le più grandi imprese del settore

ferroviario, dei servizi pubblici ed industriali scoprendo che in tutti e tre i settori il primo azionista deteneva meno dell’1% del capitale e che la somma delle quote dei primi 20 azionisti era pari rispettivamente a: 2,7%, 4% e 5,1% (settore industriale). L'azionista di riferimento quindi non c'era e non essendo un caso sporadico lasciava immaginare che questo

fenomeno fosse diventato quindi la regola13. Da qui due domande:

• Chi gestisce l'azienda senza essere proprietario lo fa con la stessa attenzione?

• Esiste la possibilità che venga sacrificata la creazione di valore a vantaggio di benefici personali del management?

Questi interrogativi, seppur con motivazioni diverse, risultano essere interessanti anche se posti nelle società a partecipazione pubblica nello stesso periodo storico. Come affermato nel paragrafo precedente, l’IRI arriva ad essere, nei momenti più positivi, un enorme conglomerato. Alberto Beneduce (presidente IRI) si vantava della “leggerezza

organizzativa” di tale istituto lasciando una totale autonomia governativa alle aziende controllate. Proprio per questo negli Anni 50 il sistema dello Stato Imprenditore funzionava, con le imprese pubbliche capaci di competere con quelle private nell’interesse del paese. Tuttavia a partire dal momento della creazione del Ministero delle Partecipazioni Statali ci

11 (c.d. public company) società che si caratterizza per un numero molto elevato

di azionisti capace di creare una separazione fra gli stesi azionisti che conferiscono capitale di rischio da quella dei manager che gestiscono l’impresa.

12 Gardiner Coit Means era un economista americano presso l'Università di

Harvard dove incontrò l‘avvocato diplomatico Adolf Berle. Insieme hanno scritto: “The Modern Corporation e Private Property”; opera del 1932 capace di influenzare il dibattito sulla corporate governance.

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fu una svolta negativa, in quanto i governi iniziarono a condizionare le gestioni delle aziende controllate. I Partiti politici iniziarono ad utilizzare le imprese pubbliche per favori politici e finendo per far espandere le imprese pubbliche senza un motivo economico; il management pubblico era quindi “ostaggio “della politica14.

Gli Anni 90 furono caratterizzati da vari avvenimenti: • Crescente peso degli investitori istituzionali • Il processo di privatizzazione

• La diffusione dei codici di autodisciplina

Gli investitori istituzionali (società che creano dei fondi con il vantaggio di riuscire a diversificare il rischio) nascono nei mercati anglosassoni dove la maggiore funzione ricoperta si riconduceva alla gestione dei fondi

pensionistici. Con l’andare del tempo, tali investitori hanno aumentato molto il loro peso nei mercati finanziari divenendo quasi i primi azionisti nelle società americane; il modus operandi era in un primo momento di tipo “exit” (l’investitore acquista e vende senza partecipare alla gestione), successivamente inizia a farsi strada il metodo voice (l’investitore diventa un amministratore attivo che partecipa alle decisioni). Quello appena descritto è un cambiamento radicale in quanto gli investitori istituzionali sono soggetti esperti, quindi si tratta di avere un nuovo interlocutore capace e preparato. Tutto ciò ha una doppia faccia dal punto di vista manageriale: da un lato si ha l’entrata di nuove competenze, dall’altra potrebbe cambiare la propensione al rischio nella presa delle decisioni. Questo fenomeno, comunque, caratterizza paesi aventi una struttura azionaria molto frammentata; ha un ruolo significativo anche in Italia anche se con un peso minore.

Il processo di privatizzazione ha riguardato molti paesi industrializzati del mondo; con particolare riferimento alla causa italiana, tale processo

14 Amatori F., Colli A., 2004, Impresa e industria in Italia dall’Unità ad oggi, Marsilio,

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13

aveva il compito di ridurre il debito pubblico e di spezzare i legami fra stato ed impresa. A livello dottrinale il dibattito riguardava il ruolo dello stato all’interno dell’economia: il fallimento dell’intervento pubblico contribuirà a far prevalere una concezione dello Stato come regolatore del sistema economico e come “garante della correttezza del comportamento delle imprese private”15.

Gli Anni 90 sono stati caratterizzati da molti scandali societari a livello mondiale. La reazione, in particolare in Gran Bretagna, porta alla

predisposizione di un rapporto sulla corporate governance contenente in allegato un codice delle “best practice”. Il codice appena citato non prevedeva a carico delle imprese quotate nessun obbligo di adesione, lasciando alla persuasione morale del mercato la spinta verso la

conformazione. Il terzo fenomeno caratterizzante tale epoca è quindi la diffusione dei codici di autodisciplina, documento cardine per la

predisposizione di questo lavoro.

La fine degli Anni novanta e l’inizio di questo millennio si caratterizzano per il completamento del processo di globalizzazione dell’economia. La concorrenza è diventata planetaria e per numerosi settori il mercato di riferimento non è più lo Stato o il continente, ma vasti insiemi di paesi industrializzati, rendendo così obsolete le organizzazioni multinazionali tradizionali (imprese multi domestiche), sostituite da organizzazioni transnazionali (network organization). Questa epoca è caratterizzata da una nuova ondata di scandali societari (es. Cirio e Parmalat) e da una crisi finanziaria capace di generare recessione, disoccupazione e riduzione del commercio internazionale. L’ondata di scandali trova le proprie cause nel cattivo modello di governo e controllo dell'azienda; in molti paesi c'è stata l'esigenza di cambiare anche la

