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Profili patrimoniali e finanziari

Premessa

Il Consiglio di Indirizzo, con delibera del 17 ottobre 2011, ha approvato un documento con cui sono stati aggiornati gli obiettivi economico-finanziari, gli indirizzi e le linee guida nell’attività erogativa del Documento di Programmazione Pluriennale per il triennio 2011-2013 (Dpp 2011-2013), alla luce della ridotta redditività degli investimenti finanziari causata dalla grave crisi che ha colpito il debito sovrano europeo a partire dal mese di agosto 2011 - come successivamente illustrato nelle note economiche-finanziarie dell’Advisor -, e della conseguente riduzione del livello di erogazione compatibile con le nuove risorse attese, che qui di seguito si riepilogano.

Indirizzi e linee guida per l’impiego del patrimonio

- attenersi a criteri prudenziali, diversificando il rischio in modo da conservarne il valore ed ottenerne un’adeguata redditività, operando nel rispetto dei princi-pi di sana e prudente gestione;

- diversificare il portafoglio azionario mantenendo una quota del 25-35%

del patrimonio (a valore di bilancio) nella partecipazione della Holding Conferitaria Intesa Sanpaolo, le cui azioni quotate conservano ancora i bene-fici fiscali sulle plusvalenze maturate;

- assicurare il collegamento funzionale con le proprie finalità istituzionali pro-muovendo - investimenti strategici collegati allo sviluppo economico e sociale del territorio, assumendo quote di partecipazioni di minoranza in imprese (Private Equity), che offrano un’adeguata redditività e/o prospettive di rivalu-tazione dell’investimento, entro il limite complessivo - incluse le operazioni in essere - del 12% del patrimonio a valore di bilancio;

- sottoporre al Consiglio di Indirizzo - qualora, nel corso del triennio, si mani-festassero nuove opportunità di investimenti, particolarmente favorevoli sul piano economico, da considerarsi validi e decisivi in fatto di sviluppo eco-nomico della nostra Provincia - eventuali proposte per possibili investimenti strategici che, sommati a quelli in corso, non superino, comunque, il limite massimo complessivo del 16% del patrimonio a valore di bilancio;

- non effettuare, dopo aver completata la ristrutturazione della nuova sede stori-ca di Via Carducci, ulteriori investimenti in immobili strumentali;

- controllare che il rischio di massima perdita statisticamente possibile sopporta-bile in un esercizio (VAR) non risulti superiore al 3% del patrimonio libero e non sia in ogni caso superiore ad 1/3 del fondo di stabilizzazione delle erogazioni in bilancio alla data odierna, in modo tale da non pregiudicare il tasso annuo di erogazioni programmato nel triennio, pur rilevando che la fortissima volatilità dei mercati, registrata in particolare a partire dal secondo semestre del 2011, potrebbe non consentire il conseguimento di questo obiettivo di breve termine.

Obiettivi economici e gestionali

- conseguire - anche attraverso una diversa composizione degli investimenti complessivi - una redditività netta del patrimonio compresa tra il 2,50% ed il 3,50% (3,30-4,30% in precedenza) pur rilevando che la volatilità dei mercati e la modesta redditività attuale degli investimenti impone prudenza e rende difficile stilare un piano triennale che non abbisogni di probabili rimodulazioni in corso d’opera, in presenza di una crisi economico-finanziaria di cui non si vede ancora la fine;

- contenere le spese ordinarie di gestione entro un tasso annuo dello 0,50 -

0,70% del patrimonio;

- conseguire, al netto delle spese e degli altri oneri, un avanzo di gestione tra 2,00-2,80% (in precedenza 2,80-3,60%) del patrimonio;

- garantire l’integrità del patrimonio con accantonamenti a riserve nella misura dello 0,50 - 0,80% (in precedenza 0,60-1,30%) del patrimonio;

- mantenere un tasso di erogazioni deliberate tra 1,50% e 2,00% (2,2-2,3% in precedenza) del patrimonio, utilizzando, se necessario, il fondo di stabilizza-zione delle erogazioni per conseguire l’obiettivo di un tasso medio di erogazioni nel triennio di euro 3.000.000 per anno (4.000.000 in precedenza).

L’economia reale

Il 2011 si è caratterizzato per una sensibile riduzione dei ritmi di espansione della crescita economica mondiale e del commercio internazionale.

