quest’opera come un arciere (Tr. 643 toxeuésasa
414) che vuole centrare un bersaglio,
rappresentato per lei dalla gloria
415e dalla buona fama (eu\doxòa).
416La donna durante il
412 A tal proposito è possibile stabilire un confronto con il matrimonio della ninfa Teti. Questa divinità sin dai
tempi omerici ha vari elementi di contatto con la sposa di Ettore, in quanto entrambe matres dolorosae, il cui matrimonio viene considerato paradigma di un’unione potenzialmente felice. Tuttavia Belfiore 2000, pp. 92-100 osserva che la situazione della ninfa è più vicina a quella di Andromaca, schiava di Neottolemo, rispetto a quella di Andromaca, moglie dell’eroe troiano. Teti condivide con Andromaca il ruolo di moglie e madre, ma ciò che soprattutto in Andromaca si evince è che entrambe hanno avuto un figlio nella casa di Peleo; Teti ha lasciato la casa del marito (Andr. 18.1231), come Andromaca ha lasciato il letto di Neottolemo (Andr. 30, anche se in realtà la donna afferma che è stato il padrone a lasciarlo). Il loro matrimonio è impari (dea+ mortale e libero + schiava). Le nozze con Peleo hanno causato dolore a Teti come quello con Neottolemo è fonte di sofferenza per Andromaca; Molosso, come Achille, è frutto di un amore diseguale; Teti si identifica con la sposa turbata, che prova disprezzo verso lo sposo (Andromaca dimostra disistima nei confronti di Neottolemo, chiamandolo “isolano”). Il matrimonio fra la dea e Peleo (come quello di Elena e Paride e adesso Andromaca e Neottolemo) è associato a guerra e contrasti (la ninfa, come Andromaca, non vuole sposare Peleo, cerca di sfuggirgli e l’uomo si unisce a lei con la violenza); anche Andromaca è la storia di una contesa (come il giudizio di Paride durante le nozze di Teti genera la contesa delle tre dee), quella di due donne (denominata eris in Andr. 563, 960, come quella delle dee in Andr. 279) e le conseguenze sono disastrose per entrambi i matrimoni.
413 Potrebbe essere lo sposo adatto a Ermione (vd. infra, stesso paragrafo), come Menelao lo è di Elena (vd. infra
par. 8.2 “Andromaca ed Ermione”).
414 In Andr. 365 la donna viene presentata con la stessa immagine dal coro, che la rimprovera di aver lanciato
troppe frecce su Menelao, allontanandosi, quindi, dal suo spirito moderato. Il riferimento all’arciere, che a volte viene impiegato in senso dispregiativo (cf. Il. 11.385-387; E. HF 160-161), qui si spiega con il fatto che l’obiettivo è lontano e deve essere raggiunto tendendo bene l’arco e puntando nella giusta direzione.
415 Andromaca, come il marito, desidera la gloria: è un valore eroico che, declinato al femminile, indica la buona
reputazione ottenuta con le sue imprese domestiche e familiari. Se gli eroi acquistano la fama combattendo valorosamente, le donne devono agire all’interno dell’oikos e dimostrare le proprie virtù. La volontà di essere ricordata dai posteri per il proprio comportamento si trova anche in Andromaca quando l’eroina, consegnandosi a Menelao, prega il figlio di ricordare il suo gesto e di informare anche il padre (Andr. 414-418). La “bella morte”di una donna si manifesta tutte le volte che la madre/moglie è disposta ad anteporre il proprio bene a quello della famiglia, così come quello di un eroe trova la sua realizzazione in guerra, quando l’uomo pone innanzi al proprio interesse l’esercito. Ognuno ha il proprio campo d’azione, ma entrambi sono eroici e ambiscono ad essere ricordati dai posteri. Al di là degli aspetti già evidenziati e dei riferimenti alla guerra (Andromaca= combattente nemico), ci sono due passi in cui soprattutto si sottolinea esplicitamente il valore eroico di Andromaca: in Andr. vv. 461-462 la
162
matrimonio con Ettore aveva raggiunto più di quanto avesse ambito (Tr. 644: lacou%sa
plei%on),
417ma la sorte si è presa gioco di lei (Tr. 644: th%v tuéchv h|maértanon).
418Come
Alcesti,
419anche la vedova elenca tutte le sue qualità che implicitamente la rendono antitetica
all’Ermione della tragedia precedente:
420non usciva mai di casa nonostante lo desiderasse (Tr.
