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R IFLESSIONI DI UN ’ ADOLESCENTE

M USEO S CHIFANOIA DI F ERRARA

2. R IFLESSIONI DI UN ’ ADOLESCENTE

Potrei illustrare le ragioni che giustificano il mio interessamento a questo progetto; forse tutti si aspetterebbero di conoscere proprio questo, essendo io la sceneggiatrice e la regista. Preferisco tuttavia non farlo. Dovrei, altrimenti, dar evidenza di quel che oggi è pensiero comunemente condiviso: “i ragazzi della mia generazione devono interessarsi alla cultura”, “è un peccato che i musei civici di Ferrara non siano così popolari tra i giovani”, “io, in quanto giovane atipica, trovo che sia bello andare ai musei e vorrei farlo capire anche ai miei coetanei” etc. etc.

Preferisco piuttosto adottare, coerentemente con lo spirito innovatore del progetto, un approccio innovativo nel racconto della mia esperienza, così da scongiurare il pericolo della monotonia.

Vi parlerò dunque di Tristana Randi e di come mi abbia presentato il suo museo. Vi dirò come il suo museo sia divenuto anche il mio museo.

Vi illustrerò l’esperienza che ho vissuto lavorando per lei, anzi con lei; esperienza definibile soltanto con il termine “oltremondana”, perché il termine “straordinaria” sarebbe, altrimenti, riduttivo.

Non dico ciò assumendo le vesti di artista o di attrice o di studentessa diligente, appassionata di storia, di storia dell’arte e di teatro.

Quando dico che “Ti presento il mio museo” è stata l’esperienza formativa più interessante e utile che mi sia stato mai proposto di sperimentare, a parlare è una ragazza di questa generazione, una diciassettenne come tutte, che il sabato sera va in discoteca, che ha un account Facebook su cui condivide video inutili, che scarica le puntate di The Game of

Thrones da internet.

E, con la mia voce di adolescente del ventunesimo secolo, io dico: ecco qui, ti presento il mio museo! Mentirei se dicessi che sono diversa dagli altri miei coetanei. Mentirei se dicessi che io considero i musei qualcosa di divertente da sperimentare.

Mentirei anche, però, se dicessi che io non ami il vecchio, perché io, prima di ogni cosa, sono un’attrice. E se il museo viene considerato vecchio perché ha più di 300 anni di storia alle spalle, il teatro allora è decrepito. Eppure la mia generazione guarda la tv, va al cinema, scarica telefilm in streaming; alcuni miei amici sono anche appassionati di teatro! Nessuno pensa che il teatro sia vecchio, tutti pensano al teatro come un mezzo per intrattenersi al pari di Facebook e Twitter; lo considerano quindi estremamente attuale, pur nella consapevolezza che gli attori esistono sin da quando esiste l’uomo.

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Le più antiche maschere sinora reperite risalgono, infatti, all’età preistorica. Il teatro, allora, è addirittura più vecchio della scrittura, della letteratura e… della storia stessa!

I greci ed i romani praticavano il teatro.

Molière, Goldoni e Shakespeare sono venuti al mondo secoli prima del primo prototipo di

computer; eppure vengono messi in scena, ancora oggi, da molte compagnie teatrali; un film

su Macbeth è stato prodotto lo scorso anno! Anche durante la guerra si praticava il teatro. Io, che vivo nel 2016, pratico il teatro.

E Tristana lo aveva capito. Quando l’ho conosciuta ero nel bel mezzo delle prove per uno spettacolo: lei è venuta a “disturbarmi” perché era alla ricerca di attori. Attori in formazione, se proprio c’è bisogno di essere precisi: giovani collaboratori che aiutassero a portare l’immortale modernità del teatro in un luogo che un tempo era stato, a modo suo, teatro; teatro di magie e di piaceri, di feste e ricevimenti, di celebrazioni e piccoli splendori rinascimentali, un luogo ideato per schifare la noia, ma che adesso solo a vederlo mette tristezza, per quanto è vuoto e monotono.

“Schifanoia la noia” è un ossimoro, come ghiaccio bollente. Pur nella consapevolezza che forse ad alcuni avrebbe indotto un senso di tristezza, abbiamo ritenuto che proprio sul ghiaccio bollente, sull’ossimoro - sul paradosso - avremmo dovuto far leva. A me ha sempre fatto ridere per la sua assurdità; ma l’assurdo non poteva non essere una soluzione vincente. Sarebbe dovuto essere, però, il tipo giusto di assurdo. Non quello degli spot pubblicitari o delle locandine, che parlano bene di qualcosa solo al fine di persuadere il consumatore ad acquistarlo: lo scopo di Tristana, infatti, non era quello di pubblicizzare il museo, ma di riproporlo.

E l’unico modo per riproporre un gioiello in decadenza, per restaurarlo a dovere, sarebbe stato metterci quel pizzico di follia che lo avrebbe reso originale, senza aver paura di “rompere gli schemi”.

