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Value-Based cost management, il caso dell' azienda vitivinicola Cantine val di Neto

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Indice

Introduzione ... 4

Il Value Based Cost Management... 6

1.0 La creazione del valore e la finalità d’impresa ... 6

1.1 La creazione del valore e il ruolo delle informazioni ... 11

1.2 Il Value Based Cost Management ... 18

1.3 Il value multiplier ... 27

1.4 Le Business Value Added Activities ... 29

1.4.1 Le Business Value Added activities Indirette ... 30

1.4.2 Le Business Value Added activities Future ... 31

1.4.3 Le Business Value Added activities amministrative ... 33

1.5 Gli Sprechi ... 34

1.6 La problematica trattata e lo schema d’applicazione del value multiplier ... 37

Le dimensioni della qualità del vino ... 42

2.1 La teoria del consumatore e il ruolo della qualità ... 42

2.2 Il vino come bene alimentare di consumo ... 44

2.2.1 La qualità e il vino ... 47

2.3 La catena mezzi-fini ... 52

2.4 Total food quality model ... 53

2.4.1 Le dimensioni della qualità ... 56

Il caso dell’azienda Val di Neto ... 59

3.1 L’impresa vitivinicola ... 59

3.2 L’azienda Val di Neto ... 63

3.3 Due prodotti a confronto: DOC vs IGT ... 66

3.4 Value based cost management e total food quality model ... 68

3.4.1 La fase viticola ... 73

3.4.2 La fase vinicola ... 77

3.4 I costi dell’attività a valore aggiunto e il value multiplier ... 87

3.5 Conclusioni ... 90

Bibliografia ... 95

Sitografia ... 99

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Introduzione

La creazione del valore, intesa come la capacità di ripagare in maniera congrua il costo dei fattori produttivi finanche il costo del capitale di rischio, è un tema centrale delle realtà aziendali. Il flusso finanziario che permette di ripagare tali fattori si genera durante l’attività d’impresa tramite la vendita di beni e servizi. Ciò implica la necessità dell’impresa di

soddisfare il cliente fornendo un bene con caratteristiche che esso apprezza che a sua volta sottende la conoscenza da parte dell’impresa di tali preferenze. In questo elaborato ci si è incentrati sull’attributo della sicurezza del vino rappresentato dai marchi a denominazione, applicando lo strumento del Value-based Cost Management ed in particolare del value multiplier che permette di calcolare quante volte i costi delle risorse consumate dalle attività che producono tale attributo contribuiscono a generare ricavi. L’indagine è svolta

nell’azienda vitivinicola calabrese Cantina Val di Neto ed è incentrata sull’individuazione di eventuali differenza tra i moltiplicatori di un vino Doc e di uno Igt, comprendendone le cause e suggerendo soluzioni per migliorare il moltiplicatore con valore non ottimale rispetto a quanto suggerito dalla letteratura. Il primo capitolo si focalizza sul ruolo della creazione del valore per l’impresa, su cosa significhi creare valore per il cliente e come può il Value-based Cost management supportare l’impresa nel percorso di creazione del valore. Il secondo capitolo è invece incentrato sul vino e sugli attributi di qualità apprezzati dai consumatori, tra cui quello della sicurezza rappresentato dai marchi a denominazione. Nel terzo ed ultimo capitolo si svolge l’analisi pratica sui vini Doc e Igt della Cantina Val di Neto, calcolando i costi delle attività a valore aggiunto dei vini propedeutici per

l’applicazione del value multiplier. Il lavoro si conclude con un’analisi che evidenzia alcune possibili linee d’azione per migliorare il moltiplicatore del valore del vino Igt.

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Il Value Based Cost Management

1.0 La creazione del valore e la finalità d’impresa

L'impresa è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi1. E’ una componente naturale della società oltre che una presenza indispensabile al suo funzionamento e, sebbene la definizione possa lasciar intendere diversamente, la mera attività produttiva o di scambio non è né la finalità ultima dell’impresa né la ragione della sua esistenza. L’impresa esiste per creare valore2. Esso è il

motivo per il quale l’azienda nasce, è ciò che ne garantisce l’esistenza e la continuità ed è ciò che ne determina la cessazione, in caso di incapacità di creazione. Viene dunque spontaneo chiedersi cosa s’intenda per creazione del valore e cosa si possa fare per crearlo, misurarlo e mantenerlo. Creare valore significa realizzare qualcosa che valga gli sforzi, le energie e le risorse impiegate per ottenerla3. Da ciò si evince la soggettività del valore. Difatti, l’azienda

come componente della società intesa come un sistema di elementi aperto, dinamico e complesso, si trova esposta ad una serie di giudizi di valore da parte degli attori: i potenziali clienti ponderano l’acquisto valutando se le caratteristiche del prodotto offerto valgano il prezzo richiesto; i dipendenti valutano l’impegno e i sacrifici da profondere nel lavoro in base alle ricompense, monetarie e non; i finanziatori misurano la bontà dell’investimento se il ritorno del capitale investito vale il rischio connesso all’incertezza dei risultati reddituali. Tali giudizi influiscono sull’attività d’impresa in virtù di rapporti d’interesse che si creano in seguito alla condivisione dello stesso ambiente. Laddove l’azienda non si dimostrasse in grado di assicurare ai propri interlocutori un’adeguata soddisfazione delle attese, si troverebbe senza attori del sistema sociale disposti ad interagire con essa, determinandone, perciò, la morte. Al contrario, la capacità di soddisfare le esigenze dei vari stakeholders è la fonte del benessere aziendale. Gli interessi dei diversi interlocutori aziendali sono, però, tra loro eterogenei e talvolta conflittuali: è ragionevole pensare che i clienti vorrebbero la più alta

1 Guatri L., Manifesto dell’impresa valore: appello ad un comune impegno per la definizione dell’impresa moderna, In finanza, Marketing e Produzione, volume 2, 1992 pag. 10

2 Donna G., La creazione di valore nella gestione d’impresa, Carocci, 1999, pag. 25 3 Donna G., La creazione di valore nella gestione d’impresa, Carocci, 1999, pag. 26

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7 qualità possibile al minor prezzo, i dipendenti gradirebbero incrementi delle retribuzioni a fronte di condizioni di lavoro migliori, i finanziatori il maggior ritorno possibile, i fornitori un’alta domanda ai prezzi più alti possibili. L’azienda, non potendo permettersi che gli attori della società influiscano negativamente sulla vita dell’impresa, è chiamata a trovare una risposta equilibrata che soddisfi complessivamente le esigenze dei suoi interlocutori. La presenza di una pluralità di esigenze da soddisfare fa sì che la soluzione matematica sia di ottimizzazione e non di massimizzazione, ricercando valori di queste variabili reciprocamente compatibili e complessivamente soddisfacenti4. Oltre all’ottimizzazione delle esigenze degli

stakeholders, l’azienda ha il compito di creare valore per se stessa, che secondo Coda5 si

traduce in:

- Mantenere l’impresa su un sentiero di crescita continuativa basata su solide fondamenta;

- Operare per elevare il profilo di redditività/rischio delle singole aree strategiche d’affari e dell’impresa nel suo complesso, realizzando uno spread costantemente positivo tra tasso di redditività del capitale di rischio e costo del capitale di rischio. Dalla prima affermazione si evince come la creazione del valore sia una filosofia gestionale, che tramite la programmazione e la gestione delle risorse aziendali oltre che il coordinamento dei comportamenti dei soggetti coinvolti nell’attività produttiva, è volta a garantire l’esistenza dell’impresa oggi e in futuro. La seconda è l’implicazione finanziaria della prima, secondo cui instradarsi su un sentiero di crescita futuro necessiti di risultati dal punto di vista finanziario: non basta ottenere un risultato operativo positivo ma è necessario che sia superiore al costo del capitale impiegato per ottenerlo6. Il secondo costrutto enunciato da Coda

evidenzia inoltre la necessità della remunerazione del capitale di rischio ai fini della creazione del valore aziendale. Secondo Guatri7, ciò non è un interesse che si contrappone a quello degli

altri stakeholder ma è un modo per definire sistematicamente gli obiettivi di impresa che risulta:

4 Donna G., La creazione di valore nella gestione dell’impresa, Carocci, 1999, pag. 31

5 Donna G., La creazione di valore nella gestione dell’impresa, Carocci, 1999, Prefazione a cura di V. Coda, pag. 15 6 Borsic D., Donna G., La sfida del valore, Guerini e associati, 2005, pag. 13

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8 - Razionale, poiché ispira la sopravvivenza e lo sviluppo equilibrato dell’impresa a

lungo termine;

- Largamente condivisibile da tutti coloro che hanno interesse alla vitalità dell’impresa; - Stimolante per la professionalità e la fantasia dei manager e dell’imprenditore;

- Misurabile. Non potendo gestire ciò che non si può misurare, questa è una caratteristica del valore essenziale.

