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PROFESSIONALITA' GIORNALISTICA NELL'AMBITO DEL PROCEDIMENTO PENALE

4.a Premessa

Il diritto all’informazione, attiva e passiva, è riconosciuto implicitamente dalla Costituzione all’art. 21, nel quale sono contenuti i principi fondamentali che disciplinano la libertà di manifestazione del pensiero ed i suoi limiti.

In particolare, l’informazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa si è resa necessaria per i membri della società moderna, come un punto di contatto tra le attività proprie dello Stato e l’opinione pubblica, chiamata a valutare democraticamente l’operato di quegli stessi vertici: i giornalisti ricoprono infatti il delicato e particolare ruolo di “cani da guardia” della democrazia, una sorta di osservatorio costante dell’operato della macchina dello Stato in tutti i suoi aspetti. La cronaca giudiziaria è uno dei campi più importanti e più seguiti dell’informazione: la giustizia penale, identificata soprattutto con l’immagine del processo in aula, è il regno della pubblicità, pertanto nell’immaginario collettivo assume un valore simbolico e amministrativo molto importante.

Come già accennato, il processo penale, nella fase dibattimentale, è l’unico ad essere pubblico, salvo differente e motivata disposizione da parte del giudice. Ciò determina un’attenzione particolare da parte della società verso l’intero

procedimento, raggiungendo il suo massimo livello laddove questo riguardi un personaggio pubblico. Attorno ad esso si sviluppano perciò costanti e frequenti rapporti tra i membri del sistema giudiziario ed i professionisti dell’informazione, in particolare i cosiddetti “cronisti giudiziari”. Non bisogna dimenticare, però, che l’intento di questa collaborazione dovrebbe essere quello di permettere la conoscenza di fatti pubblici estremamente rilevanti ai membri della comunità, tuttavia senza che l’attività giornalistica ostacoli, rallenti o entri in conflitto con il regolare svolgimento della macchina giudiziaria in tutti i suoi passaggi e aspetti, dalla normale conclusione del procedimento alla tutela delle diverse parti processuali, ovvero dei soggetti coinvolti nel procedimento.

Per la delicatezza di questo equilibrio e per altre motivazioni, la professione giornalistica non può e non deve essere considerata una “semplice” attività lavorativa: essa infatti è disciplinata da norme proprie particolari e da un codice deontologico che ne influenzano lo svolgimento al fine di garantire che, da un lato, il servizio svolto per la comunità sia il migliore possibile e, dall’altro, perché gli stessi professionisti possano godere appieno nella loro attività delle garanzie poste dallo Stato.

Tra queste, spicca il diritto sancito nell’art. 200 c.p.p. di non rivelare informazioni acquisite durante l’esercizio dell’attività giornalistica anche nel caso in cui il cronista venga chiamato a testimoniare in un giudizio penale; ovvero la possibilità di sussumere l’attività di cronaca giornalistica nell’alveo della causa di

giustificazione di cui all’art. 51 c.p. (“Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”), a condizione che essa risponda ai requisiti indicati dall’ormai storica sentenza della Corte di Cassazione civile n. 5259/1984, nota come “sentenza decalogo”41.

Forse proprio perché forti di queste norme di garanzia, i giornalisti, nella prassi, hanno spesso oltrepassato i limiti imposti dalla legge a garanzia della segretezza di determinati atti del procedimento penale, mascherando la responsabilità per l’illecito compiuto dietro l’imprescindibile diritto di cronaca. Ma si tratta di un gioco a somma zero: guadagnando informazioni che dovrebbero rimanere segrete per fornirle ai cittadini, questi rischierebbero di vedere compromessa la possibilità, soprattutto se parliamo di atti propri delle indagini preliminari, di vedere la giustizia penale compiere il suo percorso ed arrivare alla condanna dei responsabili di un reato, i quali, tramite le stesse notizie di cronaca, potrebbero in questo modo venire a conoscenza di determinati movimenti degli inquirenti nelle indagini o dei risultati, anche parziali, raggiunti con esse. Ed è vero anche il contrario: secretare in toto gli atti relativi ad un procedimento impedirebbe ai cittadini di conoscere le dinamiche processuali afferenti a comportamenti che hanno suscitato allarme sociale o, più in generale, oggettivo interesse per la loro rilevanza pubblica.

