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II. 1.5.7.2 Hersent e Richeut in due chansons

II.2 UNA BRANCHE D’AUTORE: RENART LE NOIR (BR XIII)

II.2.2. Prima sezione della branche (vv 1-845)

II.2.2.3. Renart come apparizione fantastica

Inseguito, Renart fugge nel castello e scompare, come si apprende indirettamente dalla descrizione della vana ricerca che si protrae per diciotto versi:

Le gorpil vont partot querrant Nel troverent ne tant ne quant. Par cuisines et par estables, Et el paleiz desoz les table […]

Par les chambres et par soliers […]

Onc n’i remeist piece de terre Ne en celier ne fors celier Onques n’i remest banc ne huce […]

Mes il ne l’i ont pas trove (vv. 69-86)

[Cercano la volpe dappertutto / Ma non la trovano affatto. / Nelle cucine e nelle scuderie, / E nel palazzo, sotto i tavoli / … / Nelle camere e nelle soffitte / … / E non venne trascurato neanche un pezzo di terra / Né dentro né fuori la cantina / Ne rimase panca o tavolata /… / Ma non l’hanno trovato da nessuna parte].

Non vedendolo più, il cavaliere si domanda non dove sia andato, ma «qu’est il devenu» (v. 87), formula che lascia aperta una certa ambiguità sulla frase seguente, quando si dice che forse «il est entrés en terre» (v. 90), pratica nota della volpe ma anche, a questo punto, possibile allusione a una qualche apparizione fantastica.

La ricerca continua «trestote jor» (v. 107), finché anche i servitori del cavaliere si arrendono ad ammettere che «bien nos a conchié Renart» (v. 118). La sparizione di Renart viene quindi qualificata come uno dei suoi gab, rientrando così nell’ambito noto degli inganni della volpe. Tuttavia, stavolta manca qualunque intenzionalità nociva o pulsione sovversiva nel comportamento di Renart, il cui concorso nella vicenda è solamente – e autenticamente – disturbante.

All’apparenza, in questo gab di Renart, diversamente dal solito, non si cela la minima eco di rivendicazioni sociali, né alcun sentimento carnevalesco di rovesciamento della visione del mondo dominante (o almeno, sicuramente non su un piano strettamente politico), ma il concorso della volpe nella vicenda sembra tutto circoscritto al suo ruolo di rappresentante di una pura alterità

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rispetto ai personaggi umani del signore e dei suoi servitori. Tant’è che il cavaliere riconduce immediatamente l’incomprensibilità della sua scomparsa alla categoria, a suo modo rassicurante, del presagio divino interpretabile:

Ge ne sai que ce senefie. C’est aucune senefiance:

Damledex nos fait demonstrance,

Mien escient, d’aucune cose (vv. 120-125)

[Non so cosa significhi. / È un qualche indizio: / Dio ci mostra, / a parer mio, qualcosa],

mentre la riduzione di Renart a presunto monito celeste coesiste con il suo comportamento sfuggente: come egli è apparso, così «dex ou enemis / Le nos a tolu sans dotance» (vv. 132-133)150. Ch’egli sia stato percepito alla stregua di un’apparizione è forse confermato anche dalla decisione del cavaliere di continuare a cercarlo, l’indomani, non dentro il castello ma di nuovo nella foresta da cui era provenuto: «Que demein sanz nul delaier / Iron en la forest chacer» (vv. 139-140), dove, dunque, s’immagina dovesse di nuovo trovarsi.

Il ritorno del desiderio per la pelle della volpe, che concretizza la volontà di rivalsa del cavaliere nella speranza di un possesso materiale della preda («Et se nos prendre le poon, / Sa pel ert en mon pelicon», vv. 141-142), riporta i personaggi fuori dalla stasi che Renart aveva creato e nella quale si era condotta la sua ricerca, e il cavaliere non può che maledirlo per il fatto «que por lui jeüne avoms!» (v. 149). Questa menzione del cibo non è senza importanza, potendo forse implicare una rottura nel tempo “profano” della vita della corte, che è stata proiettata in una surreale ricerca della volpe durata fino a notte. Infatti, è il rituale della lavanda delle mani a porre definitivamente fine al momento, per così dire, ierofanico, reintegrando gli uomini del castello nel tempo ordinario dei ritmi biologici, scandito per l’appunto dai pasti:

“Or ça, de l’eve et si lavoms.” Lors commencerent a laver. Atant aseent au soper

Li chevalier et sa maisniee (vv. 150-153)

[“Orsù, (portate) dell’acqua e laviamoci”. / Dunque, cominciano a lavarsi. / A quel punto si siedono a cena / Il cavaliere il suo seguito].

150 Anche queste puntualizzazioni possono rientrare nella formazione spiccatamente religiosa che sembra avere l’autore

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Camuffata dalla finzione narrativa, la volpe si è presentata, qui, quale personificazione dell’Unheimlich, che penetra in casa come una presenza sconvolgente e astrae temporaneamente gli uomini dalla loro confortante quotidianità.

Soprattutto, particolare fondamentale, questa apparizione suscita il riso della dama che, a tavola, «rist / De Renart qui les a moquiez» (vv. 160-161).

Avvenuta e conclusa l’apparizione della volpe, ridiscende sul castello la calma notturna:

cil qui orent vellé la nuit, Furent molt tost endormi tuit. Onques nus ne s’esvela Tant que li baus jors esclaira

Qui lor a rendu grant clarté (vv. 207-211)

[Quelli che avrebbero vegliato la notte, / Si addormentarono presto tutti. / Nessuno si svegliò / Finché non sorse il lieto giorno / Che portò loro un intenso chiarore].

Una precisazione sorprendente a proposito del rapporto tra i personaggi del racconto e la volpe sta nella descrizione della camera da letto del cavaliere, dove è detta figurare, tra le altre decorazioni, proprio «la procession Renart» di cui si è detto sopra.

Al di là del valore esatto del termine procession, ciò che colpisce è evidentemente la compresenza di due piani figurativi teoricamente autoescludentisi, ovvero quello della storia presente, in cui Renart è vivo e operante, e quello dell’illo tempore ormai passato in cui sono ambientate le avventure di Renart rievocate nelle rappresentazioni. Se l’ipotetica incoerenza non è giudicata problematica dal testo, forse una volta di più la spiegazione risiede nella specifica fisionomia di Renart quale è tratteggiata nella branche fin qui, la quale subordina tutto il retaggio culturale del personaggio alla sua spendibilità narrativa contingente, di attore nella vicenda. Infatti, per come viene fatto agire, Renart sembra avvicinarsi piuttosto a una sorta di figura demoniaca, inviata da qualche potenza superiore o comunque dotata della facoltà di apparire e scomparire a piacimento, come una presenza magica e inafferrabile.

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