• Non ci sono risultati.

Il tipo di programma di cui al punto a) non lascia nulla al caso e prevede pochissime improvvisazioni da parte di persone non diretta-

mente responsabili della impostazione del piano. Questo programma ha una coloritura fortemente amministrativa. Molto dipende dal modo come il programma stesso viene iniziato ed eseguito, per le occasioni che può offrire ad un processo democratico con il quale le persone interessate, cioè i membri della comunità in questione, potranno iden­ tificare se stessi.

Un programma di questo tipo dovrà basarsi necessariamente su dati obbiettivi e sugli aspetti coscienti della vita comunitaria. Le sue

pos-20 L . H IJM A N S

sibilità di offrire dei complessi processi psicologici e sociali sono lim i­ tate, anche se è basato sulla ricerca e sulla valutazione di forze con­ trarie o favorevoli ai cambiamenti della comunità. E’ ovvio che un tale programma può essere valido solo nel campo dello sviluppo della comunità se:

— sia vasto;

— coerente (e cioè in quanto abbia mezzi e finalità precise e vi sia interdi­ pendenza tra le varie parti);

— sia attuato con un efficiente apparato amministrativo di controllo e di valutazione;

— abbia a disposizione mezzi adeguati dal punto di vista organizzativo, lavoratori qualificati, mezzi finanziari e attrezzature.

Un esempio di questo tipo di programma si ha in Olanda, dove si sono avuti nuovi insediamenti di popolazioni nelle zone sottratte al mare. Senza dubbio esistono molti esempi di ricostruzione o di riorganizza­ zione nelle zone dove il necessario apparato amministrativo, gli ele­ menti direttivi, le attrezzature educative e scolastiche sono inadeguate e devono esser create ex novo se si vuole che accompagnino il totale sviluppo della zona.

2. Il tipo di programma indicato alla lettera b) offre molte più possi­ bilità allo sviluppo spontaneo ed alla improvvisazione. D’altra parte si possono inoltre considerare con estrema leggerezza i molteplici pro­ blemi che possono sorgere in seno alla comunità e quindi essere im­ preparati a risolverli.

Se la politica è su base nazionale, può interessarsi esclusivamente allo sviluppo economico e strutturale, elaborando misure finanziarie ed am­ ministrative a lunga scadenza e stabilendo le regole essenziali per la procedura ed il controllo. Sebbene una chiara enunciazione di politica generale possa ben determinare la sfera d’azione e lo scopo di un par­ ticolare progetto di sviluppo della comunità, tuttavia lascia la possi­ bilità di scegliere meglio le alternative da seguire « dal basso ». Secondo me, lo sviluppo di villaggi indiani in alcune regioni ed alcuni progetti di Israele sono basati su questo tipo di programma generale. 3 3. Il terzo tipo di « programma » di cui al punto c) può essere meglio applicato alla programmazione di particolari progetti di sviluppo in regioni limitate. Naturalmente, questo « preparare il terreno » presup­ pone una politica generale che garantisca l’approvazione e l’appoggio del programma « dall’alto ». Se si tratta di un processo di mutamenti

PIANIFICAZIONE SOCIALE 21

sociali in una zona limitata, questo modo di preparare il terreno può essere preferibile ad una programmazione dettagliata di tutti i passi da fare descritti nel punto a). Se però si tratta di un grande progetto che abbraccia un vasto campo di attività, questo tipo di programma è possibile soltanto se si può inquadrare in una politica di assistenza già in atto. In questo ultimo caso ha funzione di:

— interpretazione e, se necessario, modifica della politica generale di assi­ stenza a vantaggio del particolare progetto di sviluppo;

— definizione, a breve o a lunga scadenza, degli obiettivi per quanto ri­ guarda la effettiva condizione della zona e controllo degli scopi del pro­ gramma e del bisogno di assistenza tecnica dal di fuori;

— valutazione delle forze che sono Capaci di favorire o di contrastare i mutamenti nella comunità;

— esame delle possibilità di iniziativa, finanziamento e guida in seno alla comunità, ecc.

