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Problemi concernenti le procedure attivate dai familiari presso gli uffici

Nel documento Relatore: Prof.ssa L (pagine 101-104)

2. Analisi delle questioni problematiche del ricongiungimento dei beneficiari

2.2 Problemi concernenti le procedure attivate dai familiari presso gli uffici

Una volta conclusa la prima fase, il familiare residente all’estero con il quale si chiede il ricongiungimento farà richiesta del visto di ingresso – entro sei mesi dal rilascio del nulla osta a pena di decadenza del procedimento – e presenterà, presso l’autorità consolare italiana nel paese di origine e di transito, i documenti che provino il legame di parentela.

Secondo l’articolo 29 comma 7 TUI, il rilascio del visto per ricongiungimento nei confronti del familiare è subordinato all’effettivo accertamento dell’autenticità di tali documenti.

Quando il richiedente è titolare dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria, la sola mancanza di documenti ufficiali che provino i legami familiari non può comportare il rigetto della domanda; la mancanza di tali documenti può derivare, così come previsto dallo stesso articolo 29 bis comma 2321, dal loro

status o dalla mancanza di un’autorità riconosciuta o, ancora, dalla presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale.

In questi casi, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni dei rapporti familiari, sulla base delle verifiche ritenute

320 Report “ricongiungimenti familiari” 2013/2014 (non ancora pubblicato), a cura di Arci Nazionale, Ufficio Immigrazione e Asilo – Numero Verde per Rifugiati e Richiedenti Titolari Protezione Internazionale, pag. 8.

321 Articolo 29 bis comma 2 T.U.: “Qualora un rifugiato non possa fornire documenti ufficiali che provino i suoi vincoli familiari, in ragione del suo status, ovvero della mancanza di un'autorità riconosciuta o della presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall'autorità locale, rilevata anche in sede di cooperazione consolare Schengen locale, ai sensi della decisione del Consiglio europeo del 22 dicembre 2003, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base delle verifiche ritenute necessarie, effettuate a spese degli interessati. Può essere fatto ricorso, altresì, ad altri mezzi atti a provare l'esistenza del vincolo familiare, tra cui elementi tratti da documenti rilasciati dagli organismi internazionali ritenuti idonei dal Ministero degli affari esteri. Il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall'assenza di documenti probatori”.

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necessarie (tra le altre, anche il test del DNA), effettuate a spese degli interessati.

Un esempio di “presunta inaffidabilità dei documenti rilasciati dall’autorità locale”, contenuto in un Report sui ricongiungimenti familiari del 2013/2014322 di Arci Nazionale, è quello del certificato di matrimonio religioso senza foto identificativa. In queste ipotesi, in cui la celebrazione del matrimonio è avvenuta solo in modo tradizionale o religioso, la presenza di un figlio è determinante nel validare l’autenticità del vincolo matrimoniale. Spesso, perciò, viene richiesto il test del DNA, anche se, essendo questo particolarmente invasivo, dovrebbe essere preso in considerazione solo se non è possibile farne a meno.

L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), a questo proposito, ha rilevato svariati casi che riguardano il problema dell’autenticità di documenti che provano il legame familiare e che vengono rifiutati come validi dall’ambasciata anche se si tratta di certificati rilasciati da un’autorità locale somala; tra questi, di particolare frequenza sono i casi di cittadini somali titolari di protezione sussidiaria che intendono chiedere il ricongiungimento con la moglie, il cui certificato di matrimonio non viene considerato valido dall’autorità italiana323 (nella fattispecie, si tratta di certificati di matrimonio rilasciati da un’autorità locale somala che l’ambasciata italiana non riconosce) e, per tale motivo, si vedono negare il rilascio del visto per ricongiungimento. A questo punto, ciò che è consigliabile fare è, in base all’articolo 30 comma 6 del TUI324, proporre opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria dopo che l’interessato – lo

sponsor – recatosi presso l’ambasciata (in questo caso quella somala) a Roma, si faccia rilasciare il certificato di matrimonio registrato presso il Tribunale del luogo in cui il soggetto ha contratto matrimonio (preferibilmente timbrato, firmato dal Consigliere Affari Consolari e tradotto in italiano). In questo caso, infatti, il Consolato può sostenere che si tratta di documenti falsi o contraffatti, e dunque riconducibili alla falsità materiale, o, altrimenti, non può sindacare la legittimità di un documento autentico rilasciato dalla corrispondente anagrafe somala, relativamente a quanto in esso contenuto.

322 Report “ricongiungimenti familiari” 2013/2014 (non ancora pubblicato), a cura di Arci Nazionale, Ufficio Immigrazione e Asilo – Numero Verde per Rifugiati e Richiedenti Titolari Protezione Internazionale.

323 Si tenga conto che l’ambasciata competente a rilasciare i visti per ricongiungimento familiare ai parenti di cittadini somali è l’ambasciata di Nairobi, in Kenya, dove è stato istituito un ufficio competente specificatamente per i ricongiungimenti dei cittadini somali. A tela impegno, d’altra parte, come evidenziato anche dal Report sui ricongiungimenti familiari di Arci Nazionale, non è però corrisposto un investimento in termini di persone e risorse.

