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Capitolo 2: Il posizionamento femminile nei confronti del linguaggio, dei canoni e della

1. Il linguaggio non è mai neutro

1.1 Usi linguistici e asimmetrie

Sul piano dell’uso della lingua, linguisti e antropologi hanno evidenziato una differenza nel modo di parlare degli uomini e delle donne, sia nelle società considerate più ‘arcaiche’ sia in società considerate più vicine a quella occidentale. Le ricerche di Jespersen73, Malinowsky74, Sapir75, Trubeckoj76, Flannery77 e Lévi-Strauss78 a partire dagli anni Venti hanno individuato l’esistenza di espressioni e forme lessicali riservate alla comunicazione tra donne e di altre riservate a quella tra uomini nelle società che hanno analizzato (società considerate primitive, in continuità con il clima scientifico di quegli anni), in lingue come il Caribe des Iles parlata dagli indiani Caraibi delle Piccole Antille o la lingua Tana, lingua indiana del nord della California.

71 Luce Irigaray, Parler n’est jamais neutre, Éditions de Minuit, Paris 1985.

72 Patrizia Violi, L’infinito singolare, Essedue, Verona 1986, p. 40.

73 Otto Jespersen, The Woman, in Language. Its Nature, Development and Origin, Allen and Unwin Ltd, London 1922.

74 Bronisław Malinowski, The Sexual Life of Savages in North-Western Melanesia: an Ethnographic Account of Courtship, Marriage and Family Life Among the Natives of the Trobriand Islands, British New Guinea, Liveright, New York 1929.

75 Edward Sapir, Male and Female Forms of Speech in Yana, in Selected Writings in Language, Culture and Personality, ed. David Mandelbaum, University of California Press, Berkeley 1963.

76 Nikolaj Sergeevič Trubeckoj, Principes de phonologie, Klincksieck, Paris 1949.

77 Regina Flannery, Men's and Women's Sspeech in Gros Ventre, «International Journal of American Linguistics», XII, 3, July 1946, pp. 133-135.

78 Claude Lévi-Strauss, Tristes tropiques, Plon, Paris 1955.

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Labov79 e Trudgill80 hanno studiato la differenza sessuale nell’uso della lingua inglese, mostrando che «rispetto agli uomini che usano frequentemente usi dialettali o di slang, le donne usano più forme di prestigio e caratteri grammaticali e di pronuncia associati allo standard inglese»81. Come ha notato Claudia Bianchi, in questi casi il posizionamento del ricercatore è evidente nella sua metodologia d’analisi: «il fenomeno che Trudgill ritiene di spiegare è l’uso delle forme di prestigio da parte delle donne, e non il discostarsi da tali forme standard da parte degli uomini: anche in questo caso il maschile viene considerato la norma»82.

Il testo che si ritiene aver inaugurato gli studi femministi su genere e linguaggio è Language and Woman’s Place di Lakoff del 1975: secondo Lakoff «il linguaggio delle donne – nel duplice senso di usato dalle donne e usato per parlare delle donne – riflette il loro status subordinato» e i tratti lessicali e di discorso o di intonazione usati dalle donne

«le caratterizzano come incerte, deboli, eccessivamente cortesi, prive di fiducia e di senso dell’umorismo»83.

Altri studi più recenti si sono soffermati su situazioni comunicative circoscritte:

Coates84 ha analizzato il “pettegolezzo” nelle conversazioni sia tra gruppi di donne che di uomini, Holmes85 la cortesia positiva negli usi linguistici femminili, Ochs e Taylor86 le conversazioni a tavola delle famiglie americane medie e la dinamica “Father knows best”

messa in atto dalle madri in tali situazioni.

