• Non ci sono risultati.

La questione dei possibili rimedi esperibili dal consumatore “danneggiato” dalla fornitura di informazioni scorrette, ingannevoli o

carenti.

Passando ora alla disamina dei rimedi concretamente esperibili dal consumatore “danneggiato” dalla fornitura di informazioni carenti, ingannevoli o inesatte converrà muovere dalle possibili violazioni del reg. (UE) n. 1169/2011 per valutare se gli strumenti cautelativi di cui dispone il potenziale acquirente siano i medesimi in relazione a tutti i casi di difformità dai requisiti imposti dalla nuova disciplina.

L'inadempimento degli obblighi informativi previsti dal reg. (UE) n. 1169/2011, infatti, può concretarsi in una rosa di ipotesi variegate, tutte, però, accomunate dall'esistenza di una lesione del diritto del consumatore a scegliere in maniera consapevole e razionale gli alimenti da assumere.

La difformità più lampante si sostanzia nell'assenza di indicazioni che, alla stregua degli artt. 9 e 10 del reg. (UE) n. 1169/2011, devono sempre accompagnare il prodotto alimentare costituendo esse informazioni obbligatorie senza le quali si “presume” che il consumatore non disponga degli elementi essenziali sulla base dei quali scegliere razionalmente il prodotto che

non solo si contraddistingua per le proprietà ricercate, ma che sia anche sicuro e salutare per sé.

Ad una seconda categoria di violazioni del reg. (UE) n. 1169/2011 sono riconducibili i casi in cui le indicazioni alimentari, siano esse volontarie od obbligatorie, si connotano per la loro ingannevolezza o per la loro falsità, ovvero per essere difformi dai requisiti previsti dall'art. 7, par. 1, per tutte le informazioni e ribadite dall'art. 36, par. 2, lett. a), per le indicazioni volontarie.

Con specifico riguardo a queste ultime, l'art. 36 prevede, inoltre, che esse non debbano essere né ambigue, né idonee a confondere il consumatore e, ancora, siano – se del caso – scientificamente fondate124.

Le indicazioni che accompagnano il prodotto, inoltre, non devono essere espresse in modo da attribuire all'alimento la proprietà di prevenire, trattare o guarire una malattia umana, né devono fare alcun riferimento a tale proprietà125.

Le informazioni obbligatorie, infine, devono essere accessibili e presentate in modo da essere comprensibili al consumatore, ovvero, più precisamente devono essere apposte in un punto evidente in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed – eventualmente – indelebili, pena la violazione dell'art. 13 del reg. (UE) n. 1169/2011.

In forza dell'art. 15 devono, inoltre, essere espresse in una lingua facilmente comprensibile da parte dei consumatori degli Stati nei quali è commercializzato il prodotto.

Con riguardo alle menzionate difformità dal reg. (UE) n. 1169/2011 bisognerà stabilire, anzitutto, se vi siano dei profili di analogia o sovrapposizione tra i requisiti imposti in via generale dall'art. 7 ed alcuni fra

124 La formulazione dell'art. 36 è invero molto ambigua e pone parecchi problemi di carattere interpretativo: non si capisce, ad esempio, a quali informazioni volontarie essa si riferisca, posto il richiamo agli artt. 9 e 10 del reg. (UE) n. 1169/2011, né è chiaro se alcuni requisiti imposti dall'art. 36 si differenzino da quelli previsti in via generale dall'art. 7 o se, questi ultimi siano solo ribaditi nell'art. 36 in relazione alle informazioni volontarie. Sul punto si veda infra cap. II.

quelli richiesti (o ribaditi) dall'ambiguo art. 36 con riguardo alle informazioni volontarie.

Ci si propone inoltre di individuare quali siano gli interessi sottesi a ciascun obbligo informativo, per valutare quali beni ha inteso proteggere il legislatore del reg. (UE) n. 1169/2011, ovvero quali potrebbero essere lesi a causa della fornitura di informazioni difformi dai requisiti imposti dalla recente disciplina.

Sarà necessario precisare, inoltre, se le regole relative alla modalità di trasmissione delle informazioni (es. requisiti linguistici, leggibilità, modalità di presentazione ex art. 13) valgano solo per le indicazioni obbligatorie e costituiscano, insieme all'obbligo di fornire le informazioni di cui all'art. 9 del reg. (UE) n. 1169/2011, una sorta di “contenuto minimo garantito” la cui assenza dà luogo alle medesime conseguenze previste dalle normative a tutela del consumatore per il mancato rispetto delle “forme di protezione”126.

