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Gli Ebrei giunsero in Iraq a seguito della deportazione da parte degli Assiri nel VIII° secolo a.C.: essa non aveva riguardato, secondo la storiografia antica, che gli strati superiori del Regno di Israele. Quando gli Arabi conquistarono il Paese con il califfo Omar (634-644), gli Ebrei erano già lì da un millennio e mezzo. La conquista islamica coincise con un periodo di lustro per la regione e per la comunità ebraica, che viveva proprio in quei secoli la sua epoca d’oro delle accademiche talmudiche. Dei tre poli di sapienza religiosa su cui si articolava la diaspora ebraica, due di essi si trovavano nel moderno Iraq, Soura e Pumbedita.

I primi secoli dell’Islam furono sia un momento di espansione territoriale e culturale, che di fanatismo religioso, tratto di una fede acerba che si doveva ancora affermare. I califfi di Baghdad imposero agli Ebrei vari segni distintivi di riconoscimento, come un copricapo o un soprabito giallo imposti ai medici ed agli esattori delle tasse ebrei56. Sotto il regime abbaside, in generale, gli Ebrei furono trattati con sommo rispetto e pare che l’Esilarca fosse ricevuto dal Califfo con tutti gli onori57, trattamento che continuò pressoché invariato in epoca mongola. Successivamente, gli Ebrei soffrirono nel XIV° secolo, come i conterranei musulmani, per l’invasione distruttiva di Tamerlano, che nel 1401 si

55 Abitbol, Michel, Le passé d’une discorde. Juifs et Arabes du VII° siècle à nos jours, Perrin,

Paris, 1999, p.430.

56 Encyclopedia Judaica, V° Iraq. 57

Lo testimonia anche il viaggiatore europeo Benjamin de Tudèle, che narra come l’Esilarca fosse scortato nel suo itinerario verso il Califfo da cavalieri ebrei e musulmani e salutato con la formula di onore: “Sayidna ibn Da’ud” (“Il nostro Signore, il figlio di Davide”.) Testimonianza riportata interamente in Stillman, Norman A., The Jews of Arab Lands, A History and Source Book, Jewish Publication Society of America, Philadelphie, 1979, p. 252-254.

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impadronì della città con un massacro. Ebbero ancora a subire discriminazioni sotto i Persiani, mentre accolsero con sollievo l’arrivo del Sultano ottomano Mourad VI nel XVII° secolo. Nel 1856 la Sublime Porta adottò una riforma che aspirava a vietare qualsiasi discriminazione tra sudditi musulmani ed ebrei dell’Impero ed abolì anche i segni distintivi per le minoranze. Nel diciannovesimo secolo, dunque, la comunità ebraica godeva di alcune libertà civili e di una presenza continuativa di quasi tremila anni nel Paese, che le arrecava orgoglio e sicurezza nelle sue relazioni con i vicini musulmani. La comunità ebraica in Iraq era molto stratificata e prevalentemente urbana, se non si considerano le montagne del Kurdistan dove pure si trovava un considerevole numero di Ebrei. In Iraq erano concentrati nelle maggiori città, tra cui 53.000 solo a Baghdad nel 1910. Si trattava di un dato importante, perché gli Ebrei nella città di Baghdad ammontavano a un terzo (il 35.3%) della popolazione di quella che, per l’epoca, era considerata una metropoli58. Baghdad era tanto ebraica quanto, all’epoca, solo Salonicco, una delle rare città dell’Oriente arabo in cui gli Ebrei non si definivano né si sentivano “minoranza”59

. In questa città, erano presenti ovviamente tutti gli strati sociali: un 5% della popolazione ebraica apparteneva alle fasce alte: si trattava di una classe di grandi commercianti che si occupava prevalentemente di import-export60, di banchieri e finanzieri e di alti funzionari dello Stato. Seguiva una fascia molto più ampia, pari quasi al 30% della popolazione, che si poteva definire classe media, composta di piccoli commercianti, piccoli imprenditori e impiegati. Il resto, quasi il 60% della popolazione, si divideva tra la classe degli artigiani e dei braccianti poveri, e un 5% di indigenti, che

58 Baghdad aveva 160.000 abitanti nel 1910; sarebbero cresciuti a 202.200 alla vigilia della

Seconda Guerra Mondiale, di cui 80.000 ebrei (e 12.000 cristiani).

