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Racconto neopopulista neofuturista in versi

Nel marzo del 1959, Franco Fortini scrive a Pier Paolo Pasolini una breve nota, recuperata solo trent’anni dopo dal volume Einaudi, Attraverso Pasolini, che racconta la corrispondenza tra i due intellettuali. Come per la Ragazza Carla, anche la storia del testo di Majorino, è legata alla chiusura di «Officina»:

25 G. Majorino, Poesie e realtà: 1945-2000, cit., pp. 26-27.

26 Manuale di poesia sperimentale, a cura di G. Guglielmi e E. Pagliarani, Milano, Mondadori, 1966, p. 19.

129 Ti segnalo vivamente un libro di Schwarz: La capitale del nord di tale Giancarlo Majorino, racconto neopopulista neofuturista in versi, genere Pagliarani ma forse superiore, con passaggi molto forti e belli in mezzo a banalità. Il tipo in questione ha trent’anni, impiegato di banca, ha scritto altre migliaia di versi. Dagli un’occhiata. Mi ha colpito27.

Neopopulista, quindi. Perché? Allarghiamo un poco il discorso. I due aggettivi fortiniani (l’altro, come si legge, è «neofuturista»), se collocati nell’area della nostra tradizione letteraria, non possono non lasciare intuire una dissonanza, una tensione ossimorica. L’aggettivo «neofuturista» si pone come correzione del precedente, integrando un aspetto che, stando fermi alla prima etichettatura (quella di «neopopulista»), sarebbe potuto sembrare assente, o debolmente attivo. Quale sia questo aspetto, e in che cosa consista la tensione ossimorica, lo si può capire rifacendoci a quanto scritto da Asor Rosa in Scrittori e popolo. Secondo il critico, all’atteggiamento ideologico-letterario del populismo pare corrispondere (a livello formale) una tendenza conservatrice rispetto a spinte di rottura o di discontinuità attraverso cui si caratterizzano invece i movimenti di avanguardia. Gli esiti più ricchi della ricerca letteraria starebbero fuori dall’area letteraria del populismo in quanto ad esso, scrive lo storico, «appaiono negate tutte le sconvolgenti invenzioni e tutti i sorprendenti precorrimenti della letteratura europea novecentesca. Niente di più alieno, insomma, dai nostri populisti, di quello spirito di avanguardia, da cui nascono le effettive «rivoluzioni» letterarie del XX secolo»28.

Se «l’impegno sociale dello scrittore va spesso a scapito della sua audacia inventiva»29, la diade fortiniana mira a individuare, per la Capitale del nord, la presenza di una scrittura ad alto tasso sperimentalistico (il richiamo successivo a Pagliarani sposta in tal senso il baricentro) pur collocandosi nel solco del populismo, che forse si coglie piuttosto come nervatura, come tono della voce. Come, infine, correttivo all’atonalismo di marca neoavanguardistica (più di prossimità la posizione di Majorino nei confronti dei Novissimi) e saldo ancoraggio all’attualizzazione del

27 La risposta è del 19 marzo: «l’idea è molto bella ma, dice, sono stanchissimo “per l’atroce fatica appena compiuta” (il romanzo Una vita violenta): “intanto partite voi: vi vengo a ruota. Ho qui sul tavolo la Capitale; ti prometto che la guarderò…» (F. Fortini, Attraverso Pasolini, Torino, Einaudi, 1993, p. 105).

28 A. Asor Rosa, Scrittori e popolo: il populismo nella letteratura italiana contemporanea, Roma, Samonà e Savelli, 1964, ma si cita da Torino, Einaudi,1988, p. 221.

130 parlato quotidiano (o meglio, cittadino), secondo quanto scritto da Raboni: «[…] le caratteristiche più notevoli e più evidenti della poesia di Majorino sono, da una parte la frontalità e la franchezza del suo rapporto-scontro con la materia, con l’oggetto, insomma con la realtà di cui s’interessa e sui cui aspetti non rinuncia in nessun caso a formulare rilievi, previsioni o giudizi; dall’altra parte la precisione (in senso qualitativo) e la tempestività con le quali ha mostrato e mostra di saper attraversare via via – cogliendone vivacemente possibilità e significati, ma evitando di restarne condizionata in modo eccessivo o comunque deformante – le diverse zone e quote della «attualità» linguistica»30. L’antilirismo (o estensione prosastica del verso), il tenore argomentativo, una certa sentenziosità moralistica sono alcuni aspetti che si colgono nell’orientamento (di derivazione marxista) a non tenere separati letteratura e società, che è come orientarsi contro la «sostanziale accettazione della scissione insensata di contenuto e forma»31, per agganciarsi «direttamente a una realtà non

cartacea»32.

La capitale del nord è letteratura di opposizione, è un testo (anche) politico, ma non è un testo di grande realismo: non lo è perché la superiorità prospettica del narratore-autore sul mondo rappresentato e sui personaggi impedisce a questi di mantenersi autonomi e di sfuggire ai pericoli di una eccessiva stilizzazione. La componente ironico-critica del discorso autoriale è fin troppo sovraesposta per permettere al narrato di svilupparsi. Il tono ideologico-morale delle prediche del locutore extradiegetico si salda ad una opposizione etica che fronteggia, non senza una certa compiaciuta effusione lessicale, il terreno di tensioni della società, funzionalizzando i discorsi dei personaggi al proprio discorso autoriale. Il progetto estetico di Majorino della Capitale del nord non può essere quindi sottratto al richiamo della sua coscienza politica che su quella adatta il programma mimetico del romanzo, inquadra il progetto di ripristino di una funzione comunicativa per la poesia. L’«approccio frontale»33 di Majorino alla realtà è il primo e fondamentale deterrente

all’«ottimismo programmatico» (Asor Rosa34), alla retorica del sentimento, per una

30 G. Raboni, in Autoantologia, cit., p. 349. 31 G. Majorino, Poesie e realtà: ’45-’75, cit., p. 57. 32 Ibidem.

33 R. Luperini: Il Novecento: apparati ideologici, ceto intellettuale, sistemi formali nella letteratura italiana contemporanea, cit., p. 829.

131 lettura più aderente alla complessità dell’esistenza e «che leghi l’individuo-monade alla sua realtà»35. Del resto, come suggerisce il titolo, il vero protagonista del romanzo è Milano, quel grande contenitore spaziale di storie e figure che tutti i giorni incrociano il loro destino fino a formare un’immagine tanto negativa quanto paradigmatica della vita cittadina durante il decollo industriale del dopoguerra. Scrive Cucchi nell’Introduzione:

a ben vedere più che una vera e propria “storia”, La capitale del nord è un grande contenitore, nel quale entrano, ordinati secondo equilibri e ritmi precisi, situazioni molteplici e volti di personaggi diversi, personaggi o stacchi lirici, nella fluidità di un tempo narrativo. Nel quale, peraltro, ciò che conta non è un evolversi dei fatti, uno snodarsi di vicende, quanto l’incrociarsi continuo di impulsi vitali e guasti già vistosi, nel corpo di una società che è ancora giovane, uscita com’è dalla guerra da poco più di un decennio36.

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