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Le figure professionali del restauratore e dell’impiantista L’attuale difficoltà di gestire in contemporanea un progetto di restauro e

Nel documento POLITECNICO DI TORINO (pagine 35-41)

2. ANALISI DELLO STATO DELL’ARTE

2.3 Le figure professionali del restauratore e dell’impiantista L’attuale difficoltà di gestire in contemporanea un progetto di restauro e

impiantistico legando le due componenti per ottenere un unico intervento è data anche dalla scarsa organizzazione che si incontra tra le figure professionali che operano in tali campi. L’architetto restauratore e l’impiantista non sempre affrontano le fasi progettuali in simultanea e non è difficile riscontrare interventi dove l’apporto impiantistico viene studiato successivamente alle strategie di restauro non avendo un dialogo tra di loro. La mancanza di comunicazione porta ad avere architetti quasi del tutto ignari dell’impiantistica anche se le loro architetture ne devono essere dotate e impiantisti provvisti di pochissima sensibilità e cognizione verso le caratteristiche dell’architettura, dove però devono andare ad installare i sistemi impiantistici e con il rischio quindi di optare per scelte progettuali che causano effetti anche negativi sugli edifici stessi.

L’uso di linguaggi diversi tra gli operatori sul campo genera non poca confusione, soprattutto quando ci si riferisce a tematiche legate al restauro di edifici storici dove molto spesso le esigenze e le prestazioni pensate per gli impianti che verranno installati devono fare i conti col fatto che molti di loro sono al limite o del tutto fuori dalla concezione dell’intervento pensata dall’architetto restauratore. Sia che il progetto di restauro non tenga in considerazione quello impiantistico che viceversa il presentarsi di problematiche e condizioni gravi per l’architettura è quasi sempre inevitabile, questioni che una volta comparse sfuggono di mano sia al controllo dei restauratori che degli impiantisti.

“Se dunque gli architetti non conoscono gli impianti (in generale) e gli impiantisti non conoscono le architetture, entrambe le figure non conoscono (o trascurano) la storia degli impianti e della tecnologia.” [2]

Ancora diverso è il discorso di attenzione verso l’impiantistica storica in un intervento di restauro. Non sempre le figure professionali mostrano sensibilità su questo argomento. Da un lato l’architetto restauratore non sempre ha padronanza e conoscenza dei dispositivi e delle tecnologie che stanno alla base degli impianti che incontra approcciandosi ad un edificio storico. Dall’altra l’impiantista corre il rischio di considerare l’impiantistica storica come un sistema superato, non più utile per i nuovi livelli di comfort richiesti. Come conseguenza di tale pregiudizio l’impiantista opera una tabula rasa sui sistemi impiantistici presenti e ne progetta di nuovi e più performanti. L’accertamento delle possibilità di riutilizzo dell’impianto preesistente dovrebbe essere un’operazione che rientra nell’iter decisionale del progetto impiantistico, andando ad integrare quelle componenti ancora funzionanti con prodotti nuovi, progettati e installati avendo come obiettivo da perseguire la compatibilità tra il nuovo e l’esistente.

2.

Pretelli M., Fabbri K., La conservazione degli impianti storici, in Concas D. (a cura di), Conservazione vs innovazione:

L’inserimento di elementi tecnologici in contesti storici, Il Prato casa editrice, 2018, cap. 1, p. 44.

Oggi l’impiantistica rappresenta per l’architetto restauratore una questione piuttosto complessa dove non sempre ha il pieno controllo. Si espone infatti in prima persona nel dare un giudizio sugli impianti preesistenti, valutandone principalmente i costi e le modalità di smaltimento, in quanto parte dal pregiudizio, a volte fornitogli dall’impiantista, che tali impianti sono datati e non più utilizzabili. Quando però, nell’esaminare l’architettura storica, entra in contatto con elementi impiantistici di un certo valore storico-artistico (come ad esempio una cabina ascensore, un lampadario o una lampada di particolare pregio) allora probabilmente l’architetto chiederà aiuto agli impiantisti per capire insieme a loro come poter rifunzionalizzare tali dispositivi in base alle normative vigenti. Determinate scelte e soluzioni non dipendono però dal solo architetto restauratore, infatti la problematica sugli impianti coinvolge anche altri soggetti, tra i quali gli esperti impiantisti, chiamati per definire il progetto per i nuovi impianti. In questa fase la maggior parte degli architetti si limiterà a fornire il proprio giudizio in relazione all’estetica dei nuovi dispositivi impiantistici, trovando soluzioni per mascherarli in caso in cui fossero completamente discordanti col il contesto. La stesura di nuove canalizzazioni e tubazioni viene lasciata completamente in mano all’impiantista. Solo nel caso in cui parti di tale impianto dovessero entrare a contatto con pareti o porzioni di architettura storica di pregio allora l’architetto, spinto dalla Soprintendenza, può occuparsi di tali criticità.

Purtroppo, la conoscenza che gli architetti hanno sugli aspetti relativi agli effetti degli impianti in un edificio è ancora molto scarsa. Numerose volte infatti non vengono prese in considerazione tutte le problematiche legate al dimensionamento dei generatori e alle conseguenze che ne derivano dal loro funzionamento, come ad esempio la produzione di calore o lo sviluppo di vibrazioni, che, se non controllate, potrebbero danneggiare l’edificio.

L’atteggiamento dell’architetto restauratore nei confronti dell’impiantistica storica dovrebbe essere guidato da maggiore conoscenza e consapevolezza.