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normativa con l’obiettivo di renderla più stringente per limitare l'operato dei manager e degli azionisti di controllo. La conseguenza più grave della cattiva gestione di queste aziende non è comunque il danno finanziario inferto ai risparmiatori che avevano comprato obbligazioni e azioni delle società fallite, ma la perdita di fiducia dei risparmiatori e della collettività verso gli esponenti del mondo finanziario e industriale. Con la

globalizzazione dei mercati, le comunicazioni di corporate governance hanno via via assunto una rilevanza crescente; la specifica relazione in materia, ma anche la disclosure economico-finanziaria, si inseriscono nel sistema di comunicazione delle aziende, le cui politiche - in un contesto economico caratterizzato da competitività, sfiducia verso i boards e complessità gestionale – hanno assunto spiccanti caratteri di

integrazione.16

Il secondo fattore caratterizzante la corporate governance del terzo millennio è la crisi finanziaria. A conseguenza di ciò, lo Stato, è dovuto intervenire in tema di società a partecipazione pubblica. L’art. 1, comma 611 e seguenti, della legge 23.12.2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), introduce importanti compiti di riordino e razionalizzazione di società e partecipazioni societarie nei confronti di regioni, province autonome, enti locali, camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura e autorità portuali. La finalità delle disposizioni normative era quindi già quello di avviare un processo di razionalizzazione delle società e delle

partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, al fine di conseguirne la riduzione entro il 31 dicembre 2015. Ancor prima della stessa legge 190/2014 era intervenuta la Legge di Stabilità dell’anno precedente (legge n. 147/2013), finalizzata alla riorganizzazione e la razionalizzazione delle partecipazioni al fine di assicurare il

coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon

16 Salvioni D. M.; “cultura della trasparenza e comunicazione economico-finanziaria

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15

andamento dell’azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato, tra gli enti pubblici17.

17 Corrieri S., 2017, Il testo unico sulle società partecipate e le imprese spin-off

(20)

3.

L

A NORMATIVA DI RIFERIMENTO

3.1 Legge delega del 7 agosto 2015, n. 124

La legge delega del 7 agosto 2015, n. 124 ha un particolare interesse verso l’istituto delle società partecipate18, la cui disciplina è indicata negli

articoli 16 e 18 (di tale legge) che introducono e sanciscono i principi della materia. La normativa in esame risponde ad una duplice esigenza:

• Superamento delle problematiche formali: chiarificazione, semplificazione e riordino di una legislazione definita eterogenea e complessa dalla dottrina; tale criticità si ritiene dovuta principalmente alla molteplicità delle fonti esistenti ante riforma.

• Superamento sulla natura sostanziale dell’istituto, quindi sulla struttura

Il legislatore non opera una semplice riorganizzazione, infatti apporta modifiche sia sulle modalità di costituzione e gestione di una società partecipata, sia sulla loro finalità.

Formalmente il comma 2 dell’articolo 16 della legge delega stabilisce le linee guida attuative: “a) elaborazione di un testo unico delle disposizioni in ciascuna materia, con le modifiche strettamente necessarie per il

coordinamento delle disposizioni stesse, salvo quanto previsto nelle lettere successive; b) coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni legislative vigenti, apportando le modifiche strettamente necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della

18 Le società partecipate sono enti giuridici costituiti secondo le disposizioni ed il

regime di diritto privato, salva la adozione di alcuni profili di specialità: esercitano e gestiscono attività di servizio pubblico; sono partecipate dallo stato, dagli enti locali e da enti pubblici

(21)

17

normativa e per adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio

normativo”. In attuazione di quanto appena detto, il Governo ha emanato il D.Lgs. Del 19 agosto 2016, n. 175 con lo scopo di rendere la materia più fruibile e di “garantire una maggiore comprensione e semplificazione delle disposizioni in esame, nonché con il proposito di raccogliere tutti i dettagli riguardanti le società partecipate in un unico testo legislativo”19.

In tal modo il legislatore cerca di garantire coerenza e sistematicità della disciplina. Inoltre, sempre con riguardo all’art. 16, il legislatore ha precisato l’iter da osservare per l’emanazione di decreti attuativi.

Da un punto di vista sostanziale, invece, occorre far riferimento all’art. 18 della legge delega: “Riordino della disciplina delle partecipazioni

societarie delle amministrazioni pubbliche”.

Art. 18: Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche

L’articolo in esame, come già accennato, apporta modifiche sostanziali alla disciplina delle società partecipate: in primo luogo ha stabilito che il legislatore avrebbe operato una “(a) distinzione tra tipi di società in relazione alle attività svolte, agli interessi pubblici di

riferimento, alla misura e qualità della partecipazione e alla sua natura diretta o indiretta, alla modalità diretta o mediante procedura di evidenza pubblica dell’affidamento, nonché alla quotazione in borsa o all’emissione di strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e individuazione della relativa disciplina, anche in base al principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica, ivi compresa quella in materia di organizzazione e crisi d’impresa”; in più, al fine del soddisfacimento

19 Lacchini M., Mauro A. C.; 2017; La gestione delle società partecipate alla luce del

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dei criteri di efficienza, efficacia ed economicità, ha intrapreso una attività di razionalizzazione e riduzione delle Pubblica Amministrazione nelle società (b). La disciplina delle società partecipate ha subito una

ridefinizione al fine di conformarla ai nuovi criteri e limiti (posti dalla Legge delega) per l’assunzione o il mantenimento di partecipazioni

societarie da parte delle amministrazioni pubbliche20. A ciò si accompagna

“una ridefinizione degli ambiti strategici e dei settori nei quali la Pubblica Amministrazione può operare”.

Ai punti (a) e (b) appena descritti, la Legge delega allega ulteriori disposizioni su una disciplina puntuale in tema di: responsabilità degli amministratori degli enti partecipanti (c); individuazione dei criteri di nomina degli organi di controllo societario (d); il reclutamento del personale (e); “promozione della trasparenza e dell’efficacia attraverso l’unificazione dei dati economici patrimoniali e dei principali indicatori efficienza” (f).