Dunque “l’accrescimento del valore per coloro che hanno apportato il capitale di rischio non

confligge con gli interessi a lungo termine degli altri stakeholders. Le prove sono chiare, le imprese vincenti creano valore per tutti li stakeholders: clienti, lavoratori, pubblica amministrazione e fornitori di capitali”8. Occorre però precisare che non tutti coloro che

apportano il capitale di rischio – gli azionisti – trovano corrispondenza tra la creazione del valore aziendale e la creazione di valore per se stessi9. I cosiddetti “trader”, a differenza degli “investor”, essendo orientati a realizzare profitti nel breve periodo, hanno interessi divergenti con quelli dell’impresa che è orientata alla creazione nel lungo periodo. Ciò detto, l’interpretazione di Coda di creazione di valore aziendale come un modello di gestione volto a costruire le condizioni per la sopravvivenza dell’impresa nel lungo periodo, si contrappone alla massimizzazione del profitto ch’è un obiettivo di breve termine10. Per questo motivo,

ovvero la mancanza di considerazione delle prospettive future dei risultati d’impresa, i bilanci e le misure contabili così come previsti dalla normativa civile e fiscale possono essere parametri fuorvianti per la determinazione del valore creato dall’impresa11. Nonostante servano per evidenziare il reddito, ovvero quanto residua per remunerare coloro che hanno apportato il capitale di rischio, le misure contabili possiedono dei limiti:

- Non tengono conto delle prospettive di redditività futura, le quali sono invece una chiave fondamentale del valore economico dell’impresa e della sua dinamica nel tempo. Considerando due imprese, a parità di ROI o ROE, il valore economico di un’impresa sarà tanto maggiore quanto più alta è la redditività attesa12.

8 Copeland T.E., Why Value Value, McKinsey, n°4, 1994 pag. 103 9 Giannetti R., Dal reddito al valore, Giuffrè, 2002, pag. 31

10 Melis A., Creazione di valore e meccanismi di corporate governance, Giuffrè, 2002, pag. 11 11 Borsic D., G. Donna, La sfida del valore, Guerini e associati, 2005, pag. 25

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9 - Non considerano il costo e il rischio del capitale investito. Il costo del capitale di rischio, a differenza del capitale preso in prestito, non necessita di un contratto che stabilisca tempi, modi e tassi d’interesse della remunerazione13, non determinando così

un costo esplicito. Per tale motivo non viene valutato nelle voci del bilancio. Inoltre, va considerato il rischio: il valore economico di due imprese con eguale redditività varia al variare della rischiosità, cioè il grado di incertezza sui risultati.

- Sono soggetti all’influenza della normativa civile e fiscale, che, ad esempio, per il principio di prudenza, induce a-d imputare all’esercizio costi relativi a risorse che manifesteranno la loro utilità anche negli esercizi futuri14.

Ai fini di una corretta misurazione del ritorno economico del capitale di rischio, gli indicatori contabili di redditività costituiscono un utile strumento a patto che siano integrati dalle prospettive di redditività future e del relativo rischio. Diversamente, ciò porta a considerare crescita e creazione di valore come dei sinonimi. Se così fosse, basterebbe ridurre costi come quelli di ricerca e sviluppo per aumentare la differenza tra costi e ricavi facendo sembrare l’impresa in crescita quando si sta precludendo l’imbocco dei sentieri di crescita continuativa che creano valore per l’impresa. La valutazione del valore aziendale basata sul solo sul fatturato rischia di indurre nel management comportamenti imprudenti come, ad esempio, la riduzione dei costi di ricerca s viluppo, precludendo la “semina” del futuro aziendale. La creazione del valore totale (CVT) e la creazione del valore d’esercizio (CVE) rappresentano invece le misure fondamentali di creazione del valore15. Il CVE stima se e in che misura, l’impresa crea o distrugge annualmente valore, producendo un reddito superiore o inferiore al costo del capitale. Il CVT16 indica se e quanto il capitale investito nell’impresa vale in più

o in meno rispetto a quello che è stato impiegato nell’impresa e si ottiene dall’attualizzazione dei CVE. Questo implica che il CVT dipenderà dai valori positivi o negativi del CVE e tanto maggiori sono i CVE futuri attesi, tanto maggiore sarà il CVT. Esistono casi in cui i valori sono discordi: un CVE positivo e un CVT negativo indica una valutazione negativa da parte

13 D. Borsic, G. Donna, La sfida del valore, Guerini e associati, 2005, pag. 25 14 R. Giannetti, Dal valore al reddito, Giuffrè, 2002, pag. 38

15 D. Borsic, G. Donna, La sfida del valore, Guerini e associati, 2005, pag. 46. In quest’opera gli autori precisano che il CVT è sinonimo di Market Value Added mentre la creazione del valore annuale CVE è sinonimo di Economic Value Added

16 CVT= Sommatoria con i che va da 1 a infinito di CVE/(1+Cm)i, con Cm pari al costo medio del capitale. La formula è stata tratta da D. Borsic, G. Donna, La sfida del valore, Guerini e associati, 2005, pag. 45

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10 del mercato della prospettiva di creazione del valore aziendale; un CVE negativo e un CVT positivo mostra l’apprezzamento del mercato circa le prospettive future di creazione del valore, nonostante attualmente non ci stia riuscendo. La necessità di attualizzare il CVE per il calcolo del CVT nasce dalla considerazione che il valore di un flusso di denaro varia in relazione del tempo in cui si rende disponibile. In prima approssimazione, ai fini dell’attualizzazione, il tasso da applicare ai flussi futuri di CVE corrisponde al tasso rendimento applicabile ad investimenti con un grado di rischio simile a quello dell’impresa. Definito cosa sia il valore, in generale e per l’impresa, e stabiliti i parametri per la sua misurazione, resta da chiarire come perseguire la sua creazione. Come precedentemente detto, l’impresa nasce per creare valore quindi le sue scelte, prima tra tutte quelle strategiche, devono essere indirizzate in tal senso. Ciò premesso, è opportuno capire quali siano le variabili in grado di influire sulla creazione o distruzione del valore prima di prendere delle decisioni finalizzate alla sua creazione e a tal proposito si annoverano17:

- La differenza tra redditività e costo del capitale; - La durata prevedibile della suddetta differenza; - Le prospettive future di crescita;

E’ doveroso ricordare che, al di là delle variabili sopracitate, creare valore è possibile solo se si ricercano strategie che permettano di conseguire, rafforzare e proteggere un vantaggio competitivo, poiché senza esso non si può creare valore18.

Se ciò non dovesse essere possibile, è necessario identificare soluzioni che permettano di abbandonare il business al minor danno possibile. Si può optare per la cessione, se si individuano nell’acquirente le risorse e le competenze per ravviare il business e produrre valore, oppure la chiusura vera e propria, se il capitale investito può essere recuperabile.

