Levita, che cibò seco non rado
Lo
scarso pane dell’ esilio, e presso Del roco fiume, allequeteombre
amiche,Come
a consorzio di dolor, scdea.Ivi , qual era usato entroil solenne
Tempio
nell’ore eh’ olocausti offria,D’un soave arpicordoi lamentosi Cercòflebili suoni e pie talvolta Voci sciogliendo inpatria
fiamma
accese, II cordoglio alleniva e dalle calde Ciglia sgorgavameno amaro
il pianto.Nano
i travagli d’Israele ei fieriDiJeova sdegni eil crudelgiogo Assiro: ,
Or
salutògemendo
la perdutaTerra de’ padri, il picciol Silo e i verdi Colli di Moria; ór la sassosa rupe, Ov’alto maggioreggia e tutto splende
3*
Il
marmoreo
delubro. I santi veli Dicea nunqua rimossi e ilcandelabroE
l’aitarde’timiami e il bronzeomare;
O
1’ecatombiin un sol dìsvenate * Sulle porte d’argento. Ei sicantava Mesto, e alcor di Tobia voglia infinita Di lagrime sorgea. Pietà ten prese,0
divin Paraninfo, e i mali estremiE
gli estremisuoi dicom
miserando, Gliritornasti col figliuol la spenta Virtù visiva* ondesul caro volto Tramortì di piacere e 1*angoscioso Digiun saziò di quel bearne aspetto.Salve, o superno, e dei terreni affanni Medico pio: quest’ inno odi che sorge
Tra
il suondolce degli organi e lo sparsoVapor
sabeo. Pon mente in su gli altari Alle fresche ghirlande e vedi sposaChe
nel fluente vel tutta s’asconde.Nutrita in solitar io umil recesso,
Innocenti acostei 1’alma e ilpensiero,
E
al bel virgineonome
il cor tien fede2 Fra i casti abbracciamenti ei desir castiDeh
! tu benignola riguarda emena
1 suoi giovanidi sembianti a schietto Ruscel ched’amenissima vallea Parte le glebe. e sottomirte e rose
Sempre
quieto e puro si deriva:Salve, oceleste, e albel connubio intendi.
1 GliEbrei cosìchiamarono unvaso diestrema ampiezza per usodelleabluzioni.
1Virginiasorella dell’autore,pel cui maritaggio fu
|uthlicntolaprimavolta quest’Inno.
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INNO 2
A.
3* S J1 ® 9 il IS
Oltre quanti splendori il cielconduce Sorgi incospetto a Raffael divino,
Mia
mente, ed’un
secondo innoil corona.Qual
nome
interra icorpi infermi,e vinti Sotto gravedolor, discampo
affida Se non quel suo, che farmacodi DioSuona
, e discuoprecome
tutta è in luiLa
Peonia virtùi ? Taccian di Menfi Gl’incantatori, aramutisi qual arteÉ
ne’magi
Caldei, che iprepotenti Influssi indaga cichiari moti e ilvolto Delle titaniestelle: indarno tronche Dalla force crudel caggion le belleChiome
sull’ara della sorda Igia,E
invan perle città cóltedamorbo
Esiziale avvolgeil dorso e spiega L’adorato serpente.Ognor
di foleÉ
di superstixion credulamadre
Fu
I’anticaEpidauro, o fingai sonni D’Epimenide arcani, o ilsuscitatoDa H
morte giovinetto, unicoseme
Di Teseo, dai destrier propri calpestoE
dallerote di suabiga infrantoLungo
il flutto Sciilèo. Mortale ingegno, Per quantunque arda e sudi entroié scuole Ilomo
rose di Goo,non sa, non vedeCome
il sodio di Diola rozza, inerte Creta riscaldie Palito v’infonda Vitale e il senso, onde germoglian presti I cari affetti e la ragion lampeggia.Quindi mai si torrà le sciolte fila
Di vita a rannodareegli insciente Di lor testura.