324 Articolo 30 co 6 T.U.: “Contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può proporre opposizione all'autorità giudiziaria ordinaria. L'opposizione è disciplinata dall'articolo 20 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”.

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A questo proposito rileva il fatto che l’articolo 29, c. 1- bis subordina l’espletamento degli esami del DNA alla mancanza dell’autorità competente al rilascio della documentazione di stato civile, oppure alla sussistenza di fondati dubbi sulla autenticità della documentazione presentata, dove il requisitio di autenticità riguarda l’effettiva legittimità del potere documentativo da parte dell’autore del documento. Perciò, in linea di principio, l’art. 29 del testo unico richiama l’autorità consolare, una volta verificata l’autenticità del documento, a considerarlo valido ed efficace ai fini della procedura di rilascio del visto. Non sembra, purtroppo, che in tal sesno sia sempre orientata la prassi325.

Le difficoltà logistiche rispetto alle procedure attivate dai familiari nei paesi di origine o di residenza non finiscono qua. Altre problematiche, infatti, sono state denunciate grazie ad interviste condotte con i rifugiati che hanno effettuato una procedura di ricongiungimento seguiti dal Consiglio italiano per i rifugiati (CIR), e da alcuni funzionari del Centro visti del Ministero degli affari esteri competenti per diverse aree geografiche di particolare rilievo per le provenienze dei beneficiari di protezione internazionale – Africa ed Asia326.

In primis, i tempi per la trattazione delle pratiche sono abbastanza lunghi (da 1 a 3 anni per il rilascio del visto di ingresso327). Inoltre, frequenti sono le difficoltà per i familiari ad accedere fisicamente alle sedi dei Consolati, o anche per ricevere informazioni telefoniche preliminari. A questo riguardo, da un intervista ad un rappresentante della comunità somala di Firenze, è emerso che l’ufficio consolare di Nairobi chiede l’invio di una richiesta telematica di appuntamento da parte dei familiari somali che chiedono di presentare un’istanza di visto per ricongiungimento familiare, prima di poter accedere fisicamente all’ufficio per presentare la documentazione. Questo comporta un evidente pregiudizio del diritto di presentare la richiesta per coloro che non possono usufruire di un collegamento telematico, oltre alle difficoltà pratiche di fissare una data di appuntamento per un calendario già saturo fin dalla sua pubblicazione, se non dopo innumerevoli tentativi di diversi mesi328.

325 P. Morozzo della Rocca, Il diritto all’unità familiare in Europa, tra “allargamento” dei confini e “restringimento” dei diritti, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2004, n.1, pag. 109.

326 M. Benvenuti, La protezione internazionale degli stranieri in Italia: uno studio integrato sull'applicazione dei decreti di recepimento delle direttive europee sull'accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure, Napoli, Jovene, 2011, pag. 242.

327 A questo proposito, si ricordi che l’articolo 5, paragrafo 4 della Direttiva 2003/86/CE, prevede che: “non appena possibile, o comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione”.

328 M. Benvenuti, La protezione internazionale degli stranieri in Italia: uno studio integrato sull'applicazione dei decreti di recepimento delle direttive europee sull'accoglienza, sulle qualifiche e sulle procedure, Napoli, Jovene, 2011, pag.242.

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Infine, nonostante i titolari di protezione internazionale possano accedere al ricongiungimento familiare senza dimostrare di possedere requisiti di alloggio e di reddito, ai familiari dei rifugiati viene richiesto il pagamento di una tassa di rilascio del visto da parte dell’Ambasciata e non è previsto l’accesso ad alcun fondo di solidarietà per coprire le spese di viaggio per raggiungere l’Italia329.

In aggiunta, non solo i familiari devono sostenere tali costi, ma, come denunciato dall’Arci, è diffuso il fenomeno di corruzione. L’ambasciata italiana a Nairobi ha affidato il servizio di raccolta dei documenti per il rilascio del visto ad un’agenzia esterna, la Vsf Global, vincitrice di una regolare gara d’appalto. Tale agenzia dovrebbe limitarsi a fornire gli appuntamenti per le eventuali interviste con i familiari, ovvero consegnare i visti stampati, mentre la trattazione del rilascio del visto dovrebbe rimanere di competenza del personale dell’ambasciata. Rispetto all’operato di tale agenzia, al Numero Verde dell’Arci sono giunte molte segnalazioni di parenti di rifugiati somali che vengono avvicinati da trafficanti che chiedono dai 500 ai 2.500 euro a persona, a seconda della fase in cui si trova la pratica. Di conseguenza, l’8 ottobre 2015 è stata presentata un’interrogazione parlamentare330 (a cui, ad oggi, non è ancora stata data una risposta), nella quale si sono denunciati tali fatti e si è chiesto al Ministro degli Affari Esteri e al Ministro dell’Interno “in che modo intendano attivarsi al fine di far luce sulle difficoltà riscontrate nell’ottenere un appuntamento presso l’Ambasciata italiana” tramite la Vsf Global e “sulle tariffe da essa richieste per l’erogazione di tale servizio”.

2.3 Il problema del ricongiungimento familiare dei beneficiari di protezione

Nel documento Relatore: Prof.ssa L (pagine 101-104)