Inoltre, si dovrà prestare particolare attenzione nel verificare se tutte le condotte menzionate possano essere ricomprese nella definizione generale di pratica commerciale sleale o in una delle altre categorie di condotte – aggressive, ingannevoli o sleali in ogni caso – previste dalla dir. 2005/29/CE, e se, di conseguenza, la natura integrativa di tale disciplina possa estendersi al punto da applicare le medesime sanzioni previste per le pratiche “scorrette” anche laddove il reg. (UE) n. 1169/2011 non preveda strumenti cautelativi da attivare in presenza di informazioni difformi dai requisiti da esso imposti.

126 Con riguardo al c.d. “neoformalismo di protezione” si vedano, ex multis, IRTI, Idola

libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, p. 35 ss.; JANNARELLI, La

disciplina dell'atto e dell'attività, in Tratt. dir. priv. europeo, a cura di Lipari, II ed., Padova,

III, p. 18 ss.; CHINÈ, Il diritto contrattuale Europeo, in Lezioni di diritto privato europeo, a cura di Alpa e Capilli, Padova, 2007, p. 273 ss. Si ricorda brevemente che, come noto, l'imposizione di nuove forme c.d. di protezione è volta a conferire certezza alla contrattazione e a riequilibrare la posizione delle parti grazie al superamento delle asimmetrie informative che caratterizzano la contrattazione di massa. Le conseguenze dell'inosservanza degli obblighi “formali” imposti sono generalmente di due tipi: al consumatore, infatti, spesso è conferita la possibilità di valersi di una nullità di protezione oppure di beneficiare di un ampliamento dello spatium deliberandi per l'esercizio del diritto di recesso.

A tal proposito, giova ricordare, come già accennato127, che il reg. (UE) n.

1169/2011 non dispone espressamente che i legislatori nazionali debbano individuare le sanzioni applicabili all'operatore del settore alimentare che contravvenga agli obblighi informativi ad esso imposti, né fornisce alcuna delucidazione in merito alle azioni esperibili dal consumatore che venga in contatto con informazioni inesatte o ingannevoli vietate dal medesimo regolamento.

Soccorre, pertanto, in tal caso la previsione generale di cui al fondamentale reg. (CE) n. 178/02, il quale, all'art. 17, par. 2, comma 3, rimette alla potestà degli Stati membri l'individuazione delle sanzioni applicabili alle condotte violative della legislazione alimentare, tra le quali rientra senza ombra di dubbio la disciplina del reg. (UE) n. 1169/2011.

Parrebbe quanto meno discutibile, invece, la possibilità di applicare alle condotte difformi dal reg. (UE) n. 1169/2011 le sanzioni già disposte nei singoli Paesi in attuazione della precedente direttiva orizzontale relativa all'etichettatura degli alimenti (dir. 2000/13/CE); la recente disciplina, infatti, lungi dal costituire una mera operazione di riordino dell'esistente, ha introdotto obblighi nuovi, che si collocano, peraltro, nel quadro di una rinnovata concezione di informazione, che sembra, pertanto, richiedere la predisposizione di nuove sanzioni.

Pertanto, sino a che il legislatore interno non disciplinerà i rimedi esperibili dal consumatore e le sanzioni applicabili all'operatore che non abbia adempiuto correttamente agli obblighi imposti dal reg. (UE) n. 1169/2011, si porrà il problema di stabilire se le condotte violative del reg. (UE) n. 1169/2011 e al contempo suscettibili di essere qualificate pratiche sleali alla stregua della dir. 2005/29/CE possano essere assoggettate, in virtù della natura sussidiaria della dir. 2005/29/CE, alle sanzioni previste per queste ultime.

A tal proposito preme precisare che, per quanto attiene al profilo sanzionatorio, la dir. 2005/29/CE dispone espressamente che le condotte del professionista suscettibili di essere considerate pratiche commerciali sleali alla stregua delle norme interne di attuazione devono essere assoggettate alle conseguenze previste dai singoli ordinamenti nazionali sulla base dei principi generali dettati dalla dir. 2005/29/CE.

Quest'ultima, infatti, per quanto concerne il sistema rimediale impone agli Stati membri unicamente di assicurare mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali128, e con riguardo alle sanzioni

dispone che esse devono essere effettive, proporzionate e dissuasive129.

Con specifico riguardo alla previsione di rimedi adeguati ed efficaci, inoltre, l'art. 11 della dir. 2005/29/CE si limita a fornire ai Parlamenti nazionali una serie di alternative tra le quali vi è la possibilità di affidare il procedimento volto ad accertare la slealtà della pratica e, conseguentemente, disporne la cessazione, alle autorità giurisdizionali ordinarie oppure alle autorità amministrative.