Ma
palese e contaBen
èall’angiol di Dio, che sapienzaLucida beve a’ fonti d’ogni senno:
E
prima del girar dei costellati Epicicli laman
vide possente,Che
spiegò pel gran vuoto il lor convesso,Gliastri vi affìsse e il
mondo
vi sospese, Pupilla del creatoìindiquel nostro Basso limo foggiò, che al divintocco Palpitava e sentir godea se stesso.Beato T
uomo
sopra il qual rattenne Gli occhi suoi Raffaele!entro ne’polsiLa
vigoria rinacque, ognicompàge
, Ogni tìbia saldassi, ed assai lunga Età sotto le biancheali il raccolseLa
gioconda salute.—
Ecco si giace Cola in romito poverel ricetto Di pargoli infelici il desolato Genitor, cui la reafebbre discarna Travagliosa, incessante, e ne fa strazio Coiai che al varcodelie labbra appena
35
I/a/ma
ratfiens». Al letticciuol d’accanto£
lasua donna misera, che incontra Del morente gli sguardi, e perchè cruccio Altroi non lodisperi , in cor ristagnaLe
lacrime affannose econ ambascia Entro ripreme del dolorla punta.Errano muti per lacasa intanto
1 figliuoletti
, e a qual vien loro innanzi Chiedondel padre ognor fresche novelle:
Ma
risposta non hannoaltra chebaci Misti di pianto. Ogni saper vienmanco
Ai fisici solerti, ogni salubre Virtù d’erbe s’estingue: arde ilferale Cero, ed un fioco luttuoso accentoAd
ora ad ora alfreddo orecchio intuonaLa
suprema partita: ancora un breve Girardi spazio all*indice che segnalitempo, e nonè più...
Ma
in sen del mite Angiol sì fiero di miserie aspetto Dietà conduce. Sulle mestecoltri L* immorta! ciglio inchina e dalleambrosieChiome
una stilla facader lucente Di balsamica essenza in apprestati Medicisucci, ovver nell’aurea coppa Dei santi crismi.Oh
maraviglia! in petto Dell’egroil cor ferve e sossulta, scorre Per le vene un tepore, una sottile Aura, che imembri
resoluti afforzaE
tinge di vermiglioil ricomposto Sembiante e gli occhi di sereno adorna.Letiziando va lafamigliuola Racconsolata
, e tornano agliobliti Giuochi i fanciulli; albel vigneto, all’orto Degli agresti lavor tornan le*cure.
36
RafTael salutiamo. Ei sol restaura Di garzonetti il fiorlanguidoe smorto;
Verde
ei fa la vecchiezza; eila consunta Beltà rintegra al piccioletto infinte,Che
bi'oso e gentil fra le materne Braccia di nuovo pargoleggia e ride.Ei sol nel fiume palestrino indusse
La
vital panacèa, percheNammano
Al settimolavacro uscì di schifa
Lebbra
mondato:.e pur d’arabiodoriAvea
indarno costui pieni idelubri Di Lei che schiara della notte il volto:E
mentre per locielo infra i minóri Astri ascendeva con argenteo piede, Jnvan per lui la salutarcon dolci Inni e benigna la invocar danzandoLe
Sidonie fanciulle.E
chi produsse Al re di Giuda oltre il confin sortitoLa
gelida canizie, allor che vistoFu
dai corsi intervalli in sul parete Receder 1*ombra
? Chivirtù nascose Nel Probatico lago a sanar tutte Corporeetristizie? I venenati Quadrelli, che da forte arco di bronzo Improvvise avventavano sul mesto Ebreole morti, chida lui respinseE
fecequietar nella faretraD' Iddio tremenda? Solo tu, granpossa Dell’eterno
reame
, assaipensoso Più di ben nostro, quantoal reocammino
I)'intervallomaggior ci teniamlungi.
