INNO 4.
AI '
Sia principio
da
voi, famose stirpi Di tutte genti, augusti vegli e padri,
Dell’
umana
progenie archimandriti.Quaggiù
nell’àer densoe nella cupa Notte della prigione, ov’ io so»chiusoNon
fiaccatoperòd’alma e d’ingegnoi
All1alta fantasia s’aprano i tempi
Da
voi percorsi, e la beltà ne goda Più non risorta e ildolce n’assapori,Quasi
memoria
, che nel cor si sveglia,Del piacerche allegrò 1’età novella,
Quando
innocenza di suebianche penne Gelosane copria. Salve, o granculla Del sangue di Tafeto, o valle aprica Di Sennaàre, dove il sol nascente Sulle prime raggiòteste mortali!Perle tue selve solitarie, inculte,
Da
le quai più non sorge ecod’umana
Voce , nc suono di picchiante scure;Per
le tuepiagge irrigue di fonti,
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Onde
non escon più lunghi belali Digreggi ed armonia d’agresti canne,Stanziò felice,
come
in proprionido,
Di
voglie intemerata edi pensieriLa
mortalefamiglia.— E
non pertanto(Ahi
sortiumane
! )sotto brevi soli, Rapido, occulto germinònei petti Ilseme
delle colpe. Allor corrottaFu
nostra carne, allorfu indue partito Nostrolignaggioe disegual si fece Di parlar, di costume e di sembianza.Una
parte di lui,come
percossaDa
subito spavento e dasecreto Terror, vagava per buie contrade,Per acute boscaglie, invansudando
E
trafelando a scuotersi dal capoLe
funeste influenze: ognor con esssi <Sta ilfruttoesizial dell’
anatèma
Impresso dentro1’almee nel lor sangueDa
Caino trasfuso:orrido vittoA
costar procacciavano lemembra
Sanguigne e palpitantidelle uccise Belve , perentro lecui vuote lustre Sgomentati dal folgore, o dal sonno Vinti ei giacevan. Di midolle estratte All’ossa dei lioni eran cibati I pargoletti, eh’entroun aspro irsuto Zaino sospesialle materne spalle, Gian erranti colpadre, e primostudio Di lor tenere mani eran gli acuti Strali e degliorsi i spaventosi teschi:Ferine, smisurate alor crescevano
Le
ferreemembra
, e parver pieni iboschi68
Di giganti: nèqueta , immobil sede Ritenner
mai
: dell’ansia dellatema
Esagitatiramingavan
sempre,Com
onded*Oceano, ocome
nubi Pei deserti del cielo.— Un
adamita,Ohe
Setnomossi e liete al suo parenteFe
la tarda vecchiezza,erasi intanto Mescolato inamor
con giovin bella,Che
ingrembo
raccoglieva ilsantoseme
iJeifigliuol diDio, vasta progenie
D
ottimi nati, ehe caminin non fece Nel consiglio degli empi: alor fu vaga,Giocondissima stanza
il giovin
mondo
,E
incominciossi un vero secol d’oro.Della recente genital sua forza.
* Esuberando la natura
, in tutto
D
universo imprimea vigor stupendo Di vita; torreggiavano leselveD
enormi tronchi, ed una guercia solaOmbraeoi
sufficiente a numerosaMandra
^offeria: propaggini infinite,Comeche
senza aratro, in ogni zolla Mettean le biade, e ratto a maraviglia vCresceva in bosco ogni virgulto: pregni Di vergini fragranze eranoi fiori,
Tersissime le tonti, e saporose
Le
frutta più che mele.Avean
nel cole I figliuoli di Set voglie tranquille Di tutta pace, e vi dormivan 1*ire
E
lecupidità, che audacie stolteCon
fremito crudel vi fan tempesta.Non
desiar peromover
fuggiasco II piedema
cola doverideaf
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Co Di luce orientai tepida zona.
