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A proposito di un Istituto internazionale permanente di agricoltura

Nel documento Scritti vari di economia : serie seconda (pagine 41-95)

SOMMARIO. — 1. Diffidenze misoneiste di fronte alla proposta che venga istituito un organo internazionale permanente della classe agricola.—2. Utilità dei misoneisti: la loro men-talità coincide con quella dei conservatori. ' È più pericolosa alla società quella dei progressisti.—3. La prudenza è legitti-ma di fronte ad una proposta che tocca l'assetto delle clas-si agricole: cenno storico della loro influenza sulla struttura giuridica e politica della società.—4. Le finalità principali e quelle secondarie tra quelle enumerate nella proposta reale. Esempi delle une e delle altre.—5. Che la organizzazione di mercati per parte dei p r o d u t t o r i compendii i principali

desi-derata in una prima tappa. — 6. I remoti gradini della scala di Giacobbe.

1. Una iniziativa quale è quella del Re d' Italia, intesa a creare un organo internazionale delle classi agricole (1), non può non suscitare legittime diffidenze.

Il dubbio più radicale consiste nell' argomentare : che l'Istituto non potrà mai farsi; che vi si oppone un sillogismo in Darii, e se non basta , u n altro in Barbara. Ma che se poi dovesse andare avanti quand méme, cadrà dinanzi ad u n argomento in Baralipton!

Eccone un doppio saggio. I n forma cruda, un qual-che scriba dell' Italia del Popolo o dell' Avanti!, dirà:

(1) Vedi, in allegato, la lettera del Re al Presidente del Consiglio e le Istruzioni del Ministero agli Ambasciatori.

Tutti i G-overmi sono Governi di elasse.

L'attuale Governo italiano è un governo della elas-se plutocratica.

Dunque non può attuare questa p r o p o s t a , che è vantaggiosa alla classe dei campagnuoli.

I n forma più elegante, Guglielmo Ferrerò, con aval-lo di Clio, scritto sulla più autentica pergamena del la Storia, dirà:

La Roma moderna non è la Roma antica, la Roma di Cincinnato e di Catone; la Roma moderna è la ca pitale di uno Stato governato da una oligarchia d'in-tellettuali, di cui la politica consisté nel vivere dello sfruttamento della campagna a vantaggio della cit tà. È un governo di avvocati e di giornalisti, pog-giato su di u n a numerosa burocrazia, che con le im-poste e con i debiti pubblici grava sul contadino per assicurarsi stipendi e pensioni, per distribuire, con opere pubbliche inutili, o giovevoli solo al lusso del-le città, pane e ludi al prodel-letariato urbano, il quadel-le vota bene o male e fa chiasso prò o contra, a secon-da della razione; è un Governo che mediante indu-strie artificiali procura, sempre a spese del contadino, dividendi ad azionisti e posti a quei figli della bor-ghesia pennaiuola che la burocrazia e l'esercito non hanno già messi a posto. Quel tale sfruttamento del-la ricchezza deldel-la campagna a vantaggio deldel-la città, che in America è opera dei sindacati e degli specu-latori, in Italia lo fa lo Stato. Come inai può allora questo Stato accogliere una proposta clic tende al-l'emancipazione del contadino da chi lo sfrutta ? ! E se l'ha accolta,—poiché è avvenuto già quanto nò il sillogismo in Tfarii nè la pergamena di Clio accon-sentivano,—come inai può credersi che questo Stato sia sincero, o ritenere che porterà a maturità il feto

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bastardo clie raccolse nel proprio seno in u n istante d'inesplicabile allucinazione ?

Guglielmo Ferrerò, clie non sempre resta fedele a Clio, e che allora tresca con la pitia delfica, sa però anche che, in queste scappatine, conviene di munir-si di paracadute, e quindi, pur emettendo u n a pro-fezia, a base di materialismo storico, conchiude con una riserva che annulla l'oracolo, questa: che sarà l'Avvenire che ci dirà cosa dell'Istituto s ' a v r à da

pen-sare.

U n dubbio già meno radicale di quello di cui si è discorso è quello di coloro che esprimono il timore che 1' Istituto che verrà a f o r m a r s i , sarà u n istru-mento di protezionismo agricolo, u n meccanismo più potente di quelli finora a v u t i , per lo sfruttamento del consumatore, od anche u n istrumento di oppres-sione del lavoratore dei campi, utile solo ai grandi proprietari.

