Il video pone, più degli altri strumenti di ricerca, problemi in relazione a questioni etiche, di privacy e legali (Derry, 2007; Hall, 2000; Heath et al., 2011). Esso, infatti, essendo costituito da immagini uniche non consente l’aggregazione dei dati rendendo dunque difficile, se non impossibile, omettere, nascondere o coprire alcune informazioni sui partecipanti (i volti e i dialoghi ad esempio). La sfocatura dei volti, l’eliminazione dell’audio e il taglio di alcune scene sono misure protettive, ma non sempre sufficienti per ovviare a questo problema. L’unica forma di tutela della privacy dei partecipanti prevista è il consenso informato, una sorta di contratto stipulato tra ricercatore e ogni singolo partecipante che informa, appunto, circa le modalità di raccolta, analisi e diffusione dei dati della ricerca132.
Hall (2000) rappresenta il terreno degli usi delle registrazioni video come una serie di cerchi concentrici che dall’interno verso l’esterno propongono vari tipi di utilizzo del video. Il cerchio concentrico più ristretto consente l’esclusivo utilizzo dei video al gruppo di ricerca, mentre il cerchio concentrico più ampio consente la pubblicazione dei video (ad esempio sul web) (Figura 16). Ogni cerchio implica importanti scelte etiche
132 In alcuni casi particolari, in cui la domanda di ricerca, molto ampia e ancora ben poco definita,
non consente di predire sin dall’inizio lo scopo, gli oggetti di interesse e i futuri usi dei dati raccolti dalla ricerca, il consenso informato risolve parzialmente problemi di questo tipo.
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e fornisce pro e contro sia per il team dei ricercatori che per i partecipanti, da considerare con opportuna cautela. Rimangono esclusi da questa riflessione però tutte le questioni etiche e dei diritti d’autore relative al materiale usato o creato dai partecipanti stessi.
Figura 16. Contesti di utilizzo del video all’interno di un’indagine.
Il video di per sé non costituisce dato di ricerca: è una risorsa per la costruzione dei dati, una fonte di informazioni dalla quale possiamo estrarre i dati (Erickson, 2006; Goldman et al., 2007a). In altre parole, il video diventa dato di ricerca quando e solo se c’è un framework di analisi, ossia una cornice teorica che orienta un’analisi (Goodwin, 2000).
Poiché solitamente nelle ricerche che utilizzano video la mole di dati raccolti è elevata, è opportuno operare diversi livelli di analisi. Innanzitutto è importante, subito dopo aver registrato, rivedere tutti i video salvati e creare un catalogo descrittivo in cui il materiale raccolto venga indicizzato (Barron & Engle, 2007). In seconda battuta, al termine della raccolta, è utile effettuare una revisione sostanziale operando una catalogazione sintetica e dettagliata in funzione agli aspetti basici del video, come ad esempio il tempo, il luogo, i soggetti coinvolti (quanti e/o quali) e gli argomenti trattati (Heath et al., 2011). A questa segue una revisione più analitica, ossia una
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revisione compiuta attraverso un framework teorico. In questa fase, avendo a che fare con una grande quantità di materiale video, può essere utile selezionare un breve segmento e cominciare ad analizzare quello o suddividere la mole di dati in eventi, video clip di interesse in relazione all’ipotesi di ricerca da analizzare a sé.
A livello di analisi delle videoregistrazioni si possono adottare due tipologie di strategie: la strategia deduttiva e quella induttiva. L’approccio deduttivo procede dal dettaglio all’intero: partendo da una domanda di ricerca ben formulata e da una teoria di riferimento chiara e definita, i ricercatori esaminano le registrazioni video cercando le risposte alla domanda. L’approccio induttivo, invece, viene solitamente utilizzato quando si ha una domanda di ricerca non ben definita che proprio l’esito delle analisi potrebbe riformulare. Il video, infatti, essendo concreto, visibile, denso di informazioni di ogni tipo e non preordinato in checklist o categorie definite in anticipo, lascia ampio spazio alla serendipity, ossia alla scoperta casuale, offrendo al ricercatore la possibilità di decidere il focus dell’indagine sulla base di quanto raccolto (Engle, Conant & Greeno, 2007). «Proprio perché i video sono ricchi di informazioni, il problema di solito non è avere qualcosa da dire, ma piuttosto scegliere tra le tante cose che si potrebbero dire e sistemarle in un quadro coerente»133 [trad. mia] (ivi, p. 248). Questa modalità di analisi video implica, dunque, che il ricercator e riguardi più volte le videoregistrazioni in indipendenza o supportato da colleghi (anche interdisciplinari) per poter poi identificare gli eventi di interesse, formulare, sulla base di quelli, un’ipotesi di ricerca e studiarne i risultati (Stigler et al., 2000). Solitamente questi video vengono trascritti per garantire un’analisi più approfondita.
