I MEZZANIERI INFERIORI SOPRA LE SERRE
8. STRATIFICAZIONE IMPIANTISTICA DEL CASTELLO
8.4 Il rinnovamento impiantisco sotto la reggenza di Tomaso di Savoia Secondo Duca di Genova
8.4 Il rinnovamento impiantisco sotto la reggenza di Tomaso di
iniziali W.C. L’invenzione viene riconosciuta all’inglese S. S. Hellyer, che nel suo trattato “The Plumber and Sanitary Houses” lo denomina Water-closet Hygienic (W.C).
In questo sistema, nei gabinetti più di lusso, il vaso era in un unico pezzo decorato in porcellana, a sifone, con sedile in legno di noce apribile a cerniera.
Sopra al vaso-sifone era presente una vasca a scarico (serbatoio a cacciata o sifone lavatore) contenente dell’acqua che, tirando la catenella, si riversava nel vaso (fig.8.16). Essa si riempiva nuovamente per mezzo di un rubinetto a galleggiante in modo automatico. Bisognava inoltre garantire l’impermeabilità dei pavimenti e delle pareti adiacenti al Closetto, rivestendole per almeno un metro con piastrelle di maiolica bianca o colorata.
Da questa situazione emerge come lo sviluppo degli adeguamenti igienico-sanitari abbia avuto inizio già negli anni Ottanta dell’Ottocento a seguito di una serie di eventi: il matrimonio tra i principi e la nascita dei loro eredi hanno portato l’attenzione verso la tematica dell’igiene, grazie anche al recente sviluppo in materia delle normative e alla produzione di dispositivi e apparecchiature impiantistiche volte a soddisfare le esigenze igienico-sanitarie del tempo.
Le varie trasformazioni apportate al Castello vengono documentate per mezzo degli inventari. Ed è proprio dall’inventario del 1908 che si riscontra la presenza di sette “gabinetti di ritirata” e di quattro gabinetti da bagno [25], tutti posti nell’appartamento del Re, ad eccezione del gabinetto di ritirata collocato in prossimità degli odierni bagni cinesi e nell’appartamento sottostante.
Nel piano degli ammezzati, l’appartamento delle Femmes, trasformato successivamente in Ospedaletto, disponeva di due gabinetti di ritirata: uno collocato in prossimità della Scala di Mezzodì e l’altro posto dietro il corridoio di servizio alle tredici camere del convalescenziario. Nell’attuale Appartamento Chierici, abitato un tempo dal principe Ferdinando e dalla principessa Elisabetta, erano presenti, all’epoca del Principe Tomaso, un gabinetto di ritirata, un gabinetto da bagno destinato agli appartamenti in uso della duchessa Madre, un gabinetto da bagno all’estremità nord, a servizio degli spazi utilizzati dal Principe Tomaso ed un gabinetto di ritirata attiguo alla stanza del cameriere.
Nonostante le numerose trasformazioni avvenute negli appartamenti reali, molti degli spazi destinati al personale addetto ai reali principi, continuavano a non disporre di servizi igienici indipendenti. Nei monolocali o bilocali dei piani alti del Castello, infatti, si conservavano anguste e spartane latrine.
Col passare degli anni si sente la necessità di dotare gli appartamenti dei principi, ormai grandi, e della loro servitù, di spazi sempre più indipendenti, a tale proposito vengono pensati nuovi spazi destinati all’igiene personale, compatibilmente con la loro posizione nei piani sottostanti ed anche al secondo piano, in particolare nell’ala soprastante l’Appartamento del Re. Inoltre, per convertire le precedenti destinazioni d’uso in ambienti in cui ci si dedicava all’igiene personale furono imbiancate le pareti, coprendo così i ricchi papiers-paint e le preziose tappezzerie che ricoprivano i muri delle stanze trasformate.
25 .
Archivio di Stato di Torino (ASTo), CAT 1.2, Agliè Inventari, Amministrazione, Inventario generale, Mazzo 61, 1908.