Moltiplicar però nei di remoti Della giovine terra al ver non cieca
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37 Tuoi portenti degnasti, e fragli umani.
Scender propizio. f)r ne*presaghi sogni. Vestito di bei raggi e procedente Per fulgidoscaleo, che interminato Aleie! varcava, or discoperto agli occhi Fra nubi di serenairidecinte,
Di messaggio in figura, odi gagliardo Pugillator tevidero ammirati I padri antichi delie genti,
quando
Per la sacra Idome
a d’Ebron levalliE
di Betelcercaro, o quandoin riva Delmar
Fenicio e lungoilvasto Eufrate Erser letende, a cui suonava intorno Rozzotenor di pastoraliavene Fralemandre
pascenti, e dovesaggi Vegli canuti allucido orienteConversi, allorch’entra nell’alba il sole,
Eran
visticompord’erbose glebe Agresti altari di pampinei tralciE
dispiche fasciati. In nullaetàde,Nuli’
uom
però le tue bellezze eterne Vagheggiò manifeste a suodiletta Più che ilprimo parente,allorche in riva DiGeòne
, o alle aurifere correnti Del largo Fasi, entro odorati boschi Di cinnamoe di mirra iva aleggiando Di celesti una schiera, e fea le piogge Di Paradisorisentireal suono D’arpe soavi: condottiersovranoLa
precedevi tu, non disdegnandoCon
dimestica usanza e fra segreti Parlamenti erudir d’altosapere L’uomo
intatto di colpe.—
Alcun mortale38
Non
gioì poidi lungamente averti D’appresso e udir 1’eloquiotuo divino,Salvo che il cieco Neftalìde e il nato Di lui giovin Tobia. Tolto di
mezzo A
fieri eventi, incolume, felice Didolci sponsaliziee di ricchezze,Rimenato costui
sera
all’amplesso Del vecchio padre, e nelleinferme, opache Ciglia il lume del sol gli avea racceso,Per la virtù del vasto pesce infusa.
Tu
del lorbene autornell’umil veste Di pellegrinot’occultavi, e mottoNon
facevi: rimosse eran lemense,
Quetata appienodel cibar lavoglia,Quand’elliintorno ti sifero e 1'
ampie
Dovizieche tenean di nuovoacquisto(
La
tuamercede) t’offeriano al guardoUna
appressodell’ altra : ornatipepli, Fulgidearmille preziose e nappi Incavati nell’oro, oltre assai mucchi D’ aurei talenti. Proferì il buon vecchio Poi sifatte parole: Ospiteillustre Di sennoe di beltade,io non so cosa Nobile tanto sotto il ciel,nè raraCosì, che la tua fede e la saggezza,
Che
famor
, la pietà nel figliomio Ed
inme
spesaricambiarmai
possa Debitamente. Egli il Signor, che vede Gli occultidelmio
petto, ei sa di quanto Conoscente desire entroiosfavilli Indarno. Mattutin raggio di sole Certo non brillerànegli occhi mieiChe
all’infelice tenebria nonpensiDigitizedbyGoogle
_ 39
Di che gli hai distendati: e s’iole care Fattezze mireròdi questo
mio
Fanciul diletto, griderammi ilcuore
Sempre
che tua virtù salvo me! rese,Salvoe beato d’ogni cosa in terra.
Fede
procacci al dir questomio
pianto,Che
dolce scorga, e ilnon poter le voci Pel tumultodell’alma uscircompiute.Ma
segno esterno purvo’ che tun’abbia,Non
di lacrimesole. Eccoi pesanti • Forzier dischiudo, cheiltuo senno ha colmi D*abbondevol peculioedi foggiato Oro digemme
, d’ogni ricco e vago Signoril fornimento: or prendi teco Metà di tutte cose, e le più egregie Scegli a tua posta; e guiderdon dispari Troppo algran merto;ma
nessun si vanti Nessuno partorirdegno compensò A’benèfici! tuoi; salvo cheDio.—
Disse, e ciascun tis’affrettava intorno,
Perchè ildono accettassi. Allor nel volto
E
nellemembra
maestà spirando Sopra Tumano
, ad un leggiersorriso Movesti il labbroe favellasti: EternaLode
al Signor, che visitò benignoIl suo mancipio insu gli amari fiumi Di Babilone.
