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pro;‡ to; dika‡thvrion: davanti al tribunale Cooper 2005 p 1217 insiste

Col I Trascrizione diplomatica

8. pro;‡ to; dika‡thvrion: davanti al tribunale Cooper 2005 p 1217 insiste

sul valore tecnico di pro;‡ con accusativo in contesto giudiziario o politico,

per indicare un’azione che si svolge davanti a un tribunale, a un magistrato o un’assemblea. Questo valore, che ha origine quando l’espressione è accompagnata da verbi di movimento, permane e, anzi, è assai frequente anche senza questo tipo di verbi, cfr. e.g.: Demosth. 33 (In Apaturium) 1,2

keleuvei oJ novmo‡ ei\nai ta;‡ divka‡ pro;‡ tou;‡ qe‡moqevta‡, la legge stabilisce che il processo sia davanti ai tesmoteti; Lys. 23 (In Pancleonem) 4,2 kai; tw'n a[llwn

tw'n lacovntwn te divka‡ aujtw/' pro;‡ to;n polevmarcon, anche le altre persone che hanno fatto causa a Pancleone davanti al polemarco.

Anche se gli oratori non usano mai questo tipo di espressione in riferimento al tribunale o ai giudici presenti davanti a loro nel momento in cui stanno esponendo il loro discorso (in quel caso, infatti, l’espressione canonica è pro;‡ uJma'‡), tuttavia se ne servono qualora debbano riferirsi a

situazioni passate, cfr. Demosth. 37 (Contra Pantaenetum) 46,1 kai; tou;‡ novmou‡ h|ken e[cwn tou;‡ tw'n ejpiklhvrwn pro;‡ to; dikasthvrion, e giunse davanti al tribunale con le leggi riguardanti gli eredi, oppure per indicare situazioni

generiche, cfr. Aeschn. 1 (In Timarchum) 77,6 ejpeida;n pro‡‡tw' pro;‡ to; dika‡thvrion, ogni volta che mi trovo davanti al tribunale.

Resta, infine, il problema della posizione di questo complemento, soprattutto rispetto alla frase che lo precede. Sia logicamente che cronologicamente ci si aspetterebbe che il pro;‡ to; dika‡thvrion si trovasse

prima del kath˚ågorou'‡i: davanti al tribunale accusano e ... qualunque sia il

verbo in lacuna. È ovvio, infatti, che le accuse si svolgono pro;‡ to; dika‡thvrion o pro;‡ tou;‡ dika‡tav‡, mentre non è chiara la necessità di

posporre l’indicazione inserendola in questo punto del discorso. Possiamo pensare che l’autore voglia riferirsi a una fase iniziale del processo quando gli accusatori ajpogravfou‡in, denunciano, ovvero presentano un atto d’accusa,

contro qualcuno. Dal loro atteggiamento non emerge, però, nessun accanimento: questi accusatori non sono dei sicofanti, anzi, una volta che il processo ha inizio e vengono a trovarsi pro;‡ to; dika‡thvrion, hanno

addirittura un atteggiamento di così grande imbarazzo da non poter dire

nient’altro partendo dalle accuse (cfr. nota 8). L’unico problema presentato da

questa interpretazione, risiede nel fatto che per indicare la fase istruttoria di una causa, quando cioè il reclamante si reca dal magistrato per esporre denuncia, esiste una terminologia specifica che qui sembra essere totalmente assente: si parla, infatti, di pro‡kalei'‡qai o kalei'‡qai (cfr.

Harrison 1971 pp. 85-94). Se si parla di kathgoreuvein, è perché ci si riferisce

già al momento del processo e certo questo non può che avvenire pro;‡ to; dika‡thvrion o, secondo l’espressione più comune, pro;‡ tou;‡ dika‡tav‡.

8. uJpo˚˙˙å : uJpo˙˙å ed. pr. e in nota: «siamo rimasti incerti sul verbo che

potrebbe inserirsi a fine rigo». Della lettera omicron rimane in alto sul limite di frattura una piccola parte dell’arco superiore, mentre in basso, su un frammento molto piccolo di fibre di recto che poggiano su una sola fibra di verso, che è stata riposizionata dopo il restauro, si vede parte della curva inferiore della lettera. Non è comunque sicuro, anche se molto probabile, che si tratti di omicron: dalle tracce della lettera non è escluso che possa trattarsi anche di epsilon. Delle due lettere seguenti rimangono soltanto delle piccole tracce di inchiostro in alto, posizionate su una fibra: in particolare, dalla traccia della prima lettera, sembra possibile affermare che essa abbia un apice o un angolo in alto a sinistra.

È certo che in questo punto debba collocarsi il verbo reggente della frase. Infatti, dalle tracce di lettere che si riescono a leggere nella parte destra del r. 9, sembra sicuro che quanto segue non sia una forma finita del verbo

e[cw (cfr. in seguito nota al r. 9). Per capire quale possa essere la giusta

integrazione da inserire dopo uJpo-, si deve tenere presente che il verbo

deve adattarsi al complemento pro;‡ to; dika‡thvrion, rr. 9-10 (cfr. anche nota

7), e concordare con kathg˚åorou'çû‡i, rr. 6-7.

