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Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI)

Come competere oggi? Sostenibilità e cultura: due nuove protagoniste

3.1.1 Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI)

La Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) o Corporate Social Responsability (CSR) è l’impegno dell’impresa ad assumere un comportamento giusto, imparziale ed equo, che tenga conto delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali del proprio operato. Un’azienda che decide di sviluppare un reparto dedicato a questo fine, decide volontariamente di perseguire una politica: un orientamento strategico e operativo volto a rispondere alle aspettative economiche, ambientali, sociali degli stakeholder di riferi-mento dell’organizzazione. I processi produttivi devono essere in grado di marginare l’impatto ambientale dell’impresa sul territorio e promuovere l’attuazione di iniziative destinate a incoraggiare stili di consumo sostenibili o a favorire comportamenti social-mente attivi. Non solo, dunque, abbracciando le problematiche ambientali, ma anche pro-muovendo e finanziando progetti nel campo dell’arte, dell’istruzione o del sociale, può essere un volto della sostenibilità. Sostenibilità è, allora, anche sinonimo di impegno. Non è sufficiente, infatti, limitarsi a rispettare i vincoli determinati dalla legge, adottando un comportamento socialmente responsabile, ma superficiale. Sostenibilità deve essere sino-nimo sì di impegno, ma a lungo termine. La dedizione dell’impresa e dei suoi membri deve essere finalizzata a produrre benefici collettivi che perdurino nel tempo.

Molto spesso, il fatto di circoscrivere il proprio impegno al semplice sforzo, non solo determina un’azione fine a sé stessa, poiché priva di conseguenze benefiche per l’azienda, ma anche suscita dei dubbi riguardo l’autenticità di questo atteggiamento “sostenibile”. La sostenibilità, quindi, non deve ridursi ad interventi convenzionali impiegati nel breve periodo prevalentemente per fini opportunistici: se così fosse l’azienda sarebbe incappata in un caso di greenwashing. Questo termine fu coniato in America, nei primi anni No-vanta, per indicare il comportamento di alcune grandi aziende che avevano associato la propria immagine a tematiche ambientali per distogliere l’attenzione dell’opinione

pubblica dalle responsabilità derivanti dall’inquinamento causato dalle proprie attività produttive70. Proprio perché la sostenibilità non è esclusiva, Carroll (1991) ha ideato una struttura a piramide della responsabilità sociale dell’impresa che si articola in base all’im-portanza di ciascun tipo di sostenibilità: alla base della piramide le responsabilità econo-miche, su cui si innalzano tutte le altre responsabilità; ci sono poi le responsabilità legali; di seguito quelle etiche e, infine, al vertice della piramide, si trovano le responsabilità filantropiche. Per Carroll, solo quando sono state rispettate tutte queste responsabilità si può parlare compiutamente di responsabilità sociale dell’impresa.

Ma cosa significa “valore aggiunto” quando si parla di sostenibilità71? Seguire la suddi-visione proposta da Carroll? La risposta è: sì, ma non solo. Significa porre attenzione ai temi sociali. Significa far accrescere la consapevolezza delle figure interne all’organizza-zione di quanto l’impegno rivolto alla sostenibilità possa avere una ricaduta positiva an-che per il business d’impresa. Si tratta di condividere trasversalmente questi valori, an-che completano il business. C’è continuo bisogno di confronto e di scambio, supportati da norme giuridiche che rispondano alle esigenze di questa grande volontà.

Secondo alcune ricerche ISTAT effettuate nel 2017, la sostenibilità in Italia c’è e si fa sentire. Il 17,6% delle imprese è altamente sostenibile. I risultati dello studio vengono presentati all’interno dell’edizione 2018 del Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi72, che valuta le dinamiche strutturali e congiunturali delle imprese italiane. Ai fini dell’analisi, l’ISTAT ha introdotto nell’indagine quesiti sulle attività aziendali che caratterizzano lo sviluppo sostenibile: l’inclusione di esternalità nella catena del valore dell’impresa, la riduzione degli impatti ambientali e l’importanza degli effetti sociali de-rivanti dall’attività aziendale oltre gli obblighi di legge, il coinvolgimento dei portatori di interesse nelle decisioni aziendali, la pianificazione strategica di lungo periodo e le moti-vazioni che hanno portato ad adottare iniziative di sostenibilità. I risultati sono sorpren-denti: all’aumentare della dimensione delle aziende, tende ad aumentare il livello di so-stenibilità, anche se questo dato è plausibile, vista la recente introduzione della regola-mentazione che prescrive alle grandi imprese l’obbligo di stendere rendicontazioni non

