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La product governance L’obbligo degli intermediari finanziari di individuare

CAPITOLO 3: LA PRODUCT GOVERNANCE E IL COLLOCAMENTO D

3.2. La product governance L’obbligo degli intermediari finanziari di individuare

PRODOTTO DI INVESTIMENTO ASSEMBLATO E/O DISTRIBUITO.

La presa di posizione dell’Autorità di vigilanza, portata alle sue estreme conseguenze con la Comunicazione sui prodotti finanziari illiquidi274, è sintomatica di un fatto ben preciso. Pur rappresentando un

272 A. PERRONE, Il diritto del mercato dei capitali, cit., 206 s., ID., Servizi di investimento e regole di

comportamento, cit., p. 37.

273 ESMA, Guidelines on certain aspects of the MiFID suitability requirements, July 2012, in

https://www.esma.europa.eu/document/guidelines-certain-aspects-mifid-suitability-requirements-0

274 CONSOB, Comunicazione n. 9019104 del 2 Marzo 2009 – Il dovere dell’intermediario di

comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi,

disponibile all’indirizzo http://www.consob.it, p. 9, che sottolinea come, qualora ci si trovi di fronte a operazioni particolarmente complesse o rischiose (la Consob cita al riguardo in modo esplicito i derivati negoziati OTC), le stesse presuppongono “intrinsecamente che il prodotto sia presentato come adatto

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indubbio passo in avanti, le regole di appropriatezza e di adeguatezza scontano un limite importante: esse, dal momento che concentrano gli obblighi di trasparenza e correttezza operativa degli intermediari nella fase di distribuzione dello strumento finanziario, non sono in grado di bloccare in assoluto la produzione e la veicolazione di prodotti di investimento, anche strutturalmente complessi o potenzialmente tossici, nei confronti della clientela retail275; non a caso, durante la crisi finanziaria, l’obbligo di

valutare nel merito la scelta dell’investitore di acquistare o sottoscrivere un particolare strumento si è dimostrato facilmente aggirabile dagli intermediari tramite una qualificazione ad hoc del rapporto con il cliente276.

Di queste criticità prende atto la Direttiva 2014/65/Ue (c.d. MiFID II) che, nonostante non rinneghi l’impianto originario della MiFID I, potenzia la tutela dell’investitore, anticipandola al momento di strutturazione del prodotto di investimento (c.d. product governance)277. Volendo sintetizzare

alla clientela”; perciò si rende “imprescindibile l’applicazione del regime di adeguatezza previsto in caso di svolgimento del servizio di consulenza in materia di investimenti.”

275 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2017, p. 158; ID., Il recepimento

di MiFID II: uno sguardo di insieme tra continuità e discontinuità, in Riv. soc., fasc. 4, II, Milano, 2018,

1120; ma v. sull’idoneità, quantomeno in potenza, delle misure organizzative previste dalla MiFID I a evitare “modalità di commercializzazione idonee a indurre il cliente a privilegiare prodotti non appropriati o non adeguati” M. DE MARI, Product governance e product intervention nella MiFID2:

dalle regole di comportamento al controllo sui prodotti finanziari? in Riv. dir. impr., Napoli, fasc. 3,

2015, p. 676 s.

276 Spetta infatti all’intermediario inquadrare in prima battuta il rapporto che intercorre con il

risparmiatore, riconducendolo dal punto di vista della fattispecie a uno o all’altro servizio di investimento: L. PURPURA, op. cit., p. 227. È interessante notare che la joint position delle tre Autorità europee, alla quale si riconduce per comune opinione la nascita dell’approccio orientato alla product

regulation, contenesse nel proprio annesso un elenco dei più eclatanti casi di miselling intervenuti

durante la crisi finanziaria, tra cui figura anche la vendita da parte di enti creditizi italiani di strumenti finanziari derivati a clienti al dettaglio inconsapevoli: EBA-ESMA-EIOPA, Joint Position on

Manufacturers’ Product Oversight & Governance Processes, reperibile all’indirizzo internet

https://eba.europa.eu/-/eba-eiopa-and-esma-publish-joint-position-on-product-oversight-and- governance-processes.

