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Profili di tutela aquiliana della posizione giuridica del

CAPITOLO III Attività amministrativa consuale

6. Profili di tutela aquiliana della posizione giuridica del

La configurabilità della responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2043 c.c., della pubblica amministrazione per i danni derivanti a soggetti privati dalla emanazione di provvedimenti amministrativi illegittimi, è stata per lungo tempo esclusa.

La tesi tradizionale della impossibilità del risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi provocata nell’illegittimo esercizio della funzione pubblica si fondava essenzialmente su un’interpretazione della locuzione “danno ingiusto”, contenuta nell’art. 2043 c.c., riferita alla lesione di un diritto soggettivo in quanto il danno deve essere non iure, nel senso che il fatto produttivo del danno non deve essere altrimenti giustificato dall’ordinamento, e contra ius, nel senso che il fatto deve ledere una posizione giuridica di diritto soggettivo.

Vigendo questa giurisprudenza, esisteva una notevole limitazione della responsabilità della P.A. nel caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica che determinasse diminuzioni o pregiudizi alla sfera patrimoniale del privato.

Finalmente, le S.U. della Corte di Cassazione hanno affrontato con la sentenza n. 500 del 1999162 alla radice il problema, riconsiderando la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 c.c., che identifica il "danno ingiusto" con la lesione di un diritto soggettivo, proprio con riferimento ad una illegittima compressione dello jus aedificandi.

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Fino a pochi anni fa, la lesione di un interesse legittimo a opera di un provvedimento amministrativo illegittimo trovava tutela esclusivamente

attraverso l'azione di annullamento da proporre innanzi al giudice amministrativo. In seguito a una storica sentenza della Corte di Cassazione (500/1999), è venuto meno il principio tradizionale che limitava l'area della risarcibilità nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione alla lesione di diritti soggettivi. L'azione risarcitoria può essere dunque proposta, come prevede ora espressamente la normativa

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Interpretazione che ha determinato sostanzialmente un ampliamento dell'area della risarcibilità dei danni ex art. 2043 c.c., ponendo così le premesse per il definitivo abbandono dell'interpretazione tradizionale. Proprio con riferimento al diritto urbanistico l'interesse legittimo viene inteso come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita (ottimale destinazione da attribuire alle aree di proprietà), oggetto di un provvedimento amministrativo, e consistente nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere di pianificazione urbanistica e di vigilanza sull’ uso del territorio, in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene.

In altri termini, l'interesse legittimo emerge nel momento in cui l'interesse del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita viene a confronto con il potere amministrativo, e cioè con il potere della P.A. di soddisfare l'interesse (con provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'istante), o di sacrificarlo (con provvedimenti ablatori).

Nel senso della possibile risarcibilità dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi depongono sia le innovazioni normative, frutto anche dello stimolo proveniente dalla disciplina comunitaria, introdotte prima dal D.Lgs. 80/1998 e poi dalla L. 205/2000, sia l’indirizzo giurisprudenziale formulato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a partire dalla sopra richiamata sentenza n. 500/1999. In particolare, l’art. 35 del D.Lgs. 80/1998, come sostituito dall’art. 7 della L. 205/2000, nel prevedere la possibilità del risarcimento danni nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non opera alcuna distinzione tra le posizioni di diritto soggettivo e quelle di interesse legittimo, inducendo a ritenere che non è esclusa la possibile risarcibilità quando il danno derivi da lesione di interesse legittimo, ma soprattutto l’art. 7, co. 3, della L. 1034/1971, come sostituito dal nuovo art. 35, co. 4, del D.Lgs. 80/98, che devolve

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alla cognizione dei Tribunali Amministrativi tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno anche in giurisdizione generale di legittimità postulando, evidentemente, che possa sussistere un problema risarcitorio in caso di violazione di interessi legittimi.

