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Capitolo 3: Alcuni casi di analisi testuale

3. Comedia (1998) di Rosaria Lo Russo

3.3 Repertorio della Comedia

A conclusione dell’intero poemetto vi è un testo intitolato Repertorio, nel doppio significato di elenco di informazioni e di complesso di opere da rappresentare: in esso sono esplicitate infatti le principali fonti fago-citate all’interno di Comedia. Il repertorio parte da Dante per comprendere Campana, Gaspara Stampa, Il libro dei mutamenti, La Bohème pucciniana – già ipotesto de L’estro – e Beata Angela da Foligno:

Per gli spezzatini l’ipocrita di molto spolvero ha cavato dai suoi scatolini delle voci, e dilagandoli poi a soggetto, echi e rimbrotti di declamazioni Dantis, languidi lacerti campaniani, qualche tremebondo balbettio di Gaspara, nonché sentenze ineluttabili dell’I King.

425 Simonelli, La Femmina Fonica. Una ricognizione informale sulla prima produzione di Rosaria Lo Russo, pubblicata e disponibile sul sito web di Rosaria Lo Russo: https://www.rosarialorusso-poesia-performance.it/rosaria-lo-russo-la-femmina-fonica-di-marco-simonelli/.

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La duettante scannata fra la ribalda Mimì tebaldiana e la Beata Angela da Foligno, tradotta da Giovanni Pozzi (come le battutine in latino della santa in Cioè?), è il panetto per la sua beneficiata.

(p. 85)

La presenza dell’ipotesto dantesco è chiaramente preponderante, come annunciato dallo stesso titolo dell’opera, e non comprende soltanto la Commedia: «Così furon distrutti li miei spirti / tutti tranne li spirti del viso» (p. 30) dialoga direttamente con Vita Nova, cap. XIV («allora fuoro sì distrutti li miei spirti […] che non ne rimasero in vita più che li spiriti del viso»).

«Tanto fu dolce suo vocale spirto / mamma fummi poetando dramma / e lasciò il corpo vilmente disfatto» (p. 17) è una triplice citazione purgatoriale: il primo verso rimanda al v. 88 del canto XXI («Tanto fu dolce mio vocale spirto»), il secondo ai vv. 99-97 dello stesso canto («e l’Eneida dico, la qual mamma / fummi e fummi nutrice poetando: / sanz’essa non fermai peso di dramma») e il terzo al v. 87 del canto XXIV («e lascia il corpo vilmente disfatto»); la citazione dantesca – questa come le altre –, lungi dall’essere una fago-citazione manieristica fine a sé stessa, è portatrice di molteplici piani di significazione che hanno grande importanza per il viaggio della poetrice, come ha rivelato essa stessa:

lo «spirto vocale», la virtù poietica, suo, di Dante/Stazio come Padri/Madri alter ego del Sé Poetante originantesi nella «gola infernale» del poièin orale, «fummi mamma» «poetando» e perciò

«dramma»: se le prime due citazioni sono semanticamente parallele alla fonte, la terza attua una deviazione semantica, rispetto al locus testuale, virando la riconoscenza verso le fonti in una desemantizzazione-risemantizzazione che la deflagra, con un coup de thèatre repentinamente decontestualizzante, in tragedia esistenziale. L’operazione sublimante del passaggio di testimone dalla tradizione comica del parlar muliercolo-nutriente dei Padri – che non fermano «peso di dramma» senza la dipendenza simbiotica dal poema-madre – arriva alla Figlia dal «dramma»

dell’assenza di «mamma»: per-versione che ha ben maggior «peso» di una dracma. «E lascia il corpo vilmente disfatto» (Purg, XXIV, 87), citazione decontestualizzata, variantata e risemantizzata:

disambiguando le allegorie, l’atto nutritivo che s’inscena facendo il verso al Poema Madre del Padre non può dissimulare fino in fondo l’opera di contraffazione dei soggetti attanti, altrimenti teatrale, tragica, che esige. La scena allegorico-reale del «corpo della Figlia Anoressica «vilmente disfatto»

dalla Madre Cattiva, che «lascia il corpo» («anche tu mi lasci», in Vegetativa) dell’infante a bocca asciutta – «macro» fa il corpo il poema, e così le stratificazioni e i cortocircuiti sensoriali del dittato inseguono il senso per fini compensativo-dissimulatorii – è metonimicamente assai prossimo alle terzine che nel XXIV, nel canto della «santa greggia» dei Padri Poeti Materni, inneggiano alla gloria del dittato amoroso salvifico dello spiro, della voce che si fa nutrice, per la Figlia, sostituendo il di lei corpo morto che cade nel di Lei corpo vocato426.

Della stessa emblematicità è portatore un altro verso fago-citante l’ipotesto dantesco:

«falsificando me in altrui forma» (p. 33) risemantizza il v. 41 di Inf. XXX («falsificando sé in altrui forma»), andando a configurare la «tragica allegoria» della Musa che falsifica se stessa nella forma di poeta:

426 Lo Russo, Comèdia&Comedìa, cit., pp. 304-305.

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questo peccato di contraffazione dell’Io femminile (del Tu!), della presa di posizione come personaggio Auctor/Actor della femmina fonica (la poetrice) è, secondo la lezione-interpretazione del Padre Dante, paradossalmente, più grave addirittura dell’atto di lussuria incestuosa della ragazza.