Pur nell’ambito di divergenze nelle modalità e nell’intensità di manifestazione tra le diverse aree geografiche, vi è però una radice comune, rappresentata ancora dalla crisi finanziaria e dai suoi risvolti che, a partire dalla fine del 2007, condiziona il comporta-mento degli operatori economici e finanziari. Le autorità politiche si sono impegnate, anche se con diversi gradi di efficacia, nella ricerca del miglior mix di politiche monetarie e fiscali nel tentativo di sanare gli squilibri di breve termine e creare le condizioni per una maggiore stabilità nel medio-lungo termine. Se negli Stati Uniti le ragioni della minore crescita economica risiedono prevalentemente nei problemi del mercato del lavoro e nelle difficoltà di rilanciare i consumi, nell’area Uem l’evoluzione della crisi dei debiti sovrani ha accompagnato l’area sull’orlo della recessione. Condizione che, comunque, dovrebbe concretizzarsi nel 2012, anno in cui è previsto il punto di minimo dell’attuale ciclo economico mondiale.

Se analizziamo nel dettaglio le principali aree geografiche notiamo comunque differenze nei ritmi di crescita ed espansione.

Negli Usa il Pil reale per l’intero 2011 dovrebbe essere cresciuto dell’1.7 per cento, in deciso rallentamento rispetto al 3 per cento del 2010. Come anticipato, le difficoltà del mercato del lavoro e la conseguente stagnazione del reddito delle famiglie sono stati i fattori principali della debolezza dei consumi interni. Il mercato immobiliare si è mostra-to ancora debole pur nell’ambimostra-to di un miglioramenmostra-to negli ultimi mesi dell’anno, che ha favorito una leggera accelerazione del Pil rispetto ai trimestri precedenti. A fronte di una congiuntura che appare più favorevole e che potrebbe determinare per il 2012 un incremento del ritmo di crescita, permangono tuttavia alcune debolezze strutturali legate agli squilibri interni ed esterni che determineranno nei prossimi anni una crescita strut-turalmente inferiore a quella potenziale.

Nell’Uem le difficoltà delle istituzioni nella gestione della crisi del debito sovrano, oltre ad intensificare le difficoltà dei mercati finanziari, hanno condizionato le scelte di politica economica e il clima di fiducia di famiglie e imprese. Già nel terzo trimestre il Pil si era contratto non solo in alcuni paesi periferici dell’Unione ma anche in Belgio e Olanda.

Il calo dell’attività economica registrato anche negli ultimi tre mesi dell’anno ha portato diversi paesi nella situazione di recessione tecnica (due trimestri consecutivi negativi).

La crescita media del Pil nel 2011 dovrebbe attestarsi all’1.5 per cento rispetto all’1.8 per cento dell’anno precedente.

L’economia italiana, dovrebbe aver registrato una crescita media dello 0.4 per cento dopo l’1.4 per cento del 2010. In Italia gli andamenti degli ultimi trimestri evidenziano

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già una recessione tecnica, che sarà destinata a protrarsi anche nel 2012 in larga misura per gli effetti delle politiche di riequilibrio dei conti pubblici. Inoltre, la crisi di fidu-cia degli operatori economici e finanziari, anche in relazione alle perduranti difficoltà sui mercati finanziari e creditizi, avranno un effetto negativo sulla domanda interna.

In Giappone l’attività produttiva nel settore industriale si è ulteriormente indebolita negli ultimi mesi dell’anno: oltre alle problematiche di carattere globale, anche l’apprezzamen-to dello yen ha condizional’apprezzamen-to il rallentamenl’apprezzamen-to della domanda estera. Il Pil nell’intero 2011 dovrebbe quindi essersi ridotto dello 0.9 per cento, dopo il +4.5 per cento del 2010.

In chiave prospettica, nessuna tra le economie industrializzate sembra in grado di traina-re l’economia mondiale, anche per i limiti alla ctraina-rescita ctraina-reati dalle politiche di bilancio restrittive. Al tempo stesso, le economie emergenti si trovano comunque nella situazione di adottare politiche restrittive di riequilibrio delle componenti di crescita: quindi, pur nell’ambito di tassi di crescita ancora piuttosto sostenuti, aumentano i rischi di uno sgon-fiamento ciclico più veloce rispetto a quello auspicato.

In definitiva, nel contesto delineato, allo stato attuale non sembra profilarsi il rischio di una recessione di tipo globale. Appare, invece, ipotizzabile un rallentamento ciclico, presumibilmente circoscritto al 2012. Comunque, è necessario non trascurare le variabili che potrebbero condizionare negativamente lo scenario internazionale ipotizzato. In parti-colare, la debolezza dell’Europa, potrebbe diventare anche più marcata se si verificassero nuove battute d’arresto nel già lento e accidentato processo istituzionale per la risoluzione della crisi, con effetti sui mercati finanziari mondiali.

