Durante questo capitolo sono state affrontate alcune sfaccettature riguardanti la creazione del valore: il suo significato generico, il suo significato aziendale, alcuni modo per perseguirlo strategicamente, le modalità per misurarlo, il ruolo delle informazioni prodotte dalle configurazioni di costo, il ruolo della soddisfazione cliente e le sue implicazioni per l’azienda. Nei capitoli successivi si vuole porre il focus proprio su quest’ultimo aspetto. Riprendendo la distinzione delle attività sulla base della capacità di creare valore prodotto per il cliente, tema centrale del VBCM, verrà praticamente applicato il value multiplier alle attività a valore aggiunto rispetto all’attributo di qualità della sicurezza, che nel mondo dei prodotti agroalimentari è rappresentato dai marchi a denominazione. Molto scarsa è la letteratura esistente rispetto alle motivazioni che spingono le imprese all’utilizzazione di detto segnale
38 di qualità e la misura in cui utilizzarlo62. In particolare, Verhaegen e Van Huylenbroeck63 analizzano le implicazioni derivanti alle imprese dalla partecipazione a canali commerciali di tipo innovativo, ma i lavori e le indagini empiriche considerano normalmente la sola dimensione aziendale a livello individuale64. Meno frequenti sono le analisi che riguardano i possibili effetti delle denominazioni geografiche a livello collettivo in termini di distribuzione di costi e benefici tra le imprese65, mentre altre ricerche approfondiscono la tematica dei costi
di certificazione66. Interessanti, ma poco approfonditi sono gli effetti che la istituzione del segno di qualità di origine territoriale può esercitare sulle dinamiche dei sistemi produttivi locali, e in particolare sulle dinamiche locali di sviluppo rurale.67 Nessuno si è ancora dedicato alla determinazione del valore prodotto dalla denominazione, quantificando quante volte i costi delle risorse consumate nelle attività ad essa dedicate ritornano sotto forma di ricavi. Il presente elaborato è stato svolto con l’intenzione di provare a dare un contributo in questo senso, applicando il VBCM e, in particolare, il value multiplier alle attività di un’azienda vitivinicola, il cui mercato nel complesso è uno dei più rappresentativi e produttivi dell’economia italiana68. Più precisamente, verranno messi a confronto i moltiplicatori del
valore relativi all’attributo di qualità della sicurezza di un vino I.G.T. e uno D.O.C. per ottenere un risultato che ad oggi non trova riscontro in letteratura: il moltiplicatore del valore prodotto da due differenti denominazioni in ambito vitivinicolo. Tra i tanti attributi del prodotto vino, si è scelto la denominazione geografica poiché questa, a differenza di attributi la cui percezione è soggettiva (la percezione del valore dell’annata, del vitigno, dell’etichetta, della forma della bottiglia, ecc.), è oggettivamente e universalmente ritenuto un attributo di
62 Belletti G., Marescotti A., Costi e benefici delle denominazione geografiche, Agriregionieuropea, n°8, 2007, p.11 63 Verhaegen I. e Van Huylenbroeck G., “Costs and benefits for farmers participating in innovative marketing channels for quality food products”, Journal of Rural Studies, 17, 2001, pp.443 – 456.
64 Fucito R., “Un contributo al'analisi dei costi della qualità nell'impresa agro-alimentare”, Rivista di Economia Agraria, LVII – 1, 2002, pp.39-88.
65 Si veda a proposito, G. Belletti, Origin labelled products, reputation, and etherogeneity of firms, in: Sylvander B., Barjolle D., Arfini F. (Eds), The socio-economics of Origin Labelled Products in Agri-Food Supply Chains: Spatial, Institutional and Co-ordination Aspects, INRA Actes et Communications, n.17-1, 2000, pp.239-260. oppure Marescotti A., Typical products and rural development: who benefits from PDO/PGI recognition?, 83rd European Association of Agricultural Economics (EAAE) Seminar “Food Quality Products in the Advent of the 21st Century: Production, Demand and Public Policy”, 2003, Chania, Greece.
66 Lazzarin C., Gardini G., Costi di certificazione e strutture di gestione di Dop e Igp, L'Informatore Agrario, n.8, 2005. 67 Sylvander B., Allaire G., Belletti G., Marescotti A., Tregear A., Barjolle D., Thévenot-Mottet E., Qualité, origine et globalisation: Justifications générales et contextes nationaux, le cas des Indications Géographiques. The canadian journal of regional science, vol. vol. XXIX, n.1, 2006, pp. 43-54.
68 I dati del 2016 di Federalimentare espongono come l’industria vitivinicola produca il 10% del fatturato dell’intera industria agroalimentare.