Appare dunque chiaro quanto sia importante e delicato il bilanciamento tra due interessi che non possono essere identificati come contrapposti, in quanto fanno

capo allo stesso soggetto e pertanto devono essere considerati un’espressione unica di un generale bene “superiore”. Dopo aver trattato la disciplina processuale della questione, analizzare il lato opposto, il versante informativo, può aiutare a chiarire meglio tutti questi aspetti e fornire un quadro esaustivo dei diversi interessi coinvolti.

4.b La libertà di manifestazione del pensiero: l’art. 21 Cost., la normativa internazionale, la critica e il diritto di cronaca nell’ambito della giustizia penale

4.b.1 La libertà di manifestazione del pensiero nell’art. 21 Cost.

"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".

L’art. 21 della Costituzione, tutela la libertà di espressione del pensiero di chiunque la eserciti, intendendo indicare con tale definizione la comunicazione con carattere diffuso e pubblico di idee di qualsiasi natura. Proprio la diffusione ad una pluralità indistinta di persone caratterizza questo tipo di comunicazione: la libera circolazione delle informazioni, la pluralità di idee esprimibili da molteplici individui. Il concetto di “pensiero” deve intendersi esteso a comprendere non solo l’espressione di idee e giudizi personali, ma anche la narrazione di fatti e notizie attraverso qualsiasi mezzo.

La disciplina di questi ultimi viene resa autonoma dalla sostanza della libera diffusione dei contenuti, evidenziando allo stesso tempo il nesso di strumentalità tra i due, per cui il pensiero non potrebbe essere diffuso se non attraverso il libero utilizzo dei mezzi di comunicazione. Considerati i molteplici aspetti sostanziali e strumentali di tale espressione costituzionale, parlare di “libertà di informazione” al singolare non è corretto: esistono infatti tante libertà differenti quante sono le posizioni in cui un individuo può trovarsi rispetto al diritto in questione.

La libertà di informazione considerata nell’espressione dell’intero testo dell’art. 21 Cost. può configurarsi attivamente come libertà di informare gli altri, indipendentemente dai contenuti trasmessi, sui quali il testo costituzionale non interviene con alcuna disciplina, lasciando all’individuo la piena libertà di diffondere qualsiasi contenuto, senza alcun riguardo alla materia su cui tale messaggio verte. In questo senso, le disposizioni della Costituzione che disciplinano particolari forme di manifestazione del pensiero o particolari temi trattabili con determinate limitazioni sono giustificate da eccezionali esigenze storiche, per cui si è reso necessario specificare e talvolta ampliare le garanzie riconducibili a questi casi particolari. Nonostante la norma si concentri esplicitamente sul solo versante attivo del diritto all’informazione, in essa devono intendersi ricompresi anche il versante passivo, quello dell’interesse ad essere informati, e quello riflessivo, di informarsi: tutti aspetti ricompresi nella sfera dell’informazione tramite i mezzi di comunicazione di massa. In particolare, quest’ultimo ha trovato una rapida espansione con l’enorme diffusione

del mezzo di Internet, nato come rete governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e diventato negli ultimi decenni uno spazio di comunicazione reticolare tra utenti, di scambio e produzione di informazioni e notizie, arrivando a configurare quella che Castells definisce “autocomunicazione di massa”42.

Nonostante l’art. 21 Cost. conferisca un ampio respiro alla libertà di manifestazione del pensiero, questa non fu prospettata come “assoluta” nell’intento dell’Assemblea Costituente. La preoccupazione principale riguardava il rischio di vedere aumentati i reati di diffamazione connessi all’allargamento della libertà di stampa, con evidente danno del valore dell’onore individuale43.