Per altro verso, l’orientamento introdotto con la citata sentenza n. 500 del 22 luglio 1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nell’evidenziare che la normativa sulla responsabilità aquiliana ha la funzione di riparazione del danno ingiusto e cioè del danno che l’ordinamento non può tollerare rimanga a carico della vittima, ma che va trasferito sull’autore del fatto in quanto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti quale che sia la loro qualificazione formale, ha sradicato il tradizionale indirizzo giurisprudenziale della irrisarcibilità del danno derivante da lesione di interesse legittimo fondato, come detto, sulla considerazione che la fattispecie dell’illecito civile ex art. 2043 c.c. richiede necessariamente la violazione di un diritto soggettivo.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno in particolare affermato che, ai fini della responsabilità aquiliana, non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all’ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante.

Il diritto al risarcimento del danno, quindi, è distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto, la quale può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo o di interesse comunque rilevante per l’ordinamento.

Il danno perciò assume un rilievo centrale e ne è previsto il risarcimento qualora sia ingiusto e cioè prodotto non iure, in assenza di una causa di giustificazione, mentre la colpevolezza della condotta,

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in quanto contrassegnata da dolo o colpa, attiene all’imputabilità della responsabilità163.

Per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., la lesione dell’interesse legittimo, peraltro, è condizione necessaria ma non sufficiente in quanto occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole dell’amministrazione pubblica, l’interesse al bene della vita al quale, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, l’interesse legittimo effettivamente si collega. Pertanto, la responsabilità aquiliana dell’amministrazione ex art. 2043 c.c. e, di conseguenza, la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo, può dirsi sostanzialmente subordinata alla verifica delle seguenti condizioni:

a) un evento dannoso, vale a dire un evento che abbia causato la lesione del bene della vita costituente il lato interno della posizione giuridica soggettiva;

b) l’ingiustizia del danno, vale a dire il danno prodotto non iure, in assenza di cause di giustificazione al lesivo operato della pubblica amministrazione che abbia inciso su un interesse rilevante per l’ordinamento;

c) il nesso di causalità, vale a dire l’accertamento, secondo i criteri generali, della riferibilità dell’evento dannoso ad un’attività, commissiva od omissiva, dell’amministrazione;

d) la responsabilità dell’amministrazione, vale a dire la riferibilità del danno ad una condotta dolosa o colposa dell’amministrazione, non essendo invocabile il principio secondo cui la colpa sarebbe in re

ipsa quando l’amministrazione adotti un provvedimento illegittimo.

163 Da ultimo, Cass. Civ., III, 3 settembre 2007, n. 18511 ha riaffermato che per la

configurabilità della responsabilità della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c. è necessaria la colpa dell’amministrazione.

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6.1. La questione del danno da ritardo

Nel quadro della tutela aquiliana si inserisce il rimedio della risarcibilità del danno ingiusto causato dall’inosservanza dei termini di conclusione del procedimento amministrativo ex art. 2 bis l. 241/90 (c.d. danno da ritardo), introdotta nel 2009164. Ai sensi di detta norma spetta al privato il “risarcimento del danno ingiusto cagionato in

conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”165. L’art. 2 bis, quindi, dispone che la p.a. e i soggetti equiparati siano tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento e che le controversie relative all'applicazione del presente articolo siano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo166.

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Ai sensi dell’art. 2 – bis (rubricato “Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”) “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1 – ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”, norma introdotta ex novo dalla l. n. 69/2009.

165 La ragionevole durata del procedimento amministrativo e la previsione di termini

temprali definiti nell’esercizio dell’attività della P.A. sono riconducibili ai principi costituzionali della correttezza e buon andamento di cui all’art. 97. Anche l’art. 41 della Carta di Nizza annovera tra i diritti attribuiti al singolo, quello alla durata ragionevole del procedimento.