17 D. Borsic, G. Donna, La sfida del valore, Guerini e associati, 2005, pag. 91 18 D. Borsic, G. Donna, La sfida del valore, Guerini e associati, 2005, pag. 97

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11 1.1 La creazione del valore e il ruolo delle informazioni

Negli anni ottanta e novanta negli USA e, per riflesso, anche in Europa, il mondo accademico e quello delle società di consulenza hanno dedicato attenzione via via crescente al tema del valore: prima sulla creazione e sulla misurazione e successivamente sull’aspetto della comunicazione del valore”19. Uno degli assunti fondamentale di un approccio gestionale finalizzato alla creazione del valore è la necessità di essere competitivi sia sul mercato dei beni e servizi e sia sul mercato dei capitali.20 Con riferimento a quest’ultimo, il nesso tra la

diffusione di informazioni in merito al valore creato dall’impresa e la competitività sul mercato dei capitali è fornito da una pubblicazione di Christine Botosan21. Essa sostiene che

una diffusione di maggiori informazioni da parte dell’azienda ridurrebbe il costo del capitale. Parlare di maggiore diffusione implica che le informazioni divulgate in bilancio dalle aziende non sono sufficientemente utili ed esaustive ai fini di una valutazione d’investimento. Questo è confermato da un’indagine compiuta in Italia da PricewaterhouseCoopers (PWC) secondo cui, per fini d’investimenti, gli investitori e gli analisti interpellati considerano non particolarmente utili i bilanci societari, in particolar modo quelli Italiani, poiché questi contengono solo le informazioni strettamente richieste dalla legge, la quale consente inoltre una certa discrezionalità nel determinare gli utili indicati in bilancio.22 L’incertezza sui

prospetti si tramuta in maggior rischio percepito e quindi in maggior costo del capitale. D’altra parte, nell’ambito della stessa indagine, è emerso che il management intervistato ritiene fin troppo esaustive le informazioni divulgate in bilancio. Le opposte prospettive tra le due parti hanno indotto Keegan e Wright23 a considerare gli effetti positivi e negativi della divulgazione all’esterno di informazioni in merito ai flussi di cassa futuri e ulteriori criteri di rendimento che delucidino il modo in cui viene creato valore per i portatori di capitale di rischio ed evidenzino le prospettive future della società. Tutto ciò per migliorare l’interazione tra la

19 Guatri L., Eccles R.G., Informazioni e valore, E.G.E.A., 2000, p. 7

20 Amaduzzi A., Obiettivi e valore dell’impresa: misure di performance, Il sole 24 Ore, 2000, p. 15

21 Botosan C. A., Disclosure level and cost of equity capital, The accounting review, vol. 72, n° 3, pp323-349 22 Guatri L., Eccles R.G., Informazioni e valore, E.G.E.A., 2000, p. 11

23 L’indagine costi/benefici sulla divulgazione è stata condotta da D. P. Keegan e P. D. Wright, nell’opera Pursuing value: the emerging art of reporting on the future, International Journal of Business transformation, 1998

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12 prospettiva aziendale e quella dei mercati. Tali deduzioni si sono concretizzate con l’ideazione di uno strumento che permetta al mercato di valutare sia le prospettive attuali che quelle future di un’impresa, in cui i flussi di cassa e le informazioni finanziarie svolgono un ruolo rilevante: il value reporting. Questo strumento trova negli “investor” e nell’azienda stessa i beneficiari delle informazioni. Va precisato che non essendo basato su standard contabili stabiliti per legge, il value report varierà da azienda ad azienda. Prescindendo da ciò, le informazioni mancanti nei bilanci della maggior parte delle aziende e che invece vengono trovati utili dagli utenti riguardano i prodotti ed i mercati.24 Per i prodotti, i bilanci sono

manchevoli dell’andamento attuale e delle prospettive degli stessi, con riferimento ai dati sullo sviluppo di nuovi prodotti, le attività immateriali, gli investimenti in ricerca e sviluppo. Per i mercati, andrebbero incluse le informazioni in merito alla quota di mercato detenuta, la prospettiva di crescita del mercato, la soddisfazione del cliente, le operazioni di mantenimento della clientela. L’implementazione di questo strumento prevede la redazione dell’elenco delle variabili che influiscono sulle informazioni da divulgare all’esterno per poi creare un modello che le contenga e che le organizzi in attività. Questo consente sia all’investor che all’impresa di avere un modello chiaro delle attività che incidono su determinate variabili e la loro interazione. Così, trasmettendo ai mercati maggior trasparenza e quindi minor rischio percepito, aumenta la fiducia nel management da parte dei potenziali investitori e diminuisce il costo del capitale25. Occorre comunque precisare che il rapporto tra informazioni e costo

del capitale è complesso e dipende comunque dal rischio sistematico dell’azienda oltre che dalla quantità d’informazioni provenienti dalle aziende concorrenti. Di contro, restano poi da valutare:

- Le informazioni divulgate, poiché quello che può essere utile agli investitori può essere altrettanto prezioso per i concorrenti;

- I costi di implementazione, che talvolta possono essere elevati.

Prescindendo dall’utilizzo di tale strumento, che come tutti gli strumenti possiede pregi e difetti, disporre di un modello che correli le variabili di creazione del valore per gli stakeholders esterni e le attività che contribuiscono alla loro formazione, consente all’impresa di conoscere su quali attività far leva per aumentare la soddisfazione dei portatori d’interesse.

24 Guatri L., Eccles R.G., Informazioni e valore, E.G.E.A., 2000, p. 30 25 Guatri L., Eccles R.G., Informazioni e valore, E.G.E.A., 2000, p. 12

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13 Come precedentemente affermato, la competitività sul mercato dei beni e servizi è poi un altro assunto fondamentale per la creazione del valore. Per Silvi ciò significa “essere in grado di

generare valore per i clienti, offrendo prodotti e servizi che generino un’utilità superiore rispetto al sacrificio monetario che si deve sopportare per entrarne in possesso, avendo costi di realizzazione inferiori rispetto al prezzo riconosciuto dal mercato”26. Silvi collega la

tematica della creazione del valore a quella dei costi ed è intuibile che i due concetti sono strettamente correlati, tale che il verificarsi di una sola delle due condizioni non garantisce il verificarsi dell’altra. Difatti, a parità di ricavi realizzati, diminuire i costi permette di ottenere maggiore redditività. Essendo la differenza tra redditività e costo del capitale una variabile in grado di influire sulla creazione del valore, orientare la gestione aziendale alla creazione del valore non può prescindere dal tema dei costi. Si considera come costo “Il valore attribuito

ad un fattore produttivo, bene o servizio, del quale si ha disponibilità. Tale valore può nascere da un’operazione di scambio con l’ambiente esterno o essere frutto di stime e congetture. E’ comunque sempre legata alla quantità di moneta necessaria per disporre di un fattore produttivo”27. Nella definizione proposta, vi è l’idea che per avere un costo non si deve necessariamente acquisire il fattore produttivo all’esterno dell’impresa: esso può essere acquisito anche tramite scambi non monetari, come l’apporto di beni e servizi da parte dei soci, non generando una spesa. La corrispondenza tra il costo e la spesa è una prima grande distinzione tra il sistema di rilevazione della contabilità generale e la contabilità analitica. Per la prima, il costo si configura come una componente negativa i reddito derivante da variazioni passive del patrimonio numerario, in concomitanza di acquisto dei fattori produttivi da terze economie28. Per la seconda, si supera la logica del costo d’acquisto in favore della logica del

consumo: è il consumo della risorsa a generare il costo. A tal proposito, acquista rilevanza un concetto più ampio del costo d’acquisto: il costo di produzione. Questo si può definire come la somma dei valori attribuiti a vari fattori impiegati o consumati in una determinata attività produttiva29. In accordo con tale visione, la contabilità analitica include nella rilevazione, oltre ai costi d’acquisto delle risorse consumate, i costi figurativi. La rilevazione di tali costi consente di ottenere, successivamente alla rilevazione del costo primo, industriale e

26 Silvi R., Costi e Vantaggio Competitivo. L’uso delle informazioni di costo per la gestione del valore, McGraw-Hill, 2011, p. 2

27 Bubbio A., Analisi dei costi e gestione d’impresa, Guerini scientifica, 2000, p.15 28 Bubbio A., Analisi dei costi e gestione d’impresa, Guerini scientifica, 2000, p. 16 29 Coda V., I costi di produzione, Giuffrè, 1968, p.8

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14 complessivo, il costo economico-tecnico, ovvero la configurazione di costo che tiene conto del costo di tutti i fattori prodottivi impiegati nell’attività di produzione aziendale. Conseguentemente, basarsi sul costo economico-tecnico per determinare il prezzo di vendita, significa immettere sul mercato dei beni la cui vendita in volumi adeguati consente di ripagare il costo di tutte le risorse utilizzate nell’attività produttiva, compreso il costo del capitale. Essendo l'autosufficienza economica, intesa quale attitudine a remunerare in modo congruo ed equo mediante i ricavi tutti i fattori produttivi, la prima condizione necessaria perché l'impresa abbia vita duratura30, la determinazione della configurazione del costo

economico-tecnico è un passo strumentale alla remunerazione del capitale e, quindi, alla creazione del valore. Il processo di globalizzazione e il crescente ruolo dei mercati finanziari hanno reso obsoleti i modelli tradizionali di pianificazione, gestione e misurazione della performance31.

