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Secondo l’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di Carbonio (INFC, www.infc.it ), nel 2005 la superficie forestale in Italia era pari a 10.467.533 ha, distinti secon- do le categorie inventariali in: circa 8.759.200 ha di “bosco”, comprensivo dell’arboricoltura da legno (122.252 ha), e 1.708.333 ha di “altre terre boscate”. Tra queste ultime figurano gli “ar- busteti” (990.916 ha), le “aree boscate inaccessibili o non classificate” (398.095 ha), i “boschi bassi” (124.229 ha) e i “boschi radi” (146.415 ha).

Nell’ambito della categoria inventariale “bosco” oltre 1,7 milioni di ha sono coperti da co- nifere, di cui quasi 400.000 ha da conifere alpine di alta quota (pino cembro e larice), quasi 600.000 ha da abete rosso, 68.000 ha da abete bianco, 152.000 ha da pino silvestre e montano, circa 240.000 ha da pino nero e infine 226.000 ha da conifere mediterranee.

Sempre per la categoria “bosco”, le latifoglie coprono invece quasi 7 milioni di ha: faggete (1 milione di ha); querceti di rovere, roverella e farnia (1 milione di ha); querceti di cerro, far- netto e fragno (1 milione di ha); castagneti (circa 800.000 ha); principali querce medi- terranee sempreverdi come leccio e sughera (circa 800.000 ha).

Il recente lavoro dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA, Report No 3/2008 - Eu-

ropean forests - ecosystem conditions and su- stainable use, disponibile sul sito: http://www.eea.europa.eu/publications/eea_re- port_2008_3) fa significativi esempi di con-

servazione ex situ di latifoglie in ambito eu- ropeo. Per il genere Ulmus, minacciato da

Ophiostoma novo-ulmi, esiste una collezio-

ne di 850 cloni, di cui la metà sottoposti an- che a crioconservazione. Per il genere Popu-

lus, e in particolare per la conservazione di Populus nigra (pioppo nero europeo), specie

autoctona che figura nelle liste rosse dei ta-

xa minacciati della IUCN, nell’ambito del European Forest Genetic Resources Pro- gramme (EUFORGEN) è stata creata una co- re collection rappresentativa dell’areale di di-

stribuzione naturale della specie ed è stato

Esemplare di farnia, Quercus robur L., nel Parco di Stu- pinigi, alle porte di Torino. (Foto Piero Belletti)

predisposto un database che gestisce i pas-

sport data di oltre 3300 accessioni mantenu-

te nelle collezioni ex situ di 20 nazioni. Ol- tre ad assicurare il mantenimento della varia- bilità genetica; l’obiettivo è favorire l’utiliz- zo delle risorse genetiche nelle attività di mi- glioramento genetico e di restoration ecolo-

gy.

Per quanto riguarda l’Italia, le collezioni e le prove comparative in atto costituiscono un importante patrimonio di conservazione ex

situ, che complessivamente annovera oltre

100 diverse specie di conifere e latifoglie e migliaia di genotipi (provenienze, discenden- ze materne di piante plus, cloni, ecc.). Esse hanno consentito di evidenziare un’inaspet- tata ricchezza di materiali biologici, molti dei quali potrebbero arricchire in quantità e qua- lità la produzione vivaistica forestale nazio- nale. La maggior parte delle specie interes- sate alla conservazione sono legate alla filie- ra produttiva.

Le strutture presenti in Italia per la con- servazione ex situ del seme forestale (in pri-

mis quelle gestite dal Corpo Forestale del-

lo Stato, ma anche quelle di organizzazioni private) possono al momento garantire la custo- dia con buoni standard qualitativi. A tal proposito, il CFS ha costituito nel 2007 la rete na- zionale RENGER con l’obiettivo di studiare, conservare e produrre le circa 400 fanerofite che compongono la diversità arborea ed arbustiva nazionale. Rimane il problema non risolto del- la conservazione dei semi sensibili alla disidratazione, cosiddetti “recalcitranti”, che in Ita- lia riguardano principalmente i semi dei generi Quercus e Castanea.

Nonostante i considerevoli avanzamenti compiuti negli ultimi decenni, la conservazio- ne per lunghi periodi dei semi recalcitranti rappresenta tuttora una sfida complessa, su cui si confrontano numerosi istituti di ricerca e sperimentazione di ogni parte del mondo. Non meno importante è la limitata conoscenza dei pretrattamenti più efficaci per rimuovere le dormienze e favorire la germinazione dei semi.

C

RITICITÀ

– Il nostro Paese viene da una storia di lunghissima antropizzazione, che ha visto numerose civiltà avvicendarsi sul territorio lasciando monumenti e tracce sublimi. Nondimeno, esse han- no determinato impatti duraturi sulle specie, portandone alcune vicine all’estinzione o comun- que determinando un impoverimento generalizzato di molti pool genici.

