1.6 Storytelling: un valore di competizione inutile se privo di una narra- narra-zione autentica
1.6.3 Il racconto digitale
Lo storytelling oggi, dunque, vive in un legame estremamente assodato con alla tecnolo-gia. In molti casi, anche il semplice gesto di raccontare una storia per far addormentare i bambini avviene attraverso la tecnologia: uno schermo, una musica di sottofondo e le parole provenienti da un canale YouTube. Quello da cui si è circondati quotidianamente non è semplice storytelling, bensì digital storytelling.
Ci sono molte definizioni di cosa sia una storia digitale: la maggior parte di esse coincide col delineare il fatto che si combinino i mezzi tradizionali per raccontare una storia con diversi tipi di multimedia digitale: immagini, audio e video caratterizzati da grafiche, te-sti, registrazioni, sequenze in movimento o musiche. Come affermato da Robin (2008) “le storie hanno in genere solo pochi minuti e hanno una varietà di usi, includendo la narrazione di racconti personali, il racconto di eventi storici, o come mezzo per informare o istruire su un argomento particolare”. Anche se sembra che solo ora il digital
storytel-ling sia al suo apice, è presente già dagli anni Novanta quando iniziarono i primi studi.
notevolmente arricchita nelle modalità di presentazione e di distribuzione con l'inclusione della più recente tecnologia multimediale. Si potrebbe definire, come spiega Handler Mil-ler (2008), un insieme di molti generi: il videogioco, il cinema interattivo, la realtà vir-tuale, le narrative basate sul web, la TV interattiva e una serie di generi di scrittura com-pletamente nuovi. Da un lato, tutti condividono caratteristiche uniche per il genere stesso, come il mezzo di pubblicazione e gli elementi multimediali utilizzati nella costruzione delle storie. Dall'altro, tuttavia, la narrazione digitale può anche essere considerata come il profilo di un sottogenere che si trova da qualche parte tra un documentario televisivo, un report o video personali e le modalità più tradizionali di narrativa orale e scritta. A sua volta, Handler Miller (2008) parla di alcune caratteristiche di base del storytelling digitale e di come possano influenzare la relazione tra il pubblico, la storia e il mezzo stesso.
a. La narrazione digitale rompe il “quarto muro”. I personaggi, che nella maggior parte dei casi sono famosi o influencer, possono parlare direttamente ai membri del pubblico, relazionandosi con loro come se fossero amici; non solo, perché i membri del pubblico possono effettivamente entrare nella storia, interagire con i suoi personaggi immaginari e svolgere un ruolo chiave nel dramma.
b. Questo tipo di narrazione offusca la distinzione tra finzione e realtà introducendo dispositivi di comunicazione contemporanei per favorire la trama o rivelare per-sonaggi come telefonate, fax, e-mail e siti web dall'aspetto autentico.
c. Essa amplia notevolmente l'universo della storia usando un numero di media di-versi, tutti legati insieme per servire la storia principale.
d. Inoltre, offre esperienze profondamente immersive tramite diverse tecniche: ve-dere, sentire, persino toccare o annusare.
Di conseguenza, la differenza principale tra storytelling tradizionale nei mass media, per esempio, e storytelling digitale, sta nel mezzo stesso e nelle possibilità offerte dall'estetica digitale rispetto ad altri tipi di media. In sintesi, è chiaro che lo storytelling digitale è il risultato di una buona combinazione tra tecniche più tradizionali di narrazione di storie e le risorse multimediali più innovative. La differenza più radicale tra di loro, tuttavia, è l'interattività (Handler Miller, 2008), e il mezzo digitale che rende sicuramente uno sto-rytelling digitale un genere unico.
Il ruolo della narrazione non manca nemmeno negli ambienti dove non è il prodotto o la tecnologia a essere protagonista, bensì la cultura. Lo psicologo Jerome Bruner48 ha esplo-rato a fondo il significato della narrativa e il suo ruolo fondamentale nel creare e interpre-tare la cultura umana. In “Acts of Meaning”, discute due caratteristiche dello storytelling che riguardano direttamente i musei (Bruner, 1990). La prima riguarda il modo in cui le persone imparano. Gli esseri umani sono narratori naturali; danno un senso al mondo e a sé stessi attraverso la narrativa, una forma condivisa sia dalla narrazione che dalla storia. Dal momento in cui sono molto giovani, i bambini imparano che il modo per integrare i propri desideri con le norme e le regole della propria famiglia è di costruire una storia sulle loro azioni. Questa spinta a creare una narrazione, sostiene Bruner, modella il modo dei bambini di acquisire il linguaggio. E l'abitudine persiste nell'età adulta come uno stru-mento basilare per cercare di dare un senso a ciò che accade. Queste abilità narrative assicurano il nostro posto all'interno della società umana e probabilmente implicano che le informazioni non strutturate sotto forma di narrazione siano probabilmente più facile da dimenticare. La seconda si basa sul fatto che le storie abbiano un punto di vista. Bruner (1990) sostiene che le storie possano agire allo stesso tempo tramite uno schema – ossia ciò a cui ci è stato insegnato a credere – o tramite le eccezioni e le violazioni di questo schema. Afferma che raccontare una storia significa prendere una posizione morale, an-che se è una presa di posizione morale contro le posizioni morali. Qualcosa accade in una storia – qualcosa nel mondo è sbagliato – e la sua risoluzione serve per aiutarci a risolvere i nostri valori e credenze di base, lasciando così un insegnamento. Oltre i contenuti con-creti della storia, c’è qualcosa di molto più grande.
Oltre il punto di vista dell’accademico Bruner, si prenda in analisi anche quella di un narratore professionista: Garrison Keillor49. Egli sostiene che la narrazione è più legata all'ascoltatore che al narratore (Keillor, 2000):
“Trovo che se lascio abbastanza spazio per i dettagli nelle mie storie, l'ascoltatore riempirà quei vuoti con la sua città natale, […] Tutto quello che faccio è dire le parole: mais e mamma e algebra e pick-up Chevy e
48 Jerome Bruner (New York, 1º ottobre 1915 – New York, 5 giugno 2016) è stato uno psicologo statuni-tense che ha contribuito allo sviluppo della psicologia cognitiva e della psicologia culturale nel campo della psicologia dell'educazione.
birra fredda e domenica mattina e rabarbaro e solitudine, ed è la gente ad associare loro delle immagini.”
Più di ogni altra cosa, quindi, le storie sono potenti perché non riempiono tutti gli spazi vuoti. Aprono uno spazio in cui i pensieri, i sentimenti e i ricordi dell'ascoltatore possono fluire ed espandersi. Ispirano un dialogo interno e quindi assicurano una connessione reale. Ed è qui che anche l’apparato museale ha tratto l’immenso potenziale della narra-zione. Il potere della narrazione non è mai stato un segreto nel mondo dei musei: qui varie forme di narrazione sono state impiegate nel tempo per coinvolgere i visitatori. Tuttavia, alcuni approcci – quelli che cercano di incarnare l'essenza della narrativa - si sono dimo-strati più efficaci di altri. Molteplici sono le linee narrative che si possono impegnare, pur sempre partendo dagli oggetti esposti. È il potere della narrativa che crea dei solidi colle-gamenti tra questi oggetti presenti in un museo, le immagini, le vite e i ricordi dei visita-tori. Il tutto ben dosato per cercare di creare un'esperienza potente e, come afferma Keil-lor, grazie al dono speciale della narrativa, essa consente alle persone di immaginarsi in un mondo non ufficiale, di intraprendere un viaggio, un’esperienza.