Tre considerazioni appaiono immediate32:

 L'accresciuto peso dei costi indiretti sulla struttura dei costi rende sconsigliabile l'adozione del direct costing e rende preferibile l’adozione di una metodologia full costing. L'approccio fondato su principi marginalisti, orientato alla gestione dei costi variabili diretti, porta da una parte a privilegiare la gestione dei costi variabili rispetto a quella degli investimenti e, dall’altra, focalizza l'attenzione esclusivamente su un orizzonte di breve periodo, favorendo l'adozione di decisioni a livello operativo, senza dare il giusto peso alla dimensione strategica. La decisione di realizzare un prodotto, creando un impegno di lungo periodo con riferimento alle attività indirette, assume sempre più i connotati di una decisione di lungo periodo o strategica e pertanto essa non può essere adottata sulla base di rilevazioni relative ai soli costi variabili, ma dovrà fondarsi, invece, sulla conoscenza del costo pieno;

 Le basi di imputazione dei costi indiretti generalmente impiegate nell'applicazione del full costing - ore di manodopera diretta o altri parametri espressivi del livello di produzione raggiunto - appaiono inadeguate nel ripartire i costi relativi ad attività di supporto alla produzione. La metodologia full costing tradizionale, d’altro canto, non evidenzia in modo esplicito l’imputazione di alcuni elementi di costo la cui allocazione

30 Onida P., L'economicità dell'impresa, in «Studi di tecnica economica, organizzazione e ragioneria in memoria di

Gaetano Corsani», Colombo Cursi, 1961, pp.205-206

31 Bergamin M., Barbato, Cost management, Giuffrè, 1999, p. 2

32 Moisello A.M., ABC&EVA: un’integrazione possibile, Working Paper della Ricerca Finanziata da Fondazione CARIPLO, dal titolo: un indicatore sintetico per la valutazione delle performance d’impresa, Università di Pavia, 2000, p. 4

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15 risulta, invece, fondamentale per una corretta attribuzione dei costi indiretti al prodotto, e cioè i costi della complessità (setup, modifiche di progetto, gestione dell'approvvigionamento); l’adozione di un approccio verticale, legato alla struttura organizzativa formale, piuttosto che un approccio trasversale connesso ai reali processi aziendali, non consente di individuare le leve su cui agire per godere di vantaggi competitivi sui costi;

 Nella correlazione prezzi-costi, laddove il costo del capitale, sia di debito sia di rischio, non sia trascurabile rispetto ai costi operativi, si devono considerare anche gli oneri finanziari, sia diretti che figurativi, relativi ai capitali investiti per la realizzazione delle produzioni in modo da garantire congrua ed equa remunerazione all’investimento finanziario.

L’introduzione dell’activity based costing (ABC) propone di abbandonare il tradizionale approccio verticale, legato alla struttura gerarchico funzionale, per una visione orizzontale del business, quale serie di attività tra loro correlate33, che consente di affrontare con efficacia gli

inconvenienti evidenziati nei punti precedenti. Mediante l'individuazione delle attività svolte per il prodotto e del relativo determinante di costo (cost driver), l’ABC porta ad una determinazione di costo pieno di prodotto priva delle distorsioni causate dai tradizionali sistemi di riparto dei costi indiretti troppo ancorate alle misure degli output e non ai processi dai quali quegli output promanano34. I cost driver costituiscono delle nuove basi in grado di spiegare e controllare la variabilità dei costi legati alla produzione attraverso le attività impiegate nella medesima. L’ABC abbandona la tradizionale distinzione dei costi in fissi e variabili in funzione del volume di produzione, individuando una nuova categoria di costi detti costi della complessità, legati alla crescente differenziazione delle produzioni. Tali costi sono definiti variabili di lungo periodo, in quanto, nonostante appaiano fissi rispetto ai volumi di produzione, manifestano un notevole grado di variabilità se rapportati al livello di differenziazione dei prodotti, se, cioè, vengono visti in funzione del grado di complessità dei processi di produzione e di vendita35. L'individuazione del cost driver specifico di ogni attività consente di ovviare alle distorsioni generate dall'applicazione di basi tradizionali -

33 Pastore A., La gestione per attività, CEDAM, 1995, pp. 36-38

34 Cooper R., Kaplan R., How Cost Accounting Distorts Product Costs, Management Accounting, 1988, pp. 20-27 35 Moisello A.M., ABC&EVA: un’integrazione possibile, Working Paper della Ricerca Finanziata da Fondazione CARIPLO, dal titolo: un indicatore sintetico per la valutazione delle performance d’impresa, Università di Pavia, 2000, p. 5

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16 manodopera diretta, volume produttivo, etc. - nell'attribuzione dei costi relativi alle attività di supporto alla produzione quali, ad esempio, l'engineering, il controllo di qualità, la gestione delle scorte e l'approvvigionamento dei materiali. Tali costi infatti non dipendono tanto dal volume di produzione, quanto dal grado di differenziazione dei prodotti. Il legame indiretto tra i costi e i prodotti si articola in due relazioni, costi-attività e attività- prodotti, che rappresentano il percorso logico di imputazione dei costi seguito dall'ABC36. La relazione

costi-attività esprime il legame di causalità tra attività e costi, in cui i secondi sono provocati dalle prime in quanto utilizzatrici delle risorse. I costi elementari vengono attribuiti alle attività mediante i resource driver, variabili direttamente collegate alla generazione dei costi delle attività e pertanto atte ad essere assunte quali indicatori d'impiego delle risorse sulle diverse attività. La relazione attività-prodotti evidenzia l'assorbimento da parte dei prodotti dell'utilità erogata dalle attività. Il consumo di queste può avere natura transazionale oppure può essere proporzionale al volume di output. I costi relativi alle attività comuni a diverse produzioni vengono imputati a queste ultime sulla base dei cost driver. L'ABC si pone come metodologia intermedia tra il sistema dell'attribuzione diretta dei costi e quello della localizzazione, in quanto i costi vengono localizzati per attività e successivamente imputati alle produzioni mediante base variata37. Il metodo giunge pertanto alla determinazione del

costo pieno di produzione mediante la costruzione di due matrici di costo: la matrice mediante la quale si attribuiscono i costi elementari alle attività e la matrice con la quale i costi relativi alle attività vengono imputati alle produzioni finali. I costi diretti vengono attribuiti direttamente ai prodotti, mentre i costi indiretti vengono imputati indirettamente, dopo essere stati localizzati nelle diverse attività. L'ABC esplica le sue massime potenzialità con riferimento alle decisioni strategiche di prodotto (decisioni di prezzo, di mix, di marketing, di abbandono di prodotti maturi, ecc.); riferite ad un orizzonte di medio-lungo periodo, in funzione delle quali è stato studiato. E’, infatti, opportuno sottolineare che la validità delle informazioni ottenute è limitata alla specifico contesto decisionale sopra identificato in quanto solo nel medio-lungo termine i costi che l'ABC considera variabili possono essere considerati come tali. Il costo pieno di prodotto ABC non si presta pertanto a supportare efficacemente le valutazioni di convenienza economica di breve periodo38. Gli stessi proponenti dell'ABC

36 Pastore A., La gestione per attività, CEDAM, pp.55-59

37 Cooper R., Implementing an activity-based cost system, Journal of Cost Management, 1990, pp. 33-42 38 Brusa L., Analisi e contabilità dei costi, Giuffrè, 2009.

