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Capitolo 5 – Test di ripetizione di frasi a ristrutturazione

5.6 Pronomi clitici: tipologie d’errore

5.7.1 Proclisi vs enclisi

Il dato che emerge con maggiore evidenza dall’analisi è una significativa differenza nel comportamento dei soggetti in base alla posizione del pronome. Quando esso si trova in posizione preverbale, nella maggior parte dei casi, viene ripetuto correttamente. La posizione proclitica deve quindi avere delle caratteristiche che la rendono più saliente o più semplice rispetto all’enclitica, facilitandone la ripetizione.

Un’ipotesi per spiegare tale fenomeno è l’effetto di posizione seriale (Tydgat e Grainger 2009, Jacoby e Wahlheim 2013). Nel ripetere frasi o sequenze di parole, due fattori influenzano la performance:

- effetto priorità (primacy effect), grazie al quale si ricordano meglio i primi item ascoltati, quando la concentrazione è molto alta ed il carico di memoria è ancora ridotto;

- effetto recenza (recency effect), che permette di memorizzare gli ultimi item di una sequenza, poiché il tempo che trascorre tra l’esposizione e la ripetizione (tempo di ritenzione in memoria dell’informazione) è ridotto.

Le parti centrali della stringa risultano invece più difficili da memorizzare e ripetere correttamente.

Ripetere una frase o una lista di parole non correlate tra loro sono naturalmente due compiti distinti. Tuttavia, gli item del test in cui il pronome clitico compare all’inizio della frase sono quelli in cui esso viene ripetuto più facilmente nella posizione target. I bambini tendono invece a confondersi quando il pronome si trova cliticizzato ad un infinito, nella parte centrale dell’enunciato.

Un’altra spiegazione, per quanto riguarda gli errori nelle frasi con modale+verbo di moto (tre verbi), può essere data dalla similarità sintattica delle due posizioni enclitiche (ENC1 ed ENC2) rispetto a quella proclitica.

Qualunque sia la sua posizione rispetto al verbo, il pronome clitico deve comunque appoggiarsi ad esso, essendo privo di accento di parola. Tra verbo e pronome non può essere inserito alcun elemento (a meno che non si tratti di un altro clitico, con il quale il primo possa formare un nesso).

Esistono tuttavia delle differenze tra posizione enclitica e proclitica, che influiscono sul legame sintattico tra verbo e pronome.

L’enclisi implica la cliticizzazione del pronome al verbo infinito, che lo incorpora perdendo l’ultima vocale:

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(17) Vado a comprare il latte. Vado a comprarlo.

La proclisi vede invece il pronome in una condizione di maggiore indipendenza, poiché il verbo ospita il pronome senza tuttavia incorporarlo.

(18) Lo vado a comprare.

Il legame tra verbo e pronome proclitico è dunque meno stretto di quello che intercorre tra verbo e pronome enclitico (Shlonsky 2004).

Questa differenza può fornire una spiegazione per l’evidente asimmetria che si osserva nella distribuzione degli errori in base alla posizione del pronome nella frase target.

Dotato di un maggiore grado di indipendenza, il pronome in posizione proclitica si distingue più chiaramente dalle due possibili posizioni postverbali.

Le due posizioni enclitiche, essendo perfettamente equivalenti dal punto di vista semantico e sintattico, possono invece essere confuse più facilmente.

Queste osservazioni trovano un riscontro nei risultati dei soggetti adulti, che commettono errori di spostamento solo tra le condizioni ENC1 ed ENC2.

La differenza tra proclisi ed enclisi nel rapporto tra verbo e pronome clitico è trattata in modo approfondito in Benincà e Cinque (1993).

Le riflessioni degli autori partono da alcune osservazioni sul sistema di scrittura delle lingue: spesso quelle che possono apparire come mere convenzioni grafiche rispecchiano in realtà non tanto gli aspetti fonetici, quanto quelli sintattici di una lingua.

È il caso dei pronomi clitici in italiano (e in molte lingue romanze). Dal punto di vista fonologico, non c’è alcuna ragione per cui il pronome in posizione proclitica debba essere scritto separato dal verbo a cui si appoggia, diversamente dal pronome in posizione enclitica: entrambi sono monosillabici e privi di accento. La variazione grafica sembra piuttosto rappresentare la diversa struttura sintattica che regola la relazione tra verbo ospite e pronomi enclitici o proclitici.

Ad esempio, come già osservato da Kayne (1975) per il francese, anche in italiano è possibile coordinare due verbi che condividano lo stesso pronome proclitico, purché questi abbiano dei tratti semantici in comune, tempo e persona. Frasi come quella in (19) sono dunque possibili, mentre strutture analoghe a quella in (20) risultano agrammaticali (gli esempi sono tratti da Benincà e Cinque 1993).

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(19) Lo leggo e rileggo sempre tutto d’un fiato. (20) a. *Lo leggevo e rileggo sempre tutto d’un fiato.

b. *Lo leggiamo e rileggono sempre tutto d’un fiato.

Un’altra differenza è data dal fatto che in alcune lingue è possibile inserire un elemento tra clitico e verbo ospite, ma solo quando il pronome occupa la posizione proclitica. In italiano e in altre lingue romanze ciò avviene con avverbi quali bene, anche, pure, neanche, non. Sebbene questo fenomeno fosse più presente nell’italiano antico (gli autori riportano esempi tratti dal Decameron di Boccaccio), esso è ancora presente in espressioni fisse, come in (21).

(21) Lo ben so.

Nessuna lingua romanza ammette tale possibilità con i pronomi enclitici.

Proclitico ed ospite occupano dunque due posizioni contigue tra le quali, in condizioni particolari e con determinate restrizioni, può inserirsi un altro elemento lessicale.

Verbo ospite e pronome enclitico hanno invece un legame sintattico molto più stretto, tanto da formare una nuova unità morfologica: un pronome postverbale può infatti modificare la posizione originale dell’accento della parola isolata (ciò accade, ad esempio, in spagnolo). Non risulta nessuna lingua romanza nella quale un elemento in proclisi possa modificare in tal modo la struttura fonologica dell’ospite.