Il legislatore italiano, come noto, ha esercitato la propria discrezionalità “in favore” dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d'ora in avanti AGCM) attribuendole la potestà di accertare la scorrettezza della pratica commerciale e di adottare i conseguenti provvedimenti volti ad inibire al professionista la continuazione della pratica e ad irrogare sanzioni di carattere amministrativo130.

La devozione a tale sistema rimediale di natura pubblicistica, tuttavia, non è totale: invero, il compito di sanzionare le pratiche commerciali sleali è ripartito tra l'AGCM, che esercita tale potestà in funzione dell'interesse generale al corretto funzionamento del mercato e le Autorità giurisdizionali

128 In questo senso si esprime l'art. 11 della dir. 2005/29/CE. 129 Cfr. art. 13, dir. 2005/29/CE.

ordinarie alle quali rimane affidata la tutela privatistica dei soggetti danneggiati dalla pratica commerciale scorretta131.

Con specifico riguardo ai rimedi privatistici, tuttavia, numerosi sono tuttora i problemi aperti: la normativa italiana di recepimento della dir. 2005/29/CE, infatti, non ha previsto alcunché in ordine alla tutela delle singole posizioni soggettive dei consumatori danneggiati, costringendo la dottrina ad una faticosa opera di ricostruzione delle condotte che sono sia scorrette ai sensi degli artt. 18 e ss. del codice del consumo, sia suscettibili di beneficiare dei rimedi di carattere invalidatorio e risarcitorio previsti in via generale dal codice civile oppure all'interno delle stesse normative a tutela dei consumatori132.

Alla luce del recepimento della dir. 2005/29/CE secondo il modello del doppio binario – pubblicistico a tutela del mercato, e privatistico a garanzia degli interessi del consumatore danneggiato133 – sorge il problema di stabilire

se, in presenza di informazioni difformi dal reg. (UE) n. 1169/2011, il soggetto debole possa beneficiare di entrambe le “direzioni di tutela” previste dal codice del consumo.

Si dovrà stabilire, in particolare, se il procedimento dell'AGCM sia o meno l'unico binario percorribile laddove il consumatore sia venuto in contatto con informazioni alimentari ingannevoli, inesatte o carenti nella fase che precede l'acquisto del prodotto. Secondo autorevole dottrina, infatti, se la pratica sleale d'informazione è posta in essere prima e a prescindere dalla conclusione di un contratto di consumo alimentare, la comunicazione è fornita 131 In tal senso si veda TADDEI ELMI, Commento agli artt. 27-27 quater, cit., p. 127 ss., il quale definisce il sistema rimediale previsto in attuazione della dir. 2005/29/CE come sistema del “doppio binario” alludendo alla percorribilità di una “strada” pubblicistica a garanzia degli interessi del mercato e di una “strada” privatistica per assicurare la tutela del consumatore danneggiato dalla pratica commerciale sleale.

132 In merito ai rimedi privatistici esperibili in caso di violazione del divieto di porre in essere pratiche commeciali sleali si vedano, in particolare, FACHECHI, Pratiche commerciali

scorrette e rimedi negoziali, cit., passim; CAMARDI, Pratiche commerciali scorrette e

invalidità, cit., p. 357 ss.; DE CRISTOFARO G., Le conseguenze privatistiche della

violazione del divieto di pratiche commerciali sleali: analisi comparata delle soluzioni accolte nei diritti nazionali dei Paesi UE, cit., p. 880 ss.

in incertam personam e, pertanto, in tale momento, non vi può essere un

consumatore danneggiato e meritevole di tutela perché egli non ha acquistato il prodotto, quindi non ha assunto una decisione che non avrebbe altrimenti preso, né può aver subito un danno derivante dall'alimento134.

Gli strumenti cautelativi in tale ipotesi sarebbero, pertanto, azionabili solo nell'interesse del mercato e, quindi, i numerosi soggetti legittimati potrebbero sollecitare l'avvio del solo procedimento dell'AGCM135.

Non si può escludere, tuttavia, a priori che, a fronte di una pratica sleale d'informazione posta in essere nei confronti di una molteplicità di “soggetti deboli”, le associazioni di cui all'art. 137 c.cons. possano agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori per ottenere dal giudice ordinario la pronuncia di un provvedimento che inibisca la continuazione della pratica scorretta e disponga le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi prodotti dalla stessa136.

Molto più tortuosa e accidentata, invece, è la strada privatistica: i rimedi civilistici esperibili dal singolo consumatore danneggiato, infatti, non solo non sono espressamente individuati dal codice del consumo, ma scontano anche la difficoltà, a monte, di definire quale sia il rapporto giuridico di volta in volta sotteso alla fornitura delle informazioni alimentari: infatti, se già la natura giuridica dell'etichetta era discussa in precedenza, ora il problema è acuito dall'ampiezza della nozione di informazione cui accede il reg. (UE) n.