59 “...gli ebrei in questo Paese ricoprono una posizione importante. Essi costituiscono un terzo della

popolazione della capitale, detengono la mnaggiorparte dei commerci del Paese e registrano standard più alti di alfabetizzazione rispetto ai musulmani. A Baghdad la situazione degli ebrei è un fattore eccezionale della città e, sebbene essi non abbiano ancora ben appreso a trarre vantaggio da questa posizione, sono ugualmente considerati dai musulmani colti com persone fortunate, dalle quali il Paese deve attendersi il pieno ritorno per i suoi generosi favori.”(Stillman, cit., p.332)

60 I commerci delle famiglie ebraico-irachene spaziavano da Singapore, all’India, alla Persia, fino a

Londra. In tutte queste località le famiglie avevano contatti commerciali diretti, filiali delle proprie attività o addirittura, spesso, un membro della famiglia. Non è un caso, dunque, che una volta costretti all’emigrazione, gli Ebrei iracheni benestanti abbiano avuto un’ampia gamma di opportunità sulla destinazione finale e spesso siano passati in transito per l’India sulla via per Londra e New York piuttosto che per Israele.

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costituivano i mendicanti di strada e facevano l’oggetto di assistenza e donazioni da parte della comunità61.

Come vivessero gli Ebrei della classe media nella Baghdad del primo Novecento, è ben descritto nelle pagine del libro di memoria sulla sua famiglia che Marina Benjamin dedica a sua nonna:

“Quando Regina (la nonna, ndr) cresceva, la gran parte della popolazione ebraica di Baghdad viveva nel povero quartiere ebraico della città, o mahallah, un quartiere compatto e senza aria nel Nord della città, dove le case erano così densamente vicine le une alle altre, in un labirinto di strade tortuose, da costituire quasi una massa solida. Salha diceva che le case si tengono vicine così come le persone che le abitano: piccole e grandi, esse erano incastrate assieme alle sinagoghe, alle sale comunitarie, alle scuole, agli atelier ed ai laboratori, muro contro muro, mentre i negozi si accalcavano nelle strade commerciali come troppi denti in un sorriso sbilenco. Ogni edificio sembrava spingere il suo vicino quasi a competere per un pezzo di cielo. Ogni famiglia aveva appena bisogno di guardare oltre dalla terrazza del tetto per sapere tutti gli affari delle altre famiglie. Poiché non vi erano parchi o giardini nel quartiere ebraico (…) l’area non attirava estranei, cosa che gli Ebrei consideravano solo positiva. (…) le fotografie aeree del quartiere ebraico scattate da aerei di ricognizione britannici durante la Prima Guerra Mondiale rivelano un quartiere (…) piegato su sé stesso, come un pugno chiuso.62

La struttura familiare prevalente era quella dell’hamoula, o della famiglia che raccoglie più generazioni nella stessa casa, dall’impronta patriarcale. La comunità non solo è perfettamente arabofona, ma contribuisce in larga misura a creare la letteratura irachena moderna negli anni ’20 e ’30 e a rinnovare la musica tradizionale di stile maqam, segno che non solo gli ebrei si sentono parte della cultura di maggioranza ma aspirano anche ad avervi una voce63.

61 Si cfr. Rejwan, Nissim, The Jews of Iraq, 3.000 years of History and Culture,

Weidenfeld&Nicholson, London, 1985, p.195.

62 Benjamin, Marina, Last days in Babylon, the Exile of Iraq’s Jews, the Story of My Family, Free

Press, New York, 2006, p.27.

