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proprio) è apertamente considerata come un krivnein diverso da quello del “principio

controllore” (kuvrion: II.8). Wedin (p. 47) accetta l’integrazione di Ross e scommette di poter intendere l’esempio del Sole podiai'o" in Ins. 460b16-20 come caso non di f.iva bensì di percezione (1988, p. 55), perché tutta la sua teoria è fondata sul presupposto che la f.iva non è un kritikovn (p. 47). Ma il Sole podiaio" è una f.iva (3.8). Il krivnein della f.iva è non proposizionale (Stevens 2006, p. 185): per il krivnein non proposizionale, cf. III.2.

89 428a5-8: o{ti me;n ou\n oujk e[stin ai[sqhsi", dh'lon ejk tw'nde. ai[sqhsi" me;n

ga;r h[toi duvnami" h] ejnevrgeia, oi|on o[yi" kai; o{rasi", faivnetai dev ti kai; mhdetevrou uJpavrconto" touvtwn, oi|on ta; ejn toi" u{pnoi". “Che dunque [la f.iva] non è percezione, è chiaro da ciò. Infatti la percezione è o potenza o atto (p.es. vista e visione), mentre qualcosa appare anche quando nessuna delle due è in gioco, come le cose [che appaiono] nel sonno”. “x f.tai” vale “c’è un f.ma di x”.

90 Ciò basta a escludere l’identità di percezione e f.iva: capita che questa sia in atto

quando quella è solo in potenza. Ma allora – immaginiamo di obiettare – la f.iva non sarà la potenza della percezione? un atto può infatti essere potenza di un atto ulteriore. Ma in che modo un sogno sarebbe potenza di una sensazione? Se quello si rapportasse a questa come la potenza all’atto, dovrebbe conservarsi durante la percezione; esso rappresenta invece qualcosa di totalmente alternativo alla realtà cui la percezione schiude l’accesso: il richiamo alla sensazione, in atto o in potenza che sia, è fuori luogo, giacché lascerebbe inspiegata l’alterità del sogno. Infatti kai; o{per de; ejlevgomen provteron, faivnetai kai; muvousin oJravmata (428a15-16: “e – lo dicevamo prima [cf. 7-8] – anche a chi ha gli occhi chiusi appaiono visioni”): ciò che appare a chi non può vedere è una visione; il f.ma non è rispetto all’ai[sqhma un prius incompiuto: ne ha la stessa compiutezza. Bisogna perciò distinguer la f.iva dalla ai[sqhsi" senza appellarci a ciò che nell’una e nell’altra soggettivamente esperiamo; le due esperienze non si distinguono per caratteri a esse intrinseci, ma per un diverso rapporto con la realta: non sempre ci accorgiamo, nel sogno, che stiamo sognando.

91 428a8-11: ei\ta ai[sqhsi" me;n ajei; pavresti, fantasiva d ouj. eij de; th/' ejnergeiva/

ei\ta aiJ me;n ajlhqei'" aijeiv, aiJ de; fantasivai givnontai aiJ pleivou" yeudei'". e[peit’ oujde; levgomen, o{tan ejnergw'men ajkribw'" peri; to; aijsqhtovn, o{ti faivnetai tou'to hJmi'n a[nqrwpo": ajlla; ma'llon o{tan mh; ejnargw'" aijsqanwvmeqa: tovte h] ajlhqh;" h] yeudhv".92

Inoltre (a) le une sono sempre vere, mentre le fantasivai sono in maggioranza false93. E inoltre, (b) quando siamo attivi con precisione riguardo al sensibile

muvrmhki h] melivtth/, skwvlhki d ou[. “Inoltre, la percezione c’è sempre, la f.iva no. Se invece quanto all’atto fossero identiche, in tutte le bestie potrebbe esserci f.iva; ma sembra che non sia così: alla formica o all’ape, ad esempio, [sembra che appartenga], al verme no”. ajei; (8) distributivo: il senso è di tutti gli animali, la f.iva no (o così si crede: dokei'); se ajei; avesse valore temporale, la percezione in gioco sarebbe quella in potenza; ma è difficile pensare che nella vita di animali capaci di f.iva ci siano attimi in cui la capacità scompaia. Simplicio (209, 10-14) vede nei primissimi attimi di vita (prima che la prima sensazione sia sedimentata in f.iva) il momento che impedirebbe di attribuire sempre la f.iva all’animale: interpretazione che proietta sull’explanandum concetti propri dell’explanans (4). I MSS hanno muvrmhki h] melivtth/ h] skwvlhki: “sembra non appartenere alla formica, o all’ape, o al verme”. La negazione della f.iva all’ape (presentata come e[ndoxon) è strana perché in

Metaph. 980b22 ss., PA. 648a5 ss. le api son dette frovnima e dotate di memoria: accetto

con Ross e Torstrik il lemma di Temistio muvrmhki me;n h] melivtth/, skwvlhki d’ ou[, che Labarrière (1984, p. 24) respinge pur ammettendone la cogenza (p. 23). Stevens (2006, p. 185) intende come se Ar. dicesse che l’aijsqhtovn è sempre presente se c’è atto sensorio, non sempre invece il fantastovn è presente se c’è atto di f.iva; ma il testo non menziona f.tav.