Quando
tu scioglievi Nel pianto dell’ esiglio isospirosi Prieghi, che forza d’umiltà veraceImpennavano
alcielo, io sul tuo capoTenea
le luci,e i tuoidevoti accenti Fea suonar con dilettoinnanzi a Dio,Perocchénotte e dì dal suo gran trono
4o
Mai
nonmi
scosto. Raflael son io.Angelica possanza, e1’un dei sette Gerarchidi lassù.
— Cadde
distesaSul suolo a questo dir l’esterrefatta Famiglia, e tinse di pallorla guancia.
Ma
tu mite glialzasti,A
voi,dicendo.Sia pace: di timor falsoconcetto
Onde
vi turba? Io la pietà del cielo V’arreco; eil farmi disensato aspetto.Ed
a’vostriconviti in bei colloqui Stando dicereal frutto nudrirmi,Argomento
ven porge. Io più cheuomo
,D’eterei frutti
u
immortai dolcezzaMi
nudro, e l’onda delle ambrosiefonti Stingue la setemia
perennemente.Benedite Colui che
mi
diè cura De’ vostri casi, e confessate algregge Degli erranti mortali ilsuo grannome —
Tal favellavi; e più e più raggianti D’ insiieto splendor si fean le chiome;
Nè
il divin piede già 1’ùmile terra Toccava: prolungatoin larghepieghe Giù li discese,come
neve bianco,Il vestimento: dieron )’aure intorno Viva fragranza e ventilarpercosse Dalle penneinvisibili: miranda Chiarità di baleni alfin precorse
La
tua partita, e nell’immensa
altezza Rattamente vanisti.— Oh
venturoso L’ occhio terreo cui lampeggiò la pienaTua
dèitade senza vel, senz’ombra!Liete le piagge sovra cui le piume Infaticate albo del voi fermasti!
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4*
Ma
itralignanti dal buonseme
antico Folli'Ada
mitie le fraterne guerre Pur nelnome
di Diofra i sacri templi Esercitate i miseri guadagni,Che
la famedell’oroiniqua apprende,La
forte carità del patrio nido Dai petti esclusa ,del perversomondo
Schivo a ragion ti fero, e inostri preghi Persalire a’tuoi seggi han corte l’ali.Deh
! qual parte del ciel, qual si remotaDa
noi stella abitaviallor che salse D’una cara infelice a te ilvotivo ,Supplice grido?
Come
al grave spiro D’ austro cocente su le verdi foglieLa
regina dei fior languee del seno Strugge il molle incarnato, sitibonda Jnvan di fresche, ruggiadosestille;Cotal per foco interior, che in petto Serpeggiavateacuto, egralanguìa
La
sventurata, onde fuggiandal voltoLe
fieschissime rose, e di letale Nebbia occupato si smarriva illume
,Che
tremolando ardea negliocchi casti.Ma
forse il cor d’ogni alto senso amicoE
la mente, chefu speglio d’onore Lucidissima e tersa e damondano
Vapornunqua appannata?al cieldiletti Sifer così che inai sostenne indugio.Forse tustessol’affrettavie scinta Del suo mortaleappena, a lei d’incontro
Movendo
lieto, e di siderea stola.L*avvolgendo, il sottilcrine le ornasti Dell’ eterno amaranto, e alcollo e al seno
4a
# . .
Le
girastiùn
monildigemme
aoceso,«Quali non ebber
mai
Gangarie rive;Poi suso la levavi oltreil più largo Girovicin de’ tuoi stellantiseggi.
