Capitolo 1: Questioni preliminari
3. Scrittura delle donne
Con la lotta per l’emancipazione femminile, i cui primi fermenti risalgono agli anni della Rivoluzione francese e che è tuttora in corso, le donne hanno gradualmente acquisito indipendenza e poteri, tra i quali quello di autodeterminarsi. Molte donne, di conseguenza, almeno coloro che avevano (ereditato o acquisito) le disponibilità economiche, hanno potuto scegliere di studiare, laurearsi, dedicarsi alla scrittura, pur con tutti gli ostacoli interposti dalle resistenze del patriarcato, introducendosi come corsare in un ambiente editoriale e culturale gestito fino quasi ai giorni nostri esclusivamente da un potere maschile.
Se le donne hanno oggi accesso alla cultura e alla scrittura come gli uomini33, è necessario parlare di scrittura femminile o scrittura delle donne? Le risposte che a questa
32 Ivi, pp. 32-33.
33 Dal momento che esse si introducono senza invito alla festa dalla quale erano sempre state escluse, in una società che non ha ancora sconfitto del tutto il patriarcato, quel ‘come’ è quindi più che altro un
16
domanda hanno dato le donne sono divergenti. Alcune rivendicano fermamente la necessità dell’espressione:
Nella storia dell’accesso delle donne alla cultura codificata c’è traccia sia dell’immagine della trasgressione che usiamo per riferirci alle donne che scrivono […] sia nell’immagine conoscitiva che abbiamo chiamato dell’estraneità – il sentimento della non corrispondenza degli strumenti di cui ci siamo appropriate con l’oggetto della nostra ricerca. Questo potrebbe spiegare anche, banalmente, perché abbiamo bisogno di dire “cultura delle donne”, “sapere delle donne”, “scrittura delle donne”: nella sfida a dirci, siamo nella condizione di doverci dire parziali e non universali, anche se questo può sembrare ad alcune un atteggiamento sminuente e/o ghettizzante. Ma è, quanto meno, una posizione che rifiuta l’esser dette da una cultura sedicente universale. È un gesto di rifiuto del dominio, di rottura del patto, è la rinegoziazione, in termini di potere simbolico e di valore, all’interno di una storia che io vedo come espressione di conflitto34.
La necessità di dirsi parziali deriva dal rifiuto della cultura e quindi della letteratura sedicente universale (la Weltliteratur goethiana) ma in realtà maschile. Non avvertendo il problema del genere, la cultura occidentale si è presentata come universale, nella misura in cui l’uomo si è autorappresentato e presentato come universale, in quanto essere umano, dimenticando di escludere dalla (auto)rappresentazione metà della popolazione, quella femminile, annullando quindi il secondo sesso in una illusoria trasmissione di neutralità. Nel momento in cui si prende coscienza dell’asimmetria politica, sociale, economica, culturale e letteraria del genere femminile, non sembra quindi più possibile parlare di scrittura universale per denominare la scrittura femminile (che in passato è emersa all’interno della cultura universale come eccezione proprio in quanto femminile), ma si avverte il bisogno di sottolineare quella diversità che era stata occultata, nella speranza di raggiungere un’uguaglianza tale da non dover più distinguere la cultura e la scrittura femminili da quelle universali e maschili, un auspicato momento storico in cui il sintagma ‘scrittura delle donne’ avrà perso ogni ragion d’essere.
La necessità di riconoscere l’identità di genere della letteratura femminile deriva quindi dalla volontà di non incorrere nel pericolo della dissolvenza all’interno del genere universale (che non è neutro, ma maschile). Questo non significa che la realtà sia ridotta a due distinte categorie di genere ma che, in una realtà in cui l’universale è ancora maschile, è necessario sottolineare l’esistenza e la voce di quello che Simone de Beauvoir ha denominato il secondo sesso, pur essendo consapevoli che molte persone non si identificano con nessuno dei due e che i generi (e anche i sessi, secondo alcuni studiosi)35 sono costruzioni sociali.
diritto sulla carta che può talvolta corrispondere a una mera velleità da parte delle donne e ad una, voluta, illusione di uguaglianza.
34 Anna Maria Crispino, Ancelle e corsare: la formazione di un ceto intellettuale femminile, in Donne e scrittura, cit., pp. 217-223 (219).
35 «Se si contesta il carattere immutabile del sesso, allora forse questo costrutto detto “sesso” è culturalmente costruito proprio come lo è il genere; anzi, forse il sesso è già da sempre genere, così che la distinzione tra sesso e genere finisce per rivelarsi una non-distinzione»: così si legge in Judith Butler, Questione di genere: il femminismo e la sovversione dell’identità, traduzione di Sergia Adamo, Laterza, Roma-Bari 20136, p. 13.
