Il Protocollo congiunto, che dichiaratamente - tanto si legge nel preambolo - era inteso a “… stabilire un legame tra la Convenzione di Vienna e la Convenzione di Parigi, estendendo scambievolmente i benefici del regime speciale in materia di responsabilità civile per quanto riguarda i danni nucleari, stabilito ai sensi di ciascuna Convenzione …” ebbe l’effetto di gettare un ponte tra le due Convenzioni in parola.
L’Italia dell’epoca, che, al pari degli altri stati contraenti (non solo europei) sentiva forte la pressione e la preoccupazione per le conseguenze del disastro di Chernobyl, tanto da aver già rinunciato, circa un anno addietro, alle proprie ambizioni nucleari, ratificava il Protocollo congiunto con legge del 23 aprile 1991 n. 147. Il Protocollo entrava dunque in vigore nel 1992.
L’interesse dimostrato dalla comunità internazionale nei riguardi di questa iniziativa fu proprio il derivato diretto del clima di apprensione e della sensazione di impotenza scatenati dall’incidente di Chernobyl, allorchè fu chiaro agli occhi di tutti quanto fosse agevole per un paese, nel caso l’Unione Sovietica, che veniva chiamato ad assumersi la responsabilità dell’accaduto, anche nei confronti degli altri stati, sottrarsi a qualsivoglia giudizio di
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Sul tema delle revisioni alle Convenzioni di Parigi e Bruxelles si vedano: revisione delle convenzioni di Viena e Parigi J. Schwartz, International Nuclear Third Party Liability Law: a response to Chernobyl, International Nuclear Law in the Post-Chernobyl Period, cit., 37 e ss.; N. Pelzer, Learning the Hard Way: Did the Lesson Taught by the Chernobyl Nuclear Accident Contribute to Improving Nuclear Law?, ivi, 73 e ss.; dello stesso autore, Modernizing the International Regime Governing Nuclear Third Party Liability, paper presentato all’International School of Nuclear Law, cit.; V. Lamm, The Protocol Amending the 1963 Vienna Convention, ivi, 169 e ss.; R. Dussart Desart, The reform of the Paris Convention on Third Party Liability in the Field of Nuclear Energy and of the Brussels Supplementary Convention – An Overview of the Main Features of the Modernisation of the two Conventions, ivi, 215 e ss. ; P. Reyners, General Principles Governing Liability for Nuclear Damage and International Conventions, paper presentato all’International School of Nuclear Law, Montpellier, 2005, 36 e ss.
imputabilità ed a qualsivoglia addebito. L’esimente utilizzata era allora il rilievo che il paese non potesse essere ritenuto responsabile per i danni cagionati oltre le proprie frontiere, non essendo lo stesso parte di alcuna convenzione internazionale giuridicamente vincolante in materia di responsabilità per danno nucleare. Si assisteva allora inermi al rivelarsi dell’inadeguatezza del regime della responsabilità nucleare all’epoca vigente, e ciò proprio nel momento in cui questo per la prima volta veniva messo seriamente alla prova. In questo contesto, i negoziati per la revisione della Convenzione di Vienna e per il Protocollo congiunto furono in effetti la prima risposta della comunità internazionale all’incidente di Chernobyl.
Al di là dell’istanza, che con Chernobyl si fece più impellente, di rompere gli argini dello scopo territoriale di ciascuna delle due Convenzioni internazionali per lasciare definitivamente refluire all’interno del loro ambito applicativo ogni danno nucleare (come definito) “ovunque sofferto”, ma che, come visto, trovò sbocco soltanto più tardi, nelle revisioni del 1997, per quel che riguarda Vienna, e del 2004, per quel che riguarda Parigi, si constatò che quand’anche la ex Unione Sovietica fosse stata tra le parti contraenti la Convenzione di Vienna o di Parigi, comunque la risarcibilità dei danni provocati avrebbe potuto incontrare un ostacolo nella delimitazione della sfera applicativa del regime speciale ai danni sofferti sul territorio degli stati contraenti l’una o l’altra convenzione; in altre parole, trovando, per ipotesi, applicazione la Convenzione di Parigi, avrebbero ricevuto ristoro solo i danni subiti sul territorio degli stati contraenti detta Convenzione, e non anche quelli subiti sul territorio degli stati contraenti la Convenzione di Vienna.
Di qui l’intento di connettere quelli che sino ad allora erano rimasti due sistemi chiusi e non comunicanti, intento sotteso al Protocollo congiunto (o comune che dir si voglia, ad ogni modo tale in quanto elaborato da un gruppo di esperti costituito dall’AIEA (o IAEA) e dall’AEN (o NEA)), che altro non ha fatto che porre delle norme funzionali a realizzare un collegamento tra le sfere di operatività “spaziale” o geografica delle due Convenzioni di Vienna e di Parigi. Tanto al fine di porre rimedio – ancorché solo parzialmente135– al paradosso in cui si incorreva prima dell’adozione del Protocollo, per cui le vittime di uno stato parte di una delle due Convenzioni non avevano alcun diritto ad intraprendere l’azione di risarcimento ai sensi dell’altra Convenzione (né tantomeno ai sensi di quella ratificata dallo stato di appartenenza) per danni derivanti da un incidente occorso sul territorio di uno stato contraente di quest’ultima. Assai limitato era infatti il rilievo attribuito al principio di reciprocità che, anche al di là di un atto formale internazionale che ne sancisse la rilevanza, avrebbe consentito e legittimato l’applicazione della Convenzione di Vienna e della Convenzione di Parigi ai danni sofferti perlomeno entro i confini
geografici degli stati contraenti tali convenzioni – date le rilevate analogie tra il sistema di Vienna e quello di Parigi136.