Nel sentierdella vita impresse appena
L’orme
leggiadresue, cotal partivaLunge
danoi lacreatura bella,Siccome peregrinoaugel che fugfije
Daifreddi lidiin cerca delle apriche Tepide rive, e sopra immensi e vari
E
di terra e dimar
spazitrasvola Rapidamente,nè il rattien vaghezzaO
di stagno o diselve o di pastura.Ave
, beato, ’e lamortai fralezza Nostra assolvendo,non
ti rechi offesa Se ildevoto innomio
nel flebil suono Della doglia è converso emuor
nel pianto.i Nell’ebraicoilnomeRaffaelesignificamedicina diDio.
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43
INNO
V ,A
S. PELAGIA.
Entrailsolnello scorpio,e innanziun poco Gli fugge ilsaettier natobiforme:
Incominciate, o clonzellette ,il canto;
Con quei lucidi segnieccorisorto
Lo
diche ilnome
di Pelagia onora:S’erga a Pelagia uninno , ofanciullette.
Se più cara è virtù
quando
si fascia Di bellemembra
, e agemme
invidiate Cresce valor se infulgid*oro chiuse,Non
tacerem dite, vergine santa,Le
formeperegrine e quei nativo Delle grazie splendoreh’uscia dal guardo,Uscia dalriso e cospargeadidolce Avvenentezza inobiì’ atti eschivi.
Qual sulle scene rimiriamo altera Figlia dire,d1argentee bendeornata, L’are appressardelmaritaggio, oquale Finse Grecia salirdall’Amatusie
Sponde
la molleDea
nelmar
concetta,Da
vaghissime stoleil sen precinta;u
Lieta cosid1una beltà fastosa Sulle spondeOrontèe Peiagia apparve,
Pria che forzadi ciel da tutte
umane
Vanità la sciogliesse.Or
lungo il crine Biondissimocorrea pel niveocollo,E
il pallia sulla fronte un iiradiato Gioiello, or tutto s’ascondea nei veli, 1)aurate stelle consottil lavoroVagamente
trapunti.Era
costei Certo dimille cor soaveinsidia,E
con benigne parolette accorte,Spesso inchinandoal suol 1’
umide
ciglia*
Con
sospir tronchi, con pensoso aspetto,
Con
quel pallorchedi viola è tinto,Con
placide repulse e confugaci Sdegni pasceva i sospirosi amanti.A
lei dolce armonia di molli tibieE
d’amor
cantilene entroi notturni Silenzi al sonno le induceano ilumi.Ridean le soglie a lei di sempre nuove Ghirlande, e alviso genial conversi D’ un punto si scorgeanmill’occhi e mille, Poi eh'era vista entrar con lento incesso Ne’circhi rumorosiene’plaudenti Teatri.
Ma
il Signor, che in ajto siedeE
il quale i petti degliumani imprime
Della sua voglia, quasi duttilceraChe
alleman
dell’arteficeconsente.Tramutò
d’improvvisoogni pensiero.Ogni sensoin Peiagia, onde innovata Parve,
come
d’aprii picciola verga.Che
di fronde e di fiorsi ricompone.Subitamente ilcuorrifatto e puro
gle
45
/
NelP amoroso rael sentì il furtivo Tosco celatoe
come
fasci ilmondo
Di fugace splendor le sue menzogne.Schivaalfin ne divenne, e dispettando De’ suoi vagheggiator preghie lusinghe,
Ardir lecorse all’animo di trarsi
Lunge
dai patrii alberghie dalla ricca, Natia contrada; e
come
in sè propose,Cotalmise ad effetto.
