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LA PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA COME STRUMENTO DI CONCERTAZIONE; LINEE EVOLUTIVE E RICOSTRUZIONE COME FIGURA UNITARIA

Nel documento Informazioni legali (pagine 189-192)

Strumenti a carattere istituzionale e azioni decentrate per l’occupazione e

3. LA PROGRAMMAZIONE NEGOZIATA COME STRUMENTO DI CONCERTAZIONE; LINEE EVOLUTIVE E RICOSTRUZIONE COME FIGURA UNITARIA

La programmazione negoziata è disciplinata dalla l. 23 dicembre 1996, n. 662 e s.m.i., leg-ge che costituisce il tentativo meno episodico di disciplina organica degli istituti della concerta-zione [Ferrara 1999] ed il punto di arrivo di un decennio di esperienze nell’uso di questi nuo-vi strumenti in vari campi dell’azione amministrativa.

Per coglierne gli spunti innovativi, occorre premettere una riflessione generale sul tema delle forme e dei limiti della partecipazione dei privati ai procedimenti programmatori.

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Alcune figure di accordo sono previste anche dal capo terzo, relativo alla Protezione della natura e dell’ambiente, alla tu-tela dell’ambiente dagli inquinamenti ed alla gestione dei rifiuti, e sono: l’accordo previsto dall’art. 72 in merito al tra-sferimento di competenze sulle attività a rischio di incidente rilevante; l’intesa, accordo di programma o convenzione da stipularsi qualora l’attuazione dei Programmi regionali di tutela ambientale richieda l’iniziativa integrata e coordinata con l’amministrazione dello Stato o con altri soggetti pubblici o privati (art. 73); gli accordi di programma previsti dall’art.89, che riguardano la definizione del bilancio idrico, in relazione al trasferimento della gestione del demanio idrico, e la rea-lizzazione e gestione di opere di rilevante importanza e suscettibili di interessare il territorio di più regioni.

La legge generale sul procedimento (l. 241/90) all’art. 13 prevede infatti l’esclusione “nei confronti dell’attività della p.a. diretta all’emanazione di atti […] di pianificazione e program-mazione” dell’applicazione delle norme sull’intervento del privato nel procedimento.

Questo non vuol dire che il privato non possa in alcun caso intervenirvi, ma che tale possibilità è sottoposta a cautele particolari ed è limitata ai casi espressamente previsti dalla legge (ad es. nel caso dei piani urbanistici).

Ciò che invece era generalmente esclusa era la possibilità di regolare tale materia attraverso ac-cordi tra pubblica amministrazione e privati.

Tale esclusione è caduta proprio con l’introduzione dei vari accordi che oggi fanno parte della programmazione negoziata e che hanno segnato, in modo definitivo, l’ingresso dei privati (soggetti economici, rappresentanti delle categorie sociali ed altri esponenti della comunità lo-cale che di volta in volta ritengono di avere interesse ad aderirvi) nella funzione di program-mazione socio economica.

Non si può nascondere che questa scelta, fatta dalla legge prima ancora che dalla pubblica am-ministrazione, abbia comportato anche dei problemi di delicata soluzione.

Nel momento in cui i privati entrano in uno dei settori più delicati dell’agire pubblico, quale è quello della programmazione socio-economica, essi concorrono alla definizione stessa dell’in-teresse pubblico da perseguire, che così perde la sua connotazione aprioristica e diventa inte-resse “in formazione”, prodotto dall’incontro-confronto tra diversi soggetti pubblici e tra questi e i privati.

Le modalità della partecipazione dei privati dovrebbe essere quella della “partecipazione col-laborativa”, cioè volta ad un interesse comune, ma permettere che essi siano ammessi alla scelta stessa dell’interesse da perseguire implica che su di essa si riflettano i “rapporti di forza” esistenti di fatto nella società, a cui la pubblica amministrazione si sottomette nel momento in cui rinuncia all’uso dei suoi poteri autoritativi.

Quello che deve essere raggiunto è quindi un delicato equilibrio che tenga conto di tutti gli in-teressi coinvolti, attraverso l’applicazione delle più ampie garanzie di partecipazione, in modo da avere un dialogo effettivamente pluralista, ed il rispetto dei limiti esterni alla autonomia del-le parti, posti dalla del-legge.

Questi istituti hanno le loro radici in diversi settori dell’agire pubblico, tra i quali i principali so-no quelli della concertazione sindacale e dell’intervento pubblico nel Mezzogiorso-no.

Al primo settore sono da ricondurre i contratti d’area, previsti dall’Accordo per il lavoro del 24 settembre 1996, ed in generale tutte la intese, variamente denominate, tra governo e sindaca-ti per lo sviluppo dell’occupazione.

La maggior parte degli istituti confluiti nella programmazione negoziata trova però la sua ori-gine nella disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno.

È stata infatti la legge n. 64/1986, integrata dalla delibera CIPI del 16 luglio 1986, ad intro-durre l’istituto della contrattazione programmata come strumento negoziale avente i limitati fi-ni di regolare gli impegfi-ni economici assunti da soggetti pubblici e privati per la realizzazione di progetti di industrializzazione.

La introduzione di tali forme di cooperazione nasce quindi sostanzialmente come risposta alla necessità di reperire fondi nazionali che, come è noto, sono sempre necessari per poter acce-dere agli strumenti di finanziamento comunitari per le aree depresse.