3.2 Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175

Il decreto legislativo n. 175/2016 “Testo Unico in materia di società partecipate dalla pubblica amministrazione” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 210 dell’8 settembre 2016, e rappresenta la nuova disciplina in materia. Il provvedimento è attuativo dell’articolo 18 della legge delega n. 124/2015, c.d. Legge Madia.

Gli obiettivi del nuovo testo unico

La materia delle società partecipate ha subito nel tempo numerosi interventi di legiferazione, ma quest’ultimi “erano intesi a rispondere alle mere esigenze concrete e contingenti che di volta in volta venivano in

20 Disposizioni che si applicano sia alle società già operanti sia a quelle di nuova

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19

essere”21 non intervenendo quindi su regolamentazioni di lungo termine.

Le materie del diritto e dell’economia sono generalmente connesse indipendentemente dal campo di applicazione; quando parliamo di società a partecipazione pubblica tale connessione è ancora più evidente. Questa premessa giustifica la necessità di avere regole normative chiare e garantiste sulla gestione confacente alle esigenze collettive delle risorse pubbliche.

L’obiettivo primario del nuovo testo unico è quello di semplificare la normativa delle società partecipate, nonché soddisfare le esigenze di “razionalizzazione e riordino della materia delle partecipazioni statali”22.

Le società ad amministrazione pubblica del mercato italiano hanno una peculiarità ricorrente: hanno un andamento economico negativo; al fine di agire su tali società il legislatore ha ritenuto necessario eliminare dal mercato quelle improduttive e non efficienti da un punto di vista economico. Per comprendere in modo più analitico il processo di razionalizzazione messo in atto è possibile richiamare uno studio della Corte dei Conti del 201523. I dati empirici raccolti rivelano un utilizzo delle

risorse pubbliche improduttivo da un punto di vista economico24:

• Anno 2015

• 7757 organismi attivi a partecipazione pubblica (di cui 5000 società) • Delle 5000 società, solo 1700 svolgono ed esercitano un servizio

pubblico in senso stretto.

• 3000 svolgono attività non principali ma strumentali

21 Lacchini M., Mauro A. C.; 2017; La gestione delle società partecipate alla luce del

nuovo testo unico; Giappichelli

22 Art. 18 Legge 7 agosto 2015 n. 124

23 Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, Audizione sull’Atto di

Governo n. 297 riguardanti gli Organismi partecipati, giugno 2016.

24 I dati qui presenti sono tati tratti da Consiglio di Stato Adunanza della

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Ciò giustifica l’obiettivo del decreto di ridefinire il perimetro dell’intervento della spesa pubblica secondo criteri di efficienza ed economicità. Come evidenzia la Corte dei Conti25 il D.Lgs 175/2016 “è

indice della volontà di procedere sulla strada del riassetto normativo del settore”. Questo può essere letto come un parere favorevole della Corte dei Conti, tale decreto infatti – continua la Corte dei Conti – “garantisce il rispetto dei propositi indicati nella legge delega, in quanto la riforma non solo prevede consistenti sanzioni pecuniarie per gli enti pubblici

indipendenti, ma istituisce un articolato sistema di verifiche sulla attuazione dell’obbligo in discorso.”

Altro obiettivo è quello di ridurre l’intervento del soggetto pubblico nei casi in cui l’analisi economica dimostri la convenienza di riservare tale attività all’ente privato; ciò vale sia per gli enti di nuova costituzione sia per gli enti già operanti. Nello specifico, il D.Lgs 175/2016 statuisce che, al fine della costituzione di un nuovo ente giuridico controllato da un

soggetto pubblico, debbono sussistere requisiti di natura formale e di natura sostanziale. L’art. 5 contempla un onere di motivazione circa la volontà di gestire ex-se l’attività; l’art. 4 invece interviene da un punto di vista sostanziale ponendo in essere un vincolo di scopo e di attività.

La riforma apportata dal decreto in esame è orientato al

raggiungimento di obiettivi da conseguire secondo diverse tempistiche; possono infatti essere obiettivi di m/l termine o obiettivi di lungo termine, i primi:

• Riduzione delle aree di intervento pubblico • Favorire l’apertura al mercato

• Attività efficiente delle società a partecipazione pubblica attraverso standard riportati sul decreto stesso

Gli obiettivi di lungo termine sono:

25 Corte dei Conti, Sezioni Riunite in sede di controllo, Audizione sull’Atto di

(25)

21

• Risparmio delle fonti di spesa pubblica mediante la riduzione degli sprechi26.

• Migliore allocazione delle risorse pubbliche, devolvendo la gestione delle società a partecipazione pubblica a chi sia in grado di offrire i servizi nelle migliori condizioni27.

Art. 6: Principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico

L’Articolo 6 del D.Lgs 175/2016 interviene dettando alcuni principi relativi all’organizzazione e gestione delle società a controllo pubblico.

La norma prevede che le società a controllo pubblico, (c. 1) qualora svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, ed altre attività svolte in regime di economia di mercato, adottano sistemi di

contabilità separata per ciascuna attività. Le società a controllo pubblico, (c. 2) devono predisporre programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informano l’Assemblea nell’ambito della relazione annuale sul governo societario. Il provvedimento (c. 3) prevede di valutare la possibilità, per le società a controllo pubblico, di integrare gli ordinari strumenti di governo societario - in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative - con altri specifici, fra cui si segnalano:

• regolamenti interni per garantire la conformità dell’attività della società alle norme di tutela della concorrenza;

• un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell’impresa sociale;

26 Per sprechi si intende in questo caso il mantenimento in vita di società che

gestiscono servizi pubblici con modalità antieconomiche

(26)

• codici di condotta propri o adesione a codici collettivi aventi ad oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti dei portatori legittimi di interesse;

• programmi di responsabilità sociale d’impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell’Unione europea.