277 Pur evidenziano i non pochi elementi innovativi, rileva la continuità tra MiFID I e MiFID II: F.

ANNUNZIATA, Il recepimento di MiFID II, cit., p. 1101. Con governance del prodotto si intende “quel complesso di regole, processi, operazioni e attività richieste al (e poste in essere dal) soggetto che intende realizzare, ingegnerizzare, emettere un prodotto finanziario destinato al mercato, per la sottoscrizione o la vendita”, così V. TROIANO, La Product Governance, in La MiFID II, cit., p. 214; sottolinea l’obiettivo della POG, per altro trasversale ai settori bancario, assicurativo e finanziario, di assicurare la rispondenza del prodotto di investimento alle caratteristiche ed esigenze del cliente- investitore A. SCIARRONE ALIBRANDI, Dalla tutela informativa alla product governance: nuove

strategie regolatorie dei rapporti tra la clientela e intermediari finanziari, in Rivista della regolazione dei mercati, fasc. 1, Torino, 2016, p. 5; si noti che la nozione di prodotto di investimento è più ampia di

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con un’espressione l’evoluzione intervenuta, si potrebbe dire che si transita “dal modello organizzato sul non vendo un prodotto inadeguato, a quello del

non realizzo un prodotto che, in fase di vendita, sarebbe inadeguato.”278

Secondo un’ideale catena del valore (suddivisa nelle fasi di ideazione, assemblaggio, individuazione della strategia di distribuzione e offerta al cliente finale), il legislatore europeo impone, innanzitutto, all’intermediario produttore (c.d. manufacturer279) l’obbligo di individuare

il mercato di riferimento, all’interno del quale lo strumento di investimento verrà offerto o, comunque, commercializzato dalla stessa impresa produttrice o dal distributor (c.d. target market)280.

Utilizzando le parole del legislatore, l’organo di supervisione strategica (normalmente, il consiglio di amministrazione) del manufacturer è tenuto ad adottare, nella fase di ingegnerizzazione, un “processo di approvazione del prodotto” che precisi “per ciascun strumento finanziario il

278 V. TROIANO, op. cit., p. 215; sull'efficacia delle “regulations that restrict the range of available

investment” v. S.J. CHOI, A.C. PRITCHARD, op. cit., pp. 56 ss.; riferendosi alla complementare disciplina della c.d. product intervention, parla di passaggio dalla vigilanza sui comportamenti degli intermediari alla vigilanza sui prodotti V. RICCIUTO, La tutela dell’investitore finanziario. Prime

riflessioni su contratto, vigilanza e regolazione del mercato nella c.d. MiFID II, in La MiFID II, cit., p.

7.

279 V. ESMA, Final Report – Guidelines on MiFID product governance requirements, disponibile su

https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-publishes-final-report-product-governance-

guidelines-safeguard-investors, p. 32, secondo cui manufacturer “means… a firm that manufacturers

an investment product, including the creation, development, issuance or design of that product, including when advising corporate issuers on the launch of a new product”; nello stesso senso, art. 62 del Reg. adottato con delibera 20307/2018 (c.d. Regolamento Intermediari). Per quanto riguarda l'ambito soggettivo di applicazione, sono sottoposti agli obblighi in materia di governo generale del prodotto gli enti creditizi, le imprese di investimento e le SGR, quando prestano uno o più servizi o attività di investimento; fuoriescono dal relativo perimetro, invece, le imprese di assicurazione (in quanto sono destinatarie di un’apposita disciplina di settore), nonché tutte quelle imprese che non svolgono professionalmente attività di intermediazione sul mercato dei capitali: V. TROIANO, op. cit., p. 219. Bisogna tuttavia precisare che, qualora una società per azioni si rivolga a un intermediario finanziario il quale, oltre a occuparsi del collocamento a valle dei titoli di nuova emissione, si impegni a fornire la consulenza necessaria a programmare l’operazione di aumento del capitale sociale, sarà quest’ultimo ad assumere la qualifica di manufacturer (e, eventualmente, di distributor), ai sensi della Direttiva MIFID II.