Dagli studi empirici sulle differenze tra le varietà linguistiche femminili e quelle maschili sono spesso emersi risultati contraddittori e comunque modesti, nonostante possano apparire robusti; secondo Bianchi questo dipende dall’effetto hall of mirrors,

‘galleria degli specchi’, che moltiplica gli stereotipi, assunti come punto di partenza e prototipo di comportamento normale, conducendo a risultati fallaci che confermano gli stereotipi iniziali, anche nei lavori di chi si era proposto di contestarli87. Molte delle analisi sulle quali si sono basati gli studi che hanno analizzato il linguaggio femminile mettendone in risalto le forme di sottomissione e di incertezza sono state criticate e

«‘rilette’, dimostrando che si potevano trarre anche altre conclusioni e che i limiti

79 William Labov, The Social Stratification of English in New York City, Center for Applied Linguistics, Washington DC 1966.

80 Peter Trudgill, Sex, Covert Prestige and Linguistic Change in the Urban British English of Norwich,

«Language in Society», I, 2, October 1972, pp. 179-195.

81 Claudia Bianchi, La parola, in Donna m’apparve, a cura di Nicla Vassallo, Codice, Torino 2009, pp.

83-99 (88).

82 Ibidem.

83 Ibidem.

84 Jennifer Coates, Gossip Rrevisited: Language in All-Female Groups, in Jennifer Coates, Deborah Cameron, Women in Their Speech Communities: New Perspectives on Language and Sex, Longman, London 1988, pp. 94-121.

85 Janet Holmes, Women, Men and Politeness, Longman, London 1995.

86 Elinor Ochs, Carolyn Taylor, The "Father Knows Best" Dynamic in Dinnertime Narratives, in Kira Hall, Mary Bucholtz, Gender Articulated: Language and the Socially Constructed Self, Routledge, New York 1995, pp. 97-120.

87 Cfr. Bianchi, La parola, cit.

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metodologici […] potevano incidere sulla validità delle conclusioni»88. Inoltre, ulteriori studi mostrano come «alcune delle caratteristiche attribuite alle donne si ribaltino in altre comunità, come quella malagascia studiata da Ochs (1974), in cui sono i discorsi degli uomini ad essere allusivi e indiretti»89. In Italia lo studio dell’uso femminile della lingua dagli anni Settanta si è spostato da una prospettiva dialettologica ad una sociolinguistica e pragmatica che ha permesso di guardare alla questione con uno sguardo più ampio;

Berretta90 ha evidenziato la presenza dello stereotipo negativo nelle stesse donne e De Marco91 ha mostrato che questa presenza è più forte dello stesso comportamento linguistico; altri studi hanno poi cambiato di segno l’individuazione di differenze negli usi linguistici femminili:

Intorno agli anni novanta si nota una tendenza non solo a considerare la complessità del fenomeno nei suoi vari aspetti, ma a sottolineare differenze positive del linguaggio delle donne, come una maggiore cooperatività, un maggior coinvolgimento, una maggiore disponibilità alla negoziazione, una maggiore capacità di ascolto e di ripresa dell’interlocutore, una macrostrategia fabulatoria e un’attitudine fàtica che tende all’efficacia della comunicazione (cfr. Cortese, Podestà, 1987). Lo stereotipo della donna sottomessa, ‘invisibile’, viene quindi negato e sostituito da una diversa caratterizzazione, positiva, che ne sottolinea le differenze92.

Oltre al superamento di questi stereotipi, «oramai si può dare per acquisito che fenomeni linguistici tipicamente femminili siano, nella maggior parte dei casi, da ricondurre a considerazioni di tipo socioculturale prima ancora che linguistico»93.