Ne deriva che la tutela della libera circolazione delle idee va di pari passo con la salvaguardia degli altri valori costituzionalmente garantiti, imponendo una vasta area di tolleranza, codificata di volta in volta dal legislatore ordinario, che moduli i diritti potenzialmente in conflitto. A rimanere fuori da questa sorta di “zona grigia” sono quindi quelle manifestazioni del pensiero "che, contravvenendo a valori costituzionalmente garantiti, li pregiudichino immediatamente e irreparabilmente per il solo fatto della manifestazione o della diffusione del pensiero […] oppure quelle manifestazioni che si risolvono in comportamenti materiali in sé e per sé illeciti"44. In rispetto della gerarchia delle fonti, i limiti posti al diritto costituzionale della libera manifestazione del pensiero dovranno discendere, per poter essere validi, a loro volta

42 M. CASTELLS, Comunicazione e potere, Bocconi Ed., Milano, 2009.

43 A. PACE, Rapporti civili. Art. 21: La libertà di manifestazione del proprio pensiero in

Commentario alla Costituzione, Bologna, Zanichelli, 2006, pagg. 25 e ss.

da "particolari disposizioni costituzionali che ne giustifichino l’affermazione"45e non da interessi soggettivi e particolari riconosciuti in altra sede dal legislatore ordinario.

4.b.2 La libertà di manifestazione del pensiero nelle fonti sovranazionali: l’art. 10 della CEDU

Nel 1950, due anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, l’Italia è uno dei primi paesi firmatari di un importante trattato internazionale scaturito dal Consiglio d’Europa: la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà (da qui in avanti CEDU) formulata dal Consiglio d’Europa.

La prima parte della dichiarazione è un’elencazione puntuale e precisa di diritti e libertà che i paesi contraenti hanno ritenuto fondamentali per ricostituire una nuova Europa democratica memore degli errori del nazifascismo. Allo stesso scopo, la stessa CEDU istituisce la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, organo giurisdizionale previsto per assicurare il rispetto degli impegni derivanti alle parti contraenti dalla Convenzione e dai successivi protocolli ad essa aggiunti. Nei rapporti con gli ordinamenti legislativi dei singoli paesi, la Corte non può rilevare l’illegittimità di una normativa statale, ma può accertare e prevedere per essa una “equa riparazione”, ma solo in seguito all’esperimento di tutti i rimedi giudiziali del Paese in questione46. In particolare, l’art. 10 della CEDU sancisce il diritto alla libertà di espressione del

45 C. ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano, Giuffré, 1958, pag. 10. 46 In Italia un esempio di tale applicazione dei principi internazionali si può ravvisare nell’emanazione della legge 24 marzo 2001, n. 89, con la quale si riconosce il diritto ad ottenere una “equa riparazione” per coloro i quali abbiano visto violata la ragionevole durata del processo stabilità dall’art. 6 della CEDU (PAVANETTO M. Breve commento alla legge

pensiero:

1. Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive47.

Esattamente come il testo dell’art. 21 Cost. anche la Convenzione adotta una formulazione molto ampia e generica, comprensiva di tutte le possibili modalità di esplicazione del diritto in oggetto, tra cui deve per questo intendersi incluso il diritto di cronaca. La normativa europea, allo stesso tempo, non impedisce agli Stati di stabilire un regime di autorizzazione che regolamenti le imprese di comunicazione radiotelevisiva o cinematografica, a discrezione sì dei relativi governi ma con il limite imposto alle singole autorità pubbliche di non interferire con la diffusione e ricezione di informazioni o idee.

Il secondo comma dello stesso articolo stabilisce dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, che deve per questo essere esercitata in rispetto di condizioni socialmente condivise:

2. L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e

l’imparzialità del potere giudiziario48.

Non si tratta perciò di una libertà assoluta, ma limitabile da “misure necessarie” al pacifico svolgimento delle attività proprie di una società democratica. Gli scopi enunciati dal testo sono molto chiari e articolati e, in particolare, le ultime parole del testo, “per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”, richiamano esattamente il limite imposto alla cronaca dai codici penalistici italiani nella pubblicazione di atti di un procedimento penale.