– La tradizione storicamente agricolo-pastorale di gran parte della penisola e delle isole anco- ra oggi fa sentire i suoi effetti sull’approccio culturale prevalente di amministratori, tecnici e

Frassini nella zona di Preone, Friuli Venezia Giulia. (Fo- to Piero Belletti)

molte altre figure operanti nel territorio nei confronti dei popolamenti forestali. Ne è un esempio la sottovalutazione diffusa dell’im- portanza delle risorse genetiche e di una lo- ro corretta gestione nell’ambito della filie- ra vivaistica.

– A fronte dell’aumento di superficie evi- denziato dal confronto tra gli inventari fo- restali nazionali del 1985 e del 2005, la funzionalità delle foreste italiane neces- sita ancora di ampi margini di migliora- mento.

– Nell’ambito della categoria inventariale “bosco” i cedui coprono oltre il 50% del totale: qui la gestione tradizionale tende a ridurre o a semplificare la composizio- ne specifica, soprattutto a svantaggio del- le specie più esigenti e sporadiche come, ad esempio, le latifoglie “nobili”. La va- riabilità genetica, inoltre, viene ad esse- re ridotta per la prevalenza della riprodu- zione vegetativa.

– È da segnalare che porzioni crescenti del patrimonio forestale, per cause economi- che e sociali, transitano sempre di più nel-

l’area dell’abbandono colturale, con ripercussioni a volte importanti anche per la soprav- vivenza di popolazioni animali e vegetali.

– I cambiamenti climatici e la maggiore intensità con cui si manifestano gli eventi climatici estre- mi, soprattutto nel periodo estivo, interagiscono sempre più frequentemente con i tradiziona- li rischi legati alla “mediterraneità” dell’ambiente italiano. Uno degli effetti più critici sarà, prevedibilmente, lo spostamento verso nord e verso quote più elevate delle fasce climatiche. Questa alterazione climatica procederà ad un ritmo più veloce rispetto alla resilienza e alla capacità di migrazione delle popolazioni forestali, con conseguenze significative sui caratte- ri sanitari, gestionali e, in definitiva, adattativi.

– In Italia sono molte le popolazioni di ridotte dimensioni, esse sono inoltre sottoposte a ulteriore frammentazione ed a rischio di erosione genetica se non di estinzione.

– Un aspetto problematico per le nostre Risorse Genetiche Forestali (RGF) è la scarsa co- noscenza dei problemi relativi alla genetica e alle dinamiche genetiche delle specie fore- stali sul territorio nazionale. Questa scarsa cultura fa sì che si pensi alle RGF come quan- to di meglio si possa avere, da difendere a tutti i costi, senza tenere conto che gli areali frazionati, le piccole dimensioni e le modalità di approvvigionamento da parte del siste- ma vivaistico sono ben più pericolose, in quanto riducono la variabilità genetica e mina- no l’esistenza futura delle popolazioni.

Esemplari di ciavardello, Sorbus torminalis (L.) Crantz, in faggeta. (Foto Piero Belletti)

A

ZIONI DA COMPIERE

Le criticità sopra elencate rendono necessario intraprendere in taluni casi energiche e ra- pide misure di conservazione, non solo in situ, ma anche ex situ. Le misure di conservazio- ne non devono essere orientate alla sola finalità produttiva; esse devono servire come mezzo di valutazione delle capacità adattative e di studio dei comportamenti. Inoltre la conservazio- ne ex situ dovrà assumere sempre più il ruolo o le veci di una migrazione, che spontaneamen- te non avrebbe possibilità di successo, vista la rapidità e l’entità dei cambiamenti e la pro- gressiva, intensa antropizzazione del territorio. Le diverse iniziative dovrebbero favorire e in- centivare l’allargamento progressivo di attività di conservazione ex situ anche a nuove spe- cie di interesse ambientale o economico per la selvicoltura nazionale, al fine di offrire un mag- gior spettro di opzioni.

Le misure di conservazione non dovrebbero essere indirizzate solo alla selezione di mate- riali per i molteplici scopi per i quali sono impiegati, ma anche allo studio della variabilità e dell’adattamento alle modifiche in atto nel clima mediterraneo. Occorrerebbe inoltre destinare dei finanziamenti alla sperimentazione di nuove specie, accessioni e selezioni che possano tro- vare buone possibilità d’impiego.

Le azioni specifiche da compiere possono collocarsi in tre ambiti tematici: 1) Ricerca e spe- rimentazione e strutture per la conservazione della biodiversità, 2) Strumenti normativi e di in- dirizzo, 3) Formazione, informazione e divulgazione.

Ricerca e sperimentazione e strutture per la conservazione della biodiversità

1. NON concentrare tutte le risorse genetiche forestali nazionali in banche genetiche uniche, ma favorirne la duplicazione e la moltiplicazione in ambienti, metodi e contesti diversi per frazionare i rischi.

2. Studiare la variabilità genetica presente nelle specie forestali in Italia (comprese le collezio- ni ex situ).

3. Procedere alla caratterizzazione genetica ed adattativa per selezionare materiali più idonei e/o adattabili a condizioni imposte dai mutamenti climatici e globali in atto.

