Capitolo 2: L’immigrazione di massa in Israele 1948-52
2.4 Sefarditi e mizrahim: gli ebrei “del Levante”, del Maghreb e della
2.5 La Grande ‘Aliyah: numeri e provenienze di un’ondata migratoria unica.
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2.1 Il background dell’immigrazione di massa:
l’organizzazione dell’Yishuv prima di Israele,
cenni generali.
Lo Stato di Israele fu fondato il 14 maggio del 1948, anche se il suo anniversario viene celebrato secondo la cadenza del calendario ebraico, oscillante tra il 4 e il 5 del mese di Nisan, ovvero in una data che varia ogni anno tra aprile e maggio del calendario gregoriano.
La proclamazione dello Stato di Israele precedette di appena un giorno la scadenza del Mandato Britannico. Il 15 maggio il neo-Stato era già in guerra con sei Paesi arabi, limitrofi e non: Iraq, Arabia Saudita, Libano, Transgiordania, Egitto e Siria. I Paesi arabi che pure non parteciparono alla guerra, come Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, inviarono truppe di volontari a sostegno di quella che fu considerata una grande guerra panaraba per la liberazione della Palestina. Gli Stati arabi non avevano accettato il Piano di Partizione dell’UNSCOP117
, contestando il diritto degli ebrei ad avere un proprio stato autonomo e criticando le condizioni stesse della partizione prevista dal Piano, che assegnava la striscia costiera, più fertile e più popolata, prevalentemente ad Israele.
117 Si tratta della Risoluzione ONU n.181 del 28 Novembre 1947. Il Piano di Partizione
dell’UNSCOP prevedeva la creazione di due Stati, uno a maggioranza ebraica ed uno a maggioranza araba, ritagliati secondo i seguenti confini: lo Stato di Israele avrebbe avuto assegnata la fascia costiera da Haifa a Rehovot, la Galilea orientale inclusiva dell’area intorno al lago Kinneret (o lago di Tiberiade) tranne una striscia nord-orientale assegnata alla Siria, e gran parte del deserto del Negev comprensivo di uno sbocco sul Mar Rosso con la città di Eilat. Le due regioni in cui lo Stato di Israele sarebbe stato di fatto geograficamente diviso avrebbero avuto un solo punto di contiguità territoriale, appena a sud-est della città di Afula. Lo stato arabo avrebbe ricevuto, invece, la Galilea occidentale, con la striscia costiera intorno alla città di Acco, le colline della Giudea e della Samaria (attuale West Bank), la parte meridionale della striscia costiera da Ashdod (allora ‘Arab Suqrir) a Rafah (ovvero comprensiva di tutta la Striscia di Gaza), più una sezione del deserto del Negev lungo il confine con l’Egitto. Il piano di Partizione approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite prevedeva ulteriori modifiche: Jaffa sarebbe stata considerata un’ enclave araba, Gerusalemme e Betlemme dovevano andare a costituire un corpus separatum da amministrare internazionalmente, e la città di Beersheva veniva assegnata allo Stato arabo. La ripartizione finale, in termini percentuali, era il 55-56% della superficie della Palestina mandataria allo Stato di Israele e 43-44% a quello arabo. Per approfondimenti sul Piano di Partizione e le sue clausole si veda: UNSCOP (United Nations Special Committee On Palestine, Rapporto all’Assemblea Generale, A/364, 3/9/47, e UNSCOP, UN Doc. n. A/AC.14/34, del 17/11/47.)
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La guerra, definita dalla storiografia israeliana “guerra di indipendenza” e da quella arabaNakba, in quanto comportò la distruzione della Palestina e l’evacuazione di massa di circa
726.000 profughi118, terminò nel marzo del 1949 con la conquista pacifica del porto di Eilat, unico sbocco israeliano sul Mar Rosso. Nel frattempo, nel dicembre del 1948 era intervenuta una Risoluzione delle Nazioni Unite -la famosa Risoluzione n.194- che stabiliva la creazione di una Commissione di Conciliazione internazionale e disponeva il ritorno dei profughi, di entrambe le parti, che volessero tornare alle loro località d’origine. Alla fine della Guerra del 1948, Israele aveva acquisito il 78% della superficie della Palestina mandataria, ovvero il 22% in più del territorio assegnatale dal Piano di Partizione del 1947. Le modifiche territoriali più sostanziali comprendevano: l’annessione dell’intera Galilea, l’acquisizione di una parte maggiore della striscia costiera (inclusiva di Ashdod-‘Arab Suqrir e Ashkelon-al Majdal) e la conquista di città a maggioranza araba come Acco e di città già assegnate allo stato arabo come Beersheva.