17
Eppure la specificazione di genere a fianco alla professione (la scrittura, in questo caso) ha dato e tutt’ora dà fastidio a molte donne, che si sentono ghettizzate da tale specificazione. In chiusura dell’antologia Donne in poesia curata da Biancamaria Frabotta e pubblicata da Savelli nel 1976 sono messe in fila le risposte di coloro, tra le poetesse antologizzate nel volume, che hanno potuto e voluto rispondere a un questionario; la maggior parte di queste risposte nasconde a malapena la preoccupazione che un’operazione come quella dell’antologizzazione femminile contribuisca a discriminare ulteriormente la poesia delle donne, reiterando e cristallizzando una separatezza che si configura come subalternità. Così Luciana Frezza nelle sue risposte scrive di essere stata «sempre attenta a girare al largo dai pericoli della poesia ‘femminile’
nella accezione deteriore del termine (sentimentalismo, effusioni ecc.)» e che «la qualifica di ‘poetessa’ è un po’ scomoda da portare, per le implicazioni che immediatamente suscita»36; Gilda Musa sostiene che non sia più accettabile il concetto di un’arte maschile o femminile e Armanda Guiducci scrive di non credere «alla poesia
‘maschile’ e alla poesia ‘femminile’» e che «in questa distinzione, adusata, si cela una discriminazione razzista nei confronti della donna. Infatti per ‘poesia femminile’ si intende correntemente una sottopoesia, destrutturata o debole, patetica o sentimentale»37. Secondo Frabotta dietro a queste preoccupazioni si cela un sostrato comune: «quasi sempre una donna che inizia a scrivere trova in sé la prima nemica, il primo ostacolo da superare: in qualche modo prevenuta contro se stessa»38.
Se prendiamo un testo posteriore di una trentina d’anni rispetto a quello di Frabotta, come Poesia femminile italiana dagli anni Settanta a oggi di Ambra Zorat, che presenta anch’esso in appendice una raccolta di interviste-questionari sottoposti a poetesse italiane di diverse generazioni, le risposte a domande simili in molti casi divergono: alla domanda
«L’uso dell’espressione “poesia femminile” cosa suscita in Lei? Perché?», Laura Pugno risponde: «Per me la differenza di genere è una delle caratteristiche fondamentali della persona che scrive, ma è una di esse. Non è l’unica, non sempre è la più importante»39; Maria Pia Quintavalla sottolinea l’aspetto ideologico sotteso alla scelta terminologica:
«Credere, è comunque sempre un fatto legato ad una fede. Credere o meno nella scrittura femminile è legato a una centralità dell’amore per altre donne, ma non è un dogma, non è un cliché, citabile per accademie»40; Aldina De Stefano risponde: «Un senso di appartenenza, di condivisione. Un riconoscersi per ricompattarci, dialogare»41;
Nel rispondere al questionario molte poetesse riportano ancora, però, la resistenza all’uso della specificazione di genere di fianco al termine poesia, così come l’avevano espressa le poetesse del questionario di Frabotta: Antonella Anedda scrive di non riuscire
36 Donne in poesia, cit., p. 146.
37 Ivi, p. 162.
38 Ivi, p. 11.
39 Ivi, p. 474.
40 Ivi, p. 478.
41 Ambra Zorat, Poesia femminile italiana dagli anni Settanta a oggi. Percorsi di analisi testuale, tesi di dottorato in cotutela, Université Paris IV Sorbonne, Università degli Studi di Trieste, relatori Francois Livi, Cristina Benussi, a.a. 2007-2008, p. 439.