Ai sensi del comma 4, gli strumenti integrativi eventualmente adottati nel comma 3 sono indicati nella relazione del governo societario; in più, le motivazioni della mancata adozione (c. 5) sono indicati nella relazione annuale sul governo societario.

Debutta quindi, con la prima assemblea dei soci chiamata ad approvare il bilancio di esercizio 2016, la «relazione sul governo societario» per le società a controllo pubblico; ciò comporta l’interesse anche dei responsabili e dei revisori dei conti degli enti locali. Questi ultimi sono infatti tenuti a verificare la presentazione della relazione insieme al programma di valutazione del rischio aziendale, per rispondere alle domande della Corte dei conti contenute nel questionario (Siquel)28

relativo al rendiconto 2016. Le società a controllo pubblico sono obbligate a predisporre la relazione sul governo societario con cadenza annuale e a pubblicarla contestualmente al bilancio di esercizio. La relazione, dalla lettura del decreto, è un documento separato rispetto a quella sulla gestione prevista dall'articolo 242829 del Codice civile. La norma non

28 Sistema Informativo Questionari Enti Locali: è il sistema che permette agli

organi di Revisione economico-finanziaria degli Enti locali Comuni e Province di inviare alle Sezioni regionali di controllo i questionari allegati alle linee guida approvate

annualmente ai sensi dell´articolo 1, commi 166 e segg., della legge 23 dicembre 2005, n. 266. All'interno del SIQuEL sono state inoltre realizzate due banche dati, strettamente integrate con il sistema di acquisizione dei Questionari degli enti territoriali: una sugli Organismi Partecipati, l'altra sui Contratti di Finanza Derivata

29 Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori sulla

(27)

23

disciplina in modo dettagliato il contenuto della relazione, si limita infatti a indicare che in essa confluiscono:

• il programma di valutazione del rischio di crisi aziendale (articolo 6, comma 2),

• gli ulteriori strumenti di governo societario (articolo 6, comma 3), • le ragioni per cui questi ultimi non sono stati adottati (articolo 6,

comma 5).

Va tenuto conto dell'analogia con le previsioni dell'articolo 123-bis del D.Lgs 58/199830, che però è riferito alle società con azioni quotate. Nel

predisporre la relazione gli amministratori dovranno dare conto ai soci, e agli organi di controllo per quanto riguarda la struttura di governance societaria. La relazione rappresenta per i soci informazione utile per valutare l'efficacia del regolamento dell'ente per il controllo delle società, come previsto dall'articolo 147-quater del Tuel31. Saranno, fra l’altro,

oggetto di relazione:

• la rendicontazione separata dei risultati di gestione nel caso in cui si svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi insieme con attività svolte in regime di concorrenza (articolo 6, comma 1);

• il programma di prevenzione dei rischi di crisi aziendale;

• le informazioni riguardanti l’attuazione degli indirizzi impartiti dai soci (articolo 19 del Testo unico sulle società partecipate);

• l'adozione di modelli di best practice previsti dall'articolo 6, comma 3 dello stesso Testo unico (nei casi in cui non risultino già previste per legge) “relativi a:

30 Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria 31 Testo Unico degli Enti Locali: controlli sulle società partecipate non quotate

(28)

o modelli previsti dalla legge 231/200132, integrati dalla legge

anticorruzione 190/2012, e adozione del piano triennale per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza;

o codice dei contratti pubblici (D.Lgs 50/2016) e relativi regolamenti interni;

o regolamento per il reclutamento del personale;

o presenza di un ufficio interno per il controllo, secondo i principi di audit interno.”33

L'obbligo di pubblicazione della relazione sul governo societario deriva dalle esigenze di pubblicità secondo i principi del D.Lgs 33/201334,

quindi dovrà essere inserita sul sito Internet delle società. La mancata presentazione della relazione sulla gestione costituisce violazione di un obbligo di legge da parte dell'organo amministrativo censurabile dal collegio sindacale della società.

Volendo sintetizzare quanto riportato nel presente paragrafo, la relazione sul governo societario predisposta dalle società a controllo pubblico, ai sensi del D.Lgs 175/2016 devono riportare informazioni riguardanti:

• i regolamenti interni a tutela della concorrenza e della proprietà intellettuale

• esistenza di un ufficio di controllo interno

• l’adesione ad un codice di condotta proprio oppure l’adesione a codici di condotta collettivi

32 Responsabilità amministrativa da reato

33 Camporesi R., Ruffini P., 2017, “Nelle aziende pubbliche debutta l’obbligo di

relazione sul governo societario”, Enti Locali & PA (Il Sole 24 Ore), www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/AEb8AcMB/0

34 Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di

pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni

(29)

25

• valutazione dei rischi, compresa la valutazione del rischio di crisi.

3.3 Il concetto di trasparenza alla luce della Legge Madia

La disciplina nazionale in materia di trasparenza amministrativa e anticorruzione costituisce il punto di arrivo di una complessa evoluzione normativa ed interpretativa le cui diverse fasi evolutive rispecchiano la necessità, sempre più incalzante, di scoraggiare e ostacolare l’espansione del fenomeno35. La ratio alla base di tale evoluzione risiede nell’intenzione

di rendere il cittadino, beneficiario e finanziatore dei servizi che

l’amministrazione eroga, sempre più protagonista della lotta al fenomeno corruttivo mediante l’esercizio di un controllo diffuso sull’attività della stessa. Dunque, la trasparenza, secondo questa visione, diviene uno strumento diretto di controllo da parte del cittadino sulla azione amministrativa.

Il criterio della trasparenza quale principio generale della attività amministrativa è stato inserito con la Legge 15/2005. Successivamente l’art.11 del D.Lgs. 150/2009, ha fornito una definizione esplicita del concetto di trasparenza definendola come “accessibilità totale delle

informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il

perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta; ciò allo scopo di favorire forme diffuse di controllo nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità”.