Nella tabella seguente sono mostrati i tassi di crescita annuale delle principali variabili macroeconomiche internazionali (in alcuni casi per il 2011 si tratta di stime Prometeia).

Le principali variabili internazionali (var.% media annuale) 2010 2011

Pil reale mondiale 5.2 3.7

Commercio internazionale 15.5 6.5

Prezzo in dollari dei manufatti 0.4 8.4

Prezzo brent: $ per barile - livello medio 79.9 111.6

Tasso di cambio $/€ - livello medio 1.33 1.39

Inflazione al consumo 2010 2011

Usa 1.6 3.2

Fonte: Thomson Reuters, elaborazioni e dati previsionali Prometeia

I mercati finanziari

La dinamica dei mercati finanziari nel 2011 è stata caratterizzata da frequenti episodi di turbolenza che hanno visto i momenti di massima tensione nelle fasi di mag-giore difficoltà di gestione dei debiti pubblici dell’area Uem.

Le tensioni sui debiti sovrani hanno progressivamente coinvolto un maggior numero di paesi dell’Uem e anche il Portogallo, dopo la Grecia e l’Irlanda, ha dovuto far ricorso al sostegno internazionale per il rifinanziamento del proprio debito.

Anche dopo la definizione delle misure di sostegno dei paesi in difficoltà, che preve-devano l’estensione della capacità effettiva di prestito dell’European Financial Stability Facility (Efsf) a 440 miliardi di euro, grazie a un aumento delle garanzie fornite dai singoli stati membri, e la istituzione dell’Esm - European stability mechanism - in coincidenza con la fine del mandato della precedente Facility, non si sono attenuate le tensioni.

Gli spread decennali rispetto al Bund dei paesi periferici, incluse Italia e Spagna, hanno continuato ad aumentare, insieme ai CDS sui titoli sovereign, raggiungendo per alcuni paesi i nuovi massimi storici dall’introduzione dell’euro.

L’andamento negativo del mercato del debito sovrano ha penalizzato in particolare i titoli bancari, sia azionari sia corporate, soprattutto dell’Uem. Ai timori per l’esposizione delle banche europee ai titoli di Stato della Grecia si sono sommate le tensioni sui titoli degli altri paesi periferici, che rappresentavano una quota ben più importante dei portafogli titoli delle banche. Le emissioni bancarie hanno evidenziato un aumento dei rendimenti su tutte le scadenze, che è stato più accentuato sia per le scadenze lunghe sia per i titoli con basso rating o bassa seniority. Le emissioni di società non finanziarie di paesi non periferici sono state premiate dal mercato con performance migliori proprio a partire dai mesi estivi.

Nonostante l’accordo a luglio per un nuovo piano di aiuti alla Grecia, mediante un altro prestito da 109 miliardi di euro - tramite l’European Financial Stability Facility (Efsf) e il Fmi - a tassi più bassi e con tempi di rimborso più lunghi, e le misure per fermare il contagio con la riforma dell’European Financial Stability Facility, i titoli di Stato dei Paesi periferici hanno continuato a soffrire per tutta la seconda metà del 2011 - in parte anche per la decisione presa nel Summit di luglio di coinvolgere il settore privato nella ristrutturazione del debito greco.

Il contesto di debolezza delle prospettive macroeconomiche, di difficoltà nel trovare una soluzione definitiva alla crisi del debito sovrano e di minori pressioni inflazionistiche che ne sono derivate hanno indotto la Banca Centrale Europea a riportare i tassi ufficiali all’1 per cento e ad ampliare le misure di supporto alla liquidità, in particolare con l’introdu-zione di un’asta con scadenza a tre anni, in cui sono stati poi allocati fondi per quasi 500 miliardi di euro, contribuendo ad allentare le tensioni sui mercati finanziari.

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Liquidità e strumenti a breve Uem 0,8 1,4 0,2

Variazioni % in valuta locale (indici total return)

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Forte beneficio ne è stato tratto da titoli governativi dell’area euro, in particolare Spagna e Italia, che hanno visto contrarsi il differenziale di rendimento rispetto al bund tedesco.

In questi paesi, se la riduzione dello spread si è avuta su tutta la struttura a termine dei rendimenti, l’impatto maggiore è stato registrato sulle scadenze brevi, ripristinando anche una condizione di normalità venuta meno proprio nei momenti di maggior tensione.

