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In Marocco gli Ebrei erano presenti fin dal II° secolo d.C., durante l’epoca romana. Non tutti gli Ebrei provenivano, però, dalla Diaspora, ma alcuni erano berberi convertiti nei secoli in cui l’ebraismo era ancora una religione missionaria. Nel VII° secolo sopraggiunse la conquista islamica ma nel 786 d.C. il Marocco era già un regno indipendente, avendo ospitato l’unico sopravvissuto (Moulay Idris) dei discendenti del Profeta sfuggiti alla strage abbaside. Iniziava un periodo di splendore per il regno del Marocco, che stabilì la propria capitale a Fes e decretò che gli Ebrei vi si potevano liberamente installare.

Sotto le dinastie Almohadi (XII° secolo) e Almoravidi (XIII° e XIV° secolo d.C.), le comunità ebraiche furono sottoposte a vessazioni e forzate, in alcuni casi, a convertirsi. Quando iniziarono secoli di declino per il Marocco, governato da dinastie deboli e disunite, gli Ebrei rischiarono maggiormente di essere oggetto di rivolte spontanee o esplosioni di violenze da parte della folla: venne, dunque, istituito il primo mellah, o quartiere ebraico, in cui gli Ebrei sarebbero stati concentrati per essere più facilmente

87 “Gli agenti israeliani ottennero ciò che volevanoquando piantarono bombe nelle sinagoghe,

perché riuscirono a seminare il panico tra gli ebrei che dovettero correre a registrarsi immediatamente. Essi lavoravano mano nella mano cn le autorità per realizzre il programma sionista, e i soldi degli ebrei servivano per (corrompere) le autorità che avevano stretto un patto con i nemici. Guardando a questi ebrei, il mio cuore sprofondò pensando (...) che era impossibile rimanere indifferenti alla loro apparenza miserabile, al futuro miserabile che li attendeva, essendo usati come pegni nel gioco tra gli emissari sionisti e gli avari ministri del governo. Proprio in quel momento mi fu detto del discorso fatto dal dignitario ebreo Ezra Daniel in una session a porte chuse del Senato, che scuoteva le coscienze. (...) Il suo discorso non fu pubblicato perché includeva dettagli che incriminavano il governo, particolarmente Nuri as- Sa’id che, già negli anni Venti, aveva lasciato campo libro agli emissari sionisti nonostante l’opposizione delle guide dela comunità.“ (Ballas, cit., pp. 190-91)

88 “In Libia, ad Aden, in Egitto, Bahrein, Marocco e Siria, così come in Iraq, gli ebrei pagano la

vittori istaeliana con la loro libertà i loro lavori, la loro salute e la loro pace mentale” (Benjamin, cit., p.159)

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protetti dalle autorità89. Una dinastia più tollerante90, nel XV° secolo, accolse gli Ebrei sefarditi che sfuggivano dalle persecuzioni dell’Inquisizione spagnola e che furono scacciati definitivamente dalla Spagna e dal Portogallo nel 1492. Ebbe luogo, allora, l’incontro tra due ceppi dell’ebraismo distinti da più di 1.500 anni: gli Ebrei sefarditi (definiti “megorashim”, ovvero emigrati) e gli Ebrei marocchini, definiti “toshavim” (ovvero, in ebraico, residenti.). I due gruppi non si fusero con facilità ma tesero al contrario a coltivare le loro specifiche differenze, alcune delle quali si sono conservate fino al XX° secolo91. I Sefarditi costituirono per secoli in Marocco la classe sociale più alta e cosmopolita della comunità ebraica: adibiti come ambasciatori e consiglieri dei sultani e associati ai commerci di lunga tratta ed al possesso di beni mobili ed immobili, venivano considerati la “plutocrazia” ebraica e l’élite culturale del Paese92

. A loro si aggiunsero i marrani, ovvero gli Ebrei superficialmente convertitisi al Cristianesimo, tra i quali si contavano molti artigiani in possesso di tecniche allora sconosciute in Marocco, che contribuirono ad un’ulteriore stratificazione della società ebraica locale.