35 Piazza A., 2016, “Le società a partecipazione pubblica tra codice della

(30)

In seguito, la Legge n. 190/2012 (e il successivo D.Lgs. n. 33/2013 attuativo della delega) ha reso più forte ed ha ridefinito il concetto di trasparenza amministrativa intesa come “accessibilità delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività della P.A., al fine di favorire forme diffuse di controllo sociale sul perseguimento dei fini pubblici e sul

regolare svolgimento della relativa attività.”36 Con tale obiettivo, il

legislatore ha disposto l’implemento degli strumenti di digitalizzazione della P.A. obbligando tutti gli enti pubblici a rendere accessibili in via telematica, agli interessati, le informazioni relative ai procedimenti e provvedimenti che li riguardano.

Infine il D.Lgs. n. 97/2016 ha dato attuazione alla delega contenuta nella Legge n. 124/2015 “ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti

disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”. Il D.Lgs in esame reca modifiche all’ambito di applicazione soggettiva ed oggettiva del c.d. decreto

trasparenza37:

• Oggettiva - modifica all’art 1, comma primo, del suddetto decreto stabilendo espressamente che “al fine di tutelare i diritti dei

cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa deve essere garantita l’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalla P.A”. non limitando quindi l’accessibilità alle sole informazioni relative all’organizzazione e all’attività. • Soggettiva - applicazione della disciplina in materia di trasparenza

anche agli enti pubblici economici e gli ordini professionali, alle

36 Piazza A., 2016, “Le società a partecipazione pubblica tra codice della

trasparenza e codice civile”, Amministrativmente, Fascicolo n. 7-8/2016

(31)

27

società in controllo pubblico38, alle associazioni, alle fondazioni e

agli enti di diritto privato comunque denominati.

La novità più rilevante è quindi quella che attiene alla

generalizzazione degli obblighi di trasparenza non più riservati alle sole amministrazioni ma estesi, anche, ad altri destinatari. Il comma 2

dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 97/2016 inserisce nel corpo del D.Lgs. n. 33/2013 l’art. 2-bis, intitolato “Ambito soggettivo di applicazione”. Tale articolo prevede, al comma 1, l’applicazione della disciplina sulla

trasparenza a tutte le pubbliche amministrazioni così come individuate dal D.Lgs. n. 165/2001, “ivi comprese le autorità portuali, nonché le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e

regolazione”. Rimanendo nello stesso comma vi è l’applicazione uniforme del regime di total disclosure a tutto il sistema degli enti territoriali senza alcuna deroga per le gli enti locali minori39.

Le disposizioni del decreto legislativo n. 33/2013 sono applicabili, innanzitutto, agli enti pubblici economici e agli ordini professionali; in più in quanto compatibili, “la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni”40 è applicabile alle società in controllo pubblico (come

definite dall’articolo 18 della Legge n. 124/2015), con l’esclusione di quelle quotate, come definite dallo stesso decreto legislativo. Il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica definisce le società quotate

38 come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell’articolo 18

della Legge n.124/2015

39 rispetto ai quali il d.lgs. n. 97/2016 si limita a prevedere una differenziata

attuazione del regime di pubblicazione obbligatoria di dati ed informazioni, “in relazione alla natura dei soggetti, alla loro dimensione organizzativa e alle attività svolte,

prevedendo in particolare modalità semplificate per i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti”

(32)

come: “le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati; le società che hanno emesso alla data del 31

dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati; le società partecipate dalle une o dalle altre, salvo che le stesse siano anche controllate o partecipate da amministrazioni

pubbliche”. Le caratteristiche delle società quotate e la loro disciplina appaiono incompatibili con l’applicazione delle previsioni in materia di trasparenza ed anticorruzione come previste dalla citata disciplina. La quotazione della società in mercati regolamentati o l’emissione di

strumenti diversi dalle azioni, su tali mercati, comporta l’assoggettamento alla normativa di riferimento, anche in materia di trasparenza, e alla peculiare disciplina che regolamenta tali soggetti e le loro attività sul mercato. Trattasi, infatti, di soggetti che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio per il quale sono previste regole specifiche, anche al fine di garantire la trasparenza. La detta disciplina è applicabile anche alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato la cui attività sia finanziata in modo maggioritario da pubbliche amministrazioni o in cui la totalità o la maggioranza dei titolari dell’organo di amministrazione o indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.

(33)

29

4.

L

A NUOVA INFORMATIVA DELLE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA ALLA LUCE DEL NUOVO TESTO UNICO

4.1 Principi di corporate governance

La corporate governance “è un articolato complesso di regole, relazioni, ruoli e funzioni che lega i soci, le strutture di vertice e gli altri attori aziendali, concorrendo a determinare i caratteri di struttura e di funzionamento delle aziende e, in ultima istanza, le sue performance. Essa è il risultato di norme e tradizioni, di comportamenti e consuetudini, generati nei singoli sistemi industriali nell’ambito delle tradizioni

giuridiche e culturali sviluppate nei diversi paesi e che hanno giustificato, sinora, il mantenimento di alcune sostanziali diversità nei modelli di governo e controllo aziendale di fatto adottati”41.

Lo scopo della corporate governance è quello di contribuire a creare un ambiente di fiducia, trasparenza e responsabilità, necessari per

promuovere investimenti a lungo termine, stabilità finanziaria ed integrità aziendale, sostenendo così una crescita più forte e società più inclusive.