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17 hanno successivamente esteso la portata del ristretto ambito decisionale iniziale: si è passati da un sistema essenzialmente rivolto alla determinazione dei costi di prodotto, ad un sistema finalizzato all'analisi della redditività articolata per clienti, mercati, canali distributivi, ecc.39

La valenza strategica dei costi deriverebbe, secondo i sostenitori dell'ABC, dalla nozione di variabilità di lungo periodo, dalla visione orizzontale delle attività aziendali, dalla capacità di evidenziare i costi per attività e non per funzione e di chiarire i meccanismi che governano il consumo delle risorse nel lungo periodo attraverso opportuni cost driver: permette, infatti, l'analisi dei processi "orizzontali" mediante l'individuazione del costo delle diverse attività nello svolgimento di un dato processo consentendo la valutazione del contributo delle diverse attività alla creazione di valore40. Permette così di utilizzare le informazioni economiche di

costo per la riprogettazione dei processi interni secondo criteri di efficienza di lungo periodo. La metodologia ABC, però, non prevede nel calcolo del costo pieno di prodotto il computo dei costi e degli oneri figurativi connessi al capitale investito. Pertanto, le scelte effettuate sulla base di questa configurazione di costo non garantiscono l’equa e congrua remunerazione dell’equity41. Il sistema si limita ad allocare i costi operativi e le spese generali riflessi nel

conto economico, non considerando il costo del capitale investito nelle attività correnti e fisse dello stato patrimoniale. L’unico costo del capitale riflesso nel conto economico e, quindi, considerato nel calcolo del costo ABC, è quello relativo alla quota di ammortamento del capitale fisso. Trascurare il costo del capitale può determinare una sottostima del costo del prodotto e condurre a decisioni fuorvianti. Ad esempio, si può essere erroneamente indotti a potenziare la produzione di un prodotto dal margine di profitto elevato, penalizzando invece un altro dal margine di profitto minore, incuranti magari del fatto che il primo prodotto implica un capitale investito molto elevato e ha un CVE negativo42. Il costo del capitale investito include sia il costo del debito, sia il costo dell’equity, che ha natura di costo opportunità. Infatti il costo dell’equity, sebbene non comporti uscite di cassa, deve pur sempre

39 Cooper R., Kaplan R., Profit Priorities from Activity-Based Costing, Harvard Business School, 1991, p.130

40 Turney P.B., How activity based costing helps reduce cost, in Journal of Cost Management, vol. 4, n. 4, 1991, pp. 29-35.

41 Moisello A.M., ABC&EVA: un’integrazione possibile, Working Paper della Ricerca Finanziata da Fondazione CARIPLO, dal titolo: un indicatore sintetico per la valutazione delle performance d’impresa, Università di Pavia, 2000, p. 7 42 Cooper R., Slagmulder R., Integrating Activity Based Costing and Economic Value Added, Journal of cost management, 1999 p. 16.

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18 essere coperto dalle entrate se si vuole creare valore economico per gli azionisti43 e, di conseguenza, per tutti gli stakeholders. Quindi tale costo dovrà essere necessariamente incluso nel calcolo del costo dell’oggetto di controllo. A tal fine si dovrà procedere all’identificazione, per ciascuna attività, dei capitali per essa impiegati e quindi al calcolo del costo associato ad essi44. Sostanzialmente le fasi di implementazione di un sistema di questo

tipo ripercorrono quelle di un tradizionale sistema ABC: identificazione delle attività, attribuzione alle attività dei costi operativi e dei costi del capitale, attribuzione dei costi delle attività ai prodotti sulla base di activity driver, per i costi operativi, e di capital driver, per i costi relativi al capitale. L’ABC può pertanto essere migliorato considerando, oltre alle spese operative derivate dalla contabilità generale, anche gli oneri finanziari figurativi relativi al capitale impiegato nella produzione. Di conseguenza risulterà evidente quali prodotti, quali canali distributivi e quali clienti contribuiscono a incrementare l’CVE e, quindi, a creare valore. In questo modo nei processi decisionali e di miglioramento si abbandonerà il riferimento poco significativo, in termini di creazione di valore, al risultato operativo.

1.2 Il Value Based Cost Management

Il Value Based Management (VBM) può essere definito come “un approccio ai problemi

gestionali dell’impresa per il quale il principale obiettivo da perseguire è la massimizzazione della ricchezza per gli azionisti”45. Come precedentemente visto, la creazione del valore per chi apporta capitale di rischio, che contestualmente significa creare valore per gli altri stakeholders aziendali, dipende dallo spread tra la redditività aziendale e il costo del capitale stesso. Se la creazione del valore implica la capacità di remunerare il costo di tutti i fattori produttivi, tra cui il costo del capitale, e l'impresa si definisce come un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi, il flusso finanziario strumentale alla creazione del valore è da reperire sul mercato tramite la vendita dei beni o servizi. “Ciò ha portato ad un aumento degli strumenti e delle

tecniche che partono dal cliente, focalizzandosi sulla fornitura al cliente di un bene che

43 Moisello M., ABC&EVA: un’integrazione possibile, Working Paper della Ricerca Finanziata da Fondazione CARIPLO, dal titolo: un indicatore sintetico per la valutazione delle performance d’impresa, Università di Pavia, 2000, p. 11 44 Cooper R., Slagmulder R., Integrating Activity Based Costing and Economic Value Added, Journal of cost management, 1999, p. 16.

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possieda delle caratteristiche in linea con le sue preferenze. Ad oggi, molte di queste tecniche sono state solo parzialmente adottate nel management accounting e ciò è uno svantaggio poiché molti dei dati richiesti per implementare adeguatamente un approccio alla creazione del valore hanno le radici nel Management Accounting System (MAS). Il modello risultante è il Value-based Cost Management (VBCM)46”. Il ruolo del cliente nella creazione del valore ha dunque un peso rilevante, che fa intendere la creazione del valore aziendale in una ulteriore accezione: “la capacità di soddisfare il cliente, generando crescita e profitto”47. Questo comporta la conoscenza da parte dell’impresa di cosa soddisfa il cliente, riuscendo a generare valore per la sua prospettiva. In via generale, il valore per il cliente può essere definito come “la somma dei benefici percepiti in cambio dei sacrifici fatti per entrare in possesso del

bene/usufruire del servizio, in termini di costi e sforzi”48. Il bene o servizio aziendale proposto al mercato possiede una serie di caratteristiche che prendono il nome di value proposition mentre le caratteristiche che il cliente ricerca nell’acquisto definiscono il value profile del consumatore: dal confronto tra le due prospettive dipende la decisione d’acquisto49. Il bene

o servizio proposto dall’azienda può possedere una numero di caratteristiche che compongono il suo value proposition inferiore o superiore a quelle compongono il value profile del cliente:

 Se la value proposition è superiore al value profile, si concretizzerà l’acquisto;  Se la value proposition coincide con il value profile, si concretizzerà l’acquisto;  Se la value proposition è inferiore il value profile, non si concretizzerà l’acquisto.

Ciò ha due importanti implicazioni:

1. L’acquisto dipende dalla corrispondenza delle caratteristiche possedute dal bene con quelle ricercate dal consumatore. La produzione di una caratteristica però necessita che vengano svolte delle attività a tal fine, le quali a sua volta consumano risorse. Essendo la produzione di un bene con caratteristiche apprezzate del cliente un elemento

46 McNair-Connolly C.J., Polutnik L., Silvi R., Watts T., Value creation in management accounting, Kenneth A. Merchant Editor, 2013, Abstract

47 McNair-Connolly C.J., Polutnik L., Silvi R., Watts T., Value creation in management accounting, Kenneth A. Merchant Editor, 2013, p. 14

48Geraerdts R., Customer Value Creation: A journey in the search of excellence, Industrial marketing management:

the international journal for industrial and high-tech firms, vol. 41, 2012, p.11

49 McNair-Connolly C.J., Polutnik L., Silvi R., Watts T., Value creation in management accounting, Kenneth A. Merchant Editor, 2013, p. 16

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20 necessario per la creazione del valore, la soddisfazione del cliente tramite la produzione di un bene con caratteristiche da lui apprezzate è il motivo principale dell’insorgere dei costi.

2. Il cliente non apprezza tutte le componenti del bene ma solo quelle che rientrano nel suo value profile. A tal riguardo si possono distinguere le attività in50:

- Attività a valore aggiunto, che producono la caratteristica apprezzata dal cliente, impattando direttamente sulla sua soddisfazione;

- Attività non a valore aggiunto, che non influiscono direttamente sulla soddisfazione del cliente. Un esempio può essere l’attività di stoccaggio in magazzino di un prodotto finito: non aggiunge nulla al valore percepito dal cliente, il quale non si renderebbe neanche conto dell’eliminazione di tale attività. Anche se non per il cliente, queste attività hanno un ruolo ben preciso nel processo di creazione del valore, perciò prendono il nome di Business Value Added activities (BVA) e si distinguono in: indirette, future ed amministrative51, il cui contributo al processo di creazione del

valore sarà analizzato in seguito.

