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3. Caratterizzazione meccanica dei materiali: aspetti procedural

3.1 Prove semidistruttive

Carotaggio

Il metodi semidistruttivi di più ampio utilizzo per la determinazione della resistenza a compressione del calcestruzzo e riconosciuto a livello normativo nazionale ed internazionale è il carotaggio. Esso si basa sull’estrazione di elementi cilindrici (carote) da elementi strutturali travi e pilastri, che, previa rettifica e cappatura, vengono sottoposti a prova di rottura in laboratorio.

La prova di compressione su provini cilindrici permette una buona determinazione delle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo se l’operazione di prelievo avviene correttamente, se vengono rispettate le tolleranze dimensionali dei campioni e se i provini vengono preparati accuratamente per la prova.

La norma europea che ne regola la prova è la UNI EN 12504-1:2009 “Prove sul

calcestruzzo nelle strutture – Carote – Prelievo, esame e prova di compressione” e dalla UNI

6131:2002 “Prelevamento campioni calcestruzzo indurito”. L’estrazione della carota avviene mediante macchina carotatrice a sola rotazione, munita di corona diamantata, raffreddata ad acqua e ben fissata alla struttura sottoposta ad indagine. Affinchè non venga arrecato alcun disturbo al campione di calcestruzzo da prelevare è necessario che l’operazione di estrazione avvenga con la massima cautela.

La posizione di prelievo dei campioni è generalmente preceduta da un rilievo delle armature metalliche, mediante pacometro, visto che la presenza di armatura all’interno del provino potrebbe condizionare il risultato della prova a compressione.

Il prelievo dei provini cilindrici dovrebbe avvenire in modo casuale, così da poter considerare i dati ottenuti statisticamente rappresentativi delle proprietà del calcestruzzo dell’intera struttura. Le operazioni di carotaggio devono essere effettuate nelle zone neutre

delle sezioni e cioè nelle zone in cui si prevedono bassi valori delle tensioni come ad esempio in mezzeria dei pilastri e sul fianco delle travi tra 1/3 ed 1/4 della luce netta.

Figura 3.1: Macchina carotatrice durante l’operazione di prelievo di una carota

Figura 3.2: Individuazione delle zone sui pilastri su cui condurre le prove (Fonte G. Manfredi et al. 2007).

Figura 3.3: Individuazione delle zone sulle travi su cui condurre le prove (Fonte G. Manfredi et al. 2007).

Gli elementi strutturali che presentano un tasso di lavoro superiore al 6070% calcolato rispetto alla tensione ammissibile, devono essere esclusi dalle operazioni di carotaggio, così pure, gli elementi soggetti alle maggiori sollecitazioni sia per carichi verticali che per azioni sismiche quali pilastri dei piani terra e dei piani soffici (Figura 3.4) (secondo quanto previsto anche dal Programma VSCA, Regione Toscana – Servizio Sismico Regionale). Infatti, nel caso di edifici esistenti, realizzati in assenza totale di criteri antisismici o non appropriati, può innescarsi un meccanismo di collasso generato dalla formazione di cerniere plastiche alle estremità dei pilastri di piano (meccanismo di collasso di piano) ed a volte plasticizzazioni in alcune travi e pilastri di altri piani. Per tale ragione, la scelta degli elementi strutturali da indagare deve privilegiare l’elemento pilastro rispetto a quello trave.

Figura 3.4: Esempi di piani soffici (Fonte G. Menditto, S. Menditto 2008).

Nell’OPCM 3431 del 03/05/2005 al punto 11.2.3.3, tabella 11.2a, vengono indicati il numero minimo di provini da prelevare. Tale tabella è illustrata al Capitolo 2 in Figura 2.3.

Nelle note esplicative viene specificato che: “Il numero di provini riportato nelle tabelle

11.2a e 11.2b può essere variato, in aumento o in diminuzione, in relazione alle caratteristiche di omogeneità del materiale. Nel caso del calcestruzzo in opera tali caratteristiche sono spesso legate alle modalità costruttive tipiche dell’epoca di costruzione e del tipo di manufatto, di cui occorrerà tener conto nel pianificare l’indagine. Sarà opportuno, in tal senso, prevedere l’effettuazione di una seconda campagna di prove integrative, nel caso in cui i risultati della prima risultino fortemente disomogenei”.

