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Romanzo, romanzi

La Tartaruga di Jastov esce nella collana mondadoriana dello «Specchio» nel 1966 (sono gli anni, ricordiamolo, di Sereni-direttore) componendosi di testi editi e inediti. Tutta la prima parte del volume riproduce integralmente la raccolta precedente La pura verità, uscito tre anni prima (1963) sempre con l’editore milanese ma ospitato nella collezione «Il Tornasole» (e ancora occorrerà riscontrare il nome di Sereni, co-direttore con Gallo in quel periodo), mentre la seconda parte, divisa dalle macrosezioni La complicazione e Pastorale, è organizzata da testi non ancora pubblicati e, stando alle

159 indicazioni cronologiche riportate dall’autore, composti dal 1963 in avanti6. Bisogna,

inoltre, riferire che le prime due sezioni di Pastorale («Due» e «Altri») «per una sorta di autocensura preventiva […]» figuravano «parzialmente lacunos[e]» (cito dalle Note in calce) prima di veder ristabilita la loro integrità nel volume allestito da Giovanni Raboni, Romanzi naturali (Guanda, 1980), dove sono presenti anche i tre «romanzi in versi» dal titolo I centauri, Il sicario, l’entomologo e Ghigo vuole fare un film. Quasi a voler chiarire le ragioni che hanno presieduto all’allestimento del volume guandiano, nell’Appendice si riporta una lettera indirizzata ad Anna Banti dal titolo Introduzione a un commiato in cui Cesarano esprime la volontà di confezionare un libro unico, onnicomprensivo (non unitario) dei romanzi in versi7.

Secondo quella che appare, quindi, come una consuetudine volta a stabilire ponti di collegamento tra opera e opera, si capisce che sul finire degli anni Sessanta all’autore parve di riscontrare una continuità di fondo nella sua produzione tale da giustificare, come – scrive Raboni – per «autodecifrazione critica»8, la configurazione

di un unico libro. Non tanto una continuità di stile o di poetica quanto una continuità tipologica (di genere, quindi) che assegnerebbe i testi poetici pubblicati dal 1963 in avanti alla categoria del romanzo in versi. Non è allora senza spiegazione il fatto che la prima raccolta poetica di Cesarano, L’erba bianca, pubblicata nel 1959 con Schwarz Editore (varrà la pena di ricordarlo anche come editore nello stesso anno de La capitale del nord di Majorino) rimarrà fuori dal quel disegno di riordino della produzione poetica. In quel testo d’esordio a «guidare il percorso del libro» non è ancora un

6 Questo lo schema del libro: Primo antefatto (Il giorno di Capraia), La pura verità (Autodromo, Catch e altro, Storia di Nina, Week-end), Secondo antefatto (Reperti del ghetto e del lager), La complicazione (Con un uomo buono, Una visita di fine estate, La tartaruga di Jastov, Tre sequenze simmetriche, I delegati, Tropico immaginario), Pastorale (Due, Altri, Epitaffio).

7Cfr. «Ora non tanto guardo a questi scritti come a un libro che non si volle, quanto li vedo, del tutto idealmente, come la conclusione della raccolta La tartaruga di Jastov, mutandone il titolo in Romanzi naturali, e cancellando l’indicazione, fittiziamente unitaria, di “romanzo”