Altri ancora vedono in esso soltanto una nuova ruota burocratica, una direzione, suddivisa in due sezioni, che si suddividono in quattro sottosezioni, e così di seguito, con progressione geometrica.

Ancora più attenuato è il dubbio di coloro che ri-conoscono bensì che l ' I s t i t u t o si farà, non solo, ma che riuscirà anche di utilità pratica sotto molti aspetti; però non vedono come possa essere rimedio preventivo o curativo di un qualche malanno, per esempio, del lattime dei porcellini, ovvero anche di un certo pidocchio della p a t a t a , malanno che è il so-lo che personalmente li interessa in t u t t a q u a n t a la fenomenologia del mondo, sia che costituisca la specialità dei loro studi, sia che diano ad esso u n ' i m -portanza fondamentale.

le-gittima, e ha ima vera utilità sociale, la formulazio-ne di ogni geformulazio-nere di dubbio, la espressioformulazio-ne di ogni diffidenza, e l'esercizio di ogni più pugnace resistenza a questa come ad ogni altra qualsiasi innovazione, e che se ciò è vero quando l'innovazione versa nel campo dei meccanismi tecnici, ciò è vero a più forte ragione quando essa vuole esplicarsi nel campo degli ordinamenti sociali.

Chi si oppone a una innovazione è un conserva-tore, cioè un conservatore dello statn quo, sia poi questo politico, o sociale, o religioso, o giuridico, o etico, o tecnico, non importa.

Chi propone un'innovazione, sia questa una ri-forma dell'ortografia, o della musica, o del Codice di commercio, o della produzione del carburo di calcio, o dell'allevamento del bestiame, o della telegrafia, o della costituzione politica, o dei rapporti tra i sessi, è un progressista.

Nel conflitto tra i due, di solito—almeno novanta-tanove volte su cento—, è bene per la collettività che vinca il conservatore, il misoneista, e che sopprima anche l'avversario, se con l'avversario distrugge o ri-tarda nuovi conati dell'idea.

È questa la sentenza che la collettività istessa dà in grandiose assise.

È, per poco che ragioniamo degli effetti che seguo-no la quasi costante vittoria del conservatore sul progressista, e di quelli che seguirebbero se le co-se fosco-sero altrimenti, ci convinciamo prontamente che è savio e bene che così sia, come è savio e be-ne che la piccola ghianda cresca in alto sulla gran-de quercia e il grangran-de cocomero poggi in terra atcato a fragile legame. Se ne convinse anche quel ta-le, di cui narra la favola di A n d e r s e n , quando ad-dormentatosi sotto la quercia, e soffiando il vento,

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ricevette sul naso, per sua fortuna, soltanto una mi-nuscola ghianda anziché u n grosso cocomero.

2. Giudicando dal noto all'ignoto, e riconoscendo un'iniziativa anche in ogni proposta d'inventore di congegno tecnico, se anche limitiamo il conto del-le iniziative di questo genere a queldel-le sodel-le che ma-turano lino al punto da potersi t r a d u r r e in domande di brevetti, noi vediamo che, su di un migliaio, u n a appena è tale da valere le spese di una seria prova, e che su varie centinaia che abbiano superato questa prova, solo pochissime costituiscono u n vero progres-so, cioè riducono il costo del travaglio dell'umanità.

Il campo delle invenzioni tecniche g quello in cui meglio possiamo constatare la sproporzione fra i co-nati che vengono fatti per migliorare una situazione ed i risultati che si ottengono. Ed è ben certo que-sto: che se l'umanità si trovasse posta dinanzi al di-lemma di dover accogliere ed attuare immediatamente e integralmente ogni invenzione, cioè di dover dare corso a ogni iniziativa industriale, ovvero, invece, di dover rinunziare totalmente, e per s e m p r e , a ogni progresso, e di continuare eternamente sulle rotaie consuete, essa preferirebbe la rinunzia al progresso, all'obbligo di seguire cento matti prima d'imbatter-si in u n mezzo savio.

Dico questa scelta ben certa, perchè è quella che è manifesta nella storia della severità usata ognora dall'umanità con innovatori, inventori, iniziatori, pro-motori, scopritori, rivoluzionari e folli, gente questa di cui il pubblico fa u n solo convoglio.