Fig.8.16 a lato
In poco tempo furono installate al Castello di Agliè vasche da bagno, gruppi doccia, lavabi in marmo ed importanti gruppi di rubinetteria. Nell’inventario del 1927 compare, infatti, il “Camerino per doccia con tubi e 4 rubinetti” e una “vasca in ghisa smaltata bianca” [26]. In particolare, il sistema doccia è brevettato da Gio’ Penotti (fig.8.17). La doccia del brevetto Penotti presentava un sistema con valvola di miscela o rubinetto a quattro vie con indicazione sul quadrante: fredda, calda, mista e chiuso. Il congegno del miscelatore era costituito da un rubinetto a tre luci, con indicate le quattro principali posizioni del rubinetto. La temperatura dell’acqua poteva essere controllata attraverso un termometro a mercurio applicato direttamente sull’apparecchio. Quando l’indicatore si trovava sul quadrante con la scritta “calda” la temperatura dell’acqua raggiungeva un massimo di 35 gradi evitando così le possibili scottature, mentre quando si trovava sulla scritta “mista” la temperatura dell’acqua era di circa 25 gradi, ed infine quando si trovava sulla scritta “fredda” la temperatura variava tra i 15 e 20 gradi centigradi. Per un buon funzionamento del sistema l’acqua presente nelle tubature doveva avere una temperatura che variava dai 65 ai 70 gradi.
La breve diffusione di stanze da bagno negli appartamenti reali richiese la necessità di riscaldare considerevoli quantità d’acqua e perciò risultò necessario installare scaldabagni che inizialmente erano alimentati a gas.
26 .
Archivio di Stato di Torino (ASTo), CAT 1.2, Agliè Inventari, Amministrazione, Inventario generale, Mazzo 62, 1927.
Fig.8.17 a lato Particolare delle rubinetterie della doccia Penotti presente in uno degli ambienti dell’Appartamento Chierici.
Fotografia di Arianna Draperi.
Anche l’impianto di riscaldamento subì, sotto la proprietà del Duca di Genova Tomaso, un ammodernamento. Nell’inventario del 1876 si trova la catalogazione, nell’appartamentino al piano degli ammezzati, oltre che a nuove stufe anche delle bocche di calore. Venne installato nella Camera da letto della donna di guardaroba “Bocca a calorifero di ottone” [27]. Si tratta di un sistema dove i canali dell’aria calda sono quelli che portano il calore, e cioè l’aria riscaldata, negli appartamenti. È utile che l’aria calda esca per diverse bocchette distinte di cui ciascuna (od anche più di una) corrisponda a ciascun piano del fabbricato. Le Bocche a Calore si mettevano nelle camere all’estremità dei canali dell’aria calda. Erano sempre munite di graticella e di una portina, con la quale si potevano aprire o chiudere, totalmente o parzialmente, a seconda dei casi. Le prese d’aria erano costituite in ghisa o rame. Potevano avere diversi disegni e forme ed ornamenti in base alla stanza dove vengono installate. Erano predisposte per una facile regolazione della sezione di passaggio dell’aria.
Erano costituite da griglie o merlature abbastanza sottili con spazio sufficiente per permettere il passaggio corrente d’aria e nello stesso tempo fermare l’ingresso di polveri o elementi che avrebbero potuto otturare la sezione. Tutti i modelli presentavano, posteriormente, un telaio metallico fissato alle pareti.
In ambienti costantemente occupati era necessario calcolare le sezioni delle bocchette in modo che la velocità dell’aria emessa non superasse 0.25 metri al secondo. Era necessario, inoltre, scegliere la loro ubicazione in modo da non disturbare gli occupanti. Le bocche a calore potevano essere di differenti tipologie: bocca a cerniera tonda, bocca con lame sporgenti e bocca scorrevole.
27 .
Archivio di Stato di Torino (ASTo), CAT 1.2, Agliè Inventari, Amministrazione, Inventario generale, Mazzo 60, 1876.