Probabilmente avrete notato che ho usato i termini «p ro getto » e «p rocesso», indipendentemente dalla questione se un programma è in atto, e in questo caso, di quale tipo di programma si tratti. Poiché qui si prende in esame l’ultimo problema, abbiamo bisogno di alcuni termini, il cui significato non sia controverso, allo scopo di evitare per quanto possibile ogni confusione. «P ro getto » viene usato per indi­ care qualsiasi azione che tenda allo sviluppo della comunità. Parlan­ do dei cambiamenti effettivi che hanno luogo nei vari aspetti della vita comunitaria, si usa la parola « processo ».

Alcune esperienze di un programma olandese di « programmazione

sociale » in una zona di sviluppo

« Programmazione sociale » è un altro termine che, per quanto diventato di moda, è difficile definire nei suoi rapporti con lo sviluppo della comunità. Nei testi correnti si danno molte definizioni ma la maggior parte sottolinea l’aspetto di programmazione solo in un contesto economico-amministrativo. Non sappiamo se in altri paesi i programmi di sviluppo della comunità siano intesi in maniera che gli elementi essenziali dei mutamenti sociali, tramite la collaborazione volontaria e gli sforzi dei singoli non siano subordinati agli schemi economici e tecnologici, come la rapida industrializzazione, la riforma fondiaria, eccetera. Nelle zone di sviluppo olandese si sono con­ dotti degli esperimenti in questo campo, a cura del governo centrale. Furono innanzi tutto esaminati i problemi economici: disoccupazione e basso tenore di vita. Questi problemi furono risolti mediante la industrializzazione ed il miglioramento del livello di vita generale (strade, edilizia, scuola, ecc.). Ma quando lo sviluppo sistematico di quelle zone è stato pianificato, sono stati presi in esame anche i problemi sociali e culturali. Nell’attuazione della

22 L . H IJM AN S

propria politica il governo centrale si avvalse di una indagine sociale, ed anche dei dati economici già disponibili.

Dal punto di vista sociale, si cercò di indirizzare questa politica verso due aspetti dello sviluppo sistematico di zone rurali piuttosto isolate, che risen­ tono ancora gli effetti delle tristi condizioni del passato. Questi aspetti pos­ sono essere riassunti nel seguente modo:

1) le condizioni sociali e psicologiche che porterebbero ad una rottura del ristagno economico, ed ad un clima sociale favorevole alla industrializzazione; 2) le possibili con segu en z e sociali e psicologiche del rapido mutamento nel­ la sfera economica e nella vita quotidiana.

Un terzo elemento emerse dal lato pratico, ossia la mancanza in queste zone di attrezzature moderne nel campo sociale e dell’istruzione, come centri so­ ciali nei villaggi e nei quartieri, clubs giovanili, teatri, biblioteche, scuole e campi sportivi, ecc.

Questo aspetto non venne sottolineato nel momento in cui il governo pre­ cisò la sua politica ma divenne ben presto punto essenziale, una volta che le operazioni ebbero inizio, innanzi tutto perchè richiedeva un appoggio finanziario diretto, in secondo luogo perchè si trattava di una necessità tan­ gibile, sentita dalla popolazione.

Allo scopo di stimolare e rendere possibile l’azione coordinata relativamente a questi aspetti sociali, vennero adottate alcune misure di natura più o meno sperimentale; fu concesso l’appoggio finanziario, vennero elaborate delle di­ rettive amministrative.

Questa politica aveva molti lati in comune con alcuni esempi di programmi di sviluppo della comunità in altri paesi. In ogni provincia furono istituiti dei comitati regionali di programmazione sociale i quali erano composti di rappresentanti di enti statali, provinciali e comunali, di enti privati e di altri gruppi importanti che assumevano delle responsabilità sociali nelle zo­ ne di sviluppo. La valutazione dei bisogni e delle risorse nel campo dell’as­ sistenza sociale in ogni zona doveva aver luogo in un processo di coopera­ zione, attraverso questi comitati, che avevano il riconoscimento ufficiale di enti di consulenza presso il governo provinciale, con l’aiuto di un segretario nominato a tale scopo, e dei consigli provinciali sociali.

