Col I Trascrizione diplomatica
10. teron levgein ejk tw'n˚ åka : e{çûteron levgein ejk tw'˚n˚ åka ed pr.
Con il restauro le fibre che risultavano piegate sono state distese e questo ha consentito di leggere con sicurezza la sequenza twn˚.
L’integrazione e{çûteron sembra plausibile (cfr. ed. pr. nota) sulla base del
conteggio delle lettere mancanti alla fine del rigo superiore (cfr. II.1.1.
Aspetti materiali), che dovrebbero essere circa 2 o 3. Gli elementi a nostra
disposizione sono troppo pochi per integrare to; e{çûteron, l’altra cosa. Per
l’accostamento oujde;n e{teron cfr. Cooper 2005 p. 401. Cfr. e.g. Thuc. 7 29,5: kai; xumfora; th/' povlei pav‡h/ oujdemia'‡ h{‡‡wn ma'llon eJtevra‡ ajdovkhtov‡ te ejpevpe‡en au{th kai; deinhv, questo disastro che su tutta la città si abbattè inatteso e orrendo più di qualsiasi altro; Antipho 2 (Tetralogia 1) 3.9,2: e{teron uJmw'n dei'tai h] th;n auJtou' miarivan eij‡ uJma'‡ aujtou;‡ ejktrevyai, non vi chiede nient’altro se non di attirare su di voi la sua stessa contaminazione; Demosth. 18 (De corona) 34,4: oujd∆ a]n ejgw; lovgon ejpoiouvmhn oujde;n e{teron, io non farei nessun altro discorso.
Altrimenti questo -teron potrebbe essere la seconda parte di un aggettivo
al grado comparativo, cfr. e.g. Plut. Biogr. et Phil., De defectu oraculorum 428b,3: piqanwvteron oujde;n e[cw levgein e[n ge tw/' parovnti, non posso dire niente
di più persuasivo al momento, anche se, dato il poco spazio disponibile al
rigo superiore, dovrebbe essere molto corto.
Inoltre, per l’uso, abbastanza diffuso, di e[cw con infinito, cfr. e.g. Demosth.
36 (Pro Phormione) 33,1: divkaion oujde;n e[cwn eijpei'n, non potendo dire niente di giusto.
ejk tw'n˚ åkaçûthgorhmevnwn. Solitamente l’espressione oujde;n e{teron, cfr. supra, si trova connessa con un secondo termine di paragone: cfr. Antipho
2 (Tetralogia 1) 3.9,2, oppure Isocr. 18 (Areopagiticus) 14,1 oujde;n e{teron h] politeiva, nient’altro che l’ordinamento. Sembra, quindi, che il significato da
attribuire all’intera espressione sia diverso. Gli accusatori, partendo dalle
accuse, che quindi espongono, tuttavia non si accaniscono e non
arrichiscono il loro discorso con particolari ulteriori o con commenti di nessun tipo, limitandosi, dunque, sembrerebbe, alla semplice esposizione dei capi di imputazione.
11. thgorhmevnwn. dei˚' me;n˚,å ei[ ti‡ : kaçûthgorhmevnwn de; me˚n˚å ed. pr. e in
nota: «... tale collocazione delle particelle sarebbe impossibile e quindi
bisognerebbe correggere in de; mh;n, visto che il papiro non consente altra
lettura». In realtà il problema di giustificare una sequenza inammissibile in greco come de; me;n (cfr. Denniston 19542
p. 391), svanisce con la nuova lettura dei' qui proposta. Infatti, analizzando il frammento al microscopio,
la curva dell’epsilon risulta ben visibile in alto sul limite di frattura, mentre, accanto in basso, su una fibra che è stata riposizionata dopo il restauro, è possibile intravedere una traccia dell’asta verticale di iota. Questa lettura è confermata dalla presenza di un’antitesi, il cui secondo elemento si legge chiaramente al r. 11: dei' de;. Inoltre, con questa soluzione,
è possibile giustificare l’infinito ai rr. 12-13, senza dover attribuire ad
ajdikei'n un significato improprio (cfr. in seguito nota al r. 12). Tuttavia, è
necessario pensare che il rigo non finisse con il me;n, e che la frase
proseguisse con uno o più elementi sintattici necessari ad introdurre la proposizione del r. 12, che non può che essere una incidentale: dokei' aujtoi'‡ ajdikei'n˚. Dal conteggio delle lettere, che si aggira intorno al numero
di 19-20 lettere per rigo (cfr. II.1.1 Aspetti materiali), aggiungendo semplicemente un nesso come ei[ ti‡, si arriverebbe a 22 lettere:
un’eccedenza limitata, quindi, che non presenta grandi difficoltà dal momento che l’allineamento a destra non è rispettato in modo ferreo (cfr. II.1.1 Aspetti materiali). Per di più, trattandosi di lettere verticali (e i t i ‡),
non sembra che, inserendole nel rigo, la lunghezza di quest’ultimo possa eccedere in modo considerevole da un ideale margine destro. Si può supporre, quindi, che, in questo punto, si presentasse una situazione analoga a quella che possiamo verificare in fr. B I 7 (cfr. anche tav. III). Non si può in ogni caso non ammettere la necessità di inserire in questo punto un nesso necessario ad introdurre l’inciso. Normalmente per le proposizioni incidentali il greco usa ga;r, che però è collocato sempre in
seconda posizione (cfr. Denniston 19502 pp. 95-98), e quindi si sarebbe dovuto trovare dopo il dokei' del r. 12. Cfr. e.g. alcuni casi in cui l’inciso è
inserito in modo da separare il verbo principale dall’infinito da esso retto, esattamente come in questo passo di PSI inv. 2013: Antipho 5 (De caede
Herodis) 65,7: Oi\mai d∆ a]n kai; uJmw'n e{ka‡ton, ei[ tiv‡ tina e[roito o{ ti mh; tuvcoi eijdwv‡, to‡ou'ton a]n eijpei'n, o{ti oujk oi\den, anche ognuno di voi, se interrogato su ciò che eventualmente ignora, solo questo, penso, risponderebbe, che non lo sa;
Isocr. 15 (Antidosis) 102,1: w[/mhn me;n, eij kai; fanerw'‡ ejxhlegcovmhn ajdikw'n, dia; th;n pro;‡ ejkei'non filivan ‡wvze‡qaiv moi pro‡hvkein, per me io penso che, anche se ci sono prove evidenti della mia colpevolezza, io dovrei essere salvato grazie all’amicizia per costui.
Un’altra soluzione, analogamente economica, potrebbe essere quella di integrare ei[ ge, quindi: se a loro sembra di commetter ingiustizia. Per l’uso di ei[ ge nelle proposizioni incidentali cfr. e.g.: Demosth. 22 (Adversus Androtionem) 30,9: kaivtoi povll∆ a]n ei\cen, ei[ ge kolavzein ejbouvleto touvtou‡, calepwvtera qei'nai, d’altra parte, se davvero la sua intenzione fosse stata quella di punire queste persone, avrebbe potuto fissare misure molto più severe. La
difficoltà che presenta quest’integrazione risiede, tuttavia, nella logica del testo: perché agli accusatori dovrebbe sembrare di commettere ingiustizia? Pur ammettendo l’anomalia dell’atteggiamento dimesso dell’accusa,
pensare addirittura al timore di ajdikei'n sembra forse un’esagerazione.
Dopotutto questi aujtoiv accusano e se lo fanno è perché secondo loro
qualcuno ha commesso ingiustizia, ti‡ ajdikei'.