La definizione di coroporate governance è fortemente influenzata dal dibattito che essa stessa ha subito nel tempo. Volendo estremizzare questa combinazione possiamo affermare che gli studi di governo delle imprese possono essere suddivise in “concezione ristretta” o “allargata” di corporate governance. Nel primo caso troviamo tutti gli studi che

considerano meritevoli di tutela solo gli interessi degli azionisti e vedono il CdA l’unico organo preposto a svolgere la funzione di governo

economico. Questa concezione è tipica dei paesi anglosassoni, nel nostro paese, invece, la borsa rappresenta una piccola parte della economia. Le

(34)

principali caratteristiche di questa concezione: gli azionisti sono quella categoria remunerata in modo residuale e sono gli unici stakeholder che sono motivati a massimizzare il valore creato. Gli azionisti hanno il diritto di nominare i membri del Cda come loro garanti per il controllo

dell'operato dei manager (questa relazione fa nascere la teoria

dell'agenzia42). La concezione “allargata” parte dal presupposto che le

imprese non possano limitarsi a perseguire la soddisfazione dell’interesse degli azionisti e la massimizzazione del valore azionario, ma devono soddisfare le attese di coloro che apportano un contributo utile allo svolgimento dell’attività economica, e quindi di coloro che influenzano o sono influenzati dall’attività economica d’impresa. La concezione

“allargata” di corporate governance, infatti, estende la propria attenzione a tutti gli stakeholder dell’impresa, considerando capaci di condizionare il governo economico dell’impresa gli elementi interni (CdA, assemblea, sistemi di controllo interno, ecc.); e gli elementi esterni (mercato per il controllo societario, società di revisione, cultura nazionale, normativa di riferimento).

Il termine stakeholder è semplice ed immediato, ma ha il limite di non definire con precisione quali categorie di soggetti sono comprese e quali sono viceversa escluse. In un contributo degli autori Freeman e Reed del 1993 viene individuata una prima distinzione:

• “in senso allargato gli stakeholder sono un qualsiasi gruppo di persone (o qualsiasi persona) che può condizionare il raggiungimento degli obiettivi dell’istituto o che è influenzato dal comportamento dell’impresa.

42 Una relazione di agenzia è quella dove un soggetto (l’agente) agisce per un

secondo soggetto (il principale). Il principale delega un’attività all’agente e ne stabilisce le regole che sovraintendono la relazione, l’agente realizza l’attività che gli viene delegata. La relazione qui in esame diventa problematica in presenza di incertezza e asimmetria informativa creando i c.d. costi d’agenzia.

(35)

31

• In senso stretto indica qualsiasi gruppo di persone (o singola persona) da cui l’istituto dipende per la sua sopravvivenza futura.”43

L’accettazione di una concezione così allargata di stakeholder produce l’effetto di complicare notevolmente i compiti dei manager

relativi al bilanciamento degli interessi di tutti gli stakeholder. Per ovviare a questo problema i manager costituiscono dei modelli e degli strumenti che permettano loro di identificare diverse tipologie di stakeholder in moda da saperne individuare le esigenze e rispondere ad esse in modo efficiente. Individuiamo due tipologie di modelli: “teoria di creazione di valore per gli azionisti” e la “teoria di creazione di valore per gli

stakeholder”.

Le principali assunzione per la “teoria di creazione di valore per gli azionisti” sono:

• La massimizzazione del valore per gli azionisti conduce alla massimizzazione del valore complessivamente creato

dall’impresa e, di conseguenza, rappresenta un obiettivo valido anche dal punto di vista della società nel suo complesso.

• I mercati finanziari siano considerati efficienti quindi la

performance azionaria è la misura migliore del valore creato per gli azionisti. Ciò significa che chiunque di noi ha a disposizione le stesse informazioni di chiunque altro. Diviene fondamentale la trasparenza altrimenti l'andamento del mercato sarà falsato. • L’obiettivo di massimizzare il valore azionario consente di

disciplinare il management incentivato a perseguire una performance orientata al futuro, con un obiettivo unico e semplice, facilmente controllabile.

(36)

• Definizione di piani di incentivazione a base azionaria per il management facendo divenire anche loro stessi azionisti. • Il mercato per il controllo societario efficiente. Il mercato per il

controllo societario attribuisce il controllo dell’azienda a coloro che le attribuiscono il maggior valore. Nel caso in cui le

performance aziendali non fossero soddisfacenti il valore dell’azienda sul mercato scenderebbe e ci potrebbe essere l’interesse da parte di alcuni investitori ad acquisire il controllo dell’azienda mediante il c.d. meccanismo delle scalate ostili. Questa minaccia al cambiamento del controllo incentiva il management a conseguire performance soddisfacenti. • Dove ci sono azionisti di controllo non ha senso parlare di

questo.

• 6. Il diritto societario USA sancisce la supremazia degli azionisti sugli altri stakeholder. Nel nostro paese tradizionalmente

considera i creditori come categoria da tutelare maggiormente. Le principali assunzione per la “teoria di creazione di valore per gli stakeholder” sono:

• La massimizzazione del valore per gli azionisti non conduce alla massimizzazione del valore per l’impresa: non sempre prendere decisioni pensando di massimizzare il valore per gli azionisti consente di massimizzare il valore dell’azienda in modo duraturo e continuo. Si rischia, nel medio lungo termine, di danneggiare l’azienda.

• I mercati finanziari non sono efficienti: ci sono sempre delle asimmetrie informative per le quali il prezzo delle azioni non sempre rispecchia l’effettivo valore dell’azienda. In generale non è vero che i mercati in ogni momento sono in grado di

(37)

33

• L’obiettivo di massimizzare il valore azionario non disciplina il management con il rischio di comportamenti opportunistici.44

• I piani di incentivazione azionaria non portano alla

massimizzazione del valore nel medio-lungo termine; questo per due motivi:

o Potrebbe falsare il valore delle azioni;

o Deve sempre essere data al management una “finestra” per vendere le azioni. Lo si può vincolare per un limitato periodo di tempo ma prima o poi gli deve essere data l’opportunità di vendere le azioni in suo possesso. • Il contributo del mercato del controllo societario alla creazione

di valore è incerto: questo perché non tutti i paesi sono costituiti da public companies. Molti sono costituiti ad azionisti di

riferimento pertanto, sulla base di quanto spiegato prima sulla contendibilità dell’azienda, il mercato per il controllo societario non sempre è un meccanismo efficiente.