63 Un buon terzo dei romanzi pubblicati in Iraq negli anni ’20 sono di autori ebrei, tra cui: Ezra

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La comunità era organizzata intorno al Rabbino Capo, all’assemblea religiosa e a quella laica64. Le autorità rabbiniche locali, strutturate in un Consiglio, rappresentavano la comunità nelle occasioni ufficiali e avevano tra le proprie responsabilità la preservazione della comunità e la sua tutela morale e materiale. A questo scopo, badavano a conservare un basso profilo nei confronti delle autorità musulmane e a concentrare i propri sforzi nel trasmettere i riti e i costumi alle nuove generazioni. Non sorprende, dunque, che quando nel 1864 l’Alliance Israelite Universelle aprì le proprie porte a Baghdad, le autorità religiose si mostrarono ostili e minacciarono di scomunica tutti gli studenti iscritti. La disputa tra vecchie e nuove generazioni in Iraq e il dibattito-scontro tra forze a favore della modernizzazione e del tradizionalismo, tra educazione occidentale e consuetudinaria, sarebbero proceduti fino agli anni ’40. La scuola dell’Alliance avrebbe continuato ad operare e aumentare progressivamente il numero dei propri scritti65, spaccando culturalmente la comunità ebraica locale. L’ideologia modernizzante e autoritaria a cui s’ispirava l’educazione impartita all’Alliance, ed anche le convinzioni più intime del suo personale, portarono le autorità della scuola ad uno scontro accesso con il gruppo dei notabili e le autorità religiose locali. Parte di questo scontro fu alimentato da elementi di velato razzismo e superiorità morale ventilati dagli ebrei dell’Alliance nei confronti di alcuni usi e costumi premoderni della comunità locale66.

Nel 1920 la Gran Bretagna ricevette il Mandato della Società delle Nazioni che le assegnava in amministrazione temporanea un territorio dell’allora Mesopotamia a cui conferì il nome di Iraq. L’Impero britannico decise, dunque, di avviarlo gradualmente

Shina. (Si cfr. Benin, Joel, Jews as Native Iraqis: an Introduction, in Rejwan, N., The last jews in Baghdad, University of Texas, Austin, 2004, pp. XIV-XVII)

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Al-Majlis ar-ruhani (l’assemblea religiosa) e al-Mahlis al-jismani (l’assemblea dei notabili).

65 Anche se, rispetto al proprio reseau in Maghreb, l’Alliance a Baghdad si dovette scontrare ben

presto con la realtà locale, dove il francese come lingua veicolare era meno diffuso di quanto non fosse in Nordafrica e i giovani studenti chiedevano, dunque, di essere portati a una buona conoscenza dell’arabo, dell’ebraico e del turco inizialmente, e poi dell’inglese. (Frenette, Derek Angus, L’Alliance Israélite Universelle and the Politics of Modern jewish Education in Baghdad: 1864-1914, Simon Fraser University, M.A. Thesis, 2003, p.22).

66 “Baghdad è isolata dal mondo, I rumori dall’esterno non riescono ad attraversare il deserto che li

circonda da ogni parte. L’influenza delle nuove idee non si fa sentire, e il risultato è che, per essa, il mondo civilizzato non esiste affatto. (...) Su un terreno così ricalcitrante, le istituzioni liberali non prendono piede.” (Rapporto d’un instituteur de l’Alliance, 20/11/1985, in Le centenaire de l’Alliance israélite universelle. Bagdad 1860 à travers les rapports des instituteurs, in Evidences, Paris, no.83, avril-mai 1960, pp.6-7).