Le FEMA 356 prevedono che, nel caso in cui il coefficiente di variazione in percentuale dei risultati delle prove condotte superi il 14%, devono essere previste ulteriori prove fino a quando tale coefficiente non risulti minore o uguale al 14%. In ogni caso è preferibile

prelevare almeno tre provini dall’intera struttura per poter disporre di una base minima per effettuare l’operazione di taratura delle eventuali prove non distruttive. Il numero di prove da condurre in-situ dipende anche dai tempi e risorse disponibili, dall’importanza dell’edificio da indagare e dai danni arrecabili.

La resistenza a compressione misurata su una carota estratta da un edificio esistente risulta quasi sempre sottostimata rispetto a quella ottenuta invece da un provino realizzato ad “hoc” in laboratorio, in quanto entrano in gioco numerosi fattori a rendere le due prove sostanzialmente differenti.

Per ovviare a tali problematiche vengono introdotti al valore della resistenza a compressione della carota dei coefficienti correttivi, opportunamente calibrati, che tendono ad eliminare l’influenza di tali diversità.

Purtroppo il risultato della resistenza a compressione della carota, ottenuto dalla prova a rottura, non corrisponde con quello che si avrebbe effettuando prove su provini cubici realizzati ad “hoc”. La ragione di tale divergenza è da imputare a numerosi fattori di influenza che entrano in gioco quali: i) lo stato tensionale del calcestruzzo in opera; ii) l’ambiente di maturazione; iii) Le operazioni legate al metodo di prova; iv) la direzione del prelievo del campione; v) la dimensione del provino; vi) la presenza di armatura; vii) le dimensioni degli inerti.

Il calcestruzzo è, per sua natura, un materiale permeabile per cui l’anidrite carbonica presente nell’atmosfera può propagarsi al suo interno e reagendo con gli alcali causa conseguenze dannose quali la carbonatazione e formazione di fessurazioni. Di conseguenza, la formazione di fessurazione favorisce la penetrazione del vapore acqueo causando un processo di ossidazione delle barre di armatura. L’influenza della carbonatazione sulla stima della resistenza a compressione del calcestruzzo è molto significativa. Il calcestruzzo alterato dalla carbonatazione tende ad una sovrastima della resistenza raggiungendo anche il 50%, visto che la formazione del carbonato di calcio comporta un indurimento dello strato superficiale del calcestruzzo. La presenza di tale fenomeno può essere accertata mediante test colorimetrico utilizzando una soluzione di fenolftaleina all’1% di alcool etilico da spruzzare sulla superficie del provino. Tale soluzione una volta spruzzata subisce un cambiamento di colore, passando dal bianco trasparente al rosso violetto quando la superficie risulta non

carbonatata, contrariamente sulla superficie carbonatata la soluzione non cambia, mantenendo il colore bianco trasparente (Figura 3.5).

Figura 3.5: Test colorimetrico condotto su una carota

Il fenomeno della carbonatazione, ad eccezione dei risultati sulla misurazione delle battute sclerometriche, non arreca danni al calcestruzzo, anzi nei calcestruzzi prodotti con cemento Portland, riduce la porosità e determina una maggiore resistenza meccanica. Al contrario, può arrecare danni notevoli alle armature presenti nello strato carbonato in quanto quest’ultime si ritrovano un ambiente caratterizzato da un pH ben al di sotto di 11.5, valore minimo necessario per assicurare condizioni di passività.

La determinazione dello spessore dello strato carbonatato viene effettuata secondo quanto prescritto dalla UNI 9944:1992 “Corrosione e protezione dell'armatura del

calcestruzzo. Determinazione della profondità di carbonatazione e del profilo di penetrazione degli ioni cloruro nel calcestruzzo”.