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II. 1.5.7.2 Hersent e Richeut in due chansons

II.2 UNA BRANCHE D’AUTORE: RENART LE NOIR (BR XIII)

II.2.2. Prima sezione della branche (vv 1-845)

II.2.2.1. Prologo

Fin da subito, il prologo appare generico e assai vago, ed è in effetti l’unico dell’intero Roman a non offrire alcuna anticipazione sull’appartenenza dell’episodio al ciclo di Renart, presentandosi come un esordio adattabile a qualunque tipo di racconto, anzi addirittura quasi più calzante per una narrazione moraleggiante, che per una branche comica destinata a un intrattenimento disimpegnato148:

148 In verità, questo stilema potrebbe anche dipendere dalla deformazione culturale dell’autore, se religioso. Se ne ha un

altro esempio nel prologo della tarda branche XXV: «Mais qui bien i vorroit entendre, / Grant savoir i porroit apprendre / Et oïr mainte bone exemple», anch’essa altrettanto fornita di un’allusione all’ascolto che si può supporre meramente formulare.

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Une estoire voil conmencier Qui durement feit a proisier: Et grant bien i porroiz aprendre, Si il vos i plest a entendre. […]

Il avint ja qu’uns chevalers, Qui molt esteit prous et legers, Fist fere un castel bel et noble:

N’ot tel jusqu’en Costentinoble (vv. 1-14)

[Voglio cominciare una storia / Che bisogna apprezzare molto: / Un gran vantaggio potrete trarne, / Se avete voglia di ascoltarla. / … / Avvenne, una volta, che un cavaliere, / Che era assai prode e onorevole, / Fece costruire un castello bello e sontuoso: / Non ce n’è uno simile fino a Costantinopoli].

Per fare qualche confronto, la branche II reca un prologo pertinente all’episodio, in cui si rievocano la storia di Paride ed Elena e le avventure di Tristano ma solo per introdurre il tema dell’ostilità tra Renart e Isengrin (vv. 1-18)149.

Il prologo della branche VII si apre con una lunga riflessione moralistica sull’incostanza di Fortuna:

Fous est qui croit sa fole pensé: Molt remeint de ce que fous pense. Fols est qui croit fole esperance, Que toz li monz est en balance. Fortune se joe del mont :

Li un vienent, li autre vont… (vv. 1-6 etc.)

[Folle è colui che crede al suo folle pensiero: / vi è molto scarto in ciò che pensa un folle. / Folle è colui che crede in una folle speranza, / poiché il mondo intero vive in bilico. / La Fortuna si prende gioco degli uomini: / alcuni salgono, altri scendono] (traduzione da Bonafin 2012R, p. 137),

che torna però esplicitamente funzionale alla presentazione di Renart, come lo stesso autore chiarisce: «Cest essample vos ai mostrez / Por Renart qui tant est devez, / Et qui ovre contre nature» (vv. 47-49), la quale, a sua volta, si protrae per altri venti versi (fino ai vv. 70-71: «Je vos dirai ja sans mentir / De Renart le gorpil la vie»).

149 Sull’importanza di questo prologo nella presentazione, al pubblico, del nuovo genere renardiano, vedi Zufferey

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Ancora, è «fous qui done a perte / Bele avanture, quant il l’ot» nel prologo della branche XXII (vv. 4-5), ma anche in questo caso si converge poi sulle avventure di Renart, che, dopo una menzione allusiva («Li contes est traiz d’un goupil», v. 13), è nominato esplicitamente più avanti tra i protagonisti del racconto:

Ce fu li voirs que Chantecler Et Ysangrins et Brichemers

Et danz Renars, so com moi samble Firent un grant essart ensamble (vv. 17-20)

[Accadde davvero che Chantecler / E Isengrino e Brichemer / E Renart, come mi sembra, / Allestirono un grande campo da coltivare insieme].

Nel prologo della branche XIII, invece, mancano del tutto quelle formule familiarizzanti che localizzino il pubblico nel mondo di Renart, l’annuncio dell’argomento trattato, nonché qualunque richiamo ad antefatti cui riallacciarsi e, insomma, tutti quegli accorgimenti retorici comuni ai prologhi delle branches del Renart (vedi la ricognizione svolta da Lacanale 2020, in particolare l’approfondimento sulla branche I, alle pp. 130 e sgg., mossa dall’idea che si tratti di sussidi adoperati dai giullari durante pubbliche declamazioni).