Inf, XXX, 37-41: Mirra è «scellerata» non tanto perché «divenne / al padre, fuor del dritto amore, amica» quanto perché «venne» «a peccar con esso» «così» celando la sua vera immagine, il suo viso, il visus spirtal-spirituale del Tu femminile! Velato per commerci carnali: per prendersi dal Padre il corpus poematico427.

Come abbiamo visto, Sequenza orante è interamente intessuta di citazioni da Campana («Oh avere un cielo nuovo un cielo puro dal sangue d’angioli ambigui!», p. 65 – «Oh avere un cielo nuovo, un cielo puro / Dal sangue d’angioli ambigui», Ho scritto. Si chiuse in una grotta: Inediti) e da Angela da Foligno, ma, come segnalato dal Repertorio, questi ipotesti non riguardano in realtà soltanto Sequenza orante. I testi e gli autori fago-citati da Comedia sono inoltre molti di più di quelli dichiarati in Repertorio: possiamo individuarvi un’altra delle tre Corone, il Petrarca del Rerum vulgarium fragmenta («altr’esche», p. 26 – «né bramo altr’ésca», rima CLXV, v. 8); tra i poeti del Cinquecento, oltre a Gaspara Stampa («di cui conven che sempre scriva e canti», p. 23, cita alla lettera il v. 8 di Io non v’invidio punto, angeli santi: Rime, XVII), Michelangelo («onde mi struggo ed ardo», p. 23 – «ov’io mi struggo e ardo», Vivo della mie morte e, se ben guardo: Rime, 56); il Vangelo secondo Matteo («abundantia cordis os loquitur», p. 77 –

«ex abundantia cordis os loquitur», Vangelo di S. Matteo 12, 34); della tradizione operistica si può individuare anche un riferimento a Lucia di Lammermoor di Donizetti («alfin sei mio alfin son tua», p. 81, rimanda ad «Alfin son tua alfin sei mio» del terzo atto dell’opera) e uno alla Traviata verdiana («libiam nei lieti calici!», p. 30, ricalca il titolo di un celebre episodio del primo atto) e al Nabucco («va’ pensiero cantavamo», p.

29). «bolsa» (p. 26) potrebbe essere una velata allusione al Sanguineti di Alfabeto apocalittico («balza bolsa la bestia babillonica»), ma più in generale potrebbe essere individuata come modello del rovesciamento parodico-grottesco della Commedia dantesca proprio Commedia dell’inferno di Sanguineti (1989)428, nella quale, tra l’altro, sono numerose le indicazioni per la resa scenica, scenografica e recitativa come elemento significativo del testo scritto, non soltanto per la messa in scena (nella quale infatti vennero puntualmente tradite), così come avviene poi nella Comedia lorussiana.

Comedia è costellata di riferimenti non soltanto alla nostra tradizione letteraria e culturale (due delle Moire: «Lachèsi» e «Atropo», p. 27; «rossa malpelo», p. 34; il pseudo-cartesiano «ergo esisto, dunque sono», p. 37; «Bohème», p. 80; il riferimento dantesco «Le parole tendono ad essere inadeguate al tanto temuto contenuto», p. 35) e a quella cinematografica («no trespassing, Rosebud!», p. 82, è un riferimento al film Citizen Kane del 1941, nel quale la scritta compare con i due membri, «no trespassing» e

«Rosebud», invertiti e separati da uno stacco temporale), ma anche alla cultura pop: «pissi

427 Ivi, p. 315.

428 Sanguineti, Commedia dell’Inferno. Un travestimento dantesco, Costa&Nolan, Genova 1989; lo spettacolo liberamente adattato dal testo sanguinetiano ha visto il suo debutto il 27 giugno 1989 al Fabbricone di Prato con la regia di Federico Tiezzi.

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pissi bau bau» (p. 17); «caffè della Peppina», «Mago Zurlì», «Zecchino d’oro» (p. 25);

«rosso di sera / bel tempo si spera» (p. 26); «vi-va la pa-ppa pa-ppa col po-po-po-po-po-po-po-modoróo» (p. 27); «Mary Poppins» (p. 42); «Coca Cola» (p. 49); «Policenella»

(nome originario della maschera napoletana), «sciosciammocca» (p. 50); «fernet farneticando digestimola» (riferimento a una pubblicità di Fernet-Branca), «io sono piccoliiina / son nata paperiiina» (p. 52); «LAST AL LIMONE» (p. 53); «Stregatto» (p.

68); «Hänsel & Gretel», «(fai un salto/ fànne un altro/ fai la riverenza/ (…)/ fàlla una volta/ fàlla un’altra volta/ fai la giravolta, / (…)/ fàlla una volta/fàlla un’altra volta/

DA’|I’UN|BA|CIA’|CHI|VUOI|TU|)»429 (p. 80). Accanto al gusto comico-grottesco per le figure della cultura popolare, i proverbi e le filastrocche, vi è quello per i giochi di parole («infanta di Pan di Spagna», p. 26; «Muso duro», p. 66; «Musa a Muso», «la potenza maschia ingrossi in barba a me ingrossi in guance in pancia», p. 68; «È cosa buona e guasta», p. 69) e per le nenie e gli infantilismi («Dolorino dolorino vai via da questo pancino! e ciuccio ciuccio fo la calza», p. 26; «ciccina», «pappa», p. 67; «Questa è la novella dello stento che dura tanto tempo», p. 81). Non è casuale che in questo poema siano molte le parole e le frasi legate all’ambito dell’infanzia, che nell’opera lorussiana è infatti intesa come incapacità di parlare e di esprimersi430, dalla quale il Tu musivo deve uscire per diventare Io poetante.