133 «Because of the richness of video data, the problem is not usually of having something to say,
but of choosing among the many things that one could say and fashioned them into a coherent account».
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La trascrizione è una fase determinante nel processo di analisi di un video. Questa aiuta i ricercatori (ma anche un’eventuale audience) a focalizzare meglio l’attenzione sugli aspetti di interesse per muovere osservazioni e analizzare nel dettaglio le caratteristiche e l’organizzazione delle azioni dei partecipanti, facendo emergere in alcuni casi anche nuove domande di ricerca (Heath et al., 2011; Ochs, 1979). La trascrizione però non consiste soltanto nella traduzione per iscritto degli scambi verbali che i partecipanti hanno: essa implica tradurre per iscritto anche tutti gli aspetti vocali assunti dai partecipanti (pause nel parlato, enfasi, suoni prolungati e simili) e gli aspetti “visibili”, ossia i movimenti dei partecipanti, gli sguardi, i gesti e, eventualmente, il materiale usato (Ochs, 1979).
Infine, la fase di codifica nella ricerca mediata dai video è fondamentale: consente ai ricercatori di essere più espliciti circa l’interpretazione dei dati, permettendo in questo modo la condivisione e la divulgazione. Codificare significa tradurre il materiale audiovisivo in dati quantitativi favorendone anche la comparazione. Nello studio TIMSS (Stigler et al., 2000), ad esempio, i manuali di codifica sono stati definiti in maniera dettagliata sia per permettere ai vari ricercatori di analizzare il video con le stesse modalità, sia per effettuare comparazioni internazionali134.
Ma come si può definire un manuale di codifica? Se l’oggetto di interesse è già stato studiato, anche in altre forme, si può utilizzare un manuale di codifica già esistente, preventivamente testato e/o usato da altri studiosi. In alternativa, gli stessi ricercatori che compiono lo studio posso no crearsene uno ad hoc. Per fare ciò è necessario innanzitutto delineare una cornice teorica e, in seconda battuta, decidere l’unità di analisi per la codifica.
134 Per disambiguare eventuali termini e favorire un’interpretazione omogenea dell’oggetto di
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L’unità di analisi per la codifica può essere (i) il tempo (chunk by time) o (ii) l’evento stesso oggetto di studio (chunk by activity). Se si decide di codificare in base al tempo sarà il tempo a scandire l’analisi: si guardano cinque minuti di video e si procede alla codifica secondo lo schema elaborato (si può rilevare qualcosa nei cinque minuti appena visti in relazione agli aspetti di interesse?). Se si segue questa modalità di codifica è importante scegliere l’unità del tempo del campionamento in stretta relazione con il focus della nostra ricerca. Può essere utile a questo proposito fare delle prove e vedere come funzionano diverse unità di tempo e poi scegliere quella più adeguata.
Se, invece, si codifica in base all’evento oggetto di studio è determinante definire dettagliatamente l’oggetto di studio stesso e le varie categorie che lo caratterizzano: si stabilisce l’inizio dell’evento e la sua fine e si procede alla categorizzazione. Nello studio TIMSS (Stigler et al., 2000) la codifica è avvenuta sulla base dell’evento, ossia il problema matematico. La codifica può (i) coprire tutti gli eventi del video, ossia i ricercatori assegnano un codice a ogni evento che avviene (questo tipo di codifica consente di desumere informazioni sulla durata di un evento), o (ii) coprire solo gli eventi rilevanti che avvengono (questo tipo di codifica non dà alcun riferimento temporale). La scelta di un tipo di codifica piuttosto che dell’altro è legata alla domanda di ricerca, al tipo di analisi condotte e dagli esiti attesi che vogliamo mettere in risalto.
In Appendice 2 si presentano sinteticamente alcuni dei principali software per la codifica.
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