P e r lo più t u t t a questa genìa ha finito male, e giu-stamente, cioè utilmente per il consorzio civile. Di solito la miseria ha fatto piazza pulita; ma l'istessa loro miseria, dovuta all'abbandono in cui vennero lasciati, o ai contrasti che subirono, ha salvato coloro

che li hanno abbandonati o contrastati, e c h e , al-trimenti, con loro sarebbero andati in rovina. Altre volte, non è nel mare dell'indifferenza pubblica che sono scomparsi, affogati: sono morti perchè sono stati impiccati, carcerati, esiliati quasi fossero lebbrosi, o assassini, o matti pericolosi. E tali e r a n o , per gli altri, realmente, in novantanove casi su cento, a di-re poco. Altdi-re volte ancora, era tanto lo squilibrio tra loro e l'ambiente, che spontaneamente cercarono un mondo migliore in cui potesse aver pace l'anima loro irrequieta.

Ma, se tanto è raro che un'invenzione industriale meriti questo n o m e , e se tanto è difficile discernere l'oro dall'orpello, là dove è rapida e sicura la ripro-va, là dove la meccanica e la chimica una qualche sicurezza danno ai nostri giudizi, cosa mai dev'es-sere degl' innovatori dell'organismo sociale, organi-smo di cui le leggi ci sono quasi del tutto ignote ?

Non è probabile che abbia da essere migliore, vo-glio dire qualitativamente superiore, la mentalità di coloro che si presentano innovatori in questo campo, di quella di coloro che cercano un progresso nel mondo della tecnica. Ma, certo, sono più ignote le forze con cui operano e la struttura e le reazioni dell' organi-smo nel cui funzionamento propongonsi d'interveni-re! È quindi da ritenere che, se nel campo industria-le un inventore su milindustria-le merita ascolto, noi merita uno su di un milione nel campo sociale. Ed è anche questo il giudizio della Storia, quale essa lo mani-festa nel trattamento fatto subire a chiunque ha ten-tato di toccare all'ordine costituito. Se non si fosse-ro sterminati a migliaia gli eretici, i rivoluzionari, i riformatori, le sette di ogni genere, e bruciati e li-bri e autori di lili-bri, ma se invece docilmente e pron-tamente fosse stata accolta ed attuata ogni nuova

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teoria, il movimento del corpo sociale non soltanto si sarebbe trasformato di ora in ora, che dico, di mi-nuto in mimi-nuto, ma avrebbe anche dovuto simulta-neamente e per intiero prendere dieci, cento direzio-ni diverse, ciò che non si otterrebbe nemmeno se fos-se mosso da dinamite in esplosione. E siccome ogni trasformazione richiede un costo, costo che è conve-niente subire se la trasformazione produce u n a situa-zione che lo rimborsi, ma che non può sostenersi in-definitamente a p e r d i t a , e che limita 1' entità delle trasformazioni possibili,—conforme ad u n noto cano-ne di St. Mill—il costo occorrente per ottecano-nere t u t t e le proposte di riforma sociale ognora èmesse, avreb-be richiesto il consumo di un capitale cento o mille volte superiore a quello disponibile.

La ragione logica fondamentale di ogni misoneismo o principio conservatore, sta appunto in questo: che quel qualsiasi equilibrio sociale che si è raggiunto, perchè è il prodotto di una terribile selezione, ha costato tale una ingente somma di travaglio umano, e ciò sotto ogni forma che questo a s s u m e , che non lo si vuole leggermente mettere a repentaglio, e, nel dubbio su ciò che porti sul ventre un'innovazione, vale meglio rinunziare alla probabilità di un pro-gresso, anziché esporsi a quella maggiore assai di u n regresso.

Accade bensì che nella massa degl'imbroglioni e degli squilibrati, che si accoppano per non li aver saputo o potuto sopprimere in f a s c e , qualche ga-lantuomo cada vittima, come ora si d i r e b b e , di un errore giudiziario, ossia che u n genio venga spento. È ben noto come andò a finire Socrate. È anche più noto quale sorte toccò a Gesù Cristo. E sono piene le storie dei nomi di geni incompresi, che un po' tar-di riuscirono a spiegarsi. Senonchè in primo luogo,

i geni non si sopprimono prima che non abbiano dato un qualche saggio della inopportuna, loro genia-lità. Socrate non bevve la cicuta che a settant'anni, e dopo di aver avuto tempo di far perdere la pazien-za anche a sua moglie. Gesù Cristo non venne cro-cefisso che dopo aver avuto tempo di dare del filo da torcere a più di sessanta generazioni d' uomini posteriori alla sua. Eppoi, in tìn dei c o n t i , sarebbe stato malanno maggiore per l'umanità, di quello che noi sia stata l'ingiustizia verso qualche vero suo be-nefattore, se, per lasciare libero e facile il varco a lui, anche t u t t a la zavorra dei falliti avesse potuto scapricciarsi a spese altrui. Sicché, è bene, e perciò è anche giusto, che ogni maggiore rigore si usi con-tro chi sposta binari tradizionali, che ogni onere di X>rova tocchi all'inventore e all'innovatore; che ogni ostacolo ponga sulla sua via la stupidità e la non poca cattiveria umana.