280 Con il termine distributor si intende “a firm that offers, recommends or sells an investment product

and service to a client” (ESMA, Final report, cit., ibidem). Manufacturer e distributor potrebbero benissimo coincidere (come accade nel caso di una banca che provveda al collocamento di proprie obbligazioni presso la clientela), come già rilevato da V. TROIANO, op. cit., p. 214; sui momenti che scandiscono il procedimento di offerta di un prodotto di investimento, tra cui spicca quello di identificazione della “categoria di clienti ai quali lo strumento finanziario sarà offerto” e di correlazione delle “esigenze finanziarie delle classi di clientela in astratto individuate agli strumenti finanziari realizzati": M. DE MARI, op. cit., p. 679.

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determinato mercato di riferimento di clienti finali all’interno della pertinente categoria di clienti” (art. 16, par. 3, MiFID II; art. 63, comma 1, lett. a, Reg. Intermediari). Questa regola di organizzazione si traduce in un preciso obbligo di comportamento281: il produttore deve concepire e strutturare i singoli strumenti finanziari, valutando le caratteristiche di un determinato mercato di riferimento, in modo tale da renderli adeguati, fin dalla loro ideazione, alle esigenze e agli obiettivi del gruppo di clienti finali presso cui verranno distribuiti (art. 24, par. 2, MiFID II; art. 21, comma 2-

bis, TUF)282. In questa fase, la determinazione del mercato di riferimento

avviene a un livello astratto, in base alle conoscenze teoriche dell’intermediario (ad esempio, in materia di mercati finanziari) e alla sua esperienza relativa allo strumento finanziario o a prodotti analoghi (c.d.

target market potenziale: art. 64, comma 4, Reg. Intermediari). Il rapporto di

coerenza dello strumento finanziario col target market deve essere periodicamente revisionato dal produttore, unitamente alla sua performance (art. 67 Reg. Intermediari).

Particolare attenzione è dedicata dal Regolamento Intermediari ai conflitti di interesse: in particolare, gli intermediari produttori devono garantire, tramite apposite misure e procedure, che il singolo strumento finanziario sia immune da conflitti di interesse, avendo riguardo alle sue caratteristiche intrinseche e ai “sistemi di remunerazione e incentivazione” (art. 65, comma 1, Regolamento Intermediari; che dà attuazione all’art. 9, par. 2-3, Direttiva delegata MiFID II).

In seguito alla costruzione del prodotto, l’impresa di investimento deve assicurare che “la strategia di distribuzione degli strumenti finanziari sia compatibile con il target” e deve adottare “misure ragionevoli per assicurare che lo strumento finanziario sia distribuito ai clienti all’interno del

281 Per la possibilità di interpretare la disciplina sulla product governance sia in veste di regola di

organizzazione dell’intermediario sia come regola di attività (oltre che come strumento di raccordo tra

intermediario distributore e intermediario produttore): V. TROIANO, op. cit., p. 218 e 224; M. DE MARI, op. cit., p. 681.

282 Il produttore deve sia individuare “gli investitori a cui lo strumento finanziario è destinato” (c.d.

target market positivo: art. 64, co. 2, Regolamento Intermediari), sia “gli investitori le cui caratteristiche

sono incompatibili con lo strumento finanziario” (c.d. target market negativo: art. 64, co. 2, Regolamento Intermediari) A. PERRONE, op. cit., p. 223.