4. Incentivare la realizzazione di nuovi impianti sperimentali con l’impiego di materiale se- lezionato per la resistenza ad avversità biotiche o per la maggiore capacità di adattamen- to in funzione dei cambiamenti climatici in atto.

5. Favorire l’allestimento di arboreti da seme. 6. Integrare le conoscenze scientifiche e le risorse in una rete operativa tra centri di ri- cerca, ma possibilmente coinvolgendo an- che enti pubblici e produttori. Creare una rete di collezione, conservazione e confron- to su basi ecologiche con il coinvolgimen- to delle strutture regionali. Sostenere a li- vello regionale e statale una strategia vol- ta alla costituzione di collezioni multi-sito di germoplasma ex situ.

7. Aggiornare e condividere i database esi- stenti. Il censimento e la caratterizzazione

Pino uncinato, Pinus uncinata Miller, nella valle di Cham- pedraz, Val d’Aosta. (Foto Piero Belletti)

degli impianti sperimentali e delle col- lezioni dovrebbe essere il primo prodot- to a breve termine che potrebbe funzio- nare come strumento conoscitivo ed in- formativo per lo sviluppo di nuovi pro- grammi per la conservazione e valoriz- zazione delle RGF.

8. Procedere all’identificazione delle Regio- ni di Provenienza, come definite dal D.Lgs. n. 386 del 10/11/2003, soprattutto su base genetica per gruppi di specie e, in generale, caratterizzare geneticamente i so- prassuoli (mappature e dinamiche geneti- che).

9. Approfondire gli studi di conservazione della diversità genetica lungo la filiera pro-

duttiva per valutare eventuali perdite di diversità genetica nella filiera vivaistica, dalla rac- colta del seme alla sua conservazione, dai trattamenti pre-semina alle tecniche vivaistiche, dalla selezione delle piante alla conservazione.

10. Potenziare i legami tra il settore pubblico, la ricerca e le imprese private, soprattutto vivai- stiche, al fine di migliorare la qualità dei materiali forestali di base.

11. Migliorare l’efficienza delle banche del germoplasma.

12. Valutare attentamente, attraverso il monitoraggio, l’influenza di alcuni rimboschimenti (in particolare in ambito costiero) sugli habitat dove vengono insediati e, in generale, sulla bio- diversità del sito.

Strumenti normativi e di indirizzo

1. Dare piena attuazione, in ciascuna Regione italiana, alla normativa relativa alla commercia- lizzazione di materiali forestali di moltiplicazione (D.Lgs. n. 386 del 10/11/2003). In questo senso un ruolo cruciale di coordinamento deve essere svolto dalla Commissione Tecnica, pre- vista dallo stesso Decreto, ma ancora da istituire.

2. Nel finanziare interventi di rinaturalizzazione o di protezione, dare priorità alle provenienze locali, a parità di resistenza alle avversità biotiche ed abiotiche.

3. Incoraggiare la produzione di materiale sementiero e vivaistico di provenienza certificata, con- siderando non solo la componente legnosa ma anche le specie erbacee nemorali.

4. Raggiungere una conservazione ottimale degli impianti (compresi quelli costituiti a scopo di ricerca) attraverso misure efficaci di protezione dagli incendi e l’effettuazione degli interven- ti colturali di base secondo appropriati disciplinari di gestione.

5. Individuare un sistema efficace e sicuro per l’identificazione e protezione delle selezioni bre- vettate.

6. Impiegare al meglio le risorse pubbliche già disponibili, anche attraverso strumenti norma- tivi per migliorare il collegamento tra i Centri di Conservazione della Biodiversità del Cor- po Forestale della Stato e quelli regionali e le strutture di ricerca (CRA, CNR e Università).

Formazione, informazione e divulgazione

1. Incrementare l’informazione e la sensibilizzazione da parte degli enti pubblici preposti ver- so i cittadini e gli operatori del verde.

Esemplari di pino mugo, Pinus mugo Turra, in val Pesio, Alpi Marittime. (Foto Piero Belletti)

2. Trasferire i risultati più significativi della ricerca sul territorio attraverso la costituzione di impianti pilota in aree strategiche ed incrementare le risorse per la pubblicazione e la divul- gazione dei risultati.

3. Incentivare la formazione di personale tecnico specializzato per la gestione di collezioni e di banche del germoplasma.

4. Migliorare l’interazione informativa e operativa tra Regioni (v. anche D.Lgs. n. 386 del 10/11/2003).

5. Valorizzare, tramite informazione e divulgazione, le presenze arboree sparse nelle cam- pagne. Gli alberi fuori dal bosco, infatti, spesso a carattere monumentale, rappresenta- no i relitti di formazioni vegetali più ampie e potrebbero servire come serbatoi di ma- teriale genetico da diffondere nelle immediate vicinanze.

2.2 CONIFERE

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