134 In questo senso si veda GERMANÒ, Sull'etichetta degli alimenti, cit., p. 88.

135 Giova ricordare a tal proposito come ai sensi dell'art. 27, comma 2, c.cons. il procedimento volto all'accertamento della scorrettezza della pratica commerciale da parte dell'AGCM possa essere avviato «d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse».

136 In questo senso si vedano BARTOLOMUCCI, L’attuazione della direttiva sulle pratiche

commerciali scorrette e le modifiche al codice del consumo, cit., p. 281; GRANELLI, Le

‘‘pratiche commerciali scorrette’’ tra imprese e consumatori: l’attuazione della direttiva 2005/29/CE modifica il codice del consumo, in Obbl. e contr., 2007, p. 277; DE

CRISTOFARO G., Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e

1169/2011, che compendia l'etichettatura e due forme di comunicazione per definizione in incertam personam, quali la presentazione e la pubblicità.

Si presenta, pertanto, il problema di stabilire quando la fornitura di informazioni alimentari difformi dal reg. (UE) n. 1169/2011 e dalla dir. 2005/29/CE possano accedere anche ai rimedi di carattere negoziale previsti dal codice civile e quando, invece, beneficino della sola tutela pubblicistica avanti all'AGCM, oppure, dei rimedi collettivi di cui agli artt. 140 e 140 bis c. cons., o ancora di una tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c.

Con riguardo alle prime ipotesi, ovvero a quelle in cui il consumatore sia stato indotto a concludere un contratto di consumo alimentare che non avrebbe stipulato o avrebbe stipulato a condizioni diverse in ragione della fornitura di informazioni scorrette, la dottrina è concorde nel senso di ritenere che la validità del negozio non possa essere messa in discussione per il solo fatto che lo stesso sia stato concluso in ragione dell'intervento di una pratica sleale137.

I rimedi di carattere invalidatorio, pertanto, potranno essere esperiti solo laddove sussistano sia i presupposti per considerare la pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e ss. c.cons., sia i requisiti previsti in via generale dal codice civile per l'esercizio dell'azione di annullamento o di nullità. L'azione di annullamento, quindi, potrà essere esperita solo laddove la frustrazione della libertà negoziale connessa all'intervento della pratica commerciale scorretta si presti ad essere qualificata quale vizio del consenso tipico previsto dal codice civile138.

137 Lo escludono, in particolare, GRANELLI, op. ult. cit., p. 776 ss.; DE CRISTOFARO G.,

L'attuazione della direttiva 2005/29/CE nell'ordinamento italiano: profili generali, in

BARGELLI, CALVO, CIATTI, G. DE CRISTOFARO, DI NELLA E DI RAIMO, Pratiche

commerciali scorrette e codice del consumo, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2008, p. 90

ss.; CALVO, Le pratiche commerciali «ingannevoli», ivi, p. 210 ss.; DI NELLA, Le pratiche

commerciali «aggressive», ivi, p. 359 ss.; MAUGERI, Violazione della disciplina sulle

pratiche commerciali scorrette e rimedi contrattuali, cit., p. 1671 ss.; CAMARDI, Pratiche

commerciali scorrette e invalidità, cit., p. 337 ss.; GENTILI, Invalidità e regole dello

scambio, in AA. VV., Le forme della nullità, a cura di Pagliantini, Torino, 2009, p. 278 ss. 138 La dottrina, a tal proposito, segnala come, proprio in ragione dell'ostacolo costituito dalla

tipicità dei vizi del consenso non sia sempre facile sovrapporre le ipotesi in cui è configurabile la sussistenza di una pratica sleale e quelle in cui il consenso si sia formato in

Con riguardo, invece, al rilievo della nullità del negozio stipulato, nello spirito della ratio di tutela del consumatore sottesa sia alla dir. 2005/29/CE, sia al reg. (UE) n. 1169/2011, non potrà che trattarsi di una nullità relativa, ovvero rilevabile dal solo soggetto debole, e parziale, al fine di consentire al consumatore, che lo desideri, di conservare il contratto mediante la sostituzione delle clausole “sfavorevoli”139. Tuttavia, non vi è chi non veda come tale

soluzione imponga di considerare nullo il contratto per violazione della norma imperativa che vieta al professionista di porre in essere pratiche commerciali scorrette, ovvero nullo ai sensi dell'art. 1418, comma 1 c.c., dando per scontato che sia configurabile una nullità virtuale di protezione140.

