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Capitolo 2: Il posizionamento femminile nei confronti del linguaggio, dei canoni e della

1. Il linguaggio non è mai neutro

1.3 Proposte di riforma linguistica

Come abbiamo visto, in tutti e tre i tipi linguistici sono presenti forme di asimmetria di genere e di sessismo – nonostante tutti e tre, potenzialmente, potrebbero configurarsi in lingue che ne sono prive –, per questo motivo molte critiche femministe hanno chiesto una riforma linguistica per ridurre o eliminare le asimmetrie di genere e altri pregiudizi nel linguaggio. Assumendo la premessa che la lingua riflette la realtà sociale e contribuisce a configurarla, i provvedimenti linguistici sono sentiti dalle femministe come urgenti e non meno importanti di altri provvedimenti di tipo giuridico, politico o sociale, poiché l’azione di riforma sul linguaggio e quella sui comportamenti non si escludono vicendevolmente (anche perché il linguaggio è una forma di azione o comportamento, oltre al fatto che i due campi sono strettamente interrelati e interdipendenti) ma contribuiscono a raggiungere lo stesso scopo, la parità di genere: «Il linguaggio può allora essere inteso come uno dei luoghi dell’oppressione, su cui un intervento è auspicabile e doveroso»154.

Per affrontare le preoccupazioni delle critiche femministe in molte paesi ci sono stati chiari sforzi da parte di associazioni professionali (come l’American Psychological Association o la National Council of Teachers of English), case editrici (come la McGraw-Hill o la Harper & Row) e organizzazioni governative o intergovernative (a questo proposito l’UNESCO ha pubblicato una serie di linee guida con raccomandazioni pratiche)155.

Per ottenere un linguaggio inclusivo di genere sono necessarie strategie diverse a seconda della tipologia grammaticale delle diverse lingue. Nel caso delle lingue di genere naturale si procede verso una neutralizzazione e una riduzione dei termini genderizzati:

es. chair o chairperson vs. chairman, spokesperson vs. spokesman, director vs.

headmistress o headmaster, andando così a sostituire con formule più neutrali i lessemi

151 Donne in poesia, cit., p. 46.

152 Cfr. nota 149.

153 Cfr. Conclusioni e Appendice.

154 Bianchi, La parola, cit., p. 87.

155 Cfr. Stahlberg, Braun, Irmen & Sczesny, Representation of the Sexes in Language, cit.

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che, come abbiamo visto sopra, contengono termini come man o master; he o she vs. he sovraesteso, per eliminare l’uso del maschile generico; il sempre più diffuso utilizzo di they come pronome singolare non binario invece di he/she, a partire da un uso tradizionale già attestato a partire dal XIV secolo per riferirsi a persone indistinte156.

Nel caso delle lingue di genere grammaticale invece è difficile modificare la struttura linguistica in direzione di una neutralità grammaticale (perché in molte di queste lingue non esiste il neutro o non è normalmente utilizzato in riferimento alle persone), e una strategia individuata per esse è l’uso di corrispondenti femminili di termini maschili (es.

fr. présidente e ted. Kanzlerin ‘cancelliera’), come abbiamo visto per i termini professionali dell’italiano; un’altra tendenza è quella di ridurre il maschile sovraesteso sostituendo la doppia forma per riferirsi a una moltitudine mista (es. ted.

Unionsbürgerinnen und Unionsbürger, ‘cittadine e citadini’, che compare nella versione tedesca del Trattato di Lisbona al posto di cittadini)157.

In Italia Il sessismo nella lingua italiana fu uno dei primi documenti volti a tracciare una serie di linee guida e proposte per promuovere un linguaggio di genere più inclusivo:

risale al 1986-87 e fu curato da Alma Sabatini per la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna.

All’inizio del capitolo intitolato Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana leggiamo che «il fine minimo che ci si propone è di dare visibilità linguistica alle donne e pari valore linguistico a termini riferiti al sesso femminile»158 e viene inoltre sottolineata la portata sociale delle proposte di cambiamento:

L’uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e quindi di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un’azione vera e propria. […] Ciò che conta non è, quindi, il puro e semplice uso della parola diversa come “lip service”, bensì un cambiamento più sostanziale dell’atteggiamento nei confronti della donna, un senso che traspaia attraverso la scelta linguistica159.

Le proposte avanzate da Sabatini si raggruppano in una serie di categorie: (i) prescrizioni che riguardano l’uso del maschile non marcato, che comprendono punti come evitare l’uso dei termini uomo e uomini in senso universale, da sostituire a seconda dei contesti con umano, persona, personale, etc. (così i diritti dell’uomo viene sostituito da i diritti umani); evitare i generici maschili per riferirsi a popoli, categorie, gruppi, etc. (le bambine e i bambini vs. i bambini, l’adolescenza vs. i ragazzi, il popolo romano vs. i Romani, etc.); non dare sempre precedenza al maschile nelle coppie oppositive; evitare la sovraestensione di concetti e termini maschili come fraternità, fratellanza, paternità, etc.

in riferimento a moltitudini miste; non accordare il participio passato al maschile nei casi in cui i nomi siano in maggioranza femminili e accordare con l’ultimo elemento della

156 Cfr. Violi, L’infinito singolare, cit.

157 Ibidem.

158 Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Presidenza del Consiglio dei ministri, Direzione generale delle informazioni della editoria e della proprietà letteraria artistica e scientifica, Roma 1987, p.