Nessuna Risoluzione ONU sanzionò formalmente i nuovi confini usciti dalla guerra, e la definizione degli stessi spettò a commissioni di armistizio bilaterali istituite tra Israele ed ogni Paese arabo. Non si addivenne ad alcun trattato di pace permanente, ma solo alla stipula di confini temporanei e alla tracciatura di una Linea Verde, che sanciva di fatto le linee sulle quali i due eserciti si erano arrestati durante la guerra, senza riflettere e integrare né considerazioni di sicurezza né problemi demografici.
Lo Stato di Israele era nato, dunque, e si era affermato attraverso la guerra, ma pur avendo enormi problemi da risolvere di fronte a sé, non doveva cominciare a costruire tutto dalle fondamenta. L’Yishuv, ovvero la comunità ebraica di Palestina com’era venuta a definirsi nel suo assetto pre-statale, si era dotato di organi e istituzioni di autogoverno fin dal
118 Rapporto conclusivo della United Nations Economic Survey Mission for the Middle East,
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1929119, come nello spirito della Dichiarazione Balfour, i cui principi erano stati sottoscritti dalla Società delle Nazioni120.L’Agenzia Ebraica si occupava di tutto quanto concernesse gli affari interni della comunità e assolveva alle seguenti funzioni: rilasciava certificati d’immigrazione - concordando preventivamente le quote con il governo britannico-, si occupava dell’assorbimento degli immigrati e della creazione di nuovi insediamenti, promuoveva lo sviluppo economico e le attività educative e culturali, e provvedeva ai servizi medici ed ospedalieri. Se l’Agenzia agiva come una sorta di “esecutivo” dell’ Yishuv121
, il Vaad
Leumi (o “comitato o consiglio nazionale”) fungeva da assemblea rappresentativa e
organo legislativo della comunità, mentre l’HaHagana (o “la difesa”), un’organizzazione paramilitare, ne costituiva l’”esercito”. Per quanto riguarda il potere giudiziario, la potenza mandataria britannica riconosceva piena indipendenza a tutte le comunità su base dell’appartenenza religiosa, riprendendo la tradizionale divisione ottomana in millet, e aveva formalmente riconosciuto nel Consiglio Palestinese del 1921 i tribunali rabbinici, così come le corti musulmane che applicavano la shari’a e gli analoghi tribunali cristiani, per quanto riguardava la giurisdizione su tutte le materie pertinenti lo statuto personale122.
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Al 1929 risale la creazione dell’Agenzia Ebraica (Jewish Agency o JA), formalmente istituita a Zurigo dal XVI° Congresso Sionista. Essa doveva svolgere funzioni di autogoverno per la comunità ebraica in Palestina e facilitare l’immigrazione ebraica attraverso attività di lobby presso il Governo britannico ed assistenza nel trasporto e nell’assorbimento degli immigrati, una volta in Palestina.
120 La Società delle Nazioni aveva infatti accettato la dichiarazione Balfour come uno degli
obiettivi del Mandato britannico, in altri termini, creare “un focolare nazionale ebraico in Palestina” era uno degli obblighi che la Gran Bretagna avrebbe dovuto assolvere al fine di condurre la Palestina all’indipendenza. L’articolo 4 del documento con cui il Consiglio della Società delle Nazioni conferiva il Mandato sulla Palestina al Governo britannico, così citava: “Un’apposita Agenzia ebraica sarà riconosciuta come un organo pubblico con lo scopo di consigliare e cooperare con l’Amministrazione di Palestina in tutti gli affari economici, sociali e di ogni settore che possano riguardare l’istituzione di un focolaio nazionale ebraico e gli interessi della popolazione ebraica in Palestina, e, soggetta sempre al controllo dell’Amministrazione, (che possa) assistere e prendere parte allo sviluppo del Paese.” (Consiglio della Società delle Nazioni, 24 luglio 1922).