Prov‡ con accusativo è usato in senso traslato con i verbi di direzione che

significano dire, parlare a, annunciare, rispondere: un’integrazione di questo tipo è però resa impossibile da quanto segue nel testo, che non è sicuramente una proposizione infinitiva. Inoltre, è poco probabile che vi sia qui la ripetizione di un verbo con un significato analogo a quello di

levgein del r. 10. Inoltre, prov‡ con accusativo può essere usato sempre con

valore di luogo, innanzi a, davanti a, con i seguenti tipi di verbi: gravfein, lagcavnein, citare; cfr. e.g. Aeschn. 1 (In Timarchum) 16,2 grafev‡qw oJ kuvrio‡ tou' paido;‡ pro;‡ tou;‡ qe‡moqevta‡, il tutore del ragazzo sporgerà denuncia presso i tesmoteti.

Dalla traccia di inchiostro che si intravede in alto sul limite di frattura, dopo la curva dell’omicron, sembra di poter leggere, come abbiamo detto, una lettera che presenta in alto a destra o un tratto orizzontale o una sorta di angolo. Per capire il senso del discorso, inoltre, può aiutare tener

presente il contesto in cui il verbo in lacuna deve essere inserito: questi

accusano con moderazione e davanti al tribunale . . . come se non potessero dire altro sulla base delle accuse. Se il verbo in questione ha un significato tecnico

che non aggiunge nessun commento da parte di chi parla sul comportamento di questi aujtoiv, si può pensare a integrare uJpogravfein, sottoscrivere, firmare, mentre per uJpolambavnein, prendere la parola, non c’è lo

spazio sufficiente (4-5 lettere al massimo). Se invece l’autore volesse insistere sull’atteggiamento dimesso degli accusatori che provano un certo imbarazzo nel procedere in modo diretto e aperto con le accuse, forse si potrebbe pensare ad un verbo con un significato più specifico come

uJpopthv‡‡ein, rannicchiarsi per il timore, dal colorito poetico (cfr. e.g. Aeschl. Pr. 29, 960, ma anche Xen. Cyr. 1.3.8 e 1.6.8) o uJpoleivpou‡in, tralasciare (cfr. e.g. Aeschn. 2, De falsa legatione, 7,2 o Lys. 31, In Philonem, 4,6) che tuttavia

all’attivo sembra essere sempre usato in senso transitivo. La soluzione forse più convincente si ottiene semplicemente con uJpomevnein, restare indietro, aspettare (cfr. e.g. Lys. 13, In Agoratum, 12,2). Pensare a uJpo‡iga'n, uJpo‡iwpa'n o uJpo‡tevllein fa una certa difficoltà perché dalle tracce sul

limite di frattura non sembra che la lettera dopo omicron possa essere

sigma.

9. ‡in wJ‡ oujqe;n e[con˚teå‡ . Come già spiegato nell’ed. pr., in nota, oujqevn è

forma dell’attico tardo penetrata poi nella koinè e nei papiri; pertanto non risulta essere un elemento determinante nello stabilire l’epoca né tantomeno la paternità dell’orazione. Nei papiri, nella lingua dei documenti, oujqeiv‡ oujqevn prevale sulla forma oujdeiv‡ oujdevn in epoca

tolemaica e fino al I secolo d. C. (cfr. DDBDP). Tuttavia, se si considerano i codici medievali, ne risulta che la forma oujqeiv‡ oujqevn, totalmente assente

dai mss. di Antifonte, Andocide e Lisia, è invece frequente, come variante, in quelli di Platone, Isocrate e Demostene (Cfr. LSJ s.v.). Nei papiri di Iperide, infine, la forma in q è attestata in alternanza alla forma in d: cfr. e.g. Hyp. 3 (Pro Euxenippo) 7, dove all’interno dello stesso periodo si legge

e[con˚teå‡ : ejco˚n˚t˚e˚å‡ ed. pr.

Il riposizionamento delle fibre sul limite destro di frattura ha consentito di leggere chiaramente sia tau che epsilon. Da notare la forma di omicron che presenta un trattino orizzontale che taglia la curva in alto della lettera (cfr. II.2.1 La scrittura del recto). Si tratta di un vezzo del copista, cfr. e.g. aujtoi'‡

al r. 12, tuttavia, trattandosi di una lettera in parte in lacuna, in un primo momento sembrava esserci qualche dubbio se si dovesse piuttosto leggere

epsilon, e quindi e[ce˚i˚n. Comunque, sia che si tratti di una soggettiva

participiale sia di una consecutiva implicita con l’infinito e[cein, il senso del

discorso non subisce grandi variazioni.

Per wJ‡ seguito da participio soggettivo cfr. e.g. Plat. Rp. 329a: ajganaktou'‡in wj‡ megavlwn tinw'n ajpe‡terhmevnoi, si adirano come se fossero stati privati di qualcosa di grande.