101.

159 Ibidem.

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serie nel caso in cui sia difficile determinare il genere maggioritario (es. Chiara, Francesca, Giovanni e Michela sono arrivate oggi); evitare di citare le donne come categoria a parte. (ii) Uso asimmetrico di nomi cognomi e titoli: evitare di segnalare asimmetricamente donne e uomini nel discorso politico, sociale e culturale, evitando quindi l’articolo davanti al solo nome o cognome femminile, il nome per le donne e il nome e cognome o solo cognome per gli uomini o la segnalazione tramite i termini Signora/Signorina; abolire il titolo asimmetrico Signorina ed evitare Signora quando può essere sostituito dal titolo professionale. (iii) Uso degli agentivi, nomi che indicano titoli, cariche o professioni: evitare di usare il maschile di nomi di professioni o cariche per segnalare posizioni di prestigio quando esiste il femminile, o di usare nomi epiceni con articoli e concordanze maschili o di formare i femminili con il suffisso -essa o con il modificatore donna (la parlamentare europea Maria Rossi vs. il parlamentare europeo Maria Rossi; avvocata vs. avvocatessa, la giudice vs. il giudice donna, etc.).

Molte delle proposte di Sabatini, come possiamo constatare a trentacinque anni di distanza dalla loro formulazione, non sono riuscite a imporsi nell’uso della lingua italiana:

alcune sono oggetto di dibatti e discussioni ancora oggi (come l’uso degli agentivi femminili o quello dei cognomi e dei titoli) e tuttavia vengono sempre più spesso tenute in considerazione come linee guida da giornali e case editrici; altre forse sono risultate più estreme e hanno faticato maggiormente a imporsi (come l’eliminazione del termine uomo in senso universale); i maschili generici rimangono infatti molto frequenti nel parlato quotidiano.

A partire da quello di Sabatini, sono stati pubblicati diversi documenti sul tema nel corso degli anni; se ne citano alcuni: l’intervento scettico nei confronti dei femminili professionali del linguista Luca Serianni in una risposta al periodico «La Crusca per voi»

nell’ottobre del 1996160; quello del marzo 2003 della linguista Raffaella Setti in una risposta di consulenza sul sito web della Crusca161, che accennando all’uso di sostantivi di genere comune in cui basta cambiare l’articolo per cambiare il genere rimanda ad alcuni esempi che oggi non sono invece prevalsi, come il/la deputato (vs. l’odierno la deputata); la Direttiva Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche162 rinnovata nel 2007, che raccomanda di usare un linguaggio non discriminante in tutti i documenti di lavoro; le Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo redatte dalla linguista Cecilia Robustelli nel 2012, con Prefazione di Nicoletta Maraschio163; l’intervento di Cecilia Robustelli del marzo 2013, ancora sul sito della Crusca, che riflette sulle resistenze all’uso dei femminili, dalla

160 Luca Serianni, Nomi professionali femminili, «La Crusca per voi», 13 ottobre 1996 (www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/nomi-professio nali-femminili).

161 Raffaella Setti, Femminile dei nomi in -tore e -sore, consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca, 14 marzo 2003 (www.accademiadellacrusca.it/it/consulenza/femminile-dei-nomi-in-tore-e-sore/9 1).

162 http://m.flcgil.it/leggi-normative/documenti/direttive/direttiva-ministeriale-del-23-maggio-2007-mi sure-per-attuare-parita-e-pari-opportunita-tra-uomini-e-donne-nelle-amministrazioni-pubbliche.flc.

163 Cecilia Robustelli, Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, Accademia della Crusca e Comune di Firenze, 2012 (bit.ly/robustelliguida).

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linguista ritenute di origine culturale e non linguistica164; il saggio di Giuseppe Zarra del 2017 a cura della Crusca Quasi una rivoluzione. I femminili di professioni e cariche in Italia e all’estero165; il già citato Femminili singolari del 2019 della linguista Vera Gheno.