In realtà con la contrattazione programmata si realizzava solo la progettazione di iniziative attuative di una programmazione economica predeterminata a livello nazionale, che aveva il suo punto di riferimento nel Programma triennale per il riequilibrio economico e produttivo del Mediterraneo.

È solo con il passaggio all’intervento ordinario (legge 7 aprile 1995 n. 104) che la contratta-zione programmata, assunto il nuovo nome di programmacontratta-zione negoziata, viene configurata come regolamentazione concordata tra più soggetti pubblici o tra il soggetto pubblico

tente e la parte o le parti pubbliche e private, per l’attuazione di interventi diversi, riferiti ad un’unica finalità di sviluppo, che richiedano una valutazione complessiva delle attività di com-petenza.

La p.n. diventa quindi un metodo per definire un programma di sviluppo, cui partecipano sog-getti pubblici e privati, che si articola e si attua attraverso numerosi strumenti subordinati, in-trodotti nel tempo dalle delibere del CIPE, che trovano nella l. 104/95 sistemazione e raziona-lizzazione.

La l. 104/95 è stata poi abrogata e sostituita dal predetto dall’art. 2, comma 203 e seguenti, della l. 23 dicembre 1996 n. 662, che ha ampliato il campo di applicazione e l’uso delle pro-cedure negoziali.

In realtà la nuova definizione è pressoché totalmente coincidente con quella precedente, infat-ti le uniche novità riguardano l’estensione della portata applicainfat-tiva dalle aree depresse a tutto il territorio nazionale e a tutti gli interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubbli-ci e privati.

Gli accordi regolati da questa legge sono: l’intesa istituzionale di programma, l’accordo di programma quadro, il patto territoriale, il contratto di programma ed il contratto d’area. La 662/96 ha previsto anche la possibilità di attivare in via amministrativa, con delibera CIPE, nuove tipologie negoziali, al di fuori di quelle previste dalla legge, flessibilizzando gli strumenti in ragione delle concrete necessità. Un caso in cui il CIPE sembrerebbe essersi avvalso di questa facoltà è quello degli accordi volontari, che sono stati introdotti nel nostro ordinamento per la prima volta attraverso le delibere relative alle misure di attuazione degli impegni di Kyoto. Ci troviamo dunque di fronte a sei tipologie di accordi (9), anche se in realtà il primo, chiama-to dalla legge “programmazione negoziata”, non dovrebbe essere considerachiama-to una figura au-tonoma, ma, come si è fatto finora, una definizione generale che riunisce tutti gli altri.

Questo è dimostrato dal fatto che, sebbene la definizione offerta dalla l. 662/96 ponesse dei dubbi per il modo in cui è formulata, la delibera CIPE 21 marzo 1997, che ha posto la discipli-na di dettaglio degli accordi, non l’ha fatto per questo, mostrando di non considerarlo udiscipli-na figu-ra a sé.

A conclusione del discorso che ci ha portato a delineare i tratti principali dell’evoluzione della p.n., si può dunque rispondere alla domanda relativa all’ipotizzabilità di una ricostruzione u-nitaria delle fattispecie disciplinate dalla l. 662/96.

Occorre al riguardo notare la connessione esistente tra tali istituti e le riforme iniziate nel 1990, che hanno introdotto modelli di attività amministrativa innovativi rispetto alle tradizionali formule programmatorie.

Così gli istituti di p.n. si inseriscono nel più generale quadro della programmazione statale, re-gionale e relativa alla partecipazione dello Stato italiano alle politiche comunitarie.

La caratteristica che differenzia tali istituti dalla restante attività programmatoria pubblica, è, però, come visto, la loro negozialità, che implica il passaggio da una gestione provvedimenta-le, e quindi unilaterale e autoritativa, dell’interesse pubblico, ad una gestione paritetica, attua-ta insieme ai soggetti economici e sociali, che pur rimanendo istituzionalmente estranei alla pubblica amministrazione, risultano tuttavia indispensabili per una corretta ed efficace azione di promozione dello sviluppo economico.

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Finora sono stati chiamati accordi volendo porre l’accento sulle modalità di conclusione e di individuazione dei contenu-ti, ma in questa sede non è possibile cercare di dare una risposta al problema della loro qualificazione giuridica, che do-vrebbe tener conto del vasto dibattito dottrinale sul tema degli accordi della pubblica amministrazione.

Si può solo suggerire che la risposta non può essere unitaria, ma diversa per ogni strumento, per le notevoli differenze ri-guardanti il carattere degli impegni presi (in alcuni casi solo politici, in altri giuridicamente vincolanti), per le parti am-messe (vi sono accordi riservati alle amministrazioni ed altri aperti ai privati), per i rimedi in caso di inadempimento e co-sì via.

In questo senso gli accordi predetti possono essere visti come un sistema unitario, volto a crea-re le condizioni favocrea-revoli per la ccrea-rescita economica e occupazionale in una determinata acrea-rea geografica, caratterizzato dall’uso di moduli negoziali e articolato in vari istituiti che si diffe-renziano in ragione del settore o della dimensione territoriale dell’intervento.

Nel documento Informazioni legali (pagine 189-192)