Non v'è da temere che venga scoraggiata opera veramente pregevole. È t a n t o il premio di chi pro-pone e fa cosa bella, o grande ed utile, che l'incen-tivo supera ogni forza deterrente. Non v'è gioia che donna possa dare, o oppio, o danaro, che un inven-tore o iniziainven-tore accetterebbe di barattare contro quella che deriva dalla sua convinzione (li aver ope-rato bene. Lo incallisce l'intenso suo orgoglio contro ogni disconoscimento.

Il Re s'è posto a questo cimento. Se dovesse fallire, vedrà che non è menzogna il mito che di fango com-pone l'uomo. Se riuscirà, ancora di ciò avrà palmate la riprova, ma forse allora non la scorgerà, perchè è in-verniciato il fango di cui sono composti gli adulatori.

3. U n ' organizzazione internazionale permanente della classe agricola è tale cosa che è del tutto

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vari te esaminare quali provvedimenti pratici siano connessi ad essa. Potrebbe bene d a r s i , dopo tutto, che un Istituto internazionale di agricoltura non rie-sca ad impedire l'afta dei bovini, e che l'assicurazione contro taluni generi di rischi non diventi meno co-stosa, ma bensì più coco-stosa, con l'ingrandire dell'a-zienda assicuratrice, perchè, poniamo, si t r a t t a di rischi sovrattutto dolosi, che solo le piccole società, mutue, possono evitare. E che perciò ? !

Similmente è irrilevante discutere se l'Istituto avrà mai alcun potere delegato ad esso ed inserire in pro-posito i maggiori scongiuri nelle istruzioni ministeria-li, che accompagnano la lettera del Rei

Allorché i Lillipuziani si decisero a liberare Gulli-ver dalle catene, egli dovette prima giurare a Gol-basto Momarem Evlame Gurdilo Shefin Mully Ully Gue, potentissimo imperatore di L i l l i p u t , delizia e terrore dell'universo, il cui piede posa nel centro, il cui capo tocca nel sole, piacevole come la primavera, tepido come l'estate, fecondo come l ' a u t u n n o , terri-bile come l'inverno, che " l'uomo montagna, nelle sue passeggiate, si terrebbe esclusivamente sulla strada maestra e non si lascerebbe cogliere sdraiato nei prati; che, camminando nella summenzionata strada, avreb-be la massima cura di non passare inavvertitamente sul corpo di alcuno degli amati sudditi di S. M., o sui loro cavalli e veicoli; che quando occorresse spe-dire u n espresso straordinario pressante, egli si por-terebbe in tasca fino a destinazione l'inviato e il ca-vallo di costui; che sarebbe tenuto ad aiutare nei momenti d'ozio gli operai di Lilliput, sollevando gros-se pietre necessarie a coprire il muro di cinta del parco principale.

distruzione per incendio il palazzo imperiale median-te un espedienmedian-te che la decenza non permetmedian-te che si indichi... e che non era preveduto dal regolamento da lui accettato e dai ministri imposto !

E accadde pure che servisse il Sovrano, che lo aveva liberato dalla rete di cordicelle impostagli mentre dormiva, portandogli, in una sola mano, t u t t a quanta la flotta nemica del Re Blefuscu.

È verosimile che l'Istituto internazionale di agri-coltura fondato che sia, si riveli un uomo-montagna ai Lillipuziani che ne discussero la fondazione e si comporti secondo la sua natura.

Nel caso che c' interessa, e che è quello di u n a riforma che riflette l'azione economica e politica del-la cdel-lasse agricodel-la, ogni dubbio, anche là dove in sè e per sè poco seduce, va esaminato non soltanto con cortesia maggiore di quella che è solita in ogni argo-mento serio , ma anche con pazienza direi e quasi con rispetto maggiore del consueto. E la ragione è questa, che, per l'influenza che la riforma non può non avere, e per la straordinaria fragilità di ogni previsione umana, nessun eventuale soccorso, anche quello che può essere causalmente fornito dalla luce di un suggerimento difettoso e radicalmente ostile, dev'essere scartato senza esame.