Questa distinzione permette di fare alcune considerazioni. La prima è che le sole attività a valore aggiunto generano i ricavi. Difatti, il cliente pondera la decisione d’acquisto sulla base delle caratteristiche possedute dal bene che soddisfano le sue esigenze e solo le attività a valore aggiunto producono quelle caratteristiche. L’altra considerazione è consequenziale: se le BVA consumano risorse senza generare ricavi, il controllo delle performance economiche e strategiche di tali attività è da tenere sotto costante osservazione, fornendo informazioni che possono portare all’eliminazione o la reingegnerizzazione delle stesse al fine di minimizzare il consumo di risorse52. Il presupposto per l’attuazione operativa di tale distinzione resta la conoscenza delle preferenze del consumatore. Una piena conoscenza di esse permette all’impresa di avere una value proposition che coincide con il value profile dei suoi clienti, che a sua volta significa evitare il consumo di risorse in attività che non creano valore per il cliente, riducendo il gap costi sostenuti-valore creato. Di seguito una illustrazione a titolo d’esempio di disallineamento tra value proposition aziendale e value profile dei clienti53.

50 Pastore A., La gestione per attività, CEDAM, p.80

51McNair-Connolly C.J., Polutnik L., Silvi R., Watts T., Value creation in management accounting, Kenneth A. Merchant Editor, 2013

52 Pastore A., La gestione per attività, CEDAM, p.80

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Value proposition aziendale Value profile dei clienti

Risorse Importanza

Impiegate attribuita

(%) (%)

-Disponibilità manuali 60% -Disponibilità manuali 5%

-Assistenza telefonica 15% -Assistenza telefonica 60%

on line on line

-Riposta a lettere 5% -Riposta a lettere 10%

ricevute inviate

-Aggiornamento dei 10% -Aggiornamento dei 5%

manuali e invio agg. manuali

-Assistenza nei centri 10% -Assistenza nei centri 20%

di assistenza di assistenza

Figura 1.0, Gap costi-valore, fonte: Value creation in management accounting, op. cit.

Nella colonna di sinistra sono riportate le attività svolte dall’azienda e la percentuale di risorse da esse consumate, mentre nella colonna di destra è riportato il valore percepito dal cliente da quelle attività. Emerge come, per le attività disponibilità manuali e assistenza telefonica, vi sia uno squilibrio tra le risorse allocate e consumate in quell’attività e il valore prodotto per il cliente. Con riferimento alla disponibilità di manuali, l’azienda consuma una quantità elevata di risorse in una attività che il cliente non percepisce come importante mentre, per l’assistenza telefonica, l’impresa alloca e consuma una quantità di risorse basso rispetto all’importanza di quell’attività per il cliente. E’ certamente possibile che un’attività che consuma una quantità bassa di risorse restituisca alte performance in termini di soddisfazione del cliente mentre è da rivedere l’allocazione delle risorse in un’attività con alto consumo a fronte di uno scarso valore percepito dal cliente. Se la preferenza del consumatore è riferita ad una generica funzione prodotta da più attività e si ritiene di dover intervenire eliminando, reingegnerizzando, o modificando l’allocazione delle risorse in capo all’attività, è necessario scomporre gli attributi qualitativi in parametri quantitativi per rivedere la propria value

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proposition in funzione del value profile del cliente. Di seguito un esempio di un’azienda giapponese che opera nel campo della produzione di macchinette del caffè per uso domestico, che nonostante il mercato nel suo complesso attraversi una buona fase con ottime prospettive, non riesce ad avere la redditività sperata. La figura 1.1 mostra le preferenze del cliente in merito alle funzioni svolte dal bene, l’importanza per funzione espressa da 1 a 5 e la traduzione dell’importanza in percentuale. La figura 1.2 scompone le funzionalità nelle componenti, indicandone il costo di produzione e l’incidenza del costo in percentuale sul totale dei costi del prodotto. Ad esempio, accensione e spegnimento automatico dipendono dal display, il cui costo di prodizione è di 23 € e il peso sul costo totale del bene è del 46%.

Figura 1.1, Apprezzamento degli attributi da parte del cliente. Fonte: Toscano A., Vinci G., Pricing&Costing, Università di Castellanza, 2011, p. 34

Importanza per il cliente

Fabbisogni del cliente 1 5 (non importante) (molto importante)

%

-Sapore e profumo dell’espresso -Facilità di pulizia

-Capacità > 1L

-Mantiene la temperatura -Design

-Diverse macinazioni di caffè -Accensione automatica -Spegnimento automatico 5 4 3 3 2 1 4 3 20% 16% 12% 12% 8% 4% 16% 12% Totale 100%

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23 Figura 1.2, Costi e funzioni delle componenti. Fonte: Toscano A., Vinci G., Pricing&Costing, Università di Castellanza, 2011, p. 35

L’apprezzamento del cliente è rivolto ad una generico attributo, ad esempio l’accensione automatica, il cui funzionamento dipende da uno o più componenti. Per scomporre la percentuale di apprezzamento per l’attributo tra le componenti che ne influenzano il funzionamento è stata utilizzata una matrice Quality Function deployed (QFD), un metodo di trasformazione delle richieste qualitative del cliente in parametri quantitativi. La matrice, presente in figura 1.3, è costruita inserendo gli attributi apprezzati dal cliente in verticale e le componenti che soddisfano i fabbisogni richiesti dal cliente in orizzontale. Ad esempio, il sapore e il profumo dell’espresso, ch’è un attributo molto importante per il cliente, dipende dal funzionamento di due componenti: il miscelatore e la resistenza. L’influenza di queste due componenti sull’attributo in questione è molto forte ed è segnalata da una freccia verde verso l’altro. Il simbolo dell’uguale di colore blu indica una influenza moderata della componente sull’attributo, mentre la freccia rossa indica una bassa influenza. Così, l’attributo relativo alla facilità di pulizia, sarà strettamente correlato con il serbatoio ch’è la componente più ingombrante da pulire, moderatamente correlato con il miscelatore, più piccolo e relativamente più semplice da pulire, e scarsamente correlato con la caraffa che necessita della sola acqua per essere pulito.

COMPONENTE FUNZIONE Costi € Costi

%

-Miscelatore Macina e filtra il caffè 9 € 18%

-Caraffa Contiene il caffè e lo mantiene caldo 2 € 4%

-Riscaldatore Caffe’ Mantiene il caffè caldo 3 € 6%

-Corpo Serbatoio Acqua Contiene l’acqua e la custodia 9 € 18%

-Resistenza Riscalda l’acqua e la pompa 4 € 8%

-Display Controlla la miscelazione e le

impostazioni del timer 23 € 46%

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Componente

Attributi apprezzati dal cliente

Miscelatore Caraffa Riscalda il caffè

Corpo/ Serbatoio Acqua

Resistenza Display Importanza Per il cliente Sapore e profumo di espresso 5 Facile da pulire 4 Capacità > 1l 3 Mantiene la temperatura 3 Design 2 Diverse macinazioni 1 Accensione automatica 4 Spegnimento automatico 3

Figura 1.3, matrice QFD. Fonte: Toscano A., Vinci G., Pricing&Costing, Università di Castellanza, 2011, p. 36

La freccia verde indica una forte correlazione tra attributo e componente

L’uguale blu indica una correlazione moderata tra attributo e componente

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25

Stabilite le correlazioni, si passa all’analisi funzionale del costo dei componenti (figura 1.4): la percentuale di apprezzamento del cliente relativa agli attributi viene scomposta tra i componenti secondo i legami di correlazione individuati nella matrice QFD. Per cui se l’attributo “sapore e profumo dell’espresso” ha percentuale di rilevanza 20% e forte correlazione sia con il miscelatore che con la resistenza, il 20% si moltiplicherà per 0.5 e .05, ottenendo in 10% per il miscelatore e 10% per la resistenza. Se l’attributo “facile da pulire" ha una forte correlazione con il serbatoio, moderata con il miscelatore e bassa con la caraffa, si moltiplica il 16%, la percentuale di apprezzamento del cliente per quell’attributo, per:

- Lo 0.6 relativo al serbatoio, il quale possiede una forte correlazione con l’attributo; - Lo 0.3 relativo al miscelatore, che possiede una media correlazione con l’attributo; - Lo 0.1 relativo alla caraffa, che possiede una scarsa correlazione con l’attributo. Procedendo in questo modo per tutti gli attributi, ovvero moltiplicando la percentuale di apprezzamento dell’attributo per un numero che dipende dalla correlazione del componente con l’attributo, e sommando verticalmente le percentuali dei singoli componenti, si passa dall’avere percentuali di apprezzamento degli attributi ai all’importanza relativa del singolo componente.