L’introduzione di tale iniziativa ad ogni modo fu molto ostacolata fin dal­ l’inizio da parecchie circostanze la cui influenza era difficile da prevedere in sede sperimentale.

a) Gli scopi originari di cui sopra furono soffocati da una serie di regole e regolamenti preesistenti, complicati e non ben coordinati, nei quali pre­ dominava talmente un dettagliato sistema di concessioni governative che il processo di programmazione sociale in molti comitati regionali si ridusse spesso ad una serie di obiettivi materiali. Rimaneva poco margine per un sereno confronto con le reali necessità non materiali, ed alla possibilità di conoscenza reciproca dei membri dei comitati. La concorrenza tra gruppi di interesse costituito ridusse in molti casi la partecipazione dei membri della comunità.

b) Esisteva grande incertezza sul ruolo dello schema di programmazione sociale rispetto al programma di ricostruzione economica imposta dalle

au-PIANIFICAZIONE SOCIALE 23

torità centrali e svolto da enti statali altamente specializzati, assolutamente estranei ai comitati di programmazione sociale.

c) Lo schema di programmazione sociale fu concepito a livello nazionale e da questo livello doveva quindi essere introdotto nelle zone di sviluppo. L’idea di fondo di usare metodi di sviluppo della comunità si perse per strada. Questo non sorprende se si pensa che lo schema non rispondeva inizialmente ad un desiderio espresso dalla popolazione, e che doveva raggiungere quella popolazione tramite un sistema di comunicazione che non era rispondente al linguaggio dello sviluppo della comunità, ma tendeva a trasformarlo in termini di obiettivi materiali a breve scadenza, premiando con particolari stanziamenti la rapidità dell’azione.

d) L’impostazione realmente vasta e già diffìcile da mettere in atto a livello nazionale, divenne impossibile man mano che ci si avvicinava alle parti­ colari zone. D’altra parte i piani economici erano stati elaborati senza con­ siderare gli sviluppi futuri del settore del benessere sociale, mentre poi i comitati regionali di programmazione sociale trovarono difficilissimo im­ possessarsi del loro campo specifico e furono coinvolti dalla interdipendenza dei vari problemi economici-sociali e strutturali ai quali non potevano far fronte in modo efficace, per esempio la progettazione dei nuovi centri edi­ lizi delle zone di industrializzazione, la scelta di questi centri con le conse­ guenze per i disoccupati, fattori che influenzano la mobilità sociale, ecc. e) Va considerato inoltre il fatto che il paese all’insieme è altamente svi­ luppato, con antica storia di amministrazione pubblica e di organizzazioni private. La struttura è complessa, radicata nella storia e nella tradizione e di conseguenza resistente a tentativi sperimentali di cooperazione, che po­ trebbero influire sui diritti e sui doveri prestabiliti. In questa struttura anche nelle zone rurali meno sviluppate non vi è posto per un ente che consideri i problemi esistenti in modo nuovo. Quando cerchiamo di crearne uno come nel caso dei comitati per la pianificazione regionale troviamo che si trasfor­ ma a poco a poco in un gran numero di comitati eterogenei ognuno dei quali reclama per sè la responsabilità di qualche aspetto del benessere della comunità nella zona. Per essere democratico, il comitato doveva tener conto seriamente di questi meriti, con il risultato che uno stragrande numero di enti, di servizi specializzati e di gruppi di interessi costituiti dovevano essere presi in considerazione, e tutti volevano il riconoscimento delle loro opi­ nioni circa il benessere della popolazione.

Essendo questa popolazione relativamente isolata ed arretrata, solo una pic­ cola percentuale di persone potevano essere considerate come effettive rap­ presentanti delle comunità interessate.

Gran parte di esse erano membri del consiglio, funzionari di enti provin­ ciali, il cui campo di attività copriva un territorio più vasto di quello della zona di sviluppo. Gran parte di essi inoltre aveva sede nel capoluogo pro­ vinciale fuori della zona. In questa situazione era quasi impossibile da parte delle autorità provinciali costituire un comitato che potesse operare tanto più che esse non avevano alcuna esperienza sui metodi dello sviluppo della comunità nè idee chiare circa i compiti futuri dei comitati stessi così dovettero fare vari compromessi e persero la fiducia quando videro che la cosa non andava avanti.

24 L. HIJMANS

Esprimiamo questi concetti, non come critica della politica o del modo di preparare il terreno (ritengo che l’esperienza olandese possa essere consi­ derata una dimostrazione di questo tipo di programma). E infatti troppo presto criticare l’esperimento che è ancora nella fase della prova e riprova ed io sono troppo interessata ad esso per esprimere dei giudizi obiettivi. Mi è sembrato che tentare una analisi delle difficoltà di impostazione dello sviluppo della comunità possa fornire degli elementi che non siano soltanto tipici della situazione olandese.