166 Prima della novella del 2009 era discussa in dottrina l’individuazione del giudice

competente a conoscere della domanda risarcitoria; aspetto sul quale è intervenuta la legge 69/2009 che ha stabilito la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Da un punto di vista sistematico, tale previsione è oggi contenuta all’art. 133 del D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (non più nel comma 2 dell’art. 2 l. 241/90) ai sensi del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”. La scelta normativa pare giustificata dall’esigenza di porre fine al dibattito che (prima del 2009) ha visto divise dottrina e giurisprudenza in relazione alla natura di mero “comportamento” dell’inerzia della P.A. che non emette il provvedimento, e ciò dopo i principi introdotti dalla nota sent. Della corte Cost. del 6 luglio 2004 n. 204; con tale pronuncia l giudice delle leggi ha ribadito che le materie che possono formare oggetto di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 103 della Cost. devono essere caratterizzate dalla presenza dell’amministrazione pubblica quale portatrice ed esercente poteri autoritativi. Sicchè, nell’ottica normativa il riconoscimento della

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Nel devolvere al giudice amministrativo le controversie in materia di danno da ritardo il legislatore ha introdotto una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva, aderendo ad una visione giurisprudenziale amministrativa, consolidata nel tempo, secondo la quale l'inerzia dell'amministrazione non può essere considerata come un mero comportamento, essendo pur sempre riconducibile all'esercizio di un potere avente natura autoritativa.

Pertanto, ai fini della giurisdizione assume rilevanza giuridica il ritardo perché derivante dal mancato esercizio del potere autoritativo dell’amministrazione nei termini prefissati dalla normativa.

Sia in dottrina sia in giurisprudenza, è stato affermato che il danno da ritardo, quale lesione di un interesse legittimo pretensivo, è un concetto a cui sono riconducibili diversi contenuti, come il diritto ad una prestazione (la tempestiva conclusione del procedimento) e l’interesse al bene della vita che l’esecuzione della prestazione soddisfa (il rilascio del provvedimento).

In effetti, al danno da ritardo sono rinviate diverse tipologie di fattispecie, con caratteristiche differenti quanto ai presupposti della risarcibilità.

Vi è ad esempio l’ipotesi in cui in cui il ritardo, produttivo del danno, è derivante dal fatto che l’amministrazione ha dapprima adottato un provvedimento illegittimo, sfavorevole al privato (ad es. diniego permesso di costruire), e successivamente ha emanato un altro provvedimento, legittimo e favorevole, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del primo atto.

Oltre a ciò vi è anche il caso in cui l’assenza di un provvedimento illegittimo determina danni gravosi per il soggetto interessato e il

giurisdizione amministrativa esclusiva sul danno da ritardo viene interpretato quale espressione del principio secondo cui il silenzio – inadempimento partecipa della medesima natura (pur speculare) dell’esercizio a quella del loro esercizio dei poteri pubblicistici tipici della pubblica amministrazione rispetto al quale la posizione del privato è di interesse legittimo. L’evento dannoso, che si risolve nella violazione di una disposizione sul procedimento amministrativo, ad avviso della suprema corte, ha natura di comportamento e ad esso corrisponde un interesse legittimo del privato.

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privato invoca la tutela risarcitoria per danni generati dal ritardo con cui l’amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato con ritardo rispetto al termine previsto per quello specifico provvedimento (ad es. permesso di costruire con notevole ritardo).

In ultimo vi è la vicenda in cui il provvedimento amministrativo è legittimo, ma adottato con ritardo, risulta sfavorevole per il privato, che lamenta il danno per non aver ottenuto il tempestivo esame della propria istanza e per non aver appreso entro i termini previsti l’esito negativo del provvedimento.

Le tre ipotesi individuate sono diverse fra di loro, poiché nel primo caso si rientra nella responsabilità da provvedimento, in quanto il danno è provocato dal primo illegittimo diniego, invece, le altre due fattispecie riguardano i danni da ritardo procedimentale non generati direttamente da provvedimenti illegittimi.

Pertanto, nella prima ipotesi la dimostrazione dell’imputabilità alla p.a. della condotta lesiva è facilmente effettuabile, data la natura illegittima del primo provvedimento, mentre negli altri casi, il danno è causato dal mancato rispetto dei termini per la conclusione del procedimento, pertanto, sarà ancora più facile per il privato accertare l’addebitabilità all’amministrazione di tale omissione, essendo difficile ipotizzare la sussistenza dell’errore scusabile per non aver rispettato i termini del procedimento.