• La normativa ha ampliato la responsabilità dell’impresa agli stakeholder aziendali: la normativa impone al management l’obbligo di tutelare gli interessi nei confronti degli azionisti ma anche quello degli altri stakeholder aziendali.

Le aziende devono cercare di bilanciare il valore del contributo offerto dagli stakeholder e delle ricompense che essi ricevono. Gli stakeholder che ritengono di non essere adeguatamente ricompensati dal contributo

fornito all’impresa tendono infatti a ridurre l’impegno e l’attenzione che dedicano alla realizzazione delle prestazioni a essi assegnate oppure, in

44 Se il management non viene adeguatamente guidato può tenere

comportamenti opportunistici, ad esempio compiere azioni volte a falsare il valore delle azioni.

(38)

casi estremi, abbandonano l’impresa per trasferirsi in un'altra che offre loro una relazione più vantaggiosa.45

Precedentemente abbiamo accennato la teoria dell’agenzia,

definendola come: “una relazione dove un soggetto (l’agente) agisce per un secondo soggetto (il principale). Il principale delega un’attività

all’agente e ne stabilisce le regole che sovraintendono la relazione, l’agente realizza l’attività che gli viene delegata. La relazione qui in esame diventa problematica in presenza di incertezza e asimmetria informativa creando i c.d. costi d’agenzia:

• Costi di controllo e incentivazione: costi sostenuti dal principale per controllare il comportamento dell’agente (li manager);

• Costi di obbligazione/rassicurazione: costi sostenuti dall’agente per garantire al principale che non prenderà decisioni contro il suo interesse;

• Costi residuali: perdita residuale di benessere che si crea a causa dell’impossibilità di conciliare i costi di agenzia.

Tanto più l'azionariato è disperso tanto minore è la creazione di valore che l'azienda riesce a generare. Esistono dei meccanismi per limitare questi costi, ma in sostanza tanto più vi è delega tanto più il rischio di inesattezza del compiuto è elevato.

La RBV e la stewardship theory46

La teoria dell’agenzia è uno strumento molto utilizzato al fine di esaminare le public company, a mano a mano che il capitale di una impresa si intensifica sotto un unico soggetto, però, gli strumenti che riescono a definirne le leve di creazione del lavoro sono altri. In

45 Zattoni A., 2011 ”who should control a corporation?”, Journal of Business Ethics,

103, 2011: 255:274

46 Passeri R. e Mazzi C., 2012 ” Impresa familiare e benessere: dalla creazione di

(39)

35

particolare, le società a controllo pubblico possono identificarsi proprio in società dove almeno il 51% del capitale è collocato sotto un unico soggetto (lo stato); questa tipologia di società potrebbe essere paragonabile ad una azienda familiare. Le teorie capaci di analizzare le performance di

suddette aziende possono essere, fra le altre: la resource-based view (RBV) e la stewardship theory.

La teoria RBV è utilizzata come modello di riferimento per identificare le risorse e competenze che determinano le performance di un’impresa. Qualora esse siano inimitabili, fortemente radicate

nell’impresa e adattabili alla dinamicità dell’ambiente, rappresentano una potenziale fonte di vantaggio competitivo47. Basandosi sulla teoria RBV,

Habbershon e Williams (1999) definiscono “familiness” il nucleo di risorse e competenze accumulate dall’impresa familiare, che derivano

dall’interazione dei suoi subsistemi: la famiglia, i suoi componenti e il business. In quest’ottica, l’impresa deve essere considerata come un sistema dinamico che può generare competenze distintive (distinctive familiness) o inibirne lo sviluppo (constrictive familiness) e dunque influire sulla creazione di ricchezza. Secondo Sirmon e Hitt (2003), la risorsa principale che distingue un’impresa familiare è il social capital. Tale risorsa emana dalle relazioni di fiducia che si creano tra gli individui e l’organizzazione in cui essi operano, generando un circolo virtuoso di valori. L’impresa familiare è una fonte di social capital, poiché esso è, per definizione, una risorsa socialmente complessa e legata alle norme, ai valori, alla vision e alla fiducia tipici del family business.

47 Il vantaggio competitivo è una superiorità quali-quantitativa del

processo gestionale che si trasforma in una superiorità quali-quantitativa dei prodotti e che, percepita dal cliente, dà vita complessivamente a maggiori ritorni economico-finanziari (Bertini)

(40)

Secondo la stewardship theory, molti imprenditori non mirano solamente alla massimizzazione della loro utilità, ma si comportano in maniera altruistica e seguono un percorso virtuoso che mira ad ottenere risultati per l’intera organizzazione. Questa attitudine si ritrova con grande

frequenza nelle imprese familiari per via del legame emotivo tra famiglia e business, che guida le scelte presenti e quelle future in termine di

successione imprenditoriale. Miller e Le Breton-Miller (2006) rilevano che nelle imprese familiari la stewardship si manifesta in tre forme principali: la longevità e gli obiettivi di lungo periodo; il legame coi collaboratori e la creazione di un ambiente di lavoro stabile; le relazioni consolidate e di fiducia con le controparti. La stewardship può quindi essere considerata una determinante delle performance delle imprese familiari, fonte di vantaggio competitivo.

4.2 La governance degli organi societari (Art. 11 del D.Lgs n.175 del 19 Agosto 2016)

L’art. 11 del D.Lgs n.175/2016) interviene in materia di organi amministrativi e di controllo delle società a controllo pubblico

precisandone una serie di punti. Il legislatore introduce, all’art.11 del presente decreto, una normativa nella quale enuncia quali requisiti specifici debbono possedere gli organi delle società partecipate.

