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T EORIE DELL ’ APPRENDIMENTO MUSEALE

RELATIVISMO DELLA NOZIONE DI “ PUBBLICO ”.

6. T EORIE DELL ’ APPRENDIMENTO MUSEALE

Chiarito quanto precede, è ora necessario meglio approfondire, dapprima in generale e indi nello specifico, la nozione di apprendimento. È in particolare imprescindibile valutare se si abbia apprendimento in senso tecnico solo ed esclusivamente nel contesto scolastico ovvero altrove e senza l’ausilio degli insegnanti.

Va al riguardo premesso che non è semplice definire il concetto di apprendimento in ragione dell’intrinseco dinamismo e della inarrestabile mutevolezza che gli sono propri.

Vivace è a tal proposito il dibattito in dottrina che bene mette in relazione la biunivoca corrispondenza corrente tra i cambiamenti sociali, politici, economici, ma soprattutto informatici e tecnologici propri del tempo contemporaneo e la stessa nozione di apprendimento. Gli accennati mutamenti storico-sociali sono infatti suscettibili di avere diretta incidenza sull’assetto generale delle società occidentali, trasformandole da organizzazioni economiche fondate sull’industria a organizzazioni post-industriali basate sull’informazione e sulla conoscenza (Dizard 1981, 3; Stehr 1994).

E così, crescente è il numero degli studi e delle ricerche in materia di trasformazione delle società occidentali in società dell’apprendimento: è diventato di cardinale rilevanza, ora come non mai (Hutchins 1968; Faure, Herrera, e Kaddoura 1975; Ball 1992; Falk, Dierking, e Adams 2006).

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Nella società dell’apprendimento gli individui, nella vita personale e nel lavoro, continuamente sono tenuti a cercare, elaborare, acquisire il sapere e la conoscenza come un nuovo capitale e come fondamento strutturale dell’economia e dello sviluppo sociale (Ball 1992, 385).

Al contrario in passato si soleva circoscrivere l’apprendimento alla sola fase adolescenziale, mentre ora è diffuso il convincimento secondo cui si cessa giammai di apprendere, ancor più nell’era della connessione globale.

L’apprendimento è concetto dinamico; i suoi percorsi sono amorfi e liberi da sequenze procedimentali predeterminate ovvero predeterminabili in astratto ed ex ante. E così, si ritiene, oggi, che si studi efficacemente avvalendosi di una metodologia volta a prediligere la multidisciplinarità, tant’è vero che nell’ambito delle scienze cognitive sono stati elaborati diversi modelli parziali.

Non è incontroversa, in dottrina, l’elaborazione teorica in materia di apprendimento. Al riguardo, i sostenitori delle teorie comportamentiste si contrappongono ai sostenitori delle teorie costruttiviste: la dicotomia è di sicuro interesse, poiché costituisce prova dell’evoluzione dogmatico-concettuale dell’apprendimento.

In particolare, secondo l’orientamento comportamentista, l’apprendimento consta nell’associazione tra le informazioni (ossia le conoscenze) accumulate tanto con i comportamenti esterni (ossia le abilità e le abitudini meccaniche) quanto con le reazioni fisico-emotive che i discenti hanno in determinate situazioni, a nulla rilevando gli stati mentali interni della persona, come l'intenzione, assai più complessi (L’Ecuyer 2014).

Secondo Watson, padre del comportamentismo, tutti gli eventi interni possono essere ignorati senza alcuna perdita per la scienza: l’introspezione non merita di essere condivisa, poiché difetta degli imprescindibili requisiti dell'osservabilità e della controllabilità interpersonale (2013, 1).

E così, aderendo alla teoria comportamentista l’apprendimento potrebbe ampiamente definirsi come il processo mediante il quale si sviluppano conoscenze e abilità attraverso lo studio, l'istruzione o l'esperienza. Trattasi di un procedimento del quale l’insegnante è unico responsabile ed organizzatore: sottopone il materiale didattico nella misura che ritiene idonea, fissa i tempi che giudica congrui alla sedimentazione dei contenuti da parte dei discenti e individua periodi nei quali verificare il livello di apprendimento effettivamente raggiunto (Rosenshine 2012, 7).

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La teoria comportamentista postula che il discente nulla sappia dapprima dell’inizio del percorso di apprendimento ma che, proprio a causa di quest’ultimo, possa trasformarsi acquisendo la necessaria conoscenza (Roblyer 1997, 59).

Ma le conclusioni logiche della teoria comportamentista non convincono la più recente dottrina, la quale muove dalla dimostrazione – avutasi per mezzo di studi appositamente condotti in materia di neuroscienze – che il cervello è in grado di apprendere in ogni momento, mediante un processo costruttivo (Rosenfield 1988; Sylwester 1995), del quale sono parti il soggetto, la situazione concreta (in cui avviene l’apprendimento) nonché le relazioni con il contesto sociale (Siegel 2001).

In questo quadro si inserisce la teoria costruttivista, ad avviso della quale i discenti sono dotati di strutture cognitive diverse ed eterogenee, in ogni caso non sussumibili in un’unica struttura generalmente applicabile ex ante a tutti gli individui; indi ciascuno di essi sviluppa un percorso individuale di apprendimento.