Con l'introduzione dell'art. 2-bis, quindi, il bene protetto dalla norma è il rispetto dei tempi certi del provvedimento al fine di salvaguardare la progettualità del privato e la determinazione dell'assetto di interessi dallo stesso preordinato in relazione ai tempi del procedimento.

La prevalente giurisprudenza amministrativa, pertanto, qualifica il ritardo e il silenzio come cattivo uso del potere, ovvero come il mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo dell’autorità

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amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici aventi ad oggetto lo svolgimento delle funzioni amministrative.

Il danno risentito dal privato è ingiusto perchè la p.a. non ha rispettato i tempi determinati dall'ordinamento per la legalità del suo agire amministrativo.

La conseguenza importante ed innovativa, pertanto, è che il mancato rispetto dei tempi del procedimento nel caso di mero ritardo qualifica il danno come ingiusto, e legittima ad agire per il risarcimento, e ciò indipendentemente dall'impugnazione del silenzio.

Perciò, con la Legge 69/09, il legislatore italiano ha in ogni caso preso posizione sul dibattuto problema della c.d. pregiudiziale amministrativa167 nel caso di silenzio o d’inerzia della p.a., coerentemente a quanto più volte discusso dalla dottrina e dalla giurisprudenza, in ordine alla diversa finalità dei due giudizi:

 Nel giudizio sul silenzio, si mira al conseguimento del provvedimento e quindi dell'utilità finale;

 Nel giudizio relativo al risarcimento del danno da ritardo, si ha la finalità di ottenere esclusivamente il ristoro del pregiudizio derivante dalla violazione dell'interesse al rispetto dei termini del procedimento.

La fattispecie di responsabilità emersa dalla riforma del 2009 ha natura extracontrattuale, come chiaramente si evince dal testo stesso dell'art. 2-bis168, che rinvia esplicitamente alla disciplina

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Si identifica l’eventuale necessari età dell’annullamento di un atto amministrativo illegittimo prima di poter procedere al risarcimento del danno. Dopo l'intervento della Legge 205/2000, che prevede finalmente il risarcimento anche degli interessi legittimi e lo devolve al giudice amministrativo , con altri trasferimenti importanti, è sorta la questione sulla cosiddetta pregiudiziale amministrativa. In particolare ci si chiede se la domanda di annullamento e di risarcimento vada necessariamente proposta in maniera congiunta o può anche essere proposta disgiuntamente e, soprattutto, se è necessario che il privato chieda prima l'annullamento dell'atto per il risarcimento.

168 La formulazione dell’art. 2 bis ad opera della legge 69/2009 ha dato nuova linfa

al dibattito dottrinario spingendo parte della dottrina a considerare il tempo come bene della vita meritevole di autonoma dignità, trovando ciò conferma nella scelta di rendere esplicito il riconoscimento della risarcibilità del danno da ritardo. Sicchè il

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dell'art. 2043 c.c., com’emerge dai seguenti elementi: dalla previsione di un danno ingiusto; dalla presenza dell’elemento soggettivo; dalla necessità di dimostrazione del dolo o colpa ed infine dalla prescrivibilità in cinque anni del diritto risarcitorio.

Pertanto, il risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento sembra aprire la strada al risarcimento del danno da ritardo anche in assenza dell’accertamento della spettanza del cd bene della vita, secondo alcuni recenti orientamenti giurisprudenziali. Seguendo questa linea, la giurisprudenza amministrativa dichiara che il rispetto dei tempi del procedimento deve essere svincolato dagli ulteriori interessi procedimentali per essere considerato in se stesso il bene della vita.

Sulla base di questo ragionamento nella vicenda del privato che rivolge un’istanza alla p.a. si possono individuare due distinti beni della vita:

 Il primo è quello del rispetto dei tempi certi del procedimento, perché sotteso alla salvaguardia della progettualità del privato che si realizza in un determinato contesto temporale;

 il secondo al bene sostanziale richiesto (es. concessione edilizia, autorizzazione, ecc.).

