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I PRINCIPI DETTATI DALLA LEGGE DELEGA

24 Così G. GIOSTRA, in I rapporti tra giustizia penale e informazione nell'ottica delle valutazioni costituzionali, in

2.a Il disegno del legislatore delegante e le direttive della legge delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale

Dalle ampie discussioni sul tema del regime di pubblicabilità degli atti istruttori penali è sicuramente emersa una serie di spunti che il legislatore ha recepito. Probabilmente, anzi, è stato anche grazie al dibattito sviluppatosi sulla conoscibilità e la pubblicabilità degli atti istruttori che il legislatore delegante del 1987 ha dedicato notevole attenzione al tema, mentre, al contrario, la precedente legge delega del 1974 aveva ignorato l’intera tematica.

Mutamenti sostanziali rispetto al codice abrogato, inoltre, sono derivati anche dalla scelta del modello accusatorio25 in sostituzione a quello a sfondo sostanzialmente inquisitorio che caratterizzava il codice del 1930. Questo nesso, tuttavia, viene talvolta sopravvalutato: il passaggio al sistema accusatorio non ha assolutamente fatto venire meno il segreto, né tale conseguenza era necessitata a seguito dell’accoglimento del nuovo modello. Del resto già il legislatore aveva manifestato la propria intenzione di non abolire interamente l’istituto del segreto, come al contrario richiesto dalla cosiddetta ‘fazione degli abolizionisti’, con le modifiche al sistema penale introdotte con la legge n.689 del 24 novembre 1981: in quella occasione infatti il legislatore ha riformato l’articolo 684 c.p., che sanziona la violazione del divieto di pubblicazione, nel senso di un inasprimento, per garantire al meglio il

25 Tradizionalmente, infatti, il sistema accusatorio non è favorevole al segreto, come sosteneva già J. BENTHAM,

Draft for the organisation of Judicial establishments, 1843, pp. 316 e ss., anche se questo non significa chiaramente che

rispetto della non pubblicità.

Negli stessi anni anche la Corte Costituzionale26, nel decidere nel senso del rigetto una questione di legittimità sottopostagli circa la congruità con gli articoli 3 e 21 della Costituzione del combinato disposto degli articoli 164 dell’abrogato codice di procedura penale e 684 del codice penale (esattamente la norma che dispone il divieto di pubblicazione e quella che ne sanziona le violazione), aveva osservato che il divieto di pubblicazione conserva la sua ragione di esistere anche nel procedimento penale a struttura accusatoria e che, quindi, la transizione dal rito inquisitorio a quello accusatorio non comporta l’abolizione in toto del divieto. Affermazione accolta pienamente dal progetto del nuovo codice di procedura penale di quegli anni, che mantiene il divieto in parola.

Il panorama che deriva dal passaggio da un sistema ad un altro, quindi, è ben più complesso di quello che si potrebbe ipotizzare con lo schema ‘sistema inquisitorio- segreto’ e ‘sistema accusatorio-pubblicità’: se il nuovo codice, infatti, ridimensiona in alcuni casi il segreto delle indagini o il divieto di pubblicazione (il cosiddetto segreto esterno del vecchio codice secondo la distinzione effettuata da Pisapia), in altri prevede nuovi sbarramenti per la difesa o per la conoscenza da parte di terzi. Si prenda ad esempio il raffronto tra le ricognizioni previste dal capo VIII del libro II del codice abrogato e le individuazioni previste dall’articolo 361 del codice attuale: in questo caso si hanno due istituti strutturalmente simili (nonostante il nome

adottato dal legislatore del 1930 sia mantenuto da quello del 1988 soltanto per le prove che avvengono in sede di incidente probatorio e non anche per gli atti di riconoscimento svolti nella fase di indagine, per i quali si adotta una inedita nomenclatura) che prevedono un diverso trattamento per la difesa. Nel codice del 1988 non è prevista alcuna assistenza del difensore del soggetto che deve compiere l’individuazione, mentre nel codice del 1930 la ricognizione era garantita. L’estensione del segreto e della conoscibilità degli atti, quindi, non può essere preso come parametro per valutare l’aderenza al modello accusatorio di un sistema. Se fosse altrimenti non potrebbe essere definito come accusatorio neppure il sistema processuale penale statunitense, dato che anch’esso presenta una fase d’indagine segreta.