Il restauratore, dal momento che viene chiamato a lavorare su un’architettura storica, dovrebbe come prima cosa studiare l’intera consistenza della fabbrica, dai percorsi alle componenti impiantistiche presenti in essa. Per raggiungere tale conoscenza è necessario mettere in relazione il rilievo geometrico con quello impiantistico, documentando ogni singolo dispositivo terminale di impianto, che si tratti di semplici prese o interruttori, di lampadari, di radiatori, di camini o di caldaie. Tutte queste componenti dovrebbero poi essere catalogate e organizzate in apposite schede o database informatici che permettano di mettere in connessione i singoli elementi che collegano i vari impianti, come ad esempio per le canalizzazioni, le tubature e le canne fumarie, tracciandone successivamente il loro percorso avendo cura di discriminare ciò che è rilevato da ciò che viene ipotizzato. La raccolta di questi dati dovrebbe poi essere condivisa e messa in discussione insieme agli esperti impiantisti, in modo da individuare possibili opportunità di integrazione tra antico e nuovo e come possono essere sfruttati in termini di miglioramento delle prestazioni, riducendo al minimo l’impatto negativo che la realizzazione di nuovi impianti

al contesto, facendo riferimento non solo alla fabbrica ma anche agli utenti che ne usufruiranno. Non è quindi scontato includere nella progettazione la conoscenza delle vecchie fasi impiantistiche. Ciò permette di individuare la presenza di eventuali cavedi ormai in disuso, che potrebbero essere sfruttati per le nuove soluzioni tecnologiche del nuovo impianto. Inoltre, conoscere la posizione di tubazioni, canaline e cavi, a vista o sottotraccia, può essere d’aiuto per eventuali nuovi collegamenti che risulterebbero impossibili da ricreare all’interno del contesto di un edificio storico; Anche elementi di particolare pregio come, ad esempio, lampadari o dispositivi dal valore storico-artistico devono essere integrati all’interno del progetto finale in modo da ottenere una coesione tra antico e nuovo. La fase di conoscenza non è fine a se stessa e non deve quindi essere sottovalutata, infatti è buona norma per l’architetto restauratore affidarsi alla ricerca storica e bibliografica, finalizzata alla valutazione delle caratteristiche tecniche, attraverso testi e manuali impiantistici che permettono di reperire informazioni preziose sulla produzione, l’utilizzo e il funzionamento degli impianti storici preesistenti all’interno della fabbrica.

A differenza dell’architetto, che gestisce il suo progetto mettendo in primo piano l’edificio storico, l’impiantista oggi, invece, nel progettare l’impianto è come se si ponesse di fronte ad una tela bianca, dove la fabbrica fa da sfondo alla rete impiantistica e alle prestazioni da garantire:

- “Le esigenze e le prestazioni da soddisfare (temperatura, livello di illuminamento…);

- Le caratteristiche dei dispositivi che meglio consentono di raggiungere le esigenze poste;

- Il posizionamento del sottosistema di generazione e dei relativi accessori, dei terminali e, conseguentemente, quello del collegamento più semplice e diretto possibile dei primi con i secondi (tracciamento della rete di distribuzione)”. [3]

Il dimensionamento dell’intervento impiantistico viene quindi pensato “a tavolino” partendo dai presupposti elencati sopra, senza tener conto di tutta una serie di ricerche effettuate nell’individuare il posizionamento e le dimensioni delle tubazioni, dei cavi e dei generatori esistenti nella fabbrica.

Sebbene la figura dell’impiantista abbia come unico fine quello di soddisfare tutti i parametri scelti, questo suo approccio porta due problematiche di non poco conto in un intervento di restauro. La localizzazione fisica dei dispositivi impiantistici viene spesso sottovalutata, a meno che tale problematica non venga sollevata dal giudizio dell’architetto restauratore. Inoltre, si ha la convinzione che l’intero progetto venga creato da zero non considerando la possibile presenza di impianti preesistenti o frammenti di essi. Perciò anche se l’impiantistica in sé riuscirebbe, attraverso le nuove tecnologie, a integrare gli impianti storici con quelli di nuova progettazione all’interno di una fabbrica storica, tale approccio non è ancora considerato come un metodo applicabile universalmente. Infatti, nella progettazione di questi interventi, tali questioni non risultano ancora oggi far parte della tradizione culturale prima ancora che progettuale.

3.

Pretelli M., Fabbri K., La conservazione degli impianti storici, in Concas D. (a cura di), Conservazione vs innovazione:

L’inserimento di elementi tecnologici in contesti storici, Il Prato casa editrice, 2018, cap. 1, p. 50

Davanti alla problematica nell’utilizzare elementi di impianto preesistenti, l’impiantista è forse l’unico professionista in grado di individuare delle soluzioni che rendano fruibili i dispositivi impiantistici compatibilmente con la normativa tecnica attuale di riferimento, assicurandosi che tali impianti rispettino tutti i requisiti stabiliti per assicurare la conservazione e fruizione della fabbrica storica. Nel caso in cui sorgesse un problema nel progetto di restauro, il tecnico insieme all’architetto restauratore avrà l’abilità di operare scelte mirate a risolvere tale difficoltà, attraverso l’utilizzo delle tecnologie a sua disposizione. Risulta quindi evidente come le competenze del tecnico impiantista siano saldamente collegate alla capacità con cui l’architetto restauratore comunica le sue esigenze in tema di conservazione, senza tralasciare l’antica e nuova rete impiantistica.

PROPOSTA DI UNA METODOLOGIA

Nel documento POLITECNICO DI TORINO (pagine 35-41)