La Convenzione concorda quindi nell’affermare il diritto già espresso dalla Costituzione di divulgare e ricevere informazioni nell’ambito della cronaca giudiziaria, ma senza che questa libertà interferisca con il corretto svolgimento della giustizia e con le garanzie di tutela della riservatezza per l’individuo stabilite dall’ordinamento nazionale; un bilanciamento importante che la Convenzione si cura di esprimere nel testo dell’art. 10.

Un esempio di giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo in materia di libertà di espressione del pensiero è la sentenza n. 42211/07 del 17 luglio 2008, un ricorso contro lo stato italiano. Nel caso di specie, il privato cittadino C.R. ricorre alla Corte per contestare la condanna per diffamazione a mezzo stampa inflittagli in seguito ad un articolo da egli scritto su una rivista specializzata, in qualità di esperto ricercatore di scienze politiche presso l’Università di Palermo. Tale articolo risulterebbe lesivo della reputazione della persona in esso citata, un personaggio

pubblico implicato in alcune vicende locali di particolare importanza anche a livello nazionale, e come tale la persona offesa ha sporto denuncia, ottenendo la condanna dell’imputato in tutti i gradi di giudizio previsti dalla normativa dello Stato italiano. La Corte ha ritenuto, in primo luogo, tale ricorso non manifestamente infondato e ammissibile, ravvisando nel fatto accaduto una violazione dell’articolo 10 della Convenzione.

In linea generale, la Corte afferma che «la stampa svolge un ruolo essenziale in una società democratica: se da un lato essa non deve superare certi limiti, che dipendono in particolare dalla tutela della reputazione e dei diritti altrui, dall’altro le spetta tuttavia di comunicare, nel rispetto dei suoi doveri e delle sue responsabilità, informazioni e idee su tutte le questioni d’interesse generale, comprese quelle della giustizia. Alla sua funzione di diffondere informazioni si aggiunge il diritto, per l’opinione pubblica, di riceverne. Se così non fosse, la stampa non potrebbe svolgere l’indispensabile ruolo di “cane da guardia”».

In seguito, la Corte specifica quali siano le limitazioni alla stampa, affermando che i giornalisti non sono esenti da doveri nei confronti della notizia e del pubblico: «il diritto dei giornalisti di comunicare informazioni su questioni d’interesse generale è tutelato a condizione che essi agiscano in buona fede, in base a fatti esatti, e forniscano informazioni “affidabili e precise” nel rispetto dell’etica giornalistica». Richiamando il testo dell’articolo 10 comma 2 CEDU, si vuole sottolineare che:

"L’esercizio della libertà di espressione comporta “doveri e responsabilità”, che valgono anche per i mass media persino in relazione a questioni di grande interesse generale. Inoltre, tali doveri e responsabilità possono rivestire importanza quando si rischia di ledere la reputazione di una persona citata nominativamente e di nuocere ai “diritti altrui”. Devono pertanto esistere motivi specifici per poter sollevare i mass media dall’obbligo che abitualmente essi hanno di verificare dichiarazioni fattuali diffamatorie nei confronti di privati cittadini. Al riguardo, entrano in gioco in particolare la natura e il grado della diffamazione in questione e il fatto di sapere fino a che punto il media possa ragionevolmente considerare attendibili le sue fonti per quanto riguarda le accuse".

Il bilanciamento tra il diritto di cronaca dei mass media e quello alla riservatezza degli individui è particolarmente delicato e la Corte non sottovaluta la questione. Se da un lato si preoccupa di affermare con vigore la libera circolazione delle informazioni su fatti di interesse pubblico, dall’altro non si vuole dimenticare i diritti dei singoli cittadini. Un continuo equilibrio tra le parti che deve tenere in considerazione anche

"La natura e la gravità delle pene inflitte quando si tratta di misurare la proporzionalità dell’ingerenza. Se è vero che gli Stati contraenti hanno la facoltà, se non il dovere, in virtù dei loro obblighi positivi ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, di regolamentare l’esercizio della libertà di espressione in modo da garantire una tutela adeguata della reputazione degli individui da parte della legge, essi devono evitare, nel fare ciò, di adottare misure che dissuadano i mass media dallo svolgere il loro ruolo di allarme dell’opinione pubblica in caso di abusi palesi o presunti del potere pubblico".