649-650); la sua mente era l’unica consigliera;
421non accoglieva i pettegolezzi femminili
dentro le sue stanze (Tr. 651-653);
422stava sempre in silenzio
423e mostrava la sua tranquillità
al marito (Tr. 654);
424era abile a capire in cosa poteva vincere lo sposo e in cosa bisognava
farlo vincere (Tr. 655-656). Adesso la ripugna il pensiero di essere costretta a tradire la
memoria del primo marito e di dover rinunciare a quella buona fama che si è conquistata nella
reggia di Troia, dove ha abbandonato la sua verginità (Tr. 661-664, 675-676).
425Infine, la
donna elogia il marito defunto –alludendo indirettamente a se stessa-, sufficiente per lei (Tr.
673: ἄndr’ a\rkoun%taé moi) sotto tutti i punti di vista (Tr. 674): saggezza, nobiltà, ricchezza,
e valore (tutte doti che possiede quindi anche la moglie).
426Andromaca, quindi, come Alcesti
(Alc. 324),
427implicitamente si vanta di essere stata la migliore delle spose.
donna affronta coraggiosamente Menelao e la morte (vv. 459-460: «Uccidimi, falla finita!» Trad. it. Albini 2011⁶), paragonando il suo antico status a quello del re; 2) in Tr. 726 l’araldo le consiglia di sopportare il dolore con onore.
416 Il termine è postomerico e viene impiegato da Euripide poche volte. Bisogna notare che questo sostantivo è
strettamente collegato con la buona fama acquisita dai soldati valorosi in guerra o dagli atleti nelle gare sportive, che metaforicamente hanno i connotati di uno scontro. Lo usano, per esempio, Simonide di Ceo, nella sua celebre ode per i caduti alle Termopili (fr. 6.6 P.) e Pindaro (Pi. P. 5.8).
417 Andromaca quindi ha superato il limite concesso dagli dei. Sarebbe questa la colpa della donna, quindi? La
moglie di Ettore è incorsa, suo malgrado, nell’erodoteo fqoénov qew%n (cf. Hdt 7.10), contemplato nella concezione eschilea? Il suo comportamento, però, non è determinato dall’ a"th (“accecamento”) né dalla u$briv (tracotanza) umana, ma è semplicemente vittima di una sorte che prima le dà l’illusione di felicità e poi tradisce le sue aspettative.
418 Lett. «sbagliavo il bersaglio riguardo alla sorte, mi ingannavo a proposito del destino». Continua la metafora
dell’arciere, che pensa di aver scoccato la freccia nella giusta direzione, ma, appena si avvicina al bersaglio, si accorge di aver fallito il colpo.
419 Alc. 280-307 sottolinea il valore eroico del suo sacrificio, ricordando ciò a cui è disposta a rinunciare. 420 Per un confronto fra le due donne vd. anche infra, par. 8.2 “Andromaca ed Ermione”).
421 La sua mente, definita didaéskalon (maestro), si oppone alle cattive didaéskaloi di Ermione in Andr. 946. 422 Ermione in Andr. 930-937 si dispera di aver ascoltato i pettegolezzi delle donne che le facevano visita.
423 Ermione invece scredita il marito e la sua famiglia (Andr. 209-212), dice cose vergognose (Andr. 238) e non tace
sulle sue turpi pene d’amore (Andr. 240).
424 Ermione, al contrario, ha perso il senno (Andr. 938).
425 Ermione, invece, è pronta a scappare con Oreste senza alcuna esitazione (Andr. 987-992).
426 Se Ettore è il marito adatto ad Andromaca, Neottolemo lo sarebbe stato per Ermione (come la sposa di Ettore, la
figlia di Menelao ha ricchezze, è regina, potrebbe avere figli legittimi), se lei avesse avuto le stesse qualità della principessa troiana e se lui fosse stato avveduto e non le avesse permesso di ricevere visite (Andr. 944). Neottolemo, in tal senso, è molto simile a Menelao, che lascia da sola la moglie in casa senza farla sorvegliare (Andr. 592-595).
427Il saluto ai figli è racchiuso dentro il più ampio discorso rivolto ad Admeto: dopo l’invocazione, la donna dice di
onorare (Alc. 382, presbeuéousa) il marito con la sua decisione di morire al posto dello sposo (cf. Alc. 155 dove la serva sostiene la stessa tesi) e di non aver voluto vivere senza di lui, da regina con un altro sposo, ma con i figli orfani (Alc. 283-289). Dopo l’addio ai bambini, con una tipica costruzione ad anello, la donna conclude il discorso dicendo che Admeto può vantarsi di aver avuto la migliore delle spose (gunai%k’ a\riésthn) e i figli una siffatta