Ne consegue che nell’ipotesi di scadenza del termine del procedimento, il privato, ove ne sia danneggiato, avrà diritto al risarcimento, indipendentemente dal contenuto del provvedimento.

giudice, a fronte di una richiesta di risarcimento del danno da ritardo, non sarebbe più tenuto ad alcune indagine in ordine all’effettiva spettanza del bene della vita o dell’utilità finale cui il richiedente aspira, dovendo solo accertare l’illegittimità del ritardo nel provvedere e il suo carattere pregiudizievole per il ricorrente.

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CAPITOLO IV

La perequazione in Toscana

Al pari di altre regioni anche la Toscana ha una propria disciplina in materia di perequazione. Ai sensi dell’art. 60169

, primo comma, della legge n. 1 del 2005: “ La perequazione urbanistica è finalizzata al

perseguimento degli obiettivi individuati dagli strumenti della pianificazione territoriale ed alla equa distribuzione dei diritti edificatori per tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti di trasformazione urbanistica”.

Il concetto di perequazione urbanistica, sconosciuto nella L.R.T. 5/1995 e introdotto con la Legge Regionale Toscana 3 gennaio 2005, n. 1. La L.R.T. 5/1995, articolando la strumentazione urbanistica in Piano Strutturale, contente le regole e i principi immutabili del governo del territorio e, Regolamento Urbanistico, quale parte operativa, ha costituito la base ideale per la riforma in senso perequativo che nella attuale Legge Regionale trova riconoscimento. La portata innovativa dell’articolo 60 della L.R.T. 1/2005, pur nel suo contenuto di principio, non è di poco conto.

Attraverso tale formulazione infatti si è andati ad attribuire agli strumenti urbanistici, accanto alla loro funzione tipica di

169 Art. 60 l.1 del 2005: 1. La perequazione urbanistica è finalizzata al

perseguimento degli obiettivi individuati dagli strumenti

della pianificazione territoriale ed alla equa distribuzione dei diritti edificatori per tutte le proprietà immobiliari ricomprese in ambiti oggetto di trasformazione urbanistica.

2. La distribuzione dei diritti edificatori è effettuata in base alle limitazioni all'edificabilità derivanti dagli strumenti della pianificazione territoriale e dagli atti di governo del territorio.

3. La distribuzione dei diritti edificatori di cui al comma 2 tiene conto anche delle condizioni fisiche del territorio nonché dei vincoli derivanti dalle leggi in vigore.

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pianificazione e governo del territorio,una funzione di giustizia distributiva, propriamente economico sociale, finalizzata alla equa distribuzione dei diritti edificatori per tutte le proprietà immobiliari soggette a trasformazione e comprese in ambiti territoriali determinati nella fase strategico attuativa della pianificazione.

La disciplina toscana sulla perequazione appare dunque saldamente ancorata ai fini tracciati dalla pianificazione urbanistica e destinata a realizzarsi all’interno di ambiti di trasformazione urbana. La perequazione costituisce pertanto una tecnica di piano meramente complementare e facoltativa alla zonizzazione, tipica del modello della perequazione a posteriori; il ricorso alla tecnica perequativa è in ogni caso parziale perché limitato alle proprietà che ricadono in quelle parti del territorio destinati ad interventi di espansione e riqualificazione del tessuto urbano, con esclusione delle aree agricole, dei tessuti storici e delle aree vincolate.

Dalla lettura dell’art. 60 si può desumere che:

• si tratta di perequazione dei diritti edificatori, e quindi dei volumi, non dei valori, perequazione “urbanistica” e non “fiscale”

• l'attuazione della perequazione riguarda ambiti di trasformazione, non tutto il territorio o le parti di esso sulle quali il piano non preveda trasformazioni. Sono quindi inclusi gli ambiti di trasformazione del suolo agricolo in urbano e le aree di ristrutturazione urbanistica dell'esistente, mentre sono escluse meccaniche perequative estese al territorio comunale.

• i diritti edificatori sono definiti sulla base dello stato di fatto e di diritto dei suoli compresi negli ambiti perequativi, in modo esplicito o implicito

• la distribuzione dei diritti edificatori si effettua in relazione alle limitazioni conseguenti alle scelte degli strumenti urbanistici.

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successivamente precisato dall’art. 16 del D.P.G.R. 9 febbraio 2007,