Fig.8.18 a lato
Radiatore in ghisa con valvola di regolazione che riporta il nome della
Il Principe Tomaso introdusse inoltre il primo sistema di riscaldamento centralizzato. Nell’inventario del 1927 si nota la presenza, sempre nel piano ammezzato, di una “Caldaia per riscaldamento” [28] (fig.8.19). Situata in un locale a fondo di un corridoio di servizio, la caldaia serviva le nuove stanze per la degenza dei feriti della Prima Guerra Mondiale, dopo la conversione ad Ospedaletto degli ambienti prima destinati alle Femmes. Lo stesso inventario mostra infatti come la maggior parte delle stanze fosse provvista di
“Termosifoni” [29] (fig.8.18) con valvola di regolazione. Il principio su cui si basa il funzionamento di un termosifone è piuttosto semplice: riscaldando l’acqua nella parte inferiore di un recipiente, le molecole più fredde scendono verso il basso, avendo peso specifico maggiore, favorendo così lo spostamento di quelle più calde verso l’alto che a loro volta, diminuendo la loro temperatura, riscendono. La radiazione può avvenire in modo diretto: l’acqua calda è condotta per mezzo di tubi ai radiatori posti nell’ambiente da riscaldare. I radiatori possono avere diverse forme ed essere composti in ghisa o in ferro battuto. Questa tipologia di radiatori può essere collocata in qualsiasi punto della stanza, a patto che l’aria sia libera di circolare e lambire l’intera superficie del radiatore. La manualistica prevede l’introduzione dell’acqua calda nella parte sommitale del radiatore, mentre il tubo di deflusso nella parte inferiore.
Ciò permette una circolazione del fluido più rapida. I tubi di distribuzione dell’acqua sono principalmente in ferro e le loro congiunzioni avvengono attraverso guarnizioni a manicotto per diametri inferiori a 52 mm. Per sezioni maggiori si usano invece unioni a briglia.
Degli anni ’30 invece sono le stufe Warm Morning conservate ora nelle cucine dei duchi, delle quali però non si conosce l’originaria collocazione [30].
28 .
Archivio di Stato di Torino (ASTo), CAT 1.2, Agliè Inventari, Amministrazione, Inventario generale, Mazzo 62, 1927.
29 . Ibid.
30.
Torino, SABAP-To, registro inventariale, Castello di Agliè, 1964.
Fig.8.19 a lato Caldaia in ghisa che alimentava l’impianto di riscaldamento ad acqua dell’Ospedaletto,fotografia di Arianna Draperi.
Nello scenario di miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie dell’intero Castello, già alla fine dell’Ottocento ad Agliè si può assistere al passaggio dall’utilizzo del gas all’uso dell’energia elettrica, sia per l’illuminazione che per il riscaldamento degli scaldabagni. Negli appartamenti della famiglia reale nel piano degli ammezzati vennero installati “Lampade elettrica (sospensione)”,
“Lampade fisse al muro”, “Lampada a colonne a tre luci elettriche”, “Saliscendi per illuminazione elettrica”, “Sospensioni in mezzo alla volta per luce elettrica”, “Lampadari a sei fiamme a luce elettrica” [31]. Lampadari a saliscendi vennero posizionati anche nell’Ospedaletto. “Le Sospensioni a saliscendi (fig.8.20) non differiscono, negli elementi essenziali, da quelli delle normali sospensioni fisse salvo che nell’aggiunta del contrappeso e della carrucola di rinvio. La carrucola di rinvio è fissata rigidamente al rosone di sostegno della sospensione, mentre il contrappeso è sostenuto dal cordone mediante una seconda carrucola di rinvio, fissata al contrappeso stesso, che guida il cordone nel tratto scendente al portalampade, mediante un apposito anello scorrevole” [32]. Quando si sceglie di utilizzare questa tipologia di apparecchio a sospensione è necessario che le varie componenti siano sufficientemente robuste, per evitare danni e rotture durante il manovraggio del saliscendi. È bene controllare le componenti in porcellana e ceramica che costituiscono le carrucole e i relativi perni. L’equilibrio del sistema, indispensabile per ottenere una perfetta stabilità della lampada a qualsiasi altezza, si ottiene andando a far variare il contrappeso aggiungendo al suo interno del piombo o sabbia.
Le cordature maggiormente impiegate in tale sistema devono essere a doppia spirare, molto flessibili per facilitarne l’utilizzo dell’apparecchio.
31.
Archivio di Stato di Torino (ASTo), CAT 1.2, Agliè Inventari, Amministrazione, Inventario generale, Mazzo 62, 1927.
32.
S.A, La Pagina dell’Installatore, in
“L’Illuminazione Razionale”, Marzo,1934, pp.66.