Questo miglioramento delle condizioni del mercato non è stato però sufficiente a riassor-bire le perdite cumulate nell’anno: sui titoli di Stato italiani si sono registrate perdite di oltre il 10%, soprattutto sulle scadenze a più lungo termine; l’intero indice obbligazionario dell’area Uem ha registrato un rendimento complessivo solo leggermente positivo grazie alla dinamica favorevole dei titoli di Stato tedeschi, ma in ogni caso molto inferiore a quello degli altri paesi extra-Uem.

Se nella prima metà del 2011 i mercati azionari avevano manifestato una dinamica mediamente positiva, pur con fasi alterne, nel corso dei mesi estivi i sempre più concreti rischi di contagio della crisi dei debiti pubblici hanno favorito una crescente sfiducia negli operatori finanziari, che ha colpito in particolare i mercati azionari e dei titoli di Stato dei paesi periferici, con conseguente nuova fase di generale avversione al rischio.

Il deciso ribasso registrato nel corso dei mesi estivi ha impattato in maniera evidente su tutti i mercati, condizionando negativamente le performance del 2011.

Mentre negli Stati Uniti il recupero dell’ultima parte dell’anno ha consentito di annul-lare le perdite accumulate nei mesi precedenti, sui mercati dell’area Uem si registrano ovunque perdite a doppia cifra. In particolare, l’indice azionario italiano ha subito una flessione dei prezzi di oltre il 20%, quindi superiore alla media dei paesi dell’area Uem.

Forte impatto è stato provocato dalla pressione sui titoli bancari che hanno raggiunto nuovi minimi storici.

Come si evince dalla tabella sopra riportata, l’indice azionario americano ha generato una performance (comprensiva dei dividendi ed espressa in valuta locale) pari al 2,1%.

Se si eccettua l’indice azionario del Regno Unito, che nel 2011 ha avuto una per-formance appena negativa (-2,2%), tutte le altre principali aree economiche hanno registrato ribassi a doppia cifra. Anche l’indice che si riferisce ai paesi emergenti ha mostrato una perdita del 18,2%.

Ad inizio 2012 la sensazione di una maggiore coerenza nelle scelte politiche dell’area Uem, associata ad un miglioramento dello scenario economico statunitense, possibile preludio di una ripresa del ciclo nei prossimi anni anche nelle altre aree avanzate, sembra aver modificato il clima sui mercati finanziari.

I mercati azionari hanno registrato un sensibile miglioramento e anche gli spread sui titoli di Stato dell’area Uem si sono ridotti, soprattutto nel caso italiano e spagnolo, anche in funzione delle misure a sostegno del contenimento del deficit.

Supporto alla performance dei titoli di stato italiani e spagnoli è giunto dalle scelte di politica monetaria adottate dalla Banca Centrale Europea, volte a fornire liquidità al sistema economico e alle banche dell’area. I maggiori benefici sono stati ottenuti dalle banche, che si sono potute rifinanziare al tasso dell’1% sulla scadenza di 3 anni oltre che impiegare asset obbligazionari a minor merito di credito come garanzia a fronte di operazioni di finanziamento.

Le perplessità permangono invece sul fronte della crescita, in connessione ai timori che politiche fiscali eccessivamente restrittive possano penalizzare le capacità di crescita e di ripresa, condizioni necessarie per il ripristino di un sentiero di maggiore stabilità e normalità.

La strategia di investimento adottata

Nella seconda parte del 2011 i mercati finanziari sono stati caratterizzati dall’ag-gravarsi della crisi dei debiti sovrani dell’area euro. Comparsa nei paesi dell’area definiti come “periferici”, la crisi si è poi propagata, con diversi gradi di intensità, a tutte le eco-nomie sviluppate. Nei mesi estivi anche gli Stati Uniti hanno dovuto gestire una verifica del tetto massimo di debito che ha causato una storica riduzione del merito di credito - da parte delle agenzie di rating - dei titoli emessi dal tesoro USA.

Iniziata come una crisi finanziaria, gli effetti si sono propagati all’economia reale a causa di politiche fiscali restrittive, necessarie per riportare i bilanci degli stati in sicurezza, ma anche a causa di una gestione politica incerta da parte delle autorità dell’area euro.