Nel caso in questione la Corte ha ritenuto che la condanna per diffamazione non fosse valida ed ha accolto il ricorso, affermando che questa rappresentava una violazione

dell’articolo 10 della Convenzione, in rispetto del diritto di libertà di espressione del privato cittadino in quanto individuo, a prescindere infatti che questi non ricoprisse una carica di giornalista professionista all’atto di scrivere e pubblicare l’articolo “incriminato”.

La rispondenza dei principi enunciati all’interno della CEDU con il dettato costituzionale garantisce che la direzione intrapresa nella tutela di diritti e libertà fondamentali, quale quella di manifestazione del pensiero, sia unanime tra i Paesi firmatari ed il trattato internazionale integri e supporti la normativa nazionale.

4.b.3 Diritto di cronaca e di critica nella giustizia penale

La critica si distingue dalla cronaca perché con essa si esprime un giudizio, mentre la cronaca si limita ad esporre i fatti senza inserire nella narrazione opinioni o valutazioni personali. Come la cronaca, tuttavia, anche la critica non è esente da limitazioni, entro le quali si può esercitare il diritto in questione senza ricadere in fattispecie di reato: esse sono contenute nella puntuale esposizione fatta dalla

cosiddetta “Sentenza decalogo”49 e definiscono un diritto di critica ampio ma non

lesivo della reputazione altrui.

Considerando come limite assoluto per il diritto di critica l’inammissibilità dell’offesa personale e della lesione della reputazione altrui, "dal concetto di critica

esula, comunque, il requisito dell’obiettività e della serenità, in quanto attività essenzialmente valutativa, frutto, quindi di una lettura personale degli eventi e molto spesso indirizzata a manifestare un dissenso"50. Si deve perciò ritenere ammissibile una certa “aggressività” nei confronti del destinatario della critica e la valutazione della sussistenza di elementi di una effettiva lesione della reputazione altrui, con la conseguente possibilità di accusa di diffamazione a carico del giornalista, deve essere effettuata alla luce di queste caratteristiche, in considerazione del contesto più ampio in cui è svolta tale critica.

Come la cronaca, anche la critica, per rispettare i canoni di legge, deve vertere su argomenti di pubblico interesse e deve scaturire da un nucleo di veridicità dei fatti, in mancanza del quale si sarebbe di fronte a pure congetture e non più a legittimo esercizio di un diritto costituzionalmente garantito. Chiaramente, il giudizio di valore espresso dalla critica attenua il rigore nella ricerca della verità obiettiva, la quale è invece onere imprescindibile della cronaca.

Rispetto alle altre forme di manifestazione del pensiero, la cronaca gode delle medesime garanzie costituzionali. Nella prassi, tuttavia, sono spesso emersi trattamenti da parte della giurisprudenza a favore degli operatori dell’informazione, portando alla luce dubbi se il diritto di cronaca possa godere o meno in Costituzione di una via preferenziale rispetto ad altre forme di espressione del pensiero, meno particolari e “meno pubbliche”. Una tale interpretazione dell’art. 21 Cost. ridurrebbe

drasticamente l’ampia libertà garantita al diritto fondamentale di “manifestazione del pensiero”, un concetto volutamente generico e onnicomprensivo che non consente alcuna differenziazione tra i vari contenuti esprimibili e tra i diversi mezzi di comunicazione.

Resta da chiedersi da dove possa derivare la maggiore protezione che la giurisprudenza, ivi compresa quella costituzionale, ha spesso riconosciuto al diritto di cronaca quale particolare forma espressiva del pensiero intesa come "la narrazione di fatti senza sistemazione scientifica dei medesimi e sulla base di un criterio di mera successione temporale"51

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Posto che, come detto, non la si può ravvisare nel testo della Costituzione, essa pare scaturire dall’incerta applicazione della scriminante

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