La differenza tra un sistema e l’altro è data semmai dalla diversa funzione della fase che precede il giudizio, istruzione nel 1930 e indagini preliminari nel 1988, e dalla definizione dei ruoli delle parti27. Nel sistema abrogato, per quanto riguarda il primo punto, le prove raccolte nell’istruzione finivano per essere utilizzate come elementi della decisione, senza che alla loro formazione la difesa avesse preso parte. Nel sistema attuale, quanto svolto dall’organo inquirente senza la partecipazione della difesa non ha alcuna rilevanza nella fase del dibattimento. Per quanto riguarda il secondo profilo, nel sistema abrogato il giudice svolgeva attività istruttoria d’ufficio, ricoprendo anche un ruolo di investigatore, nel sistema attuale il giudice interviene

nella fase di indagine soltanto come controllore e garante dei diritti della difesa e dei valori costituzionali in gioco.

In ogni caso, pur volendo mantenere dei limiti alla conoscibilità degli atti di indagine da parte sia del soggetto indagato sia dell’opinione pubblica, dalla discussione che ha impegnato la dottrina negli anni precedenti l’emanazione della legge delega del 1987, è emersa forte la necessità di modificare il regime del 1930, che era giunto ad una situazione insostenibile: la disciplina, che prevedeva limiti molto ampi alla conoscibilità e divulgazione degli atti, seppur talvolta incongrui, era divenuta, di fatto, niente più che uno spauracchio costantemente violato dai mezzi di comunicazione di massa, dalle parti private dei procedimenti e persino dalla magistratura. Una violazione scontata e neppure più sanzionata da un apparato ormai rassegnato a tale stato di cose.

Oltre alla chiara necessità di modificare il sistema, da tale dibattito sono venute anche indicazioni forti circa la direzione da imprimere a tale mutamento: la dottrina suggerisce, infatti, un regime che concili le due esigenze fondamentali di un’amministrazione della giustizia svolta regolarmente, senza intralci e secondo le proprie esigenze, anche di segretezza, se necessarie alla scoperta della verità e alla tutela delle parti private, e di una necessaria trasparenza della stessa amministrazione della giustizia, perché la collettività possa controllare l’operato della classe giudiziaria, perché sia informata del sanzionamento dei reati, perché non si escluda a priori il vantaggio che per le stesse indagini può derivare da una corretta

partecipazione dei mezzi di comunicazione di massa. Soprattutto si suggerisce un’attenuazione dei limiti previsti alla conoscibilità e alla divulgazione degli atti prevista dal codice del 1930, sull’esperienza del fatto che limitazioni eccessive altro non portano che la sistematica violazione delle limitazioni stesse. Puntuale osservazione viene a questo proposito da chi afferma che28:"l’estensione del segreto (nel senso improprio di ciò che non è pubblicabile) sarebbe dovuta essere credibile, cioè compatibile con la società di oggi, caratterizzata da un inarrestabile accrescimento della richiesta e delle possibilità di informazione. Una credibilità, beninteso, che non si sarebbe dovuta giocare solo in termini di ridimensionamento del segreto entro più plausibili limiti temporali. Un segreto credibile è anche un segreto ben tutelato sul piano sanzionatorio e disciplinato in modo tale, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, da non presentare franchigie, che ne consentano di fatto facili elusioni”.

Le scelte operate dal legislatore e contenute nella legge delega n. 81 del 16 febbraio 1987, all’articolo 2 n. 71, sono orientate sostanzialmente verso un mantenimento del segreto istruttorio e parallelamente verso un ridimensionamento del divieto di pubblicazione, con l’evidenziazione della differenza che corre tra la materia coperta dal primo e quella invece interessata dal secondo. Del resto, la volontà di ridimensionare l’operatività del divieto di pubblicazione era già stata manifestata nella prima formulazione della direttiva n. 71, risalente al 1984: in tale sede, però, era

28 G. GIOSTRA, I limiti alla cronoca giudiziaria nel nuovo codice di procedura penale, in Dir. Inform., 1990, pp. 361 e ss.