Dove
in pingui pianure argenteo flutto Volgea F Eufrate» alzar lor padiglioniE
i presepi fermar del doppio gregge,E
ai cariestinti con sembianzeafflitteE
con lacrime pie scavar le tombe.Lor
diletto non fucolpir di strale Augelli e fere e insanguinarlemense Con
le luridecarni.Or
dolce latteCon poma
rugiadose, or leodorateFraghe
ed ifavi, che nell’ elei antiche Ponean le pecchie, fnro il lauto ciboE
laricchezza di lor picciol desco.Sorgeva ilsole edei sorgean puranco Dailetti fuor, che intiepidia nelverno
O
di pardo od’agnel velluta spoglia;Di
verdi zolle un’ara ergeansul colmo Della prossima balza, aldi nascente.Volte le faccie, e suppliciadorando Chi
ha
ripiene di se le stelle eil mondo.Ad
attinger laviva onda più pura Per li santi lavacri invano intantoLe
figlie giovinetteal vicin fonteCon
Fidri'e sul capo e ledisciolte • Pel collovirginal corvine chiome.Quivi un giorno sorvenne il vecchio fante D’
Abramo
ed alla floridafanciulla Di Batiieleaddomandò
ristoro Di fresche linfe: edella umilemente, Senza indugio frappor, conambe mani
Chinogli il vaso e gli diè bere :intentaA
compier quindi Fospitale ufficio, Pergli stanchi cammelli acque copiose7°
Attinse ene colmò piu d’una fiata L’
umide
conche.— Or
queste e simigliantiEran
le cure dalle piedonzelle.Altreai garzoni s’addicean le
mandre
Moltiplicare, empier di messe i larghi Padiglioni del padre di novelle Artiarricchir la pargoletta ancoraUmana
industria sulla fredda notte, D’ accanto al pecorile e in mezzo ai fidi Mastini, si giacean talor disciolti Dal sonno-, e a divinar l’ora del tempo,O
ilvoltarsi dell’anno ivan spiandoL
ascendere e ilcader de’ lucid’ astri, Eterni peregrini. Allor gli aspetti Dei pianeti impararo, allorl'ardente Raggio d’Anubi, e d’Oiione armatoLa
tempestosa luce, ilenti passi Del freddo Arturo, e gli stellanti alberghiChe
perl’obliqua via rincontra il sole Altri assisi d’Eufratealle correnti, Tacitiintesi a rimirar per 1’ondaO
gru selvaggia oterso cigno il molle Elemento partir col biancopetto,Maturavan
incor 1’audace voglia D’ aprircammino
su per 1’acque e a frale,
Concavo legno confidar levite.
Talnn men
vagodi perigli e chiuso Entroamene
verzure al misurato ,Suon delle incudi, e la volubil nota,
Che
ilcangiardeglieffetti esprimeesegue,Lor
voce modulando, al tenor varioChe
fan sovente ibei pennuti ePaure E
i rumorosi rivolettiinsieme,DigitizedbyGoogle
7*
Le
soavi apprendeanrisposteleggi Dell*armonia. Mei calamisilvestri S*infuse aliar constudiose labbra Vocale spirto, allor l’argenteo sistro Ripercosso, allegrò le rozzedanze.Poiquando il vespertino astros’affaccia Dal rosato occidente, e una pensosa Mestizia legentili alme governa,
Tutti facean ritornoai lorcanuti Padri, che accoltisui sedili'agresti,
A
parlar s’adunavano
di presso Al chiaro pozzo,ove
di foltepalme L’ombra
ospitalediscendea perenne,E
doveoffertoalla mottal pupilla S’era il vivente.Con
integio spirto licon libero sennoi maggiorenti Delle tribùrendean quivi suodrittoA
ciascuno, e leinsorte ire quetando.Le
cagion rimovean dei lunghi piati:Quivi dei sacrificie dellenozze Gli ordini stahilian, quivi dei sogni Sviluppavano il senso e degli augùri.