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Dal 1935 David Ben Gurion era stato eletto Presidente dell’Agenzia Ebraica -di fatto il governo autonomo della comunità ebraica in epoca prestatale- e Moshe Sharret (già Shertok) era a capo del Dipartimento Politico dell’Agenzia.
122 Per un approfondimento si cfr. Bentwich, Norman, “The Legal System of Palestine Under the
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Ancora, l’Yishuv era stato caratterizzato da una strutturazione forte in partiti e movimenti politici, la cui ripartizione fondamentale correva tra forze sioniste e non. Schematizzando, i partiti sionisti si riconoscevano nel progetto della costruzione di uno stato ebraico in Palestina come priorità assoluta e, in parte preponderante, volevano che in tale stato la maggioranza demografica fosse costituita da ebrei. I partiti non sionisti sostenevano la costruzione di un focolare ebraico in Palestina nello spirito della Dichiarazione Balfour, ma non consideravano assolutamente prioritaria l’istituzione di uno Stato, non concordavano sul fatto che tale Stato dovesse contare su una maggioranza ebraica e non accettavano l’identificazione automatica tra nazionalità e religione123.
Tra i partiti sionisti esistevano numerose correnti: la fazione liberaldemocratica di Weizmann (Tsionim Klaiim o Sionisti Generali)124, il movimento religioso di ha-Po’el ha-
mizrahi (letteralmente “il lavoratore del centro spirituale”)125, i socialisti del Mapai (Mifleget Po’alei Eretz Tsion- Partito dei Lavoratori di Israele)126 e i comunisti del
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Vi erano numerosi partiti e gruppi non sionisti, che afferivano a tre grandi correnti politiche e filosofiche: i liberali (mehaskilim) non sionisti e gli ebrei riformati, che si rifacevano all’illuminismo europeo ed ai suoi ideali di cittadinanza e si sentivano cittadini dei Paesi di appartenenza (tra questi Yehuda Magnes e Martin Buber che fondarono nel 1925 il gruppo Brit Shalom per la coesistenza arabo-ebraica in Palestina); i sionisti spirituali che si ispiravano a Ahad Haam; gli ultraortodossi (in ebraico haredim) che si rifacevano (e si rifanno ancora oggi) a diversi gruppi tra cui l’Agudat Israel e i Naturei Karta, che si opponevano al sionismo in quanto ideologia laica che anticipava la costituzione di uno stato prima della venuta del Messia; gli ebrei militanti nei partiti comunisti tanto in Europa, che in URSS e nei Paesi arabi, che in Israele si sarebbero raccolti nel Partito Comunista Palestinese, poi nel Rakah; e gli appartnenti al BUND, (Algemeyner Yidisher Arbeter Bund in Lite, Poylin und Russland – Unione Generale dei Lavoratori di Lituania, Polonia e Russia). Movimento fondato nel 1897 da Alexander Kremer a Vilna, di orientamento socialista e militante a favore della preservazione dello yiddish, come lingua veicolare ebraica.
124 Partito fondato 1922 da una costola dell’Organizzazione Mondiale Sionista, di orientamento
centrista e moderato, rappresentava i liberali delle classi medie europee. Era guidato da Ĥaim Weizmann, primo Presidente di Israele.
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L’ha-Po’el ha-Mizrahi -costola dell’organizzazione Mizrahi, fondata in Europa dal rabbino Isaac Jacob Reines nel 1902- fu istituito in Israele nel 1918, al termine della Prima Guerra Mondiale, e non va confuso con il termine mizrahi (“oriente”), con cui non ha niente a che fare. Si tratta, infatti, di un acronimo che sta per Merkaz ha-Ruhani, ovvero centro spirituale. Si proponeva di diffondere l’educazione religiosa contribuendo attivamente alla società ed alla vita politica dello Stato di Israele. Il suo motto era “La terra di Israele per il popolo d’Israele secondo la Torah di Israele.”