Programmi di sviluppo della comunità in società molto organizzate ed industriali

E’ possibile ed efficiente l’approccio dello sviluppo della comunità in un paese ad alto sviluppo industriale con un sistema centralizzato di program­ mazione economica?

Le difficoltà sopraelencate potrebbero far pensare sulle prime che i pro­ grammi di sviluppo della comunità siano utili soltanto nei paesi in cui un completo mutamento degli aspetti della vita e del benessere della popola­ zione sia una necessità ovvia e in cui sia chiaro per tutti gli interessati che ciò possa essere realizzato solo con aiuti esterni, combinati con un processo educativo dal basso. Questa teoria viene enunciata dagli esperti i quali ag­ giungono che in società altamente organizzate e con un moderno sistema di vita esiste un sempre maggior bisogno di un tipo di comunità rivolto ad una migliore cooperazione e partecipazione nelle comunità locali o regio­ nali, ed anche in seno ai gruppi principali della popolazione. Essi comunque preferiscono chiamare quest’ultimo tipo di lavoro « organizzazione della co­ munità » e se ne potrebbe dedurre che in questo contesto non è tanto que­ stione di programmi quanto di liberazione dall’eccesso di programmazione istituzionale, di riinquadramento dell’« uomo dell’organizzazione » entro uno schema coerente di relazioni umane.

A parte il problema teorico della terminologia, può essere ingiusto concen­ trare tutte le possibilità offerte dai metodi di sviluppo della comunità sui cosiddetti paesi di nuovo sviluppo. Da un attento esame può risultare che tutti i paesi altamente industrializzati hanno dei punti deboli in cui le con­ dizioni di vita sono meno favorevoli che nel resto del paese, il che è dovuto ad un gran numero di ragioni. Gran parte di questi paesi hanno una eco­ nomia complessa e vulnerabile, un sistema di previdenza sociale ed una comunicazione di massa che raggiunge le regioni più isolate; quindi le con­ dizioni relativamente sfavorevoli in alcune parti del paese influenzano l’in- sieme e diventano la preoccupazione sempre crescente delle autorità nazionali. Qui, come nei villaggi indiani ed in altri progetti di sviluppo i tentativi di migliorare le condizioni tecniche ed economiche imponendole dall’alto sono stati spesso seguiti da insuccesso. Le autorità olandesi avevano già imparato la lezione prima di tentare l’esperimento di programmazione sociale. Alcuni progetti di riforma agraria in zone rurali isolate sono stati praticamente an­ nullati pochi anni dopo essere stati portati a termine in modo pur veramente

PIANIFICAZIONE SOCIALE 25 efficiente. La popolazione sentiva le nuove attrezzature ed i metodi di coltura come estranei e quindi li trascurò fino a quando non ritrovò il suo ritmo con un ritorno ai vecchi metodi. E non si trattava di analfabeti o di sciocchi; era gente che vedeva il vantaggio dei nuovi metodi, ma 1 rapidi cambia­ menti imposti dagli esperti tecnici dall’esterno richiamavano una latente resi­ stenza ai mutamenti. Anche su scala ridotta troviamo che luomo moderno dell’Europa occidentale pur così altamente sviluppata non e diverso dai membri delle comunità di altri paesi che noi incontriamo leggendo descri­ zioni di insuccessi o di successi di progetti di sviluppo della comunità; nelle zone di sviluppo olandesi esisteva ad esempio la necessita di edifici comu­ nali efficienti. Alcuni di questi furono dati al villaggio praticamente gratis; altri (molto più modesti) furono costruiti con la collaborazione delle popo­ lazioni, nonostante gravi difficoltà e con notevoli sacrifici sia materiali che psicologici. Il primo tipo è in gran parte dei casi indicato con molto indif­ ferenza6 come la « casa del borgomastro » o « la casa del Signore tal dei tali » mentre il secondo tipo viene invariabilmente mostrato ad ogni visi­ tatore come « il nostro municipio » ed è oggetto di cure particolari. Il primo tipo richiede spesso le cure di un custode che protegga 1 edificio dall usura, mentre nessuno toccherebbe il secondo...