Gli effetti sui portafogli e sugli investimenti finanziari sono stati intensi e accentuati anche dalla elevata volatilità tipica delle fasi di mercato ribassiste, cioè accompagnate da vendite diffuse su tutti gli strumenti finanziari. Anche i benefici della diversificazione di portafoglio, uno dei principi cardine di una sana e prudente gestione dei portafogli finanziari, sono stati parzialmente annacquati dall’ondata di vendite che ha colpito in modo generalizzato tutti gli strumenti di gran parte dei mercati finanziari: fenomeno che si esprime con il concetto tecnico di “correlazione positiva tra le asset class”. Se poi consideriamo che in questo contesto storico anche le obbligazioni emesse dai governi, da sempre considerate come un porto sicuro per i risparmi - e per questo definite “prive di rischio” - sembrano aver smarrito la loro natura prudenziale, si comprende la portata della crisi finanziaria e l’impatto sui portafogli finanziari, di investitori istituzionali e non.

Già ad inizio anno, la presenza di criticità e di dubbi sulle prospettive economiche e finanziarie ha indotto la Fondazione a mantenere una strategia prudente, sulla scia di quanto fatto negli anni precedenti.

L’obiettivo è stato quello di costruire un portafoglio a bassa volatilità e poco sensibile alla dinamica dei mercati. Ciò ha consentito di difendere il patrimonio dalle maggiori perdite che una più cospicua esposizione ai mercati finanziari maggiormente volatili avrebbe potuto determinare. Questo approccio è stato perseguito sia tramite gli investi-menti diretti sia tramite quelli in delega, cioè gestiti da terzi per conto della Fondazione.

Quindi, in linea con la impostazione strategica degli esercizi passati, è stata privilegiata la componente di portafoglio “core”, il cui obiettivo è di stabilizzare i rendimenti e di atte-nuare l’impatto di mercati finanziari negativi. Gli investimenti “satellite”, che, assumendo un legame più forte con il comportamento dei mercati, hanno l’obiettivo di rivalutare il valore degli investimenti su di un orizzonte temporale medio-lungo, sono stati minoritari e hanno privilegiato strumenti che puntano ad un controllo della volatilità di mercato e a contenere le perdite anche in momenti particolarmente negativi.

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Indici azionari

Variazioni % in valuta locale (indici total return)

fonte: Thomson Reuters, elaborazioni Prometeia

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Per questa ragione, come sarà evidenziato negli approfondimenti successivi, anche i portafogli gestiti da terzi hanno mantenuto una esposizione netta in investimenti azio-nari contenuta.

Gli investimenti obbligazionari hanno rappresentato la principale asset class di porta-foglio, sia diretto che in delega. La necessità di contenere la volatilità di portafoglio ha portato nel complesso a privilegiare le scadenze brevi, in base al principio che più rav-vicinata è la scadenza, minore è il rischio che caratterizza l’investimento obbligazionario (primo fra tutti quello di incorrere nel fallimento della controparte che ha emesso quella specifica obbligazione).

Per quanto riguarda i mandati in delega, oltre alle gestioni obbligazionaria flessibile di Eurizon e quella obbligazionaria di Banca di Cividale, che investono direttamente in titoli obbligazionari, ad inizio anno è stata attivata una nuova gestione, sempre tramite Banca di Cividale, che investe in strumenti del risparmio gestito. Circa due terzi di questo mandato sono stati investiti in fondi obbligazionari, sia di tipo corporate sia governativi globali, men-tre un terzo è stato investito tramite strategie a ritorno assoluto. Quest’ultima strategia che è stata la principale fonte “beta”, cioè di esposizione ai mercati azionari, è stata ridotta nella seconda parte dell’anno, a favore di investimenti diretti della Fondazione, sia per ridurre la volatilità del portafoglio sia per aumentare, in chiave prospettica, i flussi cedolari incassati.

In sintesi, il patrimonio affidato in delega di gestione ammonta a fine 2011 a circa 49,5 milioni di euro (il 69% dell’attivo finanziario e il 28% dell’attivo complessivo che com-prende anche le partecipazioni strategiche).

Il contributo generato dai portafogli finanziari gestiti da terzi è stato inferiore agli obiettivi e negativo in termini assoluti. Questo risultato è stato quasi interamente compensato dai flussi reddituali (cedole e dividendi) generati dagli investimenti diretti della Fondazione.

Gli investimenti diretti della Fondazione sono ripartiti tra emissioni obbligazionarie, titoli azionari ad elevato dividendo atteso e appartenenti al settore delle utilities e dell’energia, un fondo di fondi di private equity e un fondo immobiliare.

Il fondo di private equity investe in aziende in base alle prospettive che il gestore del

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