126 Il partito Mapai fu fondato nel 1930 dall’unione di membri provenienti dai due gruppi Ahdut
‘Avodà e ha-Po’el ha-Ts’air. Il secondo, ha-Po’el ha-Ts’air, era un gruppo antimilitarista, pacifista, socialista ed antimarxista di giovani pionieri, fondato da Gordon, Sprinzak e Ahronowitz ed ispirato alle idee di Nachman Syrkin sul costruttivismo socialista e di Gordon sul diritto alla terra riscattata attraverso il lavoro e la sua colonizzazione agricola. (per un approfondimento sull’ideologia di Gordon, si cfr.: Gordon, A.D., Nationalism and Socialism; regarding the
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Mapam (Mifleget ha-Po’alim ha-Meukedet- Partito dei Lavoratori Uniti)127 e i nazionalisti dell’ Ha-Tso’ar (ha-Tsionim ha-Revizionistim- Sionisti Revisionisti)128.
Nel 1920, i due movimenti socialisti dell’Ahdut ‘Avodah e del ha-Po’el ha-Tza’ir cooperarono al fine dell’istituzione di un grande sindacato generale dei lavoratori, fondando così l’Histadrut (haHistadrut haKlalit shel ha’Ovdim B'Eretz Yisrael- la Confederazione Generale dei Lavoratori di Israele), di cui Ben Gurion sarebbe stato eletto segretario nel 1921. Aveva sede ad Haifa, allora il più grande porto mediterraneo della Palestina e l’unico abbastanza profondo da permettere a grandi navi merci o passeggeri di attraccare, considerata la città dei lavoratori perché sede di industrie e di impianti di trasformazione, nonché meta finale delle rotte migratorie di migliaia di ebrei.
Dai 4.400 iscritti del primo anno di vita, l’Histadrut sarebbe arrivata a includere il 75% della forza lavoro ebraica alla vigilia della proclamazione dello Stato129. Si trattava, oltre che di un sindacato unico, del vero motore dell’economia ebraica e di una delle componenti fondamentali della sua autonomia organizzativa e gestionale in epoca prestatale. La sua attività, ispirata ad uno dei principi-guida del sionismo, ovvero l’autonomia del lavoro ebraico, avrebbe abbracciato tutti i settori e tutti i campi, facendosi quasi uno “stato nello stato130”.
clarification of concepts, Selected Essays, New York, 1938.) Ahdut ‘Avoda era una coalizione di partiti socialisti, composta prevalentemente da ebrei dell’Europa dell’Est e dell’URSS, che aspirava a promuovere un sistema economico e sociale autonomo per gli ebrei in Palestina. Era guidata da David Ben Gurion.
127 Il partito Mapam fu fondato nel 1948 da membri dell’ ha-Shomer ha-Ts’air e dell’Ahdut
‘Avoda. Aveva un orientamento sionista, marxista e filosovietico. Era associato alla rete di Kibbutz Artzi e pubblicava il quotidiano Hal ha-Mishmar (“Di Guardia”),
128 L’ha-Tso’ar fu fondata da Vladimir Jabotinsky nel 1923, insieme all’ala giovanile, il Beitar. I
Revisionisti aspiravano a conquistare e insediare l’intera Palestina, dal Mediterraneo al Giordano, ed erano ostili alla politica compromissoria dell’Agenzia Ebraica verso il Governo britannico.
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Z. Tzahor, “The Histadrut”, in Essential papers on Zionism, ed. Reinharz & Shapira, 1996.
130La citazione è tratta dal libro del politologo israeliano Chermesh, R.,, A State within a State.
Industrial relations in Israel: 1965-1987, Greenwood Press, 1989. Così descrive l’Histadrut Salvo Leonardi: “L'organizzazione (..) "avrebbe abbracciato tutti gli interessi economici, spirituali, culturali e politici dei lavoratori". E così fu (..) l'Histadrut è stato al contempo impresa, cooperativa, banca, distribuzione commerciale, ufficio di collocamento, assicurazione sanitaria obbligatoria, sindacato, farmacia, casa di cura, scuola e sistema ricreativo, stampa quotidiana e periodica.” (Leonardi, S., “Quando il sindacato si fece stato: la strana storia dell’Histadrut”, Jura Gentium, I (2005), no.1, Firenze).