39 qualità dai consumatori, come verrà visto in seguito. Inoltre, la differenziazione delle produzioni basata sull’origine territoriale rientra tra le leve cui le imprese, i loro organismi associativi e le istituzioni pubbliche locali guardano per favorire la penetrazione su nuovi mercati e canali commerciali, nonché per mantenere quote di mercato69. Per calcolare i costi delle attività a valore aggiunto relativi a tale attributo, ci si è basati sui parametri previsti dai disciplinari di produzione70 per poi risalire alle attività che influiscono su tali parametri,
calcolandone i costi tramite l’ABC. Il disciplinare del D.O.C. in questione prevede:
1. La presenza del vigneto in un territorio definito. In questo caso non si tratta di un’attività, poiché l’unico modo per soddisfare tale condizione è il possesso del diritto di proprietà o di godimento del terreno in questione. Per individuare il costo connesso a tale parametro, sono da considerare: il costo d’acquisto del terreno, il costo di fitto del terreno e il fitto figurativo, nel caso in cui il terreno sia già di proprietà;
2. L’utilizzo esclusivo di due tipi di uvaggio. In questo caso sono presenti due tipi di costo. Uno diretto, relativo al costo d’acquisto delle barbatelle. L’altro è indiretto e fa riferimento ai costi d’impianto, che sopraggiungono dallo svolgimento di una serie di attività;
3. Lo svolgimento di pratiche viticole tradizionali della zona che rispettino e non modifichino le caratteristiche dell’uva;
4. Un minimo livello di gradazione alcolica, acidità ed estratto non riduttore minimo71. I
disciplinari di produzione sono scritti tenendo conto delle caratteristiche chimiche ed organolettiche del uvaggio, imponendo dei limiti con esse in accordo. I parametri sopra riportati sono perciò normali per il tipo di uvaggio utilizzato, ciononostante necessitano: del processo di fermentazione, per quanto riguarda la gradazione alcolica; di attività di controllo, per quanto concerne gli atri due parametri;
5. Un quantitativo definito di resa massima di quintali di uva per ettaro. L’obiettivo del disciplinare è di limitare la resa in kg d’uva delle piante di vite in favore della qualità
69 Belletti G., Marescotti A., Costi e benefici delle denominazione geografiche, Agriregionieuropea, n°8, 2007, p.1 70 I disciplinari in questione sono: Calabria I.G.P. e Melissa D.O.C., verificabili presso il sito dell’Ente di certificazione nazionale www.valoreitalia.it
71 L' estratto secco totale rappresenta tutte quelle sostanze che non volatilizzano in condizioni fisiche tali da evitare la loro alterazione; più precisamente è costituito da zuccheri, polifenoli, acisi, sali e tutto quello che è presente nel vino escluse le sostanze volatili. L’estratto non riduttore minimo è dato dall’estratto secco totale meno gli zuccheri presenti nel vino, fonte www.agraria.org
40 e la ragione della limitazione risiede nel cosiddetto “carico di rottura”: superata una certa quantità di frutto per pianta, scientificamente la qualità decade. Le attività che hanno il potere di condizionare il numero di grappoli presenti sulla pianta sono: potatura secca e potatura verde;
6. Lo svolgimento di pratiche enologiche atte a conferire al vino le proprie peculiari caratteristiche;
7. Un quantitativo definito di resa massima di ettolitri di vino per quintale di uva. Come per i parametri chimici di cui al punto 3, anche in questo caso il limite di resa litri per chilo è stato scelto considerando la percentuale standard di conversione del 70%. In accordo con tale visione, la quasi totalità dei disciplinari italiani prevede tale percentuale. L’attività in grado di influire su tale percentuale, permettendo di estrarre più o meno liquido dal frutto è la pressatura;
8. Un periodo minimo di invecchiamento. Il processo d’invecchiamento prevede l’affinamento del vino in botte o in serbatoi d’acciaio, necessitando di attività di controllo da parte dall’enologo.
Per l’I.G.T. il disciplinare è sensibilmente meno rigido, prevedendo delle limitazioni esclusivamente per fermentazione-acidità-estratto non riduttore minimo (con valori più bassi rispetto al D.O.C.), il legame con il territorio, limiti per la resa ettaro/kg d’uva raddoppiati rispetto al D.O.C. e limiti di resa litri di vino/kg d’uva lievemente più alta rispetto al D.O.C. Dal rapporto tra i ricavi equivalenti e la somma dei costi delle attività a valore aggiunto, si otterrà il moltiplicatore del valore.
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