Quest’ultima tra le altre cose ha proposto l’uso dello schwa (ə) – «simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale che si pone esattamente nel mezzo del triangolo vocalico, e che indica una vocale indistinta che compare, tra l’altro, in molti dialetti italiani, soprattutto del meridione (cfr. /Napulə/)»166 – in sede di suffisso neutro, al posto del maschile generico e inclusivo anche nei confronti delle persone non binarie, come alternativa ai sempre più frequenti – soprattutto nell’oralità scritta dei social media – usi dell’asterisco in fine di parola (car* tutt*), che hanno il problema dell’impronunciabilità nella lingua orale (come altre soluzioni analoghe compresenti, es. la x o la chiocciola), o della vocale u (caru tuttu). Lo schwa è il suono emesso dalla bocca a riposo, senza contrarre nessun muscolo, presente ad esempio nelle due e del napoletano curre curre guagliò. Dal 2020 questo simbolo è stato adottato dalla casa editrice effequ nella collana Saggi Pop in sostituzione del maschile sovraesteso, in seguito alla prima edizione di Femminili singolari di Vera Gheno: la seconda edizione del testo vede infatti l’utilizzo di questo simbolo; nella nota editoriale del libro possiamo leggere le motivazioni della scelta da parte della casa editrice: «Siamo persuasə che sia un compito squisitamente editoriale quello di studiare e mettere in pratica una norma, in modo da diffonderne non l’uso ma la consapevolezza della possibilità»; nel testo leggiamo anche un invito provocatorio dell’autrice indirizzato ai più scettici nei confronti di questa proposta: «invito le persone a verificare con mano, qui come su altre delle recenti pubblicazioni in questa collana, lo scarso impatto dello schwa sui testi (dato che c’è chi mette in dubbio la loro leggibilità)»167. La proposta della sociolinguista – e poi il successivo impiego dello schwa nella comunicazione sulle piattaforme social e per iniziative individuali – ha infatti scatenato un aspro dibattito che, dagli ambienti intersezionali e accademici, si è spostato presto a livello mediatico e social: il 25 luglio 2020 il giornalista Mattia Feltri ha pubblicato sulla Stampa un articolo dal titolo Allarme siam fascistǝ che, pur nelle sue intenzioni contestatarie nei confronti dello schwa, fa comparire per la prima volta questo grafema sulla prima pagina di un quotidiano nazionale, catalizzando l’attenzione del pubblico intorno a questa sperimentazione linguistica. L’articolo è stato confutato da Gheno in un post pubblicato sul suo profilo Facebook e poi riprodotto nella seconda edizione di Femminili singolari, e da quel momento il dibattito è continuato su riviste e quotidiani, in particolare «Micromega» e «la Repubblica», che hanno privilegiato le posizioni contrarie all’utilizzo dello schwa e agli altri esperimenti inclusivi, un dibattito che, come ha notato Gheno, vede una grande mancanza: il parere diretto delle persone

164 Cecilia Robustelli, Infermiera sì, ingegnera no?, Tema di discussione sul sito web dell’Accademia della Crusca, marzo 2013, www.accademiadellacrusca.it/it/contenuti/infermiera-si-ingegnera-no/7368.

165 Giuseppe Zarra, Quasi una rivoluzione. I femminili di professioni e cariche in Italia e all’estero, Accademia della Crusca, Firenze 2017.

166 Gheno, Femminili singolari, Il femminismo è nelle parole, Effequ, Firenze 20202, p. 181.

167 Ivi, p. 179.

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queer168. Lo schwa, già prima della proposta della sociolinguista, era già in uso in alcuni contesti intersezionali da circa un decennio e, dopo il recente dibattito che si è aperto, è stato adottato da alcune personalità come il fumettista Sio, alias Simone Albrigi, per il poster Lucca Changes dedicato all’edizione 2020 di Lucca Comics, o Michela Murgia, che l’ha utilizzato nei suoi articoli e nel libro Morgana. L’uomo ricco sono io (Mondadori 2021), scritto a quattro mani con Chiara Tagliaferri; ma esso compare anche spesso sui manifesti pubblicitari ed elettorali, e da aprile 2021 questa vocale è stata adottata dal comune italiano di Castelfranco Emilia, che ha deciso di utilizzarla al posto del maschile sovraesteso nella comunicazione social. Questa sperimentazione linguistica, indipendentemente dalla sua sorte futura, ha il pregio di rendere evidente un limite della nostra lingua, quello di non rappresentare le donne e le persone non binarie: «Ritengo che sia facile parlare di serenità linguistica quando si è nella posizione di non essere stati mai, nemmeno per un attimo, linguisticamente o socialmente sottorappresentati (e qui il maschile è assolutamente voluto)»169.

I tentativi di riforma del linguaggio sono stati spesso criticati, ridicolizzati, trattati come tentativi di censura mascherati dal ‘politicamente corretto’, o ignorati perché considerati irrilevanti. Anche se soltanto l’uso futuro della lingua potrà determinare il destino della stessa e una proposta che non diventi popolare è destinata a essere dimenticata, i tentativi di modificare la lingua in una direzione più inclusiva non sono certo inutili, perché una lingua più equa e inclusiva può contribuire a rendere una società più equa e inclusiva: «categorizzare gli individui – nominare e ordinare l’esperienza – ha un’enorme portata normativa ed è tutto fuorché irrilevante»170.

Dopo aver brevemente analizzato le diverse forme di sessismo presenti nel linguaggio, con un’attenzione specifica per la lingua italiana, sorgono alcune domande in relazione al tema del presente studio. Alla luce delle asimmetrie di genere insite nella struttura e negli usi linguistici, come si può configurare il rapporto tra le scrittrici contemporanee e lo strumento del loro lavoro? Tale rapporto sarà necessariamente conflittuale? Di che natura sarà invece il rapporto tra le scrittrici e la loro opera, realizzata attraverso un mezzo linguistico problematico? Le scrittrici contemporanee, in particolare italiane, si sono poste o si pongono questi problemi?

Cercheremo di rispondere nel capitolo successivo.