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L’Histadrut era, infatti, assieme datore di lavoro e sindacato: dal 1923 includeva unaholding (la Hevrat ha-‘Ovdim, o Società dei Lavoratori) che coordinava l’insieme delle
attività produttive, una società di costruzioni (la Solel Boneh) con attività anche estere, una banca (Bank ha-Po’alim, Banca dei Lavoratori), un Fondo generale per le Malattie (Kupat Holim Klalit, o Cassa generale dei Malati)131 e un Fondo Pensione. L’Histadrut amministrava, inoltre, una rete di cliniche, ospedali e case di riposo, era proprietaria di una squadra di calcio, di una casa editrice (‘Am ‘Oved) e di un teatro (ha-‘Ohel) e rilasciava mutui per l’acquisto della prima casa a condizioni agevolate. Teneva regolarmente elezioni in cui erano rappresentate tutte le correnti politiche e partitiche, sioniste e non (generalmente vinte dai partiti socialisti e, dopo, dal Mapai), che attiravano una forte attenzione nella comunità ebraica proprio per la loro rilevanza politica generale. Apparteneva all’Histadrut anche la più grande cooperativa di commercializzazione di prodotti agricoli, la Tnuva, fondata nel 1926, per la vendita e la distribuzione della produzione dei kibbutzim e degli altri insediamenti.
Esistevano inoltre altre istituzioni, come il Fondo Nazionale Ebraico (Keren Kayemet le-
Israel), fondato nel 1901, con il compito di acquisire e riscattare terre per lo sviluppo di
insediamenti ebraici in Palestina, sollecitando donazioni dalla diaspora, provenienti sia da privati sia da organizzazioni ebraiche statunitensi. Una volta acquistate le terre, il Fondo le assegnava, attraverso la concessione di leasing anche di un numero considerevole di anni ma sempre limitati, a comunità o gruppi di immigrati sia per risiedervi sia per avviarvi attività produttive. Alla vigilia della fondazione dello stato, il Fondo deteneva il 4% della terra, pari, però, al 54% degli insediamenti ebraici. Il Fondo si sarebbe inoltre occupato, a partire dal 1948, del rimboschimento e dell’avvio di nuovi insediamenti agricoli, attività in grado di impiegare un numero considerevole di immigrati come lavoratori stagionali. Due delle più importanti istituzioni culturali del Paese, l’Università Ebraica di Gerusalemme sul Monte Scopus e l’istituto di ricerche Weizmann per la ricerca scientifica, fondato a Rehovot, risalivano rispettivamente al 1925 ed al 1939, così come l’istituzione del più grande ospedale del Medio Oriente, l’Hadassa, posto sulle colline a sud di Gerusalemme vicino al villaggio arabo di Ein Karem.
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Infine, per quanto i kibbutzim e i moshavim ospitassero nel periodo mandatario solo il 5% della popolazione132, rappresentavano reti e cooperative agricole ben strutturate e diffuse in tutto il Paese anch’esse divise per orientamento politico e religioso133- fin dagli anni ’20. La loro importanza non derivava tanto dalla diffusione dell’esperienza di socialismo diretto in Israele, ma dalla qualità degli uomini che essi seppero produrre, che andarono a costituire la classe dirigente del Paese (espressa dai partiti Mapai, Mapam e Ahdut
‘Avoda) fino alla metà degli anni ’60134
. Una classe dirigente che si richiamava al valore del lavoro manuale e della redistribuzione dei profitti, ai diritti dei lavoratori ed alla loro tutela, ma anche e soprattutto, agli ideali del sionismo, inteso come un modello nazionale ebraico che coniugasse in sé nazionalismo, socialismo e statalismo. Il sionismo conferiva priorità assoluta all’obiettivo di costruire uno stato in Palestina fondato sull’unità del popolo ebraico e la sua riunione dalle diaspore oltre le diversità etniche e confessionali, e propugnava un’etica statalista che assoggettava l’individuo e i suoi bisogni alle necessità della comunità. Il modello del pioniere, modulato sul profilo degli immigrati della Seconda ‘Aliyah135, avrebbe a lungo costituito il modello sociale di riferimento per le
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24.105 persone vivevano in 79 kibbutzim sparsi per il Paese. La popolazione dei kibbutz non ha mai superato quota 7.5% (raggiunta nel 1950) del totale della popolazione ebraica in Israele. Si cfr. Raider, Mark A., “The kibbutz in historical perspective: a review essay”, Modern Judaism, no. 15(2), Oxford University Press, 1997, pp.207-210.