L’effetto primario del Protocollo è stato quello di abbattere lo schermo dello status di parte non contraente, un escamotage pronto all’uso per sottrarsi al giudizio di responsabilità ed all’imputazione del danno. Sono state infatti eliminate, tra le parti delle Convenzioni di Vienna e di Parigi che hanno ratificato il Protocollo congiunto, le conseguenze giuridiche derivanti dalla condizione di stato non contraente, ed è stata aperta la strada della risarcibilità del danno sofferto sul territorio dell’una anche quando l’incidente che lo ha cagionato sia occorso sul territorio dell’altra. In virtù del Protocollo, che trova applicazione agli incidenti che avvengono all’interno o in connessione con le installazioni nucleari situate sul territorio degli stati contraenti le Convenzioni di Vienna e Parigi, le vittime di uno stato contraente l’una delle due Convenzioni possono agire contro l’esercente di un impianto situato sul territorio di uno stato contraente l’altra Convenzione per il risarcimento del danno subito in conseguenza di un incidente occorso in detto impianto. Ai sensi del Protocollo, infatti, l’esercente responsabile titolare di un impianto situato sul territorio di uno stato contraente la Convenzione di Parigi sarà responsabile, alla stregua di tale Convenzione, anche per il danno sofferto sul territorio di uno stato parte della Convenzione di Vienna e del Protocollo stesso, e viceversa (art. II).
Oltre al fatto di avere eliminato alcune delle conseguenze giuridiche dello status di parte non contraente, il Protocollo congiunto ha altresì posto talune regole intese a prevenire eventuali conflitti di giurisdizione, stabilendo espressamente che, nel caso in cui è l’una Convenzione a trovare applicazione per il risarcimento del danno nucleare, e ciò dipende dal luogo in cui è situato l’impianto da cui è originato l’incidente - se sul territorio della Convenzione di Vienna o della Convenzione di Parigi, - resta esclusa l’applicabilità dell’altra (art. III).
Vale dunque ancora, in punto di individuazione della giurisdizione, la regola del luogo in cui ha sede l’operatore responsabile, ma non ha più alcuna valenza discriminante il luogo in cui il danno è sofferto, purché ovviamente si tratti di un luogo inscritto nei confini geografici degli stati parte della Convenzione di Parigi o della Convenzione di Vienna, nonché, in entrambi i casi, del Protocollo congiunto.
Tale ultima circostanza rappresenta forse il punto debole di tale strumento normativo. Se infatti per quel che riguarda la Convenzione di Vienna i dati relativi all’adesione alla stessa negli ultimi venti anni sono abbastanza confortanti (si contano circa 25 paesi nuovi aderenti tra il 1988 ed oggi), non
136 Non tutte le legislazioni interne degli stati contraenti l’una o l’altra convenzione, infatti,
ammettevano la risarcibilità del danno subito sul territorio di uno stato non contraente (e dunque contraente ad esempio l’altra convenzione), pur quando vi fosse stato il presupposti della reciprocità. In argomento, per quel che riguarda alcuni stati contraenti la Convenzione di Parigi, cfr. supra nota 119.
così per quel che concerne la Convenzione di Parigi, il cui appeal nei riguardi dei paesi non ancora aderenti non è nel frattempo cresciuto. Tra il 1988 e il 2009 hanno infatti aderito a tale Convenzione soltanto la Slovenia e la Svizzera; e quest’ultima non è parte del Protocollo congiunto; d’altro canto, però, nemmeno tutti i paesi “nuovi” aderenti alla Convenzione di Vienna hanno aderito anche al Protocollo. La vulnerabilità di quest’ultimo rileva particolarmente nel contesto regionale dell’Unione Europea dove l’obiettivo dell’uniformazione, cui questo strumento tende, resta praticamente disatteso in considerazione del fatto che vi sono paesi membri della Convenzione di Parigi e paesi membri della Convenzione di Vienna e che solo i paesi membri parti di quest’ultima hanno ratificato il Protocollo congiunto137.
Occorre peraltro precisare che il Protocollo congiunto non riguarda la Convenzione di Bruxelles del 1963, complementare alla Convenzione di Parigi, che in effetti non è neppure mai menzionata all’interno del testo del Protocollo medesimo. Si ritiene che la ragione di tale assenza e della scelta di non estendere alla Convenzione di Bruxelles l’integrazione realizzata con il Protocollo de quo attenga strettamente alla natura dei mezzi finanziari mediante i quali, alla stregua della Convenzione in parola, si provvede alla riparazione del danno nucleare138.