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mercato target” (art. 24, par. 2, MiFID 2; art. 21, comma 2-bis, TUF). Ciò significa che il manufacturer deve convogliare i prodotti di investimento da lui assemblati verso canali di vendita che siano compatibili con il relativo mercato di riferimento potenziale. Così, ad esempio, qualora dalla target

market analysis emerga che un prodotto di investimento strutturato emesso

dall’impresa è adatto a una clientela che sia disposta a sopportare la perdita del 100 % del capitale investito e a immobilizzare risorse per un periodo pari a 10 anni, il produttore dovrà indicare la consulenza finanziaria come canale di distribuzione preferenziale, affinché possa essere valutato in maniera adeguata se il cliente rientri nel relativo mercato di riferimento. E non potrà, nel caso in cui abbia altre scelte a disposizione, affidare la distribuzione del prodotto a un’impresa che fornisca servizi di investimento solo in regime di appropriatezza o di mera esecuzione283. In tale senso, il produttore ha l’obbligo di comunicare al distributore tutte le informazioni relative “ai canali appropriati per la distribuzione dello strumento finanziario, sul relativo processo di approvazione, nonché sulla valutazione del mercato di riferimento” (artt. 63, comma 1, lett. c, e 68 Reg. Intermediari).

A sua volta, il distributore, già in sede di definizione del proprio

business plan, deve stabilire quali strumenti finanziari offrire e con quali

modalità prestare i vari servizi di investimento in funzione delle esigenze, delle caratteristiche e degli obiettivi della propria clientela di riferimento284. Perché ciò sia possibile, egli deve provvedere a specificare in concreto, avvalendosi delle informazioni fornite dal produttore o raccolte direttamente dai propri clienti attraverso, ad esempio, un rapporto in essere di consulenza, il mercato di riferimento potenziale individuato dal produttore (c.d. target

market reale o effettivo: art. 72, comma 1, Reg. Intermediari)285. Come per

283 Cfr. ESMA, Final Report, cit., 25, p. 36; V. TROIANO, op. cit., p. 225, che ritiene sufficiente

l’adozione da parte del distributore di misure ragionevoli, affinché i prodotti vengano effettivamente collocanti nel mercato di riferimento, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato.

284 ESMA, Final Report, cit., da 27 a 29, p. 37.

285 V. TROIANO, op. cit., pp. 228 s., secondo cui “la target market analysis del manufacturer è

impostata su un ‘cliente-tipo’ il cui profilo è costruito su basi essenzialmente teoriche e astratte; la target

market analysis del distributor è, invece, incentrata su un ‘cliente tipo’ individuato sulla base degli

effettivi criteri e parametri impiegati dall’impresa per classificare la propria clientela, secondo le specifiche caratteristiche ed esigenze della stessa.”

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il produttore, anche per il distributore si rende necessario, inoltre, un riesame periodico delle proprie valutazioni, che si appunta sulla verifica della persistente corrispondenza tra prodotto di investimento e target market, nonché sulla coerenza della strategia distributiva prescelta (art. 75, Reg. Intermediari).

Per rispettare gli obblighi di governance del prodotto, come ha avuto cura di precisare l’Esma, le imprese di investimento distributrici dovrebbero, quindi, per prima cosa suddividere i clienti-investitori in gruppi omogenei secondo i criteri di classificazione abitualmente utilizzati (per conoscenze, esperienza ecc.); poi, sulla base delle loro caratteristiche concrete, decidere quali prodotti raccomandare, se del caso anche tramite inserimento nei portafogli di investimento gestiti, e, quali, invece, vendere o offrire in sottoscrizione solo su iniziativa degli stessi286.

La determinazione del mercato di riferimento non disattiva la disciplina di protezione che prescrive al distributore una valutazione dell’adeguatezza o dell’appropriatezza dell’operazione finanziaria. Mentre la prima agisce sul piano organizzativo, limitando la discrezionalità dell’organo amministrativo dell’intermediario nella selezione dei prodotti da collocare sul mercato e delle strategie distributive più redditizie, le seconde operano quale strumento di verifica in concreto della rispondenza dell’operazione di investimento al profilo del singolo cliente287. Tuttavia, va da sé, come vedremo, che sussiste “un collegamento ‘forte’ tra product

governance e attività distributiva”: le regole riconducibili alla prima si

rivelano preparatorie e strumentali al miglior adempimento degli obblighi di comportamento, che i distributor devono osservare, quando raccomandano o eseguono una singola operazione (v. il considerando n.17, MIFID II)288.