Per quanto attiene, infine, all'utilizzabilità degli strumenti di carattere risarcitorio, nel silenzio del legislatore del recepimento, la dottrina ha ritenuto quanto meno discutibile che la pratica commerciale sleale costituisca di per sé un atto illecito suscettibile di attribuire al consumatore danneggiato il diritto al risarcimento dei danni sofferti141.

Si pone, pertanto, il problema di stabilire se la lesione della libertà negoziale del consumatore possa o meno essere configurata quale danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. o se142, da una diversa prospettiva,

maniera viziata ai sensi del codice civile. Così DE CRISTOFARO G., Le pratiche

commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e consumatori, cit., p. 1119 ss.

139 Ci si riferisce alla nullità c.d. di protezione, sulla quale si vedano, ex multis, GIROLAMI, Le

nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali, Padova, 2008, passim; SCALISI,

Il contratto e le invalidità, in Rass. dir. civ., 2006, 6, p. 245 ss.; ID., Contratto e

regolamento nel piano d'azione delle nullità di protezione, in Il diritto europeo dei contratti d'impresa, a cura di Sirena, Milano, 2006, p. 413 ss.; MANTOVANI M., La nullità e il

contratto nullo, in Trattato del contratto diretto da Roppo, IV, Milano, 2006, p. 155 ss.

140 L'ammissibilità della nullità virtuale di protezione non è pacifica in dottrina. In senso favorevole alla configurabilità si veda, tuttavia, PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995.

141 In questo senso si veda DE CRISTOFARO G., Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti

fra professionisti e consumatori, cit., p. 1113 ss.; ID., Le conseguenze privatistiche della

violazione del divieto di pratiche commerciali sleali: analisi comparata delle soluzioni accolte nei diritti nazionali dei Paesi UE, cit., p. 908.

142 Va precisato a tal proposito come il problema sotteso all'esperimento dell'azione risarcitoria di cui all'art. 2043 c.c. consiste sostanzialmente nella difficoltà di individuare

il comportamento posto in essere dal professionista nonostante il divieto di cui all'art. 20 c.cons., nella fase precontrattuale possa dar luogo al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale di cui all'art. 1337 c.c.

Contro quest'ultima ricostruzione, tuttavia, soprattutto nel settore agroalimentare depone il fatto che il consumatore finale, proprio per essere colui che ingerisce l'alimento, non sempre coincide con l'acquirente del prodotto, ovvero con la “futura” controparte contrattuale del professionista.

E, infine, a prescindere dalla qualificazione del danno come ingiusto ai sensi dell'art. 2043 c.c., oppure risarcibile a mente dell'art. 1337 c.c., si dovrà chiarire se il consumatore potrà effettivamente giovarsi del rimedio attualmente previsto dall'art. 140 bis, ovvero dell'azione di classe143.

A tal proposito sarà necessario valutare se le criticità segnalate in relazione al nuovo istituto possano essere superate agevolmente grazie all'opera interpretativa della giurisprudenza o se anche nel settore alimentare l'azione di classe sia destinata ad assumere un ruolo marginale, nonostante tale ambito si caratterizzi per un'elevata insorgenza di small claims che difficilmente, sulla quale interesse leso dalla pratica commerciale sleale sia meritevole di tutela. La dottrina si è interrogata, infatti, dapprima in ordine alla situazione giuridica soggettiva lesa dal comportamento “scorretto” del professionista, che è stata individuata talvolta nella libertà negoziale del consumatore, talaltra nel diritto all'integrità del patrimonio, altre ancora nel diritto “fondamentale” all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà. Successivamente si è posto il problema di stabilire se l'interesse leso dalla pratica sleale fosse anche meritevole di tutela e a quali condizioni. Si veda a tal riguardo, TADDEI ELMI, Commento agli artt. 27-27 quater, cit., p. 130 ss.

143 Con riguardo all'azione di classe di cui all'art. 140 bis e alle criticità segnalate dalla dottrina si vedano ex multis, CONSOLOE ZUFFI, L' azione di classe ex art. 140-bis cod.

cons., Padova, 2012, passim; FERRANTE, La nuova “azione di classe” in Italia, in Contr.

impr. / Europa, 2011, 1, p. 1 ss.; ID., L'azione di classe nel diritto italiano. Profili

sostanziali, Padova, 2012, passim; FIORIO, L'azione di classe nel nuovo art. 140 bis e gli

obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori, in I diritti del consumatore e la nuova class action, a cura di Demarchi, Bologna, 2010, p. 487 ss.; DE

Outline

Documenti correlati