Alla luce delle considerazioni or ora illustrate, secondo il pensiero costruttivista, l’apprendimento consta nel processo dinamico di costruzione di senso (Tishman, McKinney, e Straughn 2007, 2), in grado di produrre nuove idee e implementare il bagaglio di conoscenze attraverso l'interazione con gli aspetti fisici, sociali, culturali e epistemologici dell'ambiente.

Fortemente ridimensionato è il ruolo svolto da parte dell’insegnante: ciò perché, a monte, si nega l’esistenza di un sapere universale e svincolato dal contesto di riferimento, del quale l’insegnante sarebbe detentore. Secondo la tesi costruttivista, la corretta metodologia didattica si impernia sulla persona dello studente, il quale diviene protagonista attivo della costruzione del proprio bagaglio di conoscenze. Quest’ultimo è, quindi, il frutto dapprima di un’attività personale, ma soprattutto della dimensione collettiva di interpretazione della realtà (Falk, Dierking, e Adams 2006, 325).

Le riflessioni sinora condotte si palesano di sicuro interesse per la centralità del ruolo svolto dai musei ai fini dell’apprendimento, in particolare aderendo alla tesi costruttivista: le loro collezioni, per la loro ricchezza ed eterogeneità (dalle uova di dinosauro, agli attrezzi medioevali o agli affreschi rinascimentali), costituiscono un patrimonio avente valore inestimabile e sono in grado di lasciare un segno indelebile nella memoria dell’osservatore. In particolare trattasi di luoghi di apprendimento non formali: differentemente dalle istituzioni scolastiche, i musei non sono di solito associati allo svolgimento dell’attività didattica ma, piuttosto, sono considerati strumentali al soddisfacimento di altri e diversi interessi, quali quelli di ricerca di identità e di significato culturale (Gibbs, Sani, e Thompson 2007, 24).

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Cionondimeno i musei costituiscono pur sempre, ed è bene ribadirlo, luoghi di apprendimento. Occorre dunque ora considerare quale sia il modello adottato per il perseguimento di detto fine prevalentemente dai musei oggi.

Al riguardo, significativo è il pensiero di J. Falk (2006), secondo il quale le istituzioni museali propendono per il metodo comportamentista, nonostante non sia condiviso dalla più recente dottrina, sostenitrice di quello costruttivista.

E l’Autore ben mette in evidenza quanto sia diffusa, tra gli operatori museali, la prassi di non tenere conto dell’eterogeneità dei propri visitatori ai fini dell’individuazione delle modalità di somministrazione dei servizi offerti: verosimilmente ciò si giustifica in ragione del convincimento secondo il quale tanto l’esperienza museale quanto il processo di apprendimento sono omogenei per tutti (2006, 325–26).

Il pensiero di Falk è condiviso da Tim Desmon, ad avviso del quale l’operatore museale dimostra di avere una mentalità passiva, assimilabile all’interpretazione di un libro di testo scarsamente coinvolgente ed educativa (2009, 68).

Non è questa l’impostazione correttamente da adottarsi, invece, secondo i sostenitori della tesi costruttivista, i quali al contrario ritengono che anche l’apprendimento effettuato tramite l’accesso al museo costituisca processo di conoscenza personale. Esso pertanto è influenzato solo parzialmente dal materiale contenuto nelle collezioni ivi esposte ma, piuttosto, in misura maggiore dalle esperienze pregresse, dal bagaglio di conoscenza, dagli interessi di ciascuno e, in particolare, dalla stessa esperienza derivante dalla visita: trattasi di tutti elementi determinanti nel processo di apprendimento, così come l’ambiente, e l’atmosfera (Falk, Dierking, e Adams 2006).

E in ragione dell’accennata informalità del contesto di apprendimento, i visitatori del museo scelgono cosa voler imparare perché più rispondente ai loro interessi ed alle loro esperienze precedenti. L’apprendimento è, dunque, influenzato in larga misura dalle motivazioni e dall'identità dell’individuo, le quali a loro volta sono determinate da quanto egli ha appreso in passato.

In questa prospettiva, l'apprendimento può essere compreso solo cercando di posizionare un'esperienza di acquisizione di conoscenze nell'ambito del quadro più ampio della vita totale di una persona (Tishman, McKinney, e Straughn 2007, 3).

È al riguardo appena il caso di considerare che John H. Falk e Martin Storksdieck (2005) hanno elaborato un modello contestuale di apprendimento: trattasi di uno strumento per comprendere le complessità dei processi di apprendimento in contesti informali, quali sono i musei.

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Ebbene, secondo questo modello, l’apprendimento è un continuo dialogo tra l’individuo e l’ambiente fisico e socio-culturale circostante.

Le ricerche condotte nello studio or ora accennato dimostrano che la qualità delle interazioni tra il visitatore del museo e l’ambiente circostante, costituito da oggetti esposti, illuminazione e atmosfera hanno un impatto significativo sul processo di apprendimento del visitatore.

In particolare, Falk esamina dodici fattori chiave che influenzano l’esperienza di apprendimento dei visitatori, tra i quali, nell’ambito di questo studio, ha particolare rilevanza l’influenza del contesto socio-culturale sia all’interno sia all’esterno del gruppo sociale di riferimento (Falk e Storksdieck 2005, 746).