Fig.8.20 a lato
Apparecchio a sospensione con meccanismo a Saliscendi in
Sempre nell’Ospedaletto vennero installati “Campanelli elettrici”, “Tabelle elettrice per avviso” (fig.8.21) e “Tabella a 16 valvole e due interruttori per illuminazione Salone Re Arduino” [33] (fig.8.22). Risale infatti al 1886 il primo preventivo, proposto ai duchi, riguardanti le spese relative all’impianto dei campanelli elettrici, successivamente installati nell’Ospedaletto, dell’intero impianto solo due campanelli e i quadri indicatori si sono conservati fino ad oggi e rappresentano parte dell’allestimento museale.
Il sistema di chiamata era formato da campanelli a leva di chiamata con lo scopo di stabilire un contatto conduttore tra il filo e la forchetta. Tale contatto si può ottenere quando le parti metalliche a contatto sono costituite da metallo nudo.
In questo modo, inserendo una forchetta o ponte all’estremità del conduttore, si ha un interruttore. Per un facile utilizzo è necessario mantenere il ponte in contatto permanente con l’estremità del conduttore. In questo sistema il ponte di congiunzione è girevole per una sua estremità a contatto con una delle estremità del conduttore e, attraverso un manubrio isolante, si può applicare l’altra estremità del ponte sull’altro capo del conduttore (circuito chiuso) o toglierne il contatto (circuito aperto). Il contatto deve avvenire per sfregamento sopra un blocco metallico unito al conduttore in modo tale che le superfici di esso siano sempre pulite e il contatto sempre sicuro. Tale sistema metallico è spesso installato su basamento ligneo. Quando un campanello ha lo scopo di servire più locali è necessario un dispositivo che permette di individuare da quale locale deriva la chiamata. In questa tipologia di apparecchi, la conduttura della corrente va dalla pila ai bottoni di pressione, ed a ciascuno di essi corrisponde una conduttura speciale. Da questi partono diversi conduttori che convogliano nel quadro indicatore e ciascuno all’elettromagnete corrispondente. Tali conduttori si riuniscono nuovamente in un’unica conduttura che va al campanello e alla pila. Nel premere un qualunque bottone viene mandata una corrente sulla sua conduttura al quadro indicatore facendo cadere la sua corrispondente piastrina numerata azionando così il campanello.
Nel quadro indicatore ogni numero nelle targhette era associato ad una stanza, e da un lato di esso si trova una spranghetta con bottone di pressione che ha lo scopo di far sparire il numero che si è abbassato resettandolo nella sua posizione iniziale. Il meccanismo dell’indicatore con la targhetta numerata è costituito da un elettromagnete posto su uno zoccolo di ferro fissato alla parete del quadro tramite viti, al passaggio della corrente il magnete attrae una leva angolare girevole attorno ad un perno. All’estremità di tale leva è presente il braccio col cartellino numerato, che cade quando il ferro ad angolo viene attratto dall’elettromagnete mostrando il numero della stanza nella finestra del quadro.
33 .
Archivio di Stato di Torino (ASTo), CAT 1.2, Agliè Inventari, Amministrazione, Impianto, Mazzo 67, 1893-1922.
Il quadro elettrico invece, già presente negli anni Venti del Novecento, si presenta come una lastra di marmo sulla quale vengono installati dei portafusibili detti a “tabacchiera”. I porta fusibili ceramici sono uno dei primi dispositivi di protezione dai cortocircuiti e sovraccarichi e la loro composizione è molto semplice: una scatola ceramica isolante con coperchio, coppie di morsetti in ottone ai quali veniva collegato un sottile filo di rame. Nella parte più bassa vi sono coppie di linguette con morsetti alle quali venivano allacciati da una parte i conduttori della linea e dall’altra i conduttori del cavo. Tale quadro alimentava i dispositivi elettrici presenti nell’Ospedaletto, attraverso canalizzazioni in ferro a costa ravvicinata.
Fig.8.21 a lato
Tabelle di chiamata installate nell’Ospedaletto del Castello di Agliè, che citano il nome di “Deregibus Francesco, Torino”. Fotografia di Marco Pagliassotto.
Fig.8.22 in basso
Quadro elettrico posto nel corridoio dell’Ospedaletto, costituito da 16 valvole, portafusibili a tabacchiera posti su un basamento di marmo, la targhetta cita “B.Bigano, Torino”.
Fotografia di Arianna Draperi.