A questo punto si crea un’altra tabella, la figura 1.5, che contiene:

- Costo del componente in percentuale, estrapolato dalla figura 1.2;

- Importanza relativa ricavata tramite la matrice, sempre in percentuale, estrapolato dalla figura 1.4;

- Rapporto tra i due valori ottenuto dividendo l’importanza relativa per il costo.

Un indice del valore inferiore ad uno indica che il costo del componente è superiore all’importanza relativa che il cliente attribuisce a quel componente, suggerendo la riduzione del costo. Se l’indice ha valore maggiore ad uno, i benefici di una eventuale azione correttiva sono da valutare. Infatti, un componente con un basso costo di produzione può comunque soddisfare le esigenze del cliente, non necessitando di alcuno intervento di reingegnerizzazione. Può essere, però, probabile che un incremento dei costi della

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26

componente dovuto a migliorie aumenti la soddisfazione del cliente oppure non abbia nessun impatto su di essa.

Lievi differenza possono non essere prese in considerazione.

Figura 1.4, analisi funzionale delle componenti. Fonte: Toscano A., Vinci G., Pricing&Costing, Università di Castellanza, 2011, p. 36

Componenti

Attributi apprezzati del cliente

Miscelatore Caraffa Riscaldam. caffè

Corpo/serb. Acqua

Resistenza Display Posiz. relativ a Sapore profumo Dell’espresso 0.5*20%=10% 0.5*20%=10 % 20% Facile da pulire 0.3*16&=4.8 % 0.1*16*=1 .6% 0.6*16%=9.6 % 16% Capacità>1l 0.5*12%= 6% 0.5*12%=6 % 12% Mantiene la temperatura 0.2*12%= 2.4% 0.8*12%=9. 6% 12% Design 06*8%=4.8 % 0.4*8%= 3.2% 8% Diverse macinazioni caffè 0.05*4%=0.2 % 0.95*4% =3.8% 4% Accensione automatica 1*16%=1 6% 16% Spegnimento automatico 1*12%=1 2% 12% Componente trasformato 15% 10% 9.6% 20.4% 10% 35% 100%

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27 Figura 1.5, Indice del valore. Fonte: Toscano A., Vinci G., Pricing&Costing, Università di Castellanza, 2011, p. 37

1.3 Il value multiplier

Riprendendo quanto detto nel paragrafo precedente, la distinzione delle attività con riferimento al valore generato per il cliente assume maggiore rilevanza informativa se connessa alla dimensione esterna. Il value multiplier è lo strumento che permette di collegare la dimensione esterna, il mercato, ed interna, rappresentata dalle le attività a valore aggiunto, indicando una misura del valore che il mercato riconosce alle attività svolte dall’impresa per realizzare specificatamente i prodotti e servizi offerti54. Gli elementi da prendere in considerazione per l’applicazione dello strumento sono:

54 Silvi R., Bartolini M., Raffoni A. Vissani F., Costi e vantaggio competitivo, McGraw-Hill, 2011, p.44 Componente Costo del

componente in% Importanza relativa per il cliente Indice del valore Azione correttiva

Miscelatore 18% 15% 0,83 Ridurre il costo

Caraffa 4% 10% 2,5 Migliorare?

Corpo e serbatoio

acqua 18% 20.4% 1,13

Ok

Resistenza 8% 10% 1,25 Migliorare?

Display 46% 35% 0,76 Ridurre il costo

Riscaldatore

caffè 6% 9.6% 1,6

Migliorare?

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 L’attributo richiesto dal cliente e la percentuale d’apprezzamento. Se l’acquisto è dovuto alla presenza di tale attributo, si può dedurre che i ricavi generati sono dovuti, per la stessa percentuale, da quell’attributo. Se infatti l’attributo richiesto non fosse disponibile, il consumatore non procederebbe all’acquisto e non si genererebbero pertanto i ricavi;

 I costi delle attività a valore aggiunto. Essendo che la decisione d’acquisto del cliente è basata sulla capacità delle caratteristiche del prodotto di soddisfare i suoi bisogni, questo strumento considera esclusivamente i costi delle attività che hanno prodotto l’attributo apprezzato dal cliente.

 I ricavi di vendita;

Noto ciò, il prodotto dei ricavi per la percentuale di apprezzamento genera i ricavi equivalenti, ossia i ricavi dovuti dalla presenza di quell’attributo. Questo passaggio è estremamente delicato nell’applicazione pratica del metodo. Basarsi su informazioni scorrette o poco attendibili in merito alle percentuali di gradimento del cliente, genererebbe un valore del moltiplicatore che, se errato, porta a prendere decisioni che potrebbero compromettere l’efficacia del prodotto e con essa l’intero sistema impresa.

I ricavi equivalenti, rapportati ai costi delle attività a valore aggiunto che hanno prodotto la caratteristica apprezzata, indicano il valore del moltiplicatore. Il valore soglia identificato dagli sviluppatori del metodo55 è 5: un valore superiore indica un’alta redditività dell’attività a valore aggiunto coinvolta, mentre, al contrario, un valore basso suggerisce che i costi sostenuti sono superiori al valore prodotto. Le interpretazioni che si possono dare al valore del moltiplicatore non sono però mai univoche e necessitano un’analisi approfondita da parte del valutante. Un moltiplicatore molto alto può significare che si tratta realmente di una attività ad elevato potenziale, cosi come può essere generato da una modesta quantità di risorse a sua disposizione.

Un valore basso potrebbe essere sintomo di uno scarso apprezzamento dell’attributo cosi come una eccessiva dotazione di risorse in capo all’attività, per cui il rapporto ricavi-costi è ridotto. Far ricorso ad indagini sulla soddisfazione del cliente fornisce un’informazione che può essere preziosa: un valore concorde, in positivo o in negativo, del moltiplicatore e della soddisfazione del cliente, indica la capacità dell’attività di produrre o distruggere valore. Un

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giudizio discorde tra moltiplicatore e cliente indica un’errata allocazione delle risorse. Non sempre la customer satisfaction può produrre informazioni in grado di spiegare il valore del moltiplicatore. Un basso valore potrebbe essere dovuto dall’impiego di risorse di qualità che giustificato l’elevato costo a fronte di un prezzo di vendita troppo basso per i materiali impiegati. Difatti, le stesse quantità di prodotto vendute ad un prezzo superiore farebbero aumentare l’importo dei ricavi equivalenti che restituirebbero un moltiplicatore più alto a parità di costi sostenuti. Un basso moltiplicatore può essere dovuto alla quantità di prodotto venduto. Se l’azienda si trova in una fase iniziale della sua vita può essere normale che i volumi di vendita siano ridotti rispetto alle potenzialità future, quindi pur mantenendo il prezzo di vendita attuale ma aumentando le quantità vendute, si avrebbe comunque un aumento ricavo equivalente. Nell’analizzare il valore del moltiplicatore si deve tener conto che esso considera sia i costi, ma anche i ricavi, i quali possono dipendere da fattori esogeni non afferenti all’azienda in se, come un mercato che si trova in fase di declino o la tipologia del mercato stesso.

1.4 Le Business Value Added Activities

Secondo la visione value-based cost management, le attività aziendali possono essere distinte in base al contributo di creazione del valore per il cliente. Essendo solo le risorse consumate dalle attività a valore aggiunto a generare i ricavi, si deduce che la restante parte delle risorse impiegate è spesa in attività non a valore aggiunto e in entità limitata, o almeno si spera, in sprechi il cui moltiplicatore per entrambi è pari a 0.