Tutto ciò potrebbe far concludere che i programmi di sviluppo della comu­ nità dell’uno o dell’altro tipo sono necessari per aiutare certe zone di paesi sviluppati a tenersi al livello dei cambiamenti complessi e dinamici delle zone più fortunate2. Se accettiamo questa conclusione, rimangono le diffi­ coltà visibili nell’esperimento olandese e forse altre che non possiamo an­ cora vedere, ma che sono proprie della struttura di questo tipo di società. L’esempio olandese mostra come noi ci troviamo di fronte ad un dilemma: un programma fondato sui princìpi basilari dello sviluppo della comunità dovrà essere un programma a lungo termine, che non potrà essere molto accelerato qualora lo richiedano le necessità economiche; nello stesso tempo la politica nazionale non può rallentare il conseguimento dei propri obiettivi e cambiare il suo apparato esecutivo nell’interesse di un processo in una certa misura imprevedibile che viene svolto in una zona non vitale per 1 eco­ nomia nazionale. Inoltre, come risulta da alcuni studi su questo problema l’altruismo è sospetto nella nostra società e non abbiamo ancora elementi sufficienti sui programmi di sviluppo della comunità in questi paesi che di­ mostrino che i programmi stessi, alla fine, sono vantaggiosi.

Ogni programma elaborato in tali condizioni dovrà prendere in considera­ zione questi fattori limitativi ed è meglio fare ciò con coscienza e metodo in precedenza, piuttosto che essere costretti ad arrivare a continui compro- messi quando il programma sia stato messo in opera ma risulti troppo idea- listico. Bisognerebbe poter disporre di una maggiore e più critica casistica, che confronti gli schemi originali ed i punti di partenza con la realta pra­ tica, perché ciò fosse possibile.

2 Vedere anche gli Atti del VII Congresso della Federazione Intemazionale dei Centri So­ ciali (Rotterdam, 1959) e R. Lip p it t, J. Watson, B. We s t l e y, La dinam ica d e l cam b ia, m en to pianificato, New York, 1958.

a Vedere vari articoli nell’International Review of Community Development, n. 4, 1959 e

26 L . H IJM A N S

Programmazione sociale e partecipazione comunitaria

Lo schema olandese e stato un tentativo di riunire due impostazioni che erano originariamente separate da procedure diversissime:

dal lato sociale, una politica relativamente non-direttiva attuata da nuovi organismi di consulenza, intesa a stimolare Fazione democratica coordinata e 1 auto-aiuto nella comunità;

sul piano economico, un sistema di misure e regolamenti ben de­ finiti elaborati dalle autorità centrali o diretti al pratico raggiungi­ mento di risultati concreti.

Teoricamente si potrebbe parlare di entrambe le impostazioni come di un programma di sviluppo delle comunità tenendo presente lo scopo ultimo, e cioè migliore tenore di vita in tutti i suoi aspetti per la popo­ lazione nel suo insieme; ma per rendere ciò praticamente attuabile,

ovià avere luogo un secondo processo meno spettacolare, ma essen­ ziale, complementare del programma di sviluppo in alcune zone spe­ ciali, e cioè una integrazione crescente e rinnovamento della sopra- struttura della pubblica amministrazione, lavoro sociale organizzato, e vita di gruppo istituzionalizzata.

A questo punto incontriamo di nuovo quegli esperti che distinguono tra sviluppo della comunità ed organizzazione della comunità. Mentre io sostengo che in alcuni paesi è necessario iniziare un processo di organizzazione della comunità a diversi livelli: locale, regionale, na­ zionale, come parte integrante delle tappe iniziali del programma di sviluppo.

I metodi di organizzazione della comunità possono quindi divenire strumento indispensabile nella « preparazione del terreno » per lo svi- uppo della comunità, un terreno molto più ampio di quello coperto da una zona particolare di sviluppo. In questo caso, i metodi dovreb- eio are parte del programma, anche se 1 iniziativa e la preparazione debbano essere delegate ad altri.

Qualche indicazione dei problemi che potrebbero essere affrontati col metodo di aprire la strada e tenere flessibile la struttura dell’assisten­ za ecmca e della comunicazione attorno ad un progetto di sviluppo

Documenti correlati