stata attuata in modo troppo semplicistico, prevedendo un termine oltre il quale gli atti compiuti dal giudice, dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria non erano più coperti dal segreto e, quindi, pubblicabili. Un meccanismo così rigido e uguale per tutti gli atti vietava troppo in alcuni casi, troppo poco in altri. Sull’esperienza di questa prima, approssimativa soluzione della questione, nella legge delega del 1987 si adotta non un confine cronologico alla segretezza, ma piuttosto uno funzionale: gli atti delle indagini preliminari, infatti, non possono essere pubblicati soltanto se ciò è necessario per evitare che dalla conoscenza dello stato delle indagini da parte dell’imputato possano derivare danni alle indagini stesse (la finalità esclusiva del segreto è indubbiamente quella di evitare l’inquinamento delle prove). Pertanto, allorquando si ritenga che non sussista più alcun pericolo derivante dalla conoscenza delle investigazioni da parte dell’imputato e quindi gli atti di indagini sono ad esso rivelati, allora gli stessi diverranno anche pubblicabili. I confini del divieto di pubblicazione seguono, quindi, quelli individuati dalla delega per il segreto. Con un limite di questo genere alla conoscibilità da parte dell’indagato degli atti compiuti dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, destinato cioè a durare soltanto fino al momento in cui una conoscenza di tali atti potrebbe recar danno alle indagini stesse, non si altera l’uguaglianza tra le parti, che è uno dei pilastri del modello accusatorio di processo penale e quindi del sistema scelto dal legislatore delegante per il nuovo codice; difatti “qualsiasi atto o attività che permanga segreto, cioè al di fuori della recepizione o della condizione di recepizione, nella sfera dei poteri

rispettivi dei soggetti del rapporto processuale penale, non ha alcuna influenza ed effetto su tale rapporto, acquisendosi da tali atti e attività influenza ed efficacia solo allorché perdano il carattere della segretezza”29. Infatti nel processo accusatorio ciascun elemento, per poter concorrere alla formazione del giudizio, deve essere assunto durante il dibattimento oppure, in caso di incidente probatorio, in un momento anteriore, ma con le stesse garanzie che la difesa avrebbe avuto durante il dibattimento. Non c’è quindi “l’occulto lavorìo di costruzione dell’impalcatura probatoria sulla quale finirà col sorreggersi l’intero processo e dalla quale nascerà la decisione del giudice”30 ; c’è soltanto l’individuazione degli elementi che serviranno al pubblico ministero per decidere circa il promuovimento dell’azione penale, elementi, però, del tutto “sterili sul piano probatorio”31. Non si può in alcun caso negare che, al di là della diversa portata e delle diverse conseguenze della riservatezza delle indagini derivanti da un’ispirazione inquisitoria o accusatoria, la segretezza è una “modalità metodologica ineludibile per le investigazioni” e che essa è “più di un obbligo di forma, una vera e propria esigenza pragmatico-funzionale necessariamente connessa alla ‘purezza’ ed ‘efficacia’ dei risultati nella ricerca della verità”32.

Oltre a questa “segretazione necessaria”33, prevista per tutti gli atti della fase 29 O. MELE, Sistema accusatorio e obbligo del segreto, in Il nuovo codice di procedura penale. Prime esperienze, Atti del convegno di Milano, 1-2 giugno 1990, Eti, Roma, 1990.

30 D. SIRACUSANO, Le indagini preliminari, in D. SIRACUSANO- A. GALATI-G. TRANCHINA-E. ZAPPALA’,

Diritto processuale penale, Giuffrè, 2006, pp. 64 e ss.

31 Idem.

32 L. CARLI, Indagini preliminari e segreto investigativo, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, p. 762. 33 M. CHIAVARIO, La riforma del processo penale, Torino, Utet, 1990, p. 237.

investigativa, il legislatore delegante prevede anche il “potere del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari di vietare con decreto motivato, cui è data pubblicità solo successivamente, la pubblicazione di atti non più coperti dal segreto o di notizie relative a determinate indagini per il tempo strettamente necessario ad evitare pregiudizi per lo svolgimento delle stesse”.

Queste sono dunque le direttive della legge delega per quanto riguarda il regime di conoscibilità e di pubblicità degli atti della fase investigativa.

3. SEGRETO INVESTIGATIVO E DIVIETO DI PUBBLICAZIONE DI ATTI

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