70 Voce “Greenwashing”. Enciclopedia Online Britannica. (Ultimo accesso: maggio 2019).

71Il Sole24ore.com (2014), Il valore aggiunto della sostenibilità. Articolo disponibile all’indirizzo:

https://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2014-04-30/il-valore-aggiunto-sostenibilita-063823.shtml?uuid=ABcvekEB

72 ISTAT. Istituto Nazionale di Statistica, (2018). Rapporto sulla competitività dei settori produttivi – Edi-zione 2018. Archivio online disponibile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/archivio/212438

finanziarie. Le imprese più sostenibili sono soprattutto quelle del Settentrione dell’Italia, mentre quelle meno o non sostenibili sono distribuite abbastanza omogeneamente sul ter-ritorio nazionale. Arrivando, però, ai dati sul rapporto tra sostenibilità e competitività: lo studio dimostra che esiste un “premio di sostenibilità”. Con l’aumento del grado di soste-nibilità di un’azienda, infatti, aumenta il livello di produttività del lavoro misurato in ter-mini di valore aggiunto per addetto. Rispetto alle imprese a sostenibilità nulla, quelle lievemente sostenibili mostrano un rendimento superiore del 4,5%, quelle mediamente sostenibili del 7,9% e quelle molto sostenibili del 10,2%. Nel panorama della sostenibi-lità, le imprese italiane considerano soprattutto i temi legati all’impatto ambientale e so-ciale. Quasi il 56% delle imprese manifatturiere, infatti, adotta misure per la salvaguardia dell’ambiente, mentre il 49% adotta strategie che tengono conto dell’impatto sociale. Quali sono i motivi che muovono queste scelte? Nella maggior parte dei casi, a vivificare i comportamenti sostenibili sono considerazioni legate alla reputazione. Infatti, il 77,6% delle imprese adotta questi comportamenti per migliorare la propria immagine e la repu-tazione del proprio marchio. Il secondo fattore è la riduzione dei costi (60,4% delle im-prese), mentre il 49% delle aziende rivolge le proprie attività allo sviluppo sostenibile per individuare nuovi segmenti di mercato o adempiere a prescrizioni di legge. Il 45%, infine, lo fa per sperimentare progetti innovativi.

Dunque, per concludere, quando ci si pone come obiettivo lo sviluppo sostenibile, signi-fica rispondere alle esigenze del presente senza pregiudicare la capacità delle future ge-nerazioni di soddisfare le loro necessità. In questo modo, grazie alla Responsabilità So-ciale di Impresa, si cerca di coniugare il business con l’attenzione all’ambiente e al so-ciale. Oltre il semplice rispetto della legge, il fine è quello di adottare pratiche e compor-tamenti con la convinzione di ottenere risultati che conducano benefici all’azienda e al contesto in cui opera. Così si può contribuire anche a uno sviluppo economico sostenibile: per creare valore condiviso con benefici per tutti, sia che siano essi interni o esterni all’or-ganizzazione in senso generale: i dipendenti, i clienti, i fornitori, gli stakeholder, la co-munità. La CSR migliora la motivazione, il dialogo ed il coinvolgimento di dipendenti e collaboratori con ricadute positive anche sulla produttività e sul clima aziendale. Contri-buisce a innovare processi produttivi, razionalizzare filiere di approvvigionamento e di distribuzione, migliorare il rapporto con i fornitori. Migliora il rapporto con il territorio e l’impresa viene percepita più positivamente dalla comunità dove opera. In generale, la

RSI porta più valore al brand, crea un rapporto di maggior fiducia tra l’organizzazione e i suoi clienti, generando maggior fidelizzazione. La comunicazione così, anche tramite gli eventi, va oltre il concetto stesso di comunicare: si pone lo scopo di ingaggiare. La rivoluzione digitale ha permesso un’interazione con gli stakeholder sempre più fluida e semplice. Grazie all’utilizzo di piattaforme collaborative sempre più sofisticate, ma facili da usare, è possibile avviare conversazioni con i portatori di interesse stimolando la par-tecipazione, in particolare del consum-autore.

Tornando anche con questo tema al valore della relazione e dell’esperienza, sono i pro-cessi partecipativi a incarnare il motore per avviare collaborazioni innovative, per svilup-pare la capacità di co-progettazione, per gestire progetti condivisi con gli attori locali a favore dello sviluppo del territorio. Una collaborazione che deve essere vista sempre in un’ottica win-win.

Insieme alla parola sostenibilità, e, come si vedrà tra poco anche alla parola cultura, non vanno mai dimenticate responsabilità, condivisione e innovazione. Sono parole chiave per le imprese che vogliono crescere. Chi ha compreso la rapida trasformazione in atto sta provando a sperimentare nuovi modelli anche di comunicazione con i pubblici interni ed esterni. Il futuro sarà legato anche alla capacità di creare campagne crossmediali, di utilizzare un linguaggio chiaro e diretto, di scegliere gli strumenti di comunicazione adatti ai diversi pubblici. Creatività, passione, trasparenza sono i fattori che faranno la diffe-renza. Per dare più valore all’identità del brand (Sobrero, 2016).

