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9. Conclusioni

9.1. Problemi aperti

Con la critica alla proposta più articolata di eterogeneismo sulla questione percettiva presente in letteratura, spero di aver fatto emergere le ragioni per cui penso sia più fruttuoso lavorare nella direzione di una soluzione omogeneista. Ma, prima di provare a fornire alcuni spunti per un possibile percorso omogeneista, vorrei puntualizzare, a conclusione di questo lavoro, come i nodi problematici che la percezione e la semiotica intrecciano nel tentativo di collegarsi restano, per la maggior parte, ben stretti.

Il problema della semiotica sulla questione percettiva, infatti, è che non si dispone di un quadro di riferimento unitario all’interno del quale muoversi, magari con cautela per non andare contro le basi comunemente accettate: al contrario, non esiste, nemmeno in un senso molto lasco, nulla di simile a un’ortodossia disciplinare sulla questione percettiva, e quindi ogni proposta si muove all’incrocio di esigenze teoriche non armonizzate e a volte esplicitamente discordanti. Non solo non vi è un teorico che abbia sistemato definitivamente le cose, ma nemmeno si può indicare un corpus di idee e orientamenti coerenti, accumulati nel corso del tempo, che sia in grado di fungere da base comune di partenza per tutta la comunità degli studiosi.

Non si tratta della mancanza di un’ortodossia riconosciuta: a mio avviso manca addirittura un senso comune, una communis opinio, magari superficiale, ma largamente condivisa, a proposito dei vincoli da tenere in considerazione per la formulazione di una teoria semiotica della percezione.

Abbiamo visto come a volte idee assolutamente evidenti e non negoziabili per alcuni semiotici sono al contrario del tutto sbagliate per altri, o addirittura ignorate da altri ancora.

Si potrebbe procedere a un censimento della situazione attuale: quanti ricercatori del campo semiotico credono oggi che il sensibile debba essere reso del tutto indipendente dall’espressione? Quanti che le fotografie sono barthesianamente segni senza codice, interpretati naturalmente e automaticamente dai nostri sistemi cognitivi? Quanti che la coppia espressione e contenuto non abbia grandi possibilità esplicative nel campo della percezione? E quanti si rifanno all’impianto greimasiano (non necessariamente ai suoi ultimi sviluppi) e tendono a sistemare la questione percettiva con in concetto di semiotica del mondo naturale, perfettamente e tranquillamente dotata di espressione e contenuto?

Credo che un simile censimento non farebbe altro che rilevare il fatto che, nella comunità semiotica, non esiste un accordo di fondo nemmeno sulle caratteristiche minime di una sistemazione semiotica della percezione. Questo perché, come spero sia potuto emergere nelle pagine precedenti, la questione percettiva è un luogo in cui le assunzioni più ovvie di ogni approccio semiotico vengono sottoposte a una tensione molto forte, e le soluzioni di compromesso saltano: coloro che hanno formulato una proposta consapevole e articolata per discutere il senso percettivo da un punto di vista semiotico (Peirce e Eco su tutti) lo hanno fatto utilizzando dei presupposti ( e giungendo a delle conclusioni) che non sono e non possono essere patrimonio comune di tutti semiotici.

La cosmologia semiotica di Peirce, ad esempio, non è affatto la base epistemologica comune della semiotica, ma semmai un suo possibile sfondo dialettico; e, tuttavia, senza di essa, sarebbe impossibile ridurre nel modo

perentorio in cui lo fa Peirce la percezione (ma anche il pensiero) alla semiotica. Non è possibile “comprare” la soluzione di Peirce della questione percettiva senza “comprare” anche le sue idee sulla Terzità, sulla realtà, sulla mind. Tanto è vero che Eco, pur rifacendosi al sistema peirceano, nel formulare la sua proposta sulla percezione cerca, lo abbiamo visto, di limitare al massimo le assunzioni genuinamente peirceane, per mantenersi dalle parti di un realismo minimo, molto meno impegnativo del sinechismo del maestro americano.

E, tuttavia, lo stesso Eco, pur con tutte le cautele usate per perseguire un tentativo di sintesi (con una intenzione tipica del suo procedere teorico), pur con tutta l’attenzione messa nel tenere insieme Peirce e Hjelmslev, Husserl e le scienze cognitive, ha prodotto una teoria estesamente, aspramente e costantemente criticata da molta parte della comunità semiotica. Le scelte che Eco ha dovuto comunque operare per formulare una proposta coerente, nonostante fossero, a mio avviso, anche ispirate a criteri di sensibilità “ecumenica”, hanno comunque determinato alcune prese di posizione non condivisibili da tutti, e nemmeno da parte di coloro che, pure, spesso si sono trovati d’accordo con lui su altre questioni, meno controverse.

Allo stato attuale della ricerca, dunque, non è possibile avanzare un’ipotesi di soluzione della questione percettiva senza prendere alcune decisioni di fondo, decisioni che per forza, in un modo o nell’altro, non potranno che essere contrarie a idee ritenute non negoziabili da alcuni teorici. Il risultato è che nessuna ipotesi può essere avanzata senza essere, fin dall’inizio, in contrapposizione su alcuni punti fondamentali con alcune (o molte) posizioni teoriche già stabilite. Pur essendo una questione che può essere accusata di una certa perifericità, quella percettiva è un problematica

che va a toccare in modo nient’affatto banale alcuni snodi di fondo della semiotica, mettendo in crisi immediatamente le superficiali convergenze su cui, forse, ci si è a volte adagiati, e facendo risaltare in modo quasi insopportabile le differenze profonde (e forse non conciliabili) tra le prospettive generali della ricerca.

Se, e solo per fare qualche esempio, per sistemare la questione percettiva, si giunge a mettere in discussione la necessità del veicolo segnico per la semiosi, oppure si sostiene ancora che ogni espressione debba contenere almeno una traccia del sensibile, si sta prendendo una posizione di rottura rispetto a certe idee semiotiche di base: e, secondo la mia opinione, non è possibile avanzare nessuna ipotesi di soluzione per la questione percettiva senza puntare il riflettore su alcuni luoghi di frattura fra i diversi approcci che convivono nella semiotica contemporanea.

Il che ha una conseguenza molto importante: non si dovrebbe, per criticare un’ipotesi sulla questione percettiva, mettere semplicemente in risalto il fatto che essa non è integrabile perfettamente nella koiné semiotica; nessuna ipotesi può farlo, in ognuna è possibile individuare il punto (o i punti) in cui vengono sostenute cose che non sono compatibili con qualche idea ormai tenuta come relativamente poco controversa se applicata ad altre questioni semiotiche. Così, ad esempio, non si rende un grande contributo alla discussione se si squalifica il contributo di Eco semplicemente perché non si può, da un punto di vista strettamente strutturalista, essere d’accordo sul fatto che il senso possa essere generato in assenza di due piani correlati. Ciò che per alcuni può essere di assoluto buon senso semiotico (non si può pretendere di spiegare sempre tutto con la coppia espressione/contenuto), per altri può essere semplicemente non accettabile (se si abbandona l’articolazione di base di ogni sistema

semiotico si perde qualunque specificità disciplinare). Ogni risposta alla questione percettiva, a questo stadio della discussione, non può che far suonare alcuni campanelli d’allarme, non può che andare contro ad alcune nozioni date per scontate, non può che proporre di considerare possibile qualcosa che sembra paradossale.

9.2. Una proposta per la questione percettiva