Nel comma 1 (c.1) il decreto specifica che i componenti dell’organo amministrativo delle società a controllo pubblico devono possedere requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza da stabilirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM); l’organo amministrativo di suddette società (c.2) è costituito normalmente da un amministratore unico, anche se è prevista (c.3) una specifica deroga

rispetto a detta fattispecie. Tale deroga prevede che, per specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa, l’Assemblea della società può disporre che la società sia amministrata da un consiglio di amministrazione composto

(41)

37

da tre o cinque membri, ovvero mediante uno dei sistemi alternativi di amministrazione e controllo previsti dal Codice civile. In tal caso il numero dei componenti degli organi di amministrazione e controllo non può essere complessivamente superiore a cinque. E’anche previsto (c. 4) che nella scelta degli amministratori delle società a controllo pubblico, le amministrazioni assicurino il rispetto del principio di parità e di equilibrio di genere. Nello specifico devono nominare almeno un terzo di soggetti appartenenti al genere meno rappresentato, da computare sul numero complessivo delle designazioni o nomine effettuate in corso d’anno. L’articolo prevede (c. 6) che rispetto alla discriminante per individuare i compensi degli amministratori delle società a controllo pubblico, un Decreto del Ministero delle Economie e delle Finanze (MEF) sentita la Conferenza Unificata e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari definisce indicatori dimensionali qualitativi e quantitativi per individuare 5 fasce di classificazione delle società a controllo pubblico (ad ogni fascia verrà attribuito un limite massimo di remunerazione degli amministratori, titolari e componenti degli organi di controllo, dirigenti e dipendenti). E’ inoltre sancito (c. 8) che gli amministratori delle società in controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti. In caso siano invece dipendenti della società controllante hanno l'obbligo di riversare i relativi compensi alla società di appartenenza. Il provvedimento, inoltre, (c. 9) inserisce anche alcuni elementi da prevedere negli statuti delle società a controllo pubblico quali:

• attribuzione di deleghe ad un solo amministratore, salvo al Presidente se autorizzata dall’Assemblea;

• esclusione dalla carica di Vicepresidente o prevista senza compensi aggiunti per specifiche situazioni, più

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carica di vicepresidente o la previsione che la carica stessa sia attribuita esclusivamente quale modalità di

individuazione del sostituto del presidente in caso di assenza o impedimento, senza riconoscimento di compensi aggiuntivi”

• divieto di corrispondere gettoni di presenza o premi di risultato deliberati dopo lo svolgimento dell’attività; • divieto di corrispondere trattamenti di fine mandato ai

componenti degli organi sociali nonché quello di istituire organi diversi se non previsti dalle norme generali in tema di società

È altresì vietato corrispondere ai dirigenti delle società a controllo pubblico indennità o trattamenti di fine mandato diversi o ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva ovvero di stipulare patti o accordi di non concorrenza, anche se previsti dall’articolo 2125 del codice civile48. Nelle società indirettamente

controllate dalle amministrazioni pubbliche (c. 11) non è possibile nominare, nei consigli di amministrazione o di gestione, amministratori della società controllante, tranne per l’attribuzione di deleghe gestionali a carattere continuativo ovvero per particolari e comprovate competenze tecniche. Il comma 12 (c.12) prevede che coloro aventi un rapporto di lavoro con le società a controllo pubblico ed al contempo sono compenti dell’organo di amministrazione sono collocati in aspettativa non retribuita con sospensione della posizione contributiva, salvo rinuncia ai compensi a qualsiasi titolo previsti. Le società a controllo pubblico (c. 13) limitano la costituzione di comitati o organi consultivi, ma se lo fanno la

remunerazione dei componenti non può superare il 30% di quella prevista per gli organi amministrativi. Infine l’articolato (c. 16) prevede che le

48 Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di

(43)

39

disposizioni in esame non trovano applicazione diretta per le società a partecipazione pubblica ma non a controllo pubblico. Nel caso in cui l’amministrazione pubblica abbia una partecipazione superiore al 10% del capitale propone agli organi societari l’introduzione di misure analoghe a quelle succitate (limite numerico degli organi di amministrazione e dei relativi compensi, limiti verso i dipendenti, ulteriori previsioni statutarie limitative e divieto di corresponsioni di ulteriori indennità ai dirigenti).

4.3 Il codice di autodisciplina 49

Visti gli articoli 6 ed 11 del D.Lgs 175/2016 è evidente la direzione del legislatore di spingere anche le società non private verso l’adozione delle best practice manageriali. Il documento principe delle best practices manageriali a livello di società quotate è il codice di autodisciplina.

Il comitato per la corporate governance50 con l’introduzione del

codice di autodisciplina si è posto l’obiettivo di massimizzare il valore creato per gli azionisti, nella convinzione che tale principio guida si possa riflettere a favore anche di tutti gli altri stakeholder dell’impresa. Il codice è stato introdotto per la prima volta nell’ottobre del 1999 (successivamente rivisitato più volte) e rappresenta un modello di riferimento delle best practice. La versione considerata dal seguente lavoro è quella del luglio 2015 nonché, ad oggi, l’ultima versione approvata. Il principio di adozione per le società è di “comply or explain” che consente alle imprese di

disegnare il modello di corporate governance più funzionante alle loro esigenze, ma al contempo impone loro di spiegare agli investitori le

49 Rielaborazione personale del Codice di Autodisciplina, Luglio 2015, Comitato

per la Corporate Governance

50 Il Comitato per la Corporate Governance è stato costituito, nell’attuale

configurazione, nel giugno del 2011 ad opera delle Associazioni di impresa (ABI, ANIA, Assonime, Confindustria) e di investitori professionali (Assogestioni), nonché di Borsa Italiana S.p.A

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