O
appien felici! e non avean monarchi.Ciréalte bilance di giustizia il peso Imponesserdel brando: alcun non era,
Che
gridassealle genti, il mio podere Voisiete ela miamesse,invoiin èagrado Stender la falce , e ilmìo
talento è legge0
fortunati! nè veruno ardiva Parlar nelnome
del signorde’ cieli,Nè
digemme
nè d’or fasciatoil crine Serrar, diceva, odiserrar l'Olimpo.Coi regni della luce ancor scingeva
* 72
Nostro pianeta un’amistà sublime
E
colsidereo popolo fruivaUn
arcanoconsorzio. Impresse ancora Delsommo
architettarsembravan Torme
Sul volto della terra, e tuttavia .
Suonar pareva perle vallie i boschi
Un
eco della voceonnipotente, Della voce che al solraggiò la fronte.Sull' alpi piu scoscese, o nelprofondo Dei piùroipiti boschi, ove taluno Correttor di tribù si riduceva, Dolce pascendo
un
suo pensier solingo, D’udirgli.avvenneuu sovrumano
, ignoto Concento che correa super l'aperto Sereno e.diffondeasiinterminato Per Petereo convesso.O
fosservoci D’alati spirtid’un
in altrocielo Volantino l’armonia stessa degli astri Sensibile al mortai per piccini tempo,Quando
pur coll’ardentealma
fuggiva Iceppi della carne. Attri in notturnaOra
perlume
che vifeacammino.
Rimirò
corruscar lalattea via, Forsea cagion delle radioseimpronte Degli angelici passi, al cielconversi,O
allaterra chinati.Oh
!quante volte S’avvisare i pastor eh’entroil secreto Orror dei verdichiostriunpiùcheuomo
Si riparasseda profani aspetti:
Così di luce si vestian lefronde
E
i fiorsi feanquaigemme
e lecortecceTrasudando
metteanliquidi odori.Dipinte nuvolette anco fur viste
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Veleggiar su per l’aria, il
grembo
accese D’aurei baleni, ecrede ognun che inquelle D’un subito raccoltoEnocfuggisse 1 nostrilidi,come
incocchio assiso,E
a sconosciuto secolo n’andasse. * Talor mentre preghiere umili ergeva Al custode suo genioalcundolente,Voce
improvvisa rispondea, son teco:E
a infortunata ancor mestafanciulla, Sovra il materno tumolochinataE
per forza diduolrapita ai sensi, Sul bianco viso ventilò suepiume Angiol pietoso ed inspiròla vitaCon
Palitoleggierdel divin labbro.Ma
la scoppiata in sen dei Noècchidi Voglia d’oroe di regno in su lemonde Anime
espanse, a breve andar, sì tetro Vapor d’abbisso, chele menti offeseE
traviolle. Guerreggiate allora Furle guerrefraterne, allora ilmondo Fu
dei tiranni. Dolorosi e muti Gli spirti lassù presercongedo Dai nostri alberghi: si richiuseilcielo,E
grand’ombra
il fasciòd’immensurato, Terribil vano. Angosciasi d’amaro
-DesirP orfanouomo
e qualche aspetto Di beltà va cercandoal ciel simile.Mai sempreindarno, e
un
riso,unadolcezza,Che
di terraa’innalzi ecome
nebbia* ^
^
*N. B. Dal Genesi netcapo6-rilevasidi Enoc*-:
chetuliteum Dominus. Quindièdi fedechesiasi inciel trasportato.
' *•
Instabile nonmuti, 9 nondilegui.
£
purla sete di non fragilbene Infinita gli cresce e puraincima
De’suoi pensiervivace gii sfavillaLa rimembranza
delle cose eterne:Quindiin cor lentamenteilsuocorruccio Divora e ai luminosi astrisolleva
Le
appannate pupille. In sirailforma Dei pennuti ilmaggior cuida infuocato»Celere
piombo
fu reciso ilnervo Dell’ala, il penetrante occhio sospingeVer
Taltezze perdutee nell’ afflittaAlma
rincorre lamemoria
acerba.Quando
signor dell’aria, oltreogni giogo»Oltre'ogni,nube altero spaziando, Per l’immenso zaffiroil voi distese»
1L’ autore concepiva questa poesia, mentreera chiusooclsecondo pontedelvascello l’Italiano in Venezia.
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