Peraltro, l’estrema convenzionalità di questo esordio si adatta perfettamente al prosieguo del racconto, che viene ulteriormente ritardato da una lunga descrizione stereotipica di un «castel bel et noble», ben posizionato su una rocca, circondato da mura e da un fossato valicabile tramite un ponte levatoio e navigabile fino al mare (vv. 15-28). Dal castello, lo sguardo si allarga progressivamente a includere la vasta prateria che lo affianca, con notevoli vigne, poi una foresta altrettanto maestosa, ricca di ogni specie animale (vv. 29-41, ma si noti l’assenza di riferimenti all’essart, vero terreno privilegiato delle scorrerie della volpe). Solo a questo punto si torna sul primo e finora unico personaggio introdotto (v. 11), il cavaliere signore del castello, ed effettivamente è lui che mette in moto l’intera vicenda, compito di norma sempre riservato al protagonista:

Un jor fu li sire monte

De desur un bon corant destrer, Et dit qu’il vout aler chacier

Por veneison en la forest (vv. 42-45)

[Un giorno il signore montò a cavallo / Del suo rapido destriero, / E disse che voleva andare a caccia / Di selvaggina nella foresta],

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II.2.2.1.1. Esordio

La branche XIII è, infatti, l’unico caso in cui una storia sulla volpe non prende le mosse da Renart in persona, e neanche da qualche altro animale della corte di Noble, bensì da un cavaliere anonimo, la cui identità rimane irrilevante, essendo la sua caratterizzazione del tutto secondaria rispetto alla sua funzione narrativa.

Un’introduzione simile a quella del cavaliere si ha nella branche IX (altra branche d’autore), unica altra occorrenza in cui la formula di apertura «il avint que» introduce la storia partendo non da Renart o Isengrin ma da un personaggio umano, il contadino Lietard:

Il avint ancienement […]

C’uns vileins qui molt ot d’avoir, […]

En son novel essart bien mein

Pres d’un grant bois ses bos lia (vv. 15-23)

[Avvenne anticamente / … / Che un contadino molto facoltoso, / … / Nel suo campo di nuova seminatura, di buon mattino, / Presso un grande bosco, aggiogò i suoi buoi],

con la differenza, però, che in questo caso il tema era stato già preannunciato nei versi precedenti come una vera e propria «novele branche / De Renart» (vv. 5-6).

Tutte le altre branches in cui non è Renart ad aprire la storia sono quelle cui è totalmente estraneo, ovvero la XVIII, la XIX, la XX e la XXI, incentrate solo su Ysengrin.

Lo stesso discorso vale anche per la branche XV, al cui interno è isolabile un’avventura con protagonista il gatto Tibert, che infatti nell’edizione Strubel è considerata branche a sé rispetto alla prima parte (la branche XV di Martin diviene, dunque, branche VIIb + branche VIII in Strubel), accogliendo la divisione operata da H e condivisa anche da C (in cui le due branches non sono neanche consecutive, ma rispettivamente quinta e tredicesima). In questa breve avventura, Renart è nominato inizialmente: «Tybers li chas, dont je ai dit, / Doubte Renart assez petit. / Ne quiert avoir trievez ne pais» (vv. 365-367 di Martin; vv. 1-3 della branche VIII di Strubel), in funzione di semplice raccordo narrativo con la branche precedente, ed è poi definitivamente ignorato per concentrare l’intera narrazione su Tibert.

Infine, la branche VI si apre con una festa a corte indetta da Noble, ma funzionale solo a segnalare l’assenza della volpe: «Venu i erent tuit ensemble / Fors sire Renart, che me semble» (vv. 7-8, poi

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ripetuta al v. 20: «Tuit i sont fors Renart le ros»), che dunque si configura subito come il vero focus della vicenda.

In sintesi, se non è Renart ad avviare l’azione, si tratta di casi particolari, e comunque il ruolo è sempre compensato da un altro animale che è altrettanto noto e che agisce da protagonista. Né, del resto, si danno altri esempi di branches articolate a partire da un personaggio umano, come potrebbe essere nel caso dei contadini che pure figurano nel Roman.

Al contrario, la branche XIII è inaugurata da un personaggio meramente strumentale allo sviluppo del racconto, che pure mantiene la centralità per tutta la prima sezione del racconto, essendo lui a mettersi ripetutamente in rapporto con la volpe. Si viene a delineare, in questo modo, una tipologia di narrazione differente, non propriamente renardiana ma più genericamente avventurosa, che perdura per tutta la prima parte della branche costituendo, di fatto, un blocco a sé stante, corrispondente a un episodio irrelato rispetto al successivo.

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