Ma, d’altronde, che cosa significa rompere gli schemi? Se tutto è arte, e se il primo comandamento di ogni artista è “sebbene ciò sia folle, in esso c’è della logica” (Shakespeare), allora anche l’architetto che a suo tempo progettò il Palazzo Schifanoia o i pittori che lo affrescarono misero nel loro lavoro un po’ di quella logica folle che ho dovuto metterci io, nel mio lavoro, per fare del museo di Tristana il mio museo.

Se fino ad adesso nessuno ha avuto il coraggio di “rompere gli schemi” è perché è stato possessivo e prepotente, volendo tenersi il proprio museo tutto per sé.

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Tristana non era una di queste persone. Tristana voleva condividere il suo museo con la nuova generazione, la stessa generazione dei suoi figli.

Questo ha rotto gli schemi, e sta funzionando. Con noi, almeno, sta funzionando.

Grazie a Tristana, adesso, con la mia voce di adolescente, io posso parlare, e dire: “ti presento il mio museo!”

E siccome la sua causa, quella di rompere gli schemi per far passare una ventata di novità, mi ha coinvolta e appassionato fin da subito, ho vestito i panni della sceneggiatrice e della regista, e con la mia voce da sceneggiatrice ho detto: “ecco, ti presento il nostro museo, quello mio e di Tristana!”.

E poiché a Tristana piacque la mia idea, il mio paradosso, il mio ghiaccio bollente, io allora sono diventata anche una regista, e, dopo aver radunato i miei attori, con la mia voce da regista ho detto loro: “ecco, vi presento il vostro museo!”. I miei compagni adolescenti che ho trascinato in questa follia - le stesse persone che sono state per me dei compagni di scena e di retroscena, che considero degli amici - nella realizzazione di questo progetto sono diventati i miei attori, perché loro hanno letto il copione e l’hanno interpretato, riproposto esattamente come io ho riproposto il mio museo, e questo l’ha reso anche il loro museo! E così come hanno messo un po’ di loro nel personaggio che avrebbero dovuto interpretare – un po’ della loro creatività, un po’ della loro fantasia, della loro personalità – così hanno reso vivi quei personaggi che, affrescati sulle pareti nella Sala dei Mesi, sembravano morti, ma che in realtà erano solo dormienti, annoiati a tal punto da tutta quella monotonia da decidere di andare in letargo.

I miei attori non solo hanno riportato in vita i mitici personaggi degli affreschi, ma li hanno resi veri, reali! Hanno dato loro un viso e un’attitudine, delle caratteristiche prettamente e unicamente umane, e quando parleranno con la loro voce da attori, diranno: “questo è il nostro museo!”.

L’esperienza più bella, personalmente, è stata quella che io ho vissuto in quanto sceneggiatrice: vedere i personaggi che avevo delineato nella mia mente e abbozzato sulla carta prendere vita, diventare umani è stata un’emozione impagabile! Degli individui a sé stanti, con il loro essere e il loro apparire, i loro sentimenti e le loro debolezze, di una natura talmente umana e sensibile da riuscire a sorprendere anche me, come spesso i figli, crescendo, sorprendono le stesse madri che li hanno messi al mondo.

E neppure la scelta delle divinità greche è stata casuale: nel mondo classico, infatti, si adoravano delle divinità che, sì, erano immortali e potenti, ma anche dotate di debolezze umane.

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Un dio umano: un altro ossimoro che ho sempre trovato esilarante, un altro assurdo paradosso su cui giocare. Zeus non avrebbe dovuto gettare fulmini, Apollo non avrebbe dovuto trainare il sole su un carro: le divinità sarebbero dovute apparire tanto umane da poter risultare ridicole. Sarebbero dovute essere raggiungibili, afferrabili, tangibili, tali da poter essere reinterpretati non solo dai miei attori, ma anche dal pubblico: chi guarderà il video infatti potrà prendere in simpatia i nostri dèi, immedesimarsi in loro, rendendo, in questo modo, ogni singola visione del video una visione diversa rispetto a quella di un altro, unica nella sua diversità, variabile a seconda di chi guarda. E così il Palazzo Schifanoia diventerà ogni volta un museo diverso; ognuno potrà sperimentare, nel suo piccolo, un’esperienza personale e soggettiva – rendendola propria, personale e vissuta in tutto e per tutto – del museo.

Detta così sembrerà una cosa straordinaria; invero su questo si basa l’intera cultura del cinema.

Ed infatti è la stessa pietra miliare sulla quale abbiamo deciso di edificare il nostro intero progetto: attualizzare, ossia riproporre, rendendolo alla portata di un pubblico variegato e attuale, qualcosa che altrimenti sembrerebbe irraggiungibile, lontano 300 anni e passa, prendendo per mano gli spettatori e conducendoli nel Salone dei Mesi come Tristana ha fatto con me, a suo tempo, per propormi il suo progetto, dicendomi: “ecco, questo è il mio museo, ma oggi ti do l’occasione di renderlo anche il tuo!”.

Occasione che, per fortuna, ho deciso di cogliere al volo, perché altrimenti giammai avrei vissuto un’emozione talmente forte da aver lasciato un segno indelebile nella mia memoria. Io sono stata fortunata.

Spero che “Ti presento il mio museo” abbia la mia stessa fortuna.

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