Sebbene non generino ricavi, la macro categoria di BVA activities include tutte quelle attività burocratiche, amministrative, organizzative, di supporto, logistiche, che devono essere svolte per permettere all’azienda di esistere oggi e di continuare ad esserci domani. Analizzando queste attività si può comprendere come dietro l’attività di produzione, ci sia un sistema complesso di attività e processi che si muove per predisporre al meglio lo svolgimento di quelle attività che generano reddito. Anche se il cliente non le vede, in ogni attività a valore

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c’è il contributo fondamentale di risorse utilizzate che partecipano, ognuna a suo modo, a comporre il value profile aziendale.

1.4.1 Le Business Value Added activities Indirette

Con questo termine s’intendono tutte quelle attività che non generano direttamente valore per il cliente ma che comunque ne condizionano la soddisfazione ogni qual volta questo ha un rapporto di clientela con l’impresa. Si tratta di attributi dati per scontati, impliciti, che il cliente non è disposto a pagare direttamente e di cui non si rende conto a patto che siano presenti in maniera impeccabile.

Dato che uno dei fini dell’utilizzo degli strumenti per l’allocazione dei costi è appunto l’inclusione in quota parte tutti i costi sostenuti dall’azienda nel prezzo di vendita del prodotto/servizio, il cliente comunque paga lo svolgimento di queste attività, ed è proprio perché non può scegliere di non pagare la quota parte degli uffici amministrativi o del set up delle macchine che si aspetta che questi non interferiscano con la qualità del bene o sevizio acquistato. Si tratta perciò di attività che se svolte bene non aumentano il valore ma se svolte male lo peggiorano. Per loro caratteristica non possono migliorare il feedback ma solo degenerarlo e per questa ragione sono estremamente delicate tanto che alcune aziende le considerano come attività a valore aggiunto diretto56. Un esempio pratico è la richiesta del cliente di una fattura d’acquisto: riceverla non aumenta la soddisfazione dell’esperienza d’acquisto, ma ricevere una fattura sbagliata o non riceverla nonostante sia stata richiesta, diminuisce la soddisfazione del cliente.

Pertanto, sottovalutare il ruolo di queste attività può compromettere la fedeltà del cliente al brand, mettendo a rischio la vita dell’azienda. Necessitano, come tutte le attività, di un sistema che ne monitori l’efficacia ed essendo collegate, anche se indirettamente, la customer satisfaction è uno strumento adeguato per valutarne le performance.

56 Silvi R., McNair-Connolly C. J., Watts T., Polunik L., Value creation in management accounting, Kenneth A. Merchant Editor, 2013, p. 31

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Un cliente soddisfatto è sintomo del corretto svolgimento di tutte le attività aziendali, nessuna esclusa. Un cliente insoddisfatto rappresenta un campanello di allarme di cui è opportuno indagarne le cause.

1.4.2 Le Business Value Added activities Future

All’inizio del capitolo si faceva riferimento all’evoluzione della complessità del sistema produttivo accorsa negli ultimi 40 anni che ha come causa principale il boom economico degli anni 80. In seguito all’aumentare del reddito disponibile delle famiglie, i consumatori non dovevano più soddisfare bisogni primari ma le evoluzioni consumistiche di questi. Un celebre frase di Ford nel 1922 recitava “ogni cliente può avere una Ford T in qualunque colore desideri, purché sia nero”, oggi solo in Italia lo stesso modello è disponibile in 201 versioni diverse. Ciò evidenzia il continuo mutamento delle caratteristiche dei beni e servizi proposti sul mercato e implica la necessità dell’azienda di adattarsi.

L’obiettivo di queste attività è la ricerca di un vantaggio competitivo che ponga l’azienda in una situazione di privilegio che si tradurrà in prossimi ricavi, avendo la consapevolezza che entro un certo lasso di tempo quel vantaggio non sarà più tale. Le attività come quella di ricerca e sviluppo, ricerche di mercato, ricerche di marketing, pubblicità, pianificazione strategica, analisi di prezzo, analisi sulla soddisfazione del cliente, focus group, ricadono tutte nell’ambito di quei costi che il cliente non è disposto a pagare oggi ma che porteranno a produrre un bene con caratteristiche che il cliente sarà disposto a pagare domani.

L’impatto delle BVA future è rilevante non solo sui i presupposti per i ricavi futuri, ma anche sul rapporto con gli stakeholders, interni ed esterni57.

L’utilizzo di un materiale piuttosto che un altro, sottintende la necessità di avere del personale in grado di maneggiarlo e delle macchine in grado di lavorarlo. Può tradursi nel cambiare

57 Silvi R., Polutnik L., Watts T., Cj McNair-Connolly, Value Creation in management accounting. Kenneth A. Merchant Editor, 2013, p. 31

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fornitore ma anche attrarre nuovi investitori. Può rafforzare la propria posizione sul mercato e può dare sbocchi su altri.

E’ grazie alle BVA future che l’azienda decide come svilupparsi nel tempo. Può risultare però problematica la valutazione delle performance di un’attività che produrrà risultati in un futuro più o meno lontano e che sonda la percorribilità di diverse strade di cui solo alcune verranno fattivamente imboccate. Il rischio di disperdere risorse è concreto. A questo fine, una soluzione può essere l’isolamento dei costi di ogni progetto, ricerca, implementazione perseguita in modo da quantificare le risorse impiegate per ciascun obiettivo di ricerca.

Proprio perché non tutte le iniziative di analisi e ricerca condotte sfociano in un concreto sviluppo di un prodotto o caratteristica, potrebbe risultare utile, ai fini dell’efficienza, rapportare i costi sostenuti per tutti i progetti con quelli che poi sono stati realmente portati avanti. Si ottiene un indice di dispersione delle risorse per le BVA future che vuole sensibilizzare i manager nel valutare preventivamente e contestualmente i potenziali costi e benefici delle indagini che ancora devono essere attuate o che sono in atto e farli riflettere in sede di allocazione delle risorse.

Un altro impiego dell’informazione di costi sui singoli progetti è di usare come divisore nel calcolo del value mutiplier solo i costi del progetto che è stato concretamente sviluppato. L’informazione generata dal quoziente ci dirà quanto valore ha prodotto ogni euro speso in quel progetto, una sorta di indice di valore per progetto. Unitamente ai dati prodotti delle indagini di customer satisfaction si potrà formulare un giudizio esaustivo sulla performance di quel determinato programma.

Le BVA future sono la fonte dei futuri ricavi dell’azienda e cosi come lo svolgimenti di queste attività non può essere un’opzione per qualsiasi impresa, allo stesso modo il controllo delle loro performance.

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33 1.4.3 Le Business Value Added activities amministrative

Le BVA amministrative sono un insieme di attività che vengono svolte con il fine di mantenere l’azienda funzionante e sono sicuramente le più lontane dalla percezione del valore per il cliente58. Alcune di esse sono:

 Attività burocratiche;  Contabili;

 Di coordinamento;  Meeting;

 Gestione delle paghe dei dipendenti;  Programmazione e pianificazione;  Acquisti

 Costi di conformità;

Come si evince dall’elenco, sono attività che curano sia i rapporti con gli stakeholders esterni che con quelli interni.

La loro validità è di indubbia rilevanza, poiché ha dunque degli effetti su tutti i portatori d’interesse nei confronti dell’azienda.

Non disporre in tempo i pagamenti dei dipendenti porta ad avere del personale che non svolgerà le sue mansioni come dovrebbe, non avere una strategia fiscale efficiente porta ad avere un maggiore dispendio di risorse che potrebbero essere destinate ai reparti aziendali, non coordinare le attività aumenta sprechi, non programmare e pianificare significa non sapere dove andare: il processo di creazione del valore parte dalle BVA amministrative. Non è quindi del tutto corretto affermare che non essendo notate dal cliente non produrranno valore.

Certamente non lo producono direttamente, nel senso che il cliente non è influenzato dallo svolgimento di queste attività ma, altrettanto certamente, se queste non fossero svolte o comunque svolte male le ripercussioni sulla esistenza stessa dell’azienda sarebbero inevitabili.

58 Silvi R., Polutnik L., Watts T., McNair-Connolly C.J., Value Creation in management accounting. Kenneth A. Merchant Editor, 2013, p. 34

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