E noto ad ogni cultore di storia economica e a ogni giurista, che le linee fondamentali dei sistemi giuri-dici che da quingiuri-dici secoli a questa parte in Europa si sono succeduti, hanno rispecchiato le vicende del sistema agrario e fondiario; che, in particolare, oltre il regime famigliare, la struttura giuridica dei dirit-ti reali, quella delle servitù, il diritto di successione, la locazione di opera e il diritto dei creditori, hanno finora riportata la prevalente impronta del sistema agrario e fondiario.

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Quindi un provvedimento clie può modificare in una qualche misura, sia pure in una direzione nella qua-le itavvi già un a v v i a m e n t o , il sistema economico che si connette alla terra e all'unità famigliare che a questa resta avvinghiata, è tal cosa che avrà ri-percussioni notevoli in t u t t o il diritto privato e pub-blico e nella psicologia delle masse. È la s t r u t t u r a sociale che si è sempre modificata quando si è mo-dificato il regime agrario.

La proprietà fondiaria è stata durante t u t t o il me-dioevo, e per molto tempo dopo ancora, finche non era avvenuta la decomposizione del feudalesimo, la proprietà per eccellenza, la sola che * interessava lo Stato e quella di cui sovrattutto, si può dire quasi esclusivamente, occupavasi il diritto privato.

I n Italia, nel pubblico, questo fatto è meno senti-to che altrove, e in genere lo è meno presso t u t t i i popoli latini, che presso i popoli germanici e anglo-sassoni, forse in ragione della persistenza dei primi nel diritto romano (1), nei costumi e nella psicologia delle popolazioni e del precoce sviluppo di città e industriali e commerciali, creatrici di capitale mobi-liare, e di artigianato e quindi anche di un diritto commerciale e operaio. Il diritto romano è, rispetto al diritto feudale, diritto moderno, il diritto di u n a civiltà che non h a più traccia di feudalesimo, e non è più sotto l'influenza della organizzazione collettiva della proprietà, da epoca anteriore anche alle X I I tavole. La proprietà mobiliare, il c a p i t a l e , era già sorto vigoroso accanto alla proprietà immobiliare e

(1) M. KOWAI.EWSKI, Die okonomische Entwiclcelung JSuropas etc., Berlin, Prager, 1901 Voi. I., cap. 9 e 10, pag. 344-341.

la proprietà fondiaria era smobilizzata (1), cioè, alie-nabile, trasmissibile per testamento, afferrabile con facilità dai creditori, divisibile e arricchita da inve-stimenti di capitale mobiliare (2). Avevasi, dunque, un regime giuridico modernissimo, analogo a quello che è risorto in Francia soltanto con la rivoluzione fran-cese ed il Codice Napoleone, da noi in seguito alla conquista francese, in Germania per opera di Har-denderg e in Inghilterra, alquanto prima che altrove, con la caduta di Carlo I. Fino a quest'epoca recen-tissima, invaso e distrutto l ' i m p e r o dei romani, il regime giuridico e sociale dell'Europa, sotto influen-za Germanica più o meno profonda, ha visto un con-trasto radicale tra due generi di proprietà, quella fondiaria, real property,e quella mobiliare, personal 2)roperty, ponendo sostanzialmente, da un lato come

sinonimi o come strettamente imparentati, i concetti di proprietà fondiaria e immobiliare, di proprietà inalie-nabile, di proprietà ereditaria, di proprietà spettante per successione ab intestato ai discendenti maschi di majorascato, di proprietà che è nucleo, sostegno per-no e caratteristica della famiglia, indivisibile, di pro-prietà che è al sicuro dal creditore; di propro-prietà, che nei casi speciali in cui l'alienazione è lecita, è sog-getta al diritto di prelazione degli agnati: dall'altro, i concetti di proprietà mobiliare, di proprietà acqui-sita, alienabile, sequestrabile, accessoria, di cui sono capaci pure le donne, di proprietà di poco conto agli occhi della legge, perchè non base della famiglia e

(1) MOMMSEN I . C a p . X I I I , p a g . 1 2 5 - 1 3 5 , e d i z . t e d e s c a d e l

1854; a pag. 248-274 ediz. francese del 1863.

(2) DUREAU DE LA MALLE, Economie poi. dee Ilomaius, P a r i s ,

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