Qualora il manufacturer sia un soggetto a cui non sono applicabili le norme in materia di governance dei prodotti, il distributore dovrà procedere

286 ESMA, Final Report, cit., 31, pp. 37 s. 287 A. PERRONE, op. cit., p. 224.

288 V. TROIANO, op. cit., p. 219; ESMA, Final Report, cit., 33, p. 38, la quale sottolinea, correttamente,

che l’identificazione del target market è diretta a fare in modo che il prodotto di investimento “ends up with the type of customers for whose needs, characteristics and objectives it had been designed, instead of another group of clients with whom the product may not be compatible.”

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autonomamente alla fissazione del target market positivo e negativo. A tal fine, nel caso in cui non siano reperibili informazioni liberamente accessibili al pubblico (contenute, ad esempio, in un prospetto informativo o nel c.d.

Key Information Document dei PRIIPs), egli dovrà cercare di raggiungere un

accordo con il produttore o con il suo rappresentante, essendo, altrimenti, costretto a rifiutare l’incarico di commercializzazione del prodotto di investimento (art. 10, par. 2 Direttiva delegata Mifid II).289

3.3. (SEGUE). LE CATEGORIE RILEVANTI PER LA DETERMINAZIONE DEL MERCATO DI RIFERIMENTO. L’INTERNALIZZAZIONE DELLA REGOLA DI ADEGUATEZZA.

Sorge spontaneo, a questo punto, domandarsi quali siano i criteri, a cui i produttori, e successivamente i distributori, devono attenersi nella determinazione del target market “a un livello sufficientemente granulare” (art. 9, par. 9, Direttiva delegata Mifid II).

Un ruolo centrale riveste il criterio di proporzionalità: in base al quale il livello di specificazione del cliente-tipo deve essere adeguato e proporzionato alla natura del prodotto di investimento (art. 9, par. 1, Direttiva delegata Mifid II). Ciò vuol dire che l’intermediario finanziario, nella determinazione del mercato di riferimento, dovrà tenere conto delle caratteristiche del prodotto “including its complexity… risk-reward profile or liquidity, or its innovative character”, scendendo, nel caso, a un livello di dettaglio elevato290.

Per quanto riguarda le caratteristiche della clientela da considerare per individuare il target market, le Guidelines dell’Esma contengono un elenco composto da cinque elementi291. Nonostante tali orientamenti interpretativi non costituiscano norme giuridicamente vincolanti, è

289 ESMA, Final Report, cit., 61, p. 43. 290 Così ESMA, Final Report, cit., 21, p. 35. 291 ESMA, Final report, 18, pp. 34 s.

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ragionevole supporre che, in virtù della loro provenienza qualificata, gli intermediari saranno comunque portati a conformarvisi292.

Procedendo per gradi, il manufacturer dovrebbe, innanzitutto, precisare, ricorrendo eventualmente allo schema di classificazione di cui alla MiFID II, a quale tipologia di cliente il prodotto è indirizzato: se si tratta di investitore retail, professionale e/o controparte qualificata. In secondo luogo, dovrebbe specificare il grado di esperienza e di conoscenza richiesto ai clienti di riferimento in relazione alla tipologia e alle modalità di funzionamento del prodotto pertinente (ad esempio, esperienza in materia di prodotti strutturati il cui rendimento è collegato a strumenti finanziari azionari, comprensione di quali fattori determinano l’andamento del prezzo delle azioni e come le oscillazioni di questo influiscano sulla valutazione del prodotto di investimento, ecc.).

Secondo l’Esma, particolare importanza assume la situazione finanziaria del cliente: l’impresa di investimento dovrebbe indicare la percentuale massima di perdite che il cliente deve essere in grado di sopportare (ad esempio, da percentuali poco significative alla perdita totale del capitale), oltre a rendere palesi eventuali obblighi di pagamento supplementari che potrebbero superare il valore dell’investimento (ad esempio, i c.d. margin call tipici degli strumenti derivati).