Un
umil rocco Di volgar pellegrina a vestimento Prese, le cinte di sfoggiate fibbie Adorne con fin*arte, in liscio cuoioTramutò
; sulle spalleerrar negletteLe
inanellate prima edi cilissiUnguenti umide chiome: in questo arnese Pattisoletta e molte e sconosciute Vide terre e città, cauta celando
Donde
fosse e di cui:ma
le bellezzeRare
del voltoavrian su lei fermato L’occhioindiscreto delle genti e postoA
periglio la fama, se d’infornoLampo
sottil non le correa di luce Venerevolea far la sua peisonaE
tale indurre nel gentil sembiante Virginal maestà ch’ogniuom
dicea:Pure ècostei divina cosa. Avviene Cosi d’un fiordi fortunatoclima,
Che
agli eterni devoto apre sull’areLa pompa
di suefoglie:alcun nonosa Piti che mirarlo esol vicin ne gode L’abbondevoì fragranza. Al pieno lumeTornò
tre volte ancor la biancaFebe
,Ned
Ella, perdonandoal gracil corpo,46
Il Iungo e stranoramingar compieva.
Tuttoil corsocercò del sinuoso Oronte, e lerestar diretro molto Calcide ed
Apamea
, poscia a sinistraLa
superba Paimira e ver la destra,Men
lungi un poco, la reaiDamasco
,E
sul feniciomar
Tiro e Sidone:Traversato indi il suol che i Palestini
Tenner
di qua dalle deserte arene, Del Libano allefalde altìn pervenne.D’
immenso
giroè questi» monte,e il capo Sopra le nubiesce cosichesembra
Colonna alcielo: rigide di nevi
E
discoscese ha P eminentispalle;Ma
di folta verzuraè lieto ilresto,
Anzi è un giardin per mezzovalli e poggi,
Coronatodicedri e rubicondo Di melograni; nèvi
dorme
ilsenno Degli avari coloni : i tonsiolivi,Le
pampinose vigne e i bei filariDei floridi pometi
ombran
per tuttoLe
chine ei balzi.— Da
desio focoso Quivitratta la virgo, assai le increbbeDa
pria 1’ameno
loco, e sospirando Dicea: Questa non è terradiserta Qual mi pensai, nè delsilenzio amicaNè
squallida nè inculta: i segni avviso Delle agresti fatiche in suol felice D’ogni sementa: e pursepp’ io che nido • D’ anacoreti è il Libanoe ricolmo Di dura penitenza.—
Alfin giungeva Delle parole e laferiva un raggio,Che
in sotlil listaprocedendo, ilsommo
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Percuotea d’unaltissimo dirupo Scoglioso e brullod’ognifronda: incore Tostole vennedi salirvi, estremo Disagio sostenendo.
Un
picciolcalle Ripido, attorto, tra rovetiocculto Mise alfinea quell’erta, ove un devoto Silenzio profondissimo lacinse;Nè
cosa altra vedea ched'enne
grotteNudi
sassi e nell’aer spiccate cime Di monti e quiete ed orrorsacroovunque.Cresceale intanto entro ilsegreto petto
Una
pace dell’alma, una dolcezzaNon
gustata piùmai
: quiudiella,O
cari,Tra
se sciamava, taciturni asili,O
eremitiche sedi, ove nelmodo Che
offender non vi può nebbia palustre,Non
ponnodelle genti itravagliosi Pensier salirea conturbarla mente,Che
haqui più franche asommo
voilepenneE men
discosta assai vive dal cielo;Pur vi toccoed
ammiro
!—
Ella parlando Così, nè viarompendo
, attorno sparse Quelle altezze trovò d’anguste case,,
Divimini conteste e di
vermene Con
comignol di paglia ead
essea canto Povere aiole di modesti fioriE
d1erbucceguernite.Un
abituro Scerse fra gli altri, cheavead’algheiltetto Fornito rozzamente, avea d’argilla Il fra giimuro
e di pulito giuncoBen
tessutofra se 1’uscio indifeso.Ivi picchiòla pellegrina e al suolo
Ivi picchiòla pellegrina e al suolo