3.2 Cultura

In un mercato dove il valore di un’organizzazione si misura anche dalla capacità di comunicare in modo efficace i propri impegni, anche la cultura può essere una dire-zione importante per le imprese CSRoriented. Oggi, però, non sono ancora molte le im-prese che investono in cultura per completare la propria strategia. Alcune hanno già av-viato dei programmi per sostenere attività culturali e per promuovere iniziative di divul-gazione artistico-culturale e, soprattutto, per favorirne l’accessibilità a un pubblico sem-pre più vasto. Le persone, dunque, se stimolate, rispondono positivamente partecipando ad eventi diversi organizzati nei territori. La cultura, in un’accezione molto generale, comprende un insieme di attività attraverso cui vengono elaborate le espressioni artisti-che, intellettuali e morali della vita umana. Sebbene il concetto di cultura abbia

provenienza “pratica” – dal latino colere, che significa, tra l’altro, coltivare la terra – cultura ed economia sono stati a lungo considerati mondi contrapposti, soprattutto per alcune peculiarità oggettivamente divergenti:

a) mentre la cultura genera identità ed è epifania di valori collettivi, l’economia, in-vece, accompagna i sistemi dello scambio ed è primariamente guidata dall’inte-resse individuale;

b) il valore di ciò che riguarda l’economia si può misurare tramite il sistema dei prezzi, mentre il valore fornito dalla cultura non può essere calcolato secondo un’unità di misura comune perché possiede più dimensioni, facce e non può essere espresso solamente grazie e termini quantitativi.

Tuttavia, questa dicotomia sembra che stia affievolendo i suoi confini: le attività culturali assumono sempre più importanza nelle economie contemporanee e, come si vedrà nei dati a seguire, possono svolgere un ruolo strategico nelle politiche di sviluppo locale, nazionale e internazionale. L’attività culturale si collega alle fasi creative della produ-zione, cioè ai processi generativi di nuova conoscenza che si manifestano nelle attività di ricerca, di design, nella comunicazione, nell’interazione con gli utilizzatori (Marchionna, 2010). Il consolidamento delle relazioni fra questi due mondi, economia e cultura, è ine-vitabile. Il bene culturale è un bene di esperienza: in questa prospettiva, quindi, il bene culturale mostra un’evoluzione che lo porta ad essere una vera e propria risorsa per la competitività. In questa prospettiva, il concetto di valore assume un nuovo connotato stra-tegico anche nel mondo degli eventi, sin dalla fase di progettazione. Il “valore aggiunto è prodotto soprattutto dalla cultura”, come una precondizione necessaria all’insorgenza di un processo di sviluppo locale culture-driven: le nuove economie non possono crearsi se in primo luogo non esiste nel sistema locale una capacità diffusa di attribuire senso e valore alle esperienze culturali (Crociata, 2018).73

Le imprese, per prime, hanno posto la cultura come un proprio input nel processo produt-tivo: questa scelta non solo arricchisce l’output di significati, ma contribuisce in maniera unica e specifica a determinare il processo produttivo stesso. Non basta che l’impresa adotti un atteggiamento da “mecenate” nei confronti della cultura: la mera sponsorizza-zione, legata esclusivamente alla reputazione e all’immagine aziendale, non è più

73Alessandro Crociata, Economista Culturale e Assistant Professor in Economia Applicata presso il GSSI - Gran Sasso Science Institute, L'Aquila.

contemplata. Questo approccio non è in grado di affrontare le nuove sfide dettate dalla continua spinta innovativa richiesta dal mercato. È così che, in un sistema culture-driven o creative-driven74, la cultura svolge un ruolo essenziale in virtù della sua capacità di produrre valori mediante significati, in un mercato globale dove conta sempre di più la valenza simbolica ed evocativa che esprimono e raccontano i beni e le esperienze. Ciò richiede un capovolgimento del modello relazionale tra cultura e impresa: la cultura non assorbe, ma genera ricchezza che si traduce in una visione etica del lavoro e che fa riferi-mento all’attività fisica e intellettuale necessaria per arrivare al disegno del prodotto da un lato e all’organizzazione aziendale che ne consente l’espressione dall’altro. È, infatti, nell’incontro, nel confronto, nello stare a contatto, che si genera una prossimità relazio-nale che può diventare scambio di identità, di valori, di modi di concepire la realizzazione di un prodotto tanto artistico e culturale quanto industriale.