Sul piano dell’uso della lingua, il sessismo – e quindi le discriminazioni linguistiche, basandoci sulla premessa che il linguaggio sia a tutti gli effetti un’azione – può essere declinato nelle asimmetrie relative all’uso di forme di identificazione delle donne attraverso l’uomo, l’età, la professione o il ruolo, delle quali possiamo ritrovare numerosi esempi tra i titoli dei giornali e delle riviste. Un esempio tra tutti: Vulvodinia, malattia

"invisibile" che colpisce la fidanzata di Damiano dei Maneskin compare su «il Giornale»

l’11 maggio 202194 e Io, fidanzata di Damiano dei Maneskin, e il dolore di cui nessuno parla il 25 maggio su «F»95 (ma sono decine i titoli che ripropongono lo stesso sintagma per riferirsi alla ragazza in questione): nel secondo caso il titolista dà addirittura l’illusione

88 Carla Bazzanella, Orsola Fornara e Manuela Manera, Indicatori linguistici e stereotipi femminili, in Linguaggio e genere, a cura di Silvia Luraghi e Anna Olita, Carocci, Roma 2006, pp. 155-169 (156).

89 Ibidem.

90 Cfr. Monica Berretta, Per una retorica popolare del linguaggio femminile, ovvero: la lingua delle donne come costruzione sociale, in Comunicare nella vita quotidiana, a cura di Franca Orletti, Il Mulino, Bologna, pp. 215-240.

91 Anna De Marco, L’influenza del sesso nell’uso dei diminutivi in italiano, in Donna e Linguaggio, Gianna Marcato, CLUEP, Padova 1995, pp. 87-98.

92 Bazzanella, Fornara e Manera, Indicatori linguistici e stereotipi femminili, cit., p. 157.

93 Grazia Basile, Strategie linguistico-comunicative e differenza di genere nel linguaggio politico, in Che genere di lingua? Sessismo e potere discriminatorio delle parole, a cura di Maria Serena Sapegno, Carocci, Roma 2010, pp. 77-90 (78).

94 https://www.ilgiornale.it/news/salute/vulvodinia-malattia-colpisce-Giorgia-Soleri-fidanzata-Damia no-Maneskin-1945794.html.

95 https://www.cairoeditore.it/f/f-n-22-01-giugno-2021/67672.

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che a parlare in prima persona e a denominarsi attraverso la figura del fidanzato sia la stessa Giorgia Soleri, la ragazza a cui si riferisce il titolo, nonostante Soleri avesse espressamente richiesto alla redazione di «F» di non fare riferimento alla sua relazione o ad altri gossip nel titolo dell’intervista che avrebbe rilasciato per sensibilizzare sul tema della vulvodinia, malattia femminile ancora poco conosciuta96. Titoli come Le ragazze che rifanno il look alla Cattedrale di Palermo (che compare sulla «Repubblica» il 9 aprile 202197, riferendosi a una squadra di restauratrici) identificano invece le donne che denotano attraverso una serie di stereotipi legati al genere femminile, così i loro nomi e cognomi scompaiono e il mestiere di restauratrici viene declassato a quello di make-up artist, più tipicamente femminile. Covid, tampone salivare per i bimbi: ecco le quattro mamme ricercatrici che lo hanno ideato, comparso su «Il Messaggero» il 3 novembre 202098, e altri titoli simili identificano le professioniste in questione prima di tutto in quanto madri, come se la maternità avesse una qualche rilevanza nella definizione della loro professionalità, mentre difficilmente si trovano titoli che rendono saliente la paternità di un professionista nel momento in cui viene data una notizia relativa alla sua professione.

Un’altra asimmetria largamente presente nei titoli giornalistici, oltre che nell’uso quotidiano della lingua, riguarda il differente utilizzo di nomi, cognomi, titoli e appellativi per riferirsi a individui di genere femminile o maschile: è frequente l’uso di Signorina/Signora per riferirsi a una donna che invece ha un titolo professionale, mentre nello stesso contesto gli uomini vengono chiamati Dottore, Architetto, Professore, etc., così come l’uso del nome proprio per riferirsi alle donne e del cognome (o di entrambi) per riferirsi agli uomini. Il titolo comparso sul quotidiano «Il Giorno» l’8 marzo 202199, Giulia, la signora dei trattori "Ingegnere, fatevi avanti", mette insieme l’uso del nome proprio – Giulia – al posto del Cognome – Castoldi – e l’uso dell’identificativo signora invece del titolo professionale – in questo caso manager o direttrice marketing.