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all’indipendenza e trasformarlo in una monarchia indipendente e di affidarne la Corona ad un sovrano hashemita, il re Faysal, scacciato dai Francesi da Damasco. Il nuovo sovrano stabilì che tutti i cittadini iracheni dovessero essere trattati su un piede di parità67: fu un momento importante per gli Ebrei che si videro aprire l’accesso a tutte le professioni e promettere l’opportunità di sentirsi a pieno titolo cittadini del nuovo stato, una volta che l’Iraq avesse ottenuto l’indipendenza (1932). Faysal morì poco dopo (1933) e gli succedette il figlio Ghazi, di simpatie filonaziste, e con lui iniziarono le persecuzioni dei cristiani assiro-caldei insieme alle leggi discriminatorie degli ebrei, che imposero loro un

numerus clausus all’accesso alla funzione pubblica ed all’istruzione superiore (1934) e

una cauzione (o tassa) di 50 dinari pro-capite per ogni Ebreo che si recasse in Palestina. La stampa iniziò a far campagna contro gli Ebrei spingendo su due tasti sensibili: l’infiltrazione delle élite economiche ebraiche al potere e il loro sostegno nascosto a favore dei correligionari di Palestina. Erano sempre i grandi mercanti ebrei ad essere oggetto della rabbia popolare68, e non la massa degli artigiani e dei braccianti che affollava le strade di Baghdad e lavorava gomito a gomito con i fellah arabi. Anche il sospetto di simpatie filosioniste non era associato alla piccola gente del mahallah, che si disinteressava generalmente di politica, conosceva poco delle attività sioniste in Palestina e rispettava pedissequamente le istruzioni delle autorità rabbiniche locali, contrarie al sionismo come ad ogni innovazione modernizzante che potesse potenzialmente comportare un rischio per la comunità69. La percezione, dunque, degli Ebrei da parte degli Arabi era duplice: essi erano sia i loro compagni di bottega che faticavano per sbarcare il lunario esattamente come loro e si appassionavano per le stesse cose, che una fascia di

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Discorso di Re Faysal, 18/7/1921: “L’amore per la patria non fa distinzioni tra Ebrei, Musulmani e Cristiani”, riportato in Rejwan, cit., p.213.

68 “Agli ebrei dell’Iraq le cose andavano molto bene (...) La stragrande maggioranza dei membri di

prima classe della Camera di commercio erano ebrei, il che possedevano i loro commerci con capitali di più di 75.000 dinari ($300.000).” (Benjamin, M., cit., p.97)

69 “L’esperienza degli ebrei iracheni nella diaspora differì sostanzialmente da quella degli ebrei

europei. Per la maggiorparte, gli ebrei iracheni non sono state vittime dei pogrom o della persecuzione statale. Essi erano una popolazione educata e urbana, da lungo tempo stabilizzata in Iraq, e per la prima volta da secoli essi godevano i vantaggi di maggiori libertà civiche. Essi erano corteggiati come “compagni semiti”, figli di Shem, e, quindi, come fratelli, dai nazionalisti arabi che sposavano un’ideologi inclusiva di uan base sociale ampia. Dalla prospettiva degli ebrei integrati e di quelli patriottici, il Sonismo sembrava il prodotto di un movimento straniero, irrilevante nei confronti delle loro preocupazioni quotidiane.” (Benjamin, M., cit., p.96)

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ricchi vestiti all’occidentale che complottava con le autorità coloniali70 alle spalle della massa e dei suoi sogni panarabi. Gradualmente, la propaganda avrebbe spinto sempre più Arabi a considerare tutti gli Ebrei in modo uniforme, anche quando si nascondevano nei panni logori di un artigiano il cui orizzonte di vita era compreso tutto all’interno di un quartiere di Baghdad.