92 428a11-15. Conservo tovte … yeudhv", espunto da Torstrik e Hicks e corretto da Ross

in povteron ajlhqh;" h] yeudhv". Soggetto sottinteso è hJ ai[sqhsi" o hJ fantasiva. Dalla correzione risulterebbe: “quando percepiamo con precisione l’oggetto non diciamo che esso sembra un uomo: ma piuttosto quando non percepiamo chiaramente se [la f.iva] è vera o falsa”; aijsqanwvmeqa si riferirebbe così a una sovra-percezione della verità o falsità della f.iva: a che moltiplicare gli enti? Inoltre, se ejnargw'" aijsqanwvmeqa = ejnergw'men ajkribw'" peri; to; aijsqhtovn (come suggerisce il parallelo tra le espressioni), la f.iva precederà anche questo “essere attivi circa il sensibile”? pare di no, perché in tal caso non si dice che l’oggetto f.tai: e avremmo la stranezza di una f.iva attiva solo in caso di ai[sqhsi" incerta.

93 Per Osborne (2000, p. 276) Ar. parla qui solo di atti che avvengono in imperfetto

stato psicofisiologico. La restrizione è indebita, perché in nessun modo suggerita dal testo; e inutile, perché ciò che Ar. dice è non stranezza ma ovvietà: sono vere solo le f.ivai discese da sensazioni vere, e solo nel breve tempo in cui l’ai[sqhsi" dura (4.6): la maggioranza degli atti del fantastikovn sono falsi. Per Ferrarin la f.iva è qui vista “in its freedom from

non diciamo che esso ci appare un uomo: ma piuttosto quando non percepiamo chiaramente (allora [l’atto cognitivo] è vero o falso).

aiJ de; sottintende aijsqhvsei": queste sono dunque sempre vere? Lo

sviluppo del discorso suggerisce piuttosto che, nominati i sogni in 7-8 (f.ivai

per definizione false), Ar. abbia poi abbozzato una distinzione tra sensazioni

e f.ivai fondata sul diverso grado di veridicità

94

; ma che poi, trovando che le

sensazioni sono talora false, abbia escluso dalle sensazioni, accorpandoli

alla f.iva, gli atti in cui l’oggetto non è colto chiaramente

95

. Questa scelta,

giustificata dall’uso di f.mai (indice dell’atto di f.iva) per caratterizzare

sensazioni incerte

96

, comporta l’impegno a spiegare l’errore percettivo con

la f.iva

97

. L’ultima coppia di argomenti non soddisfa Ar., che sceglie di

the responsibility for veridicity” (2005, p. 100); ma dire che un atto cognitivo è falso è notar che esso vien meno alle sue funzioni cognitive, non che non abbia funzioni cognitive.

94 Pessimo l’esempio di f.iva vera della Osborne (2000, p. 276): delirare di un sicario

che viene a uccidermi mentre ciò accade davvero. Tale f.iva sarebbe vera solo per accidens.

95 Le sensazioni incerte sono quasi sempre percezioni di sensibili comuni o accidentali

(B 6); perciò questo passo ha indotto alcuni a veder in questi due tipi di sensazione casi di f.iva, quasi la f.iva fosse del senso il lato interpretativo (Nussbaum [1978] 1985) o fallace (Schofield [1978] 1979), o ogni suo atto non adeguato alla realtà (Modrak 1986). Cf. 4.8.

96 Alex 67, 4-8: o{ti de; mh; taujto;n ai[sqhsi" kai; fantasiva, dh'lon kai; ejk tou'

o{tan me;n ajkribw'" aijsqanwvmeqav tino" mh; levgesqai hJma'" fantasivan e[cein aujtou', ajmaurw'" dev tino" aijsqanovmenoi faivnesqai hJmi'n ejkei'no levgomen. kaivtoi, eij h]n taujtav, e[dei th;n ma'llon ai[sqhsin ma'llon fantasivan ei\nai (“che senso e f.iva non siano lo stesso, è chiaro anche dal fatto che, quando percepiamo qualcosa con precisione, non diciamo che ne abbiamo f.iva, mentre percependo una cosa oscuramente diciamo che ‘ci appare’. Eppure, se fossero state identiche, bisognava che la sensazione a maggior titolo fosse f.iva a maggior titolo”). Per Everson questa mossa argomentativa indicherebbe una certa confusione da parte di Ar.: “when he says at 428a8-9 that all animals have perception, but not all have phantasia, ‘phantasia’ must have its restricted sense, otherwise all animals would have phantasia simply in virtue of having perception. At 428a12-15, in contrast, the term must have its wide sense, otherwise one says ‘that appears to be a man’ this would actually be false if one were actually perceiving a man” (1997, p. 185). A mio avviso non di confusione si tratta, ma di scelta deliberata: i casi in cui si usa f.mai in presenza dell’a.tovn vanno spiegati in base ai casi in cui la f.iva opera in assenza dell’a.tovn.

chiudere il gruppo ribadendo il primo (428a15-16): per distinguer f.iva e

ai[sqhsi" meglio non invocar casi in cui la distinzione è fluttuante

98

, e