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Le reti di kibbutzim erano divise per correnti politiche di riferimento; le principali erano: ha- Kibbutz ha-meuhad (il kibbutz unito”), fondata nel 1927 e di orientamento marxista (vicina al Mapam), la Hever ha-Kvutzot (“Società dei gruppi”), un gruppo elitario ed ugualitario fondato nel 1928, e ha-Kibbutz ha-artsi, fondata nel 1927, vicina ai giovani socialisti dell’ ha-Shomer ha- Ts’air e dunque, successivamente, al MAPAI. Alle reti e cooperative laiche si sarebbe affiancato, nel 1946, il primo kibbutz religioso, fondato a Ein Tzurim dal gruppo ha-Kibbutz ha-dati (il Kibbutz religioso), creato nel 1935 da immigrati europei.
134 “Il kibbutz era, in effetti, un piccolo stato governato da un’élite sionista già selezionata. Viveva
secondo le leggi sociali e i valori morali di un’aristocrazia populista.. (..) aveva i propri tribunali, e impartiva le proprie punizioni, la più grave delle quali consisteva, come nell’antica Grecia, nell’ostracismo, l’espulsione dalla polis. (…) possedeva uno spirito da missionari-pionieri e (...)il suo senso di superiorità e di missione politico-sociale era sconfinato. (..)La loro disponibilità e le loro virtù civiche ne fecero i capi naturali e graditi dello Yishuv. (…)Il kibbutz contribuì alla produzione di beni agricoli e industriali per l’intero Yishuv, lo protesse dal boicottaggio arabo, coltivò le terre ebraiche in zone pericolose, circondò le città di una fascia di villaggi in gradi di assicurare i rifornimenti e la prima linea di difesa intorno ai centri urbani. L’organizzazione dell’autodifesa fu il secondo onere maggiore che il kibbutz si assunse in proporzione più larga del resto del Paese.. (..)” (Segre, Vittorio D., Israele, una società in evoluzione, Rizzoli, Milano, 1973, pp.92-93)
135 Il gruppo che immigrò in Israele dall’Impero Russo tra il 1904 e il 1914, ispirato agli ideali
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generazioni successive, come simbolo di sacrificio personale, di ispirazione ad alti ideali patriottici, di laboriosità, di intraprendenza ed attivismo militare e politico.Lo Stato di Israele non nasceva, dunque, in un vuoto politico ed istituzionale, ma, al contrario, con delle fondamenta e organizzazioni ben rodate, che avevano dimostrato, nonostante le divisioni politiche e ideologiche, di sapersi unire e combattere nell’appena conclusa Guerra di Indipendenza.
2.2 L’Immigrazione in Israele: teoria e prassi fino al
1949.
Scrive Amnon Rubinstein, già Ministro dell’Educazione e della Cultura, che “il movimento sionista, in tutte le sue correnti, aveva la convinzione che l’istituzione di uno stato non sarebbe diventata una possibilità che dopo l’emergenza di una maggioranza ebraica in Israele136”. Rubinstein legava il vincolo della maggioranza ebraica in un futuro stato di Israele al suo carattere democratico, sostenendo che esso poteva essere assicurato solo da una maggioranza di cittadini che ne condividessero le premesse. Le comunità ebraiche avrebbero dovuto “far ritorno” in Palestina, riconoscendo il loro legame ancestrale con una terra da cui erano partite oltre duemila anni prima, secondo un modello di nazionalismo definito nella teoria politica “nazionalismo diasporico”, ovvero un