Negli anni ’20 e ’30 la vita politica e culturale a Baghdad fremeva e gli Ebrei vi prendevano parte in ogni corrente ed ogni espressione: vi fu un Ministro ebreo delle Finanze71, un gruppo che aveva abbracciato il sionismo e aveva fondato la prima Associazione Sionista irachena72; vi erano ebrei nel Partito Comunista Iracheno73 e Ebrei che crearono la Lega Anti-Sionista (AZL)74 , che si batteva per una piattaforma congiunta e laica di Arabi e Ebrei nel nuovo Iraq; vi erano, ancora, Ebrei nei partiti nazionalisti, liberali e persino panarabi come anche, al contrario, Ebrei che avevano guardato con profonda diffidenza alla fine del Mandato britannico alla Società delle Nazioni. Non si può sostenere che la comunità ebraica irachena fosse compatta ed uniforme negli orientamenti che riguardavano il proprio futuro. La parte più influente della comunità, però, continuava a tenersi a margine tanto della propaganda di sinistra sulla fine del separatismo confessionale nel nuovo Iraq, che di quella sionista, che spronava i giovani ebrei iracheni a giocare un ruolo diretto nella costruzione del “loro” Stato in Palestina. Ciò che emerge è piuttosto una continuità nell’atteggiamento prudenziale con cui gli Ebrei si approcciavano alla sfera politica, nella consapevolezza che i rovesci politici in Medio Oriente fossero all’ordine del giorno e che fosse più saggio tenere la comunità al riparo da rivendicazioni, critiche e insuccessi75.

70 “Grazie al patronato britannico, il numero degli ebrei che ricoprivano (incarichi) ai ministeri e

nel servizio civile, che gestivano le ferrovie e il servizio telegrafico nazionale, che riempivano l’autorità del porto di Basra e guidavano le banche, eccedevano il numero degli arabi nelle stesse posizioni.”(ibidem, p.97)

71 Si trattava di Sassoon Eskell. 72

La prima Associazione Sionista irachena fu fondata da Aaron Sassoon nel 1920 ed aveva come scopo l’obiettivo di “ristabilire la gloria dell’antico Israele.

73 A capo del Partito Comunista Iracheno ci era Yusuf Salman Yusuf, che venne condannato e

giustiziato nel 1948.

74

Usuki, Akira, Jewish National Comunist Movement in Iraq, A case of Anti-Zionist League in 1946, Hitotsubashi Journal of Economics, Marzo 2006, pp.211-225.

75 “Gli ebrei erano completamente urbanizzati e detenevano posizioni-chiave in tutte le istituzioni

governative, soprattutto predominavano nella vita commercial e in quella economica. Ma, invece di sostenere il peso dello sforzo nazionale, assumere una posizione nella vita pubblica e nei partiti

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Si accentua, comunque, analogamente a quanto avveniva in altri Paesi arabi, il ruolo che le vicende palestinesi giocano nella vita politica nazionale. Il Congresso Islamico Mondiale che si tenne a Gerusalemme nel 1931, su iniziativa del Mufti Hajj al-Amin al- Husseini, vide la partecipazione di una delegazione irachena, che minacciò apertamente ritorsioni sugli Ebrei qualora la colonizzazione in Palestina fosse proseguita allo stesso ritmo. Manifestazioni di solidarietà vennero, dunque, indette a Baghdad nel 1937 (con due morti ebrei assassinati dalla folla) e l’opinione pubblica, sensibile ai fatti di Palestina, preparò il terreno affinché al-Husseini venisse ospitato a Baghdad, costretto all’esilio durante la guerra (1940). Al-Husseini giocò anche un ruolo centrale nel putsch pro-Asse di Rachid Ali al-Gaylani nel 1941, che coincise con l’avanzata degli Afrika Korps di Rommel. Questo non perché improvvisamente in Iraq e nel mondo arabo si fosse diffuso un antisemitismo assimilabile in qualche modo a quello di matrice europea76, ma perché nella lotta per l’indipendenza e l’unità panaraba contro l’Impero Britannico, e nella parziale ignoranza della strategia nazista e delle sue implicazioni, una parte delle elites arabe credette di aver trovato nella Germania un proprio alleato, secondo la formula “i nemici dei miei nemici sono miei amici”. La scelta di allearsi con i nazisti si originò più da un’errata valutazione pragmatica che da una convinzione ideologica, di cui fossero anche largamente sostenitrici le masse arabe. E’ pur vero che, in un’epoca di forte