18
ad abituarsi a questa espressione, che le provoca sempre stupore42; Anna Maria Carpi scrive: «Non m’inscrivo nella poesia femminile, anzi questa dicitura non mi piace»43, rivelando un pregiudizio o uno stigma nei confronti dell’aggettivo femminile, quasi che fosse un termine denigratorio, come conferma più avanti: «lei mi chiede perché faccio resistenza a mettermi nella poesia femminile. A parte gli antipatici furori ideologici delle femministe anni 70 e 80, io ho col mio essere donna un nodo freudiano»44. Francesca Genti scrive che l’espressione in questione «Suscita in me un po' di fastidio, sono abituata a pensare al di là del genere»45. Jolanda Insana invece: «non mi piacciono 'le poete', lo lasci dire alle poverette, per le quali non esiste forma, non esiste tradizione, esiste il bisogno di dire ... per cui non è necessario, credo, il verso»46. Marina Pizzi alla stessa domanda («L’uso dell’espressione “poesia femminile” cosa suscita in Lei? Perché?») risponde: «Rammarico, senso d’idiozia, come la “Festa della donna” o “Le pari opportunità” imposte per legge» e nella risposta successiva continua: «Non esiste una poesia femminile, mi andrebbe stretta. Sarebbe un’offesa al senso ultimo della Persona»47. Valeria Rossella risponde «Direi fastidio. È un perfetto modo per ghettizzare la poesia scritta da creature di sesso femminile. Io voglio stare in classe mista, è più rassicurante per il mio senso di parità»48. Francesca Serragnoli scrive che l’espressione poesia femminile «Suscita noia e mi fa venire in mente i gruppi di poesie di donne che volontariamente insistono sul corpo e tutte quella normalità della poesia delle donne che sarebbe come dire che una donna è così cosà eccetera» e più avanti fa emergere più chiaramente la sua misoginia scrivendo «Oggi poi siamo nel momento peggiore per la donna, peggio di prima del femminismo»49.
Anche le poetesse che non si ritengono avverse all’uso di questa espressione ne segnalano comunque l’insito rischio della ghettizzazione: «[L’espressione “poesia femminile”] mi piace perché connota subito la produzione di uno scrittore donna, non mi piace perché, agli occhi di chi non ha una formazione del pensiero della differenza, può connotarsi di attributi negativi e ghettizzanti»50, scrive Loredana Magazzeni; Rosaria Lo Russo sostiene che l’espressione «deve suscitare sdegno, se si rivela un’altra forma di ghettizzazione culturale. Molte femministe hanno fatto questo errore per ipercorrettismo, diciamo così. Io la uso come espressione di comodo, occupandomi di poesia scritta da donne»51.
Alcune poetesse hanno argutamente inquadrato la situazione inserendola nel suo contesto storico-sociale: in relazione all’uso dell’espressione poesia femminile Ida Travi scrive che
42 Ivi, p. 429.
43 Ivi, p. 437.
44 Ivi, p. 438.
45 Ivi, p. 450.
46 Ivi, p. 456.
47 Ivi, p. 471.
48 Ivi, p. 481.
49 Ivi, p. 484.
50 Ivi, p. 461.
51 Ivi, p. 457.
19
è un termine con cui, in questa fase storica, si tenta di uscire dalla nebbia neutrale per arrivare a riconoscere la propria differenza.
Alcuni usano questo termine in forma ‘riduttiva’ anche un po’ dispregiativa ma dovranno cambiare idea. Col cambiare dell’idea cambierà anche il senso del termine che alla fine vorrà dire solo quel che è : poesia scritta da una donna.
Condivido il pensiero di Irigaray: il linguaggio non è mai neutro. Di più: il linguaggio è sempre portato da un soggetto. E bisogna pur avere presente quale52.
Ritengo che in questa fase storica le espressioni poesia femminile, scrittura femminile o scrittura delle donne abbiano un senso di esistere, non per ghettizzare o circoscrivere nel sottoinsieme della subalternità la produzione testuale di un certo gruppo, ma per riconoscerne l’esistenza, prima ancora che la differenza, tenendo conto della storia letteraria che in una ‘nebbia neutrale’ ha cancellato l’esistenza delle voci femminili, in una percezione di naturalità in cui le donne erano, di fatto, naturalmente subalterne e non era concepita una rottura del loro silenzio. Subalterna e ghettizzante non è invece l’espressione poesia femminile se è il frutto di una scelta che vuole portare a compimento l’eliminazione di ogni percezione o attuazione di subalternità nei confronti del genere femminile e il mutamento della concezione della donna; al termine di questo compimento il sintagma perderà ogni connotazione negativa che oggi può ancora assumere, sia in chi vuole consolidare il recinto della subalternità femminile sia in chi ha paura delle conseguenze negative che possono riversarsi sulla propria persona. Per questi motivi ho deciso di usare l’espressione poesia femminile per denominare l’oggetto del mio studio.
Nel prossimo capitolo (par. 1.2) approfondiremo la questione relativa alla resistenza, da parte di alcune donne e non soltanto, alla declinazione femminile dei nomi di professione, mentre il problema terminologico riguardo alla scrittura femminile e ai termini poetessa/-e e poeta/-e verrà ripreso e approfondito nelle Conclusioni alla luce di un questionario inedito sottoposto a cinque poetesse contemporanee.