Ancora, dovrebbe essere assicurata la compatibilità tra il profilo di rischio-rendimento dello strumento finanziario e la tolleranza al rischio dell’investitore tipizzato. A tale fine, l’impresa dovrebbe procedere alla concettualizzazione in modo chiaro e preciso delle attitudini generali che i clienti di riferimento dovrebbero possedere in relazione all’assunzione del rischio di subire una perdita (ad esempio, “orientato al rischio o speculativo”, “equilibrato”, prudente”).

Infine, dovrebbero essere elencati e dettagliati gli obiettivi di investimento e le esigenze dei clienti potenziali. A seconda della natura del prodotto in concreto assemblato, tale adempimento potrebbe limitarsi a richiedere una generica indicazione dell’orizzonte temporale di investimento

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oppure estendersi ai concreti obiettivi per cui uno strumento finanziario è stato concepito: protezione dall’inflazione, investimento verde, investimento in imprese sociali ecc.

Ciò che salta subito all’occhio dell’interprete è la profonda affinità, se non la assoluta coincidenza, tra le categorie suggerite ai produttori e ai distributori dall’Esma, come criteri di determinazione del mercato di riferimento, e il contenuto delle verifiche prescritte dall’art. 54, par. 2, della MiFID II: anche ai fini della valutazione di adeguatezza, l’intermediario deve indagare la corrispondenza dello strumento finanziario agli “obiettivi di investimento”, alla “tolleranza al rischio”, alla “situazione finanziaria” e alle “necessarie esperienze e conoscenze” del cliente.

Tuttavia, mentre la product governance opera a monte e presuppone l’individuazione in astratto da parte dell’intermediario di un gruppo di investitori (o di un cliente-tipo), sulle cui caratteristiche comuni ricalcare il prodotto assemblato o distribuito; il test di adeguatezza, invece, applicandosi a un singolo episodio distributivo, guarda agli obiettivi, alle esigenze e alle conoscenze del cliente “in carne e ossa”.

Il diverso atteggiarsi degli istituti in esame, la cui applicazione si sussegue lungo la catena di offerta del prodotto, secondo uno schema di progressiva concretizzazione del soggetto tutelato, non deve trarre in inganno. La tipizzazione della fisionomia finanziaria del cliente, che funge da parametro di riferimento nella fase di ingegnerizzazione o di definizione delle strategie distributive, è la naturale conseguenza della dimensione metaindividuale e organizzativa in cui le norme in materia di governo del prodotto esplicano la propria efficacia conformativa sulle condotte dell’intermediario. Il legislatore europeo, trascendendo la logica del singolo rapporto bilaterale tra intermediario e investitore, ha anticipato la valutazione delle caratteristiche e delle esigenze della clientela, incardinandola nelle

dinamiche strategiche e operative dell’impresa; dinamiche che, non

essendosi ancora inverate, all’esterno dell’organizzazione dell’intermediario, nella prestazione di uno o più servizi di investimento, non

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possono che riguardare soltanto categorie astratte di soggetti; cioè di clienti potenziali accomunati da particolari qualità o bisogni di investimento293.

Ciò significa che, quando si parla di product governance, non si identifica un complesso di norme fondato su un’autonoma ratio, bensì la stessa regola, quella di adeguatezza, che trova una diversa declinazione, da parte del legislatore, a seconda della singola fase di svolgimento dell’attività di intermediazione: dallo sviluppo del prodotto, che deve essere morfologicamente pensato e costruito per soddisfare le esigenze di investimento della clientela di destinazione, passando per la definizione delle strategie di distribuzione, che non devono mai prescindere dal perseguimento del miglior interesse del cliente (art. 21, comma 2-ter, TUF), fino ad arrivare alla singola operazione finanziaria raccomandata o eseguita dall'intermediario.294

Se, in aggiunta a tali osservazioni, si pone mente alle prassi