politici, essi continuavano a crogiolarsi nel loro isolamento, a chiudersi, nela convinzione perversa che il bene del gruppo venisse prima.” (Ballas, Shimon, Outcast, City Lights Books, 2007, p.91) In un’altra fonte, viene confermata l’attitudine delle classi dirigenti ebraiche: “Gli ebrei agiscono con deplorabile indifferenza negli affari pubblici e in politica, e se si dimostrao pubblicamente così insensibili coem hanno fatto ultimamente, una causa che non è guardata dagli arabi solo come straniera ma anche ostile, non ho dubbi che riusciranno a rendersi un elemento totalmente straniero in questo Paese e, come tale, avranno una grande difficoltà nel difendere la loro posizione, che (...) è da altri punti di vista anche troppo invidiabile.” (Lettera di Menahem S. Daniel, senatore del Parlamento iracheno al WZO, 1922, riportata in Stillman, cit., p.333 e Alcalay, Ammiel, After Jews and Arabs, Remaking Levantine Culture, University of Minnesota Press, 1993, p.48)

76 “Agli occhi del mondo islamico, il nazionalsocialismo fu invece fin dagli inizi un fenomeno

oscuro:il razzismo e l’antisemitismo dei nazionalsocialisti costituivano una barriera culturale difficilmente superabile. (p.133)Certo, gli intellettuali di tendenza statalista ammiravano la Germania e l’immagine di Hitler come ideale del Führer, capace di “farla vedere a Inglesi e Francesi”, era così popolare (….) che in molti tentarono di tradurre il Mein Kampf in arabo. (…)ma la politica tedesca rimase estranea al mondo islamico, in quanto i musulmani palestinesi si sentivano vittime di una “falsa amicizia”: tutto sommato, era stata proprio la Germania a legittimare l’immigrazione ebraica in Palestina con la sua persecuzione antiebraica. Difficili furono anche i rapporti con il fascismo italiano e spagnolo. (..)Durante la guerra condotta dall’Italia in Libia persero complessivamente la vita un milione di persone. Una presa di posizione a favore del fascismo equivaleva di fatto ad un’approvazione della politica di insediamento coloniale in Libia.” (Schulze. R., cit., p.135)

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incertezza sociale e materiale come quella della Seconda Guerra Mondiale, e precedente la nascita di molti Stati arabi, una minoranza delle società arabe adottò un linguaggio legato al vocabolario nazista, includendovi termini come “nemico interno”, “razza”, “potenza nazionale”: ciò non significò, però, automaticamente né che ne adottasse le mire omicide, né gli obiettivi di epurazione razziale all’interno dell’ umma.

Il colpo di stato di Gaylani, che sarebbe più corretto definire pro-Asse piuttosto che pro- nazista, lasciò il passo ad un nuovo intervento della Gran Bretagna, che per altro non si era mai allontanata dalle basi che aveva di stanza in Iraq. Quando ormai le truppe stavano per varcare le porte di Baghdad, un violento pogrom antiebraico esplose inaspettatamente, proprio mentre erano in corso i festeggiamenti della settimana di Shavuot (la festa che commemora il dono della Torah a Mosé). Il pogrom durò appena due giorni (1 e 2 giugno 1941) ma assurse a punte di inaudita violenza, scatenandosi contro uno dei quartieri ebraici più poveri e densamente popolati, Abu Sifaine, e vedendo protagonisti, accanto alla folla generale, militari smobilitati e miliziani delle giovani falangi islamiche77. Al suo termine lasciò sul terreno 179 morti, 586 imprese e 911 abitazioni distrutte, per un totale di 12.311 sfollati. Passò alla storia come il Farhud, ovvero la grande distruzione. Il

Farhud ebbe delle forti ripercussioni emotive sulla comunità, nella quale si avviò un