La società ebreo-marocchina dei secoli dal 1400 al 1800 è dunque molto complessa da “mappare” socialmente. Essa era divisa sia geograficamente, che per vissuto storico, che per lingua, e ancora per il gruppo di maggioranza con il quale era più strettamente in contatto, ovvero Arabi o Berberi. Tracciando una ripartizione approssimativa, gli Ebrei si distinguevano in urbanizzati e non, del Sud e del Nord, sefarditi, marrani o locali, ricchi, poveri e classe media, soggetti allo statuto di dhimmi o al limite tra lo statuto di minoranza e uomini liberi. Tutti questi elementi spesso si incrociavano e mescolavano tra loro per

89 Si tratta del 1438, del mellah di Fes, riferimento in Lewis, Bernard, The Jews of Islam, Princeton

University, 1987, p.149.

90 Si tratta dei Wattasidi, dinastia fondata da Muhammad as-Sheykh al-Wattas nel 1471. 91

Gli Ebrei sefarditi parlavano un dialetto giudeo-spagnolo, mentre gli Ebrei marocchini parlavano giudeo-arabo. La loro particolare storia, che li rendeva dei privilegiati a cavallo tra Europa e Islam, e le loro caratteristiche sociali di classe medio-alta e colta, si mantennero in alcuni casi invariate fino al 1900 e all’atto dell’emigrazione ebraica verso la Francia ed Israele. Per un approfondimento sulle varie componenti dell’ebraismo marocchino, si cfr. la voce dell’Enciclopedia Ebraica dedicata al Marocco: Corcos, David, Auerbach, Rachel, Cohen, Haim J., B-A, Sh., Cohen Rachel, Encyclopedia Judaica, V° Marocco.

92 “.. i megorachim finirono per imporsi inizialmente alla testa delle comunità ebraiche del Nord e

alla fine di tutto il Marocco, per formare la casta dirigente della comunità che può essere definita una “plutocrazia sefardita”. (..) Nel sude del Marocco, gli ebrei di ascendenza spagnola si vedevano talvolta delegare delle missioni di fiducia dalla corona portoghese. (Questo) mentre a Marrakech e a Fes i ministri e i consiglieri ebrei dei principi musulmani intraprendevano missioni diplomatiche in Protogallo per conto del Marocco. (Weinstock, cit., p.124)

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creare categorie poco omogenee. Tendenzialmente, però, i Berberi trattavano gli Ebrei in modo più paritario e nelle zone interne e del sud del Paese, le differenze tra musulmani ed ebrei risultavano alquanto sfumate: le reciproche feste erano rispettate e oggetto di omaggio, i pellegrinaggi alle tombe dei venerabili spesso in comune, la convivenza semplice e senza frizioni identitarie, e, in alcuni casi, gli Ebrei portavano anche le armi, montavano a cavallo e non erano sottoposti alla jizya. In città, lo statuto classico di

dhimmi era invece imposto a tutti gli Ebrei, di qualsiasi classe sociale, ma i ricchi ebrei

sefarditi godevano della protezione speciale dei sovrani e svolgevano il ruolo di banchieri dei sultani, da cui poi potevano richiedere favori ed esenzioni in ritorno. Avevano, dunque, un ruolo politico dietro le quinte, e concorrevano alla salita ed alla caduta in disgrazia di sovrani e dinastie93. Infine, nei mellah si trovavano sia piccoli artigiani e commercianti sia poveri che vivevano di elemosina e dei servizi più umili alla comunità che i musulmani non volevano compiere94. Nelle montagne dell’Atlas gli Ebrei erano impiegati nell’agricoltura accanto ai più poveri fellah arabi.

Gradualmente, a partire dal XVIII° secolo, le elites ebraiche si spostano dall’interno del Paese verso le città costiere, soprattutto Rabat e Marrakesh, Agadir e Essaouira, centri del commercio internazionale di lunga tratta. Nel XIX° secolo è tra questa élite che in consolati europei reclutano il loro personale, accordando loro in cambio protezione diplomatica in regime di Capitolazioni, e avviando quella cooperazione e convergenza d’interessi tra Paesi occidentali e minoranza ebraica che poi rappresenterà un veicolo di penetrazione del colonialismo europeo. Nel 1860 una guerra tra Regno di Spagna e Marocco scoppiò proprio a seguito dell’esecuzione di un agente consolare ebreo e fu seguita da un pogrom a Tetouan per la sconfitta subita dal Sultano95. Le ingerenze ebraiche ad alto livello alla corte del sultano continuarono con le richieste del filantropo inglese sir Moses Montefiore al Sultano Moulay Mohammed perché accordasse pari diritti

93 Le grandi famiglie di banchieri sefarditi includevano nomi celebri come Toledano, Ben Attar,

Ben-Mechal, Maymeran, ecc. Per un approfondimento sulla vita e i costumi degli Ebrei in Marocco, si veda Haïm Saadoun, “Juifs et musulmans en terre d’islam”, in Trigano, Shmuel, Le Monde sépharade, (2 vol.), Le Seuil, Paris, 2006.

94 Tra questi, gli Ebrei più poveri eseguivano i criminali ed interravano i loro corpi, dovevano

spazzare le strade e nutrire gli animali del serraglio. (Bat Ye’or, Juifs et Chrétiens sous l’islam. Les dhimmis face au défii intégriste, Berg International, Paris, 1994, p. 354.)

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agli Ebrei del suo regno, istanza a cui il sultano avrebbe prontamente acconsentito promulgando un editto reale96.

Nel corso del XX° secolo il Marocco si aprì ad una relativa modernizzazione che portava con sé un’economia monetaria e un sistema di tassazione pro-capite prima sconosciuto. Le riforme fiscali e finanziarie, che impoverirono la classe contadina, venivano spesso associate ai vizir (“ministri”) ebrei presenti nel governo e costituivano l’oggetto della frustrazione popolare97. Allo stesso tempo, un sistema scolastico di stile europeo, inizialmente avversato dalle autorità rabbiniche locali, si fede strada nel Paese con la rete di scuole dell’Alliance Israelite Universelle, che debuttò nel 1862 a Tetouan con l’obiettivo di educare le elites della costa e i figli dei notabili locali.

Tra il 1900 e il 1912 il Marocco sperimentò un periodo di lotte clandestine, dopo la morte dell’ultimo Reggente e fino alla proclamazione del Protettorato da parte della Francia, seguita a sua volta da un pogrom a Fés98. Si inaugurò successivamente un periodo in cui il console generale di Francia, Lyautey, ormai definito Residente generale, promosse un sistema amministrativo duale tra europei ed indigeni e il separatismo comunitario berbero, inimicandosi i nazionalisti arabi99. Lyautey fu comunque attento a non estendere la nazionalità francese agli Ebrei del Marocco, che pure la postulavano apertamente, per non alterare troppo in profondità gli equilibri intercomunitari tra ebrei e musulmani100, come anche a rispettare ufficialmente l’autorità del Sultano, lasciando invariate le sue prerogative formali.

La storia degli Ebrei in Marocco seguì poi le evoluzioni della storia europea, con il Regime di Vichy che estese le leggi razziali nel Paese a partire dal 1940 fino al marzo del

96 Dahrir reale del 5 febbraio 1864.

97 “La rapidità con cui la massa lamentandosi richiamava le origini ebraiche dei personaggi che

odiava, come il regente Ba Ahmed o il vizir Omar e Abdeslam Tazi, illustra bene questa evoluzione pericolosa.” (Weinstock, cit., p.136)

98 Il pogrom di Fès nacque come una solevaziione popolare spontanea rivolta soprattutto a cacciare

i Francesi e manifestare l’ostilità popolare al Protettorato. Si diresse, però, anche contro il mellah, uccidendo circa 60 ebrei.

99

Schulze, cit., pp.82-83.

100 La Francia si attenne formalmente alle decisioni scaturite dalla Conferenza di Madrid del 1880,

che stabilivano l’”alleanza perpetua” dei sudditi marocchini al Sultano, ivi inclusi gli Ebrei. Per un approfondimento, si cfr. Assaraf, Robert, Une certaine histoire des Juifs du Maroc, Gawsewitch Ed., Paris, 2005, p.179.

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1943, data della loro revoca. La comunità era arrivata a contare 250.000 persone101. Nel periodo delle leggi razziali, il Sultano Mohammed V si mostrò ostile alla legislazione antisemita ed al suo spirito. Egli appariva legato ad un tradizionalismo moderato, ispirato piuttosto ai principi dell’Islam classico. Durante una visita a Mèknes nella primavera del ’44, a guerra ancora in corso, il sultano fu incalzato da una delegazione ebraica, che gli rivolse un appello, perché alcuni membri della comunità erano frequentemente accusati di blasfemia dai loro concittadini musulmani. In realtà, tutto il 1944 fu un anno difficile per gli Ebrei, che furono in più occasioni presi a pretesto di disordini e rabbia popolare. Durante la festa del Trono, sempre nel 1944, il sultano colse dunque l’occasione per chiarire la sua posizione a riguardo dei propri sudditi ebrei:

“Così come i musulmani, voi siete miei sudditi e come tali, io vi proteggo e vi amo. (..)Consultate i vostri anziani e apprenderete che un mio illustre predecessore, Moulay Hassan, fu un vero amico degli ebrei e manifestò a più riprese una forte sollecitudine nei loro riguardi.(..) Questa festa è ugualmente la vostra.102

In realtà, l’introduzione delle leggi razziali aveva scavato un fossato tra autorità francesi e comunità ebraica, lasciando soprattutto le elites in difficoltà103, mentre la maggioranza della comunità e le autorità religiose tradizionali si erano immediatamente riavvicinate al Sultano ed alle promesse di essere reintegrati, in regime di parità con i musulmani, come sudditi del regno. Una buona parte della comunità, però, si era contemporaneamente accostata al sionismo ed alla militanza nelle sue organizzazioni, che, pur essendo tollerate in Marocco, restavano comunque prive di uno statuto legale. Negli anni ’40, però, le loro attività avevano avuto obiettivi limitati e puntato esclusivamente all’educazione dei giovani al lavoro manuale ed alla selezione di alcuni di loro per l’immigrazione nei programmi speciali dell’Aliyah haNoar. Soltanto negli anni ’50 la Federazione Sionista Mondiale e l’Agenzia Ebraica in Israele iniziarono ad interessarsi al giudaismo

101

Assaraf cita 225.000, il WOJAC (World Organization of Jews from Arab Countries) e l’Ufficio Centrale di Statistica (CBS) israeliano, ne citano 250.000.

102

Assaraf, Robert, Mohammed V et les juifs du Maroc, Plon, 1997, p.172.

103

La Francia ha scavato un fossato culturale tra ebrei e musulmani. Sedotti dal modello occidentale, numerosi ebrei hanno progressivamnete abbandonato il patrimonio culturale che essi condividevano con i musulmani eche era un aspetto fondamentale della coesistenza tra le due comunità. Al momento dell’indipendenza, 56.8% della popolazione ebraica era afabetizzata in francese, oltre agli studi talmudici, contro il solo 13.5% di quella musulamana.

» (ibidem,

p.190)

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marocchino ed ad aprire filiere dell’emigrazione clandestina per facilitare la loro fuoriuscita104, ma il Marocco non avrebbe tuttavia costituito una priorità per le autorità israeliane fino al 1956.

La proclamazione dello Stato di Israele ebbe conseguenze dirette anche sulla vita politica interna del Marocco. Anche qui, nel frattempo, si era avviato un percorso di consapevolezza nazionale ed una strutturazione in partiti che intendevano preparare il Paese al conseguimento dell’indipendenza. Tra i partiti che più spiccavano nella stesura di un programma per l’indipendenza del Paese, vi erano l’Istiqlal (Hizb al-Istiqlal o Partito dell’Indipendenza) e il Partito Democratico per l’Indipendenza, che, seppur con toni diversi, spronavano entrambi il sultano a permettere l’arruolamento di volontari marocchini nell’esercito di liberazione araba in Palestina105

. Il Sultano non vi acconsentì, forse nel timore di provocare un’ulteriore spaccatura tra la monarchia e i propri sudditi ebrei. Scoppiarono allora delle violenze spontanee: la più grave a Oujda, il 7 giugno, che lasciò sul terreno 45 morti e 155 feriti ebrei.

Si rintraccia una certa corrispondenza diretta tra tali episodi e la decisione di 30.000 ebrei marocchini (su una comunità che nel frattempo era arrivata a contarne 265.000) di partire per Israele negli anni compresi tra il 1948 e il 1953. Non bisogna, però, forzare tale corrispondenza: il caso del Marocco sembra simile a quello della Libia, dove non fu tanto l’esistenza di Israele a smuovere la volontà dei più ad emigrare, quanto le preoccupazioni circa l’imminente indipendenza del Paese e lo statuto che esso si sarebbe dato106

. Era in

104 «Il sionismo sarebbe comunque diventato l’ideologia dominante. Alla viglia dell’indipendenza,

considerati tutti i movimenti, esso registrava 22.542 aderenti, ovvero il 22% della popolazione ebraica stimata a 200.000. Era un record mondiale. Nel 1956, 91.000 ebrei circa, ovvero un terzo della comunità, sarebbero immigrati in Israele.” (ibidem, p.183)

105 Il Partito Istiqlal argomentò così la propria richiesta al Sultano: «Il nostro obiettivo punta

unicamente a lottare contro il sionismo sottraendosi a ogni risentimento ni confronti dei nostri compatrioti ebrei che, allo stesso titolo nostro, sono di nazionalità marocchina e, come noi, sono sottomessi all’autorità del sultano.”Altri i toni assunti, invece, dal Partito Democratico per l’Indipendenza, molto più militante nella causa antiebraica: «Tu, nobile marocchino, che dando un dirham (moneta marocchina) a un sionista, distruggi una casa araba e finanzi lo stato sionista traditore. Puoi fare a meno dei servizi sionisti (...) ricordati sempre che ogni ebreo è un partigiano di Sion” (quotidiano al-‘Am- La Nazione, 12/1/48, in Assaraf, cit., p.183)

106 Weinstock scrive che: “Dès le départ et alors qu’il se trouvait encore au stade embryonnaire, le

mouvement natioanliste marcai s’est voulu panarabe et surtout islamique. C’est ainsi que le serment d’adhésion à la cause était prêté sur le Coran. Voilà qui excluait toute candidature autre que celle des Musulmans.” (Weinstock, cit., p.144). Schulze: “Lo stesso Partito dell’Indipendenza

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corso negli stessi anni anche una forte immigrazione interna, soprattutto dalle montagne verso le città: si trattava soprattutto di ebrei poveri e contadini che non riuscivano più a sostenersi con l’agricoltura e cercavano impiego come artigiani o braccianti, ammassandosi nei mellah, proprio mentre le classi agiate, non subendo più restrizioni residenziali, si trasferivano al di fuori di questi quartieri per abitare soprattutto le zone europee.

Le pressioni esercitate dai partiti e dal Sultano a favore dell’indipendenza portarono i Francesi a esautorare il sovrano e costringerlo all’esilio, ma nel 1953, le autorità coloniali si arresero all’evidenza e, sull’onda delle manifestazioni popolari, reintegrarono il sultano nella sua carica. Gli Ebrei marocchini ebbero allora speranza che la situazione in Marocco potesse evolvere verso la stabilità politica e che nella nuova società vi fosse posto anche per loro. Questo in concomitanza con l’arrivo di notizie sempre più negative da Israele da parte di coloro che erano già emigrati e che testimoniavano di un processo difficile di adattamento ed integrazione nel nuovo Paese107. Il Marocco accedette all’indipendenza nel 1956 senza che si registrassero scontri. Al contrario, i due maggiori partiti avevano anch’essi operato una riconversione interna e tentato di avviare un nuovo corso, elaborando un concetto di cittadinanza maggiormente inclusivo della minoranza ebraica108.Come gesto di riconciliazione, un ebreo, Léon Ben Zaqen, venne nominato Ministro delle Poste.

(Istiqlal) era nato dalla nazionalizzazione del discorso islamico della neosalafiyya. (p.149) Discorso islamico e nazionalismo aspiravano infondo alla stessa cosa: entrambe le istanze erano espressione della formazione di una cultura nazionale. (…) La vicinanza strutturale tra islamici e nazionalisti comportò inevitabilmente ogni sorta di confusione terminologica. (Schulze, cit., p.198)

107 Il 1953 registrò infatti un saldo negative per l’aliyah, in cui il numero degli Ebrei marocchini in

partenza era addirittura inferiore a quello di coloro che facevano ritorno. (Assaraf, cit., p.206)

108 “In questo periodo felice, tra il 1956-58, i partiti politici rivaleggiavano nei confronti degli

ebrei. L’Istiqlal, come il PDI, auspicavano la partecipazione degli ebrei alla vita pubblica e la loro rappresentazione nelle istituzioni. Nel passato, i loro dirigenti non avevano potuto resistere alle sirene antisemitismo, confondendo spesso anticolonialismo e simpatia per la Germania nazista. Cambiando completamente attitudine al momento dell’indipendenza, l’Istiqlal, conosciuto alrimenti per la sua ideologia islamica, si mostrò molto conciliante nei confronti degli ebrei. Al congresso del dicembre 1955, rifacendosi alla filosofia ugualitaria di Sidi Mohammed, l’Istiqlal, adottava la risoluzione seguente: “Considerando che i marocchini israeliti sono di nazionalità del Paese in tutta l’accezione giuridica e storica del termine, ne deriva che possano godere dell’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciute ai loro concittadini musulmani su un piede completo di parità”. Associando gli atti ale parole, l’Istiqlal creò nel febbraio del 1956, un’organizzazione del dialogo giudeo-marocchino, le Wifaq ( Entente).» (Assaraf, cit.,p.232)

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La situazione tornò a peggiorare nel luglio del 1957, quando l’emigrazione verso la Palestina, dapprima tollerata, venne messa fuorilegge: il Sultano temeva, infatti, che gli Ebrei intendessero vuotare il Paese così come avevano fatto altrove e che dalla loro emigrazione in massa ne sarebbe risultato un danno economico e di prestigio per il Regno109. Le clausole restrittive dell’emigrazione imposte dalle autorità, tra cui il ritiro dei passaporti, suscitarono nella comunità ebraica il timore che presto l’opportunità di immigrare in Israele si sarebbe richiusa, lasciandoli senza opzioni nel caso le condizioni in Marocco fossero tornate a peggiorare. La ripresa dell’aliyah tra il 1956 e il 1960 fu impressionante110 e lo sarebbe stata ancora di più se restrizioni non fossero state imposte inizialmente dalle autorità israeliane. Vi fu anche un caso tragico, in cui una nave (la “Pesci”)in rotta verso Israele e carica di immigrati naufragò a largo delle coste marocchine, provocando la morte di 43 passeggeri. Tale episodio provocò critiche e reazioni in Israele e spronò le autorità a cercare a interessarsi maggiormente della sorte degli Ebrei marocchini e a cercare una formula di compromesso con il Sultano, che fu trovata nell’emigrazione libera dietro pagamento di 50 dollari a testa e dietro la promessa che le operazioni logistiche di trasporto sarebbero avvenute di notte, per non essere visibili e pregiudizievoli della sensibilità dei musulmani.

Il 26 febbraio del 1961 Mohammed V sarebbe morto suscitando forti emozioni anche negli Ebrei marocchini già espatriati: era stato forse il simbolo di un periodo di convivenza ebreo-araba che si era concluso. Lasciò, però, nei propri sudditi ebrei, compresi quelli che espatriarono in Israele, il ricordo positivo di un periodo di coesistenza intercomunitaria all’interno dello stato marocchino. Pochi giorni prima, il 23 febbraio, gli Ebrei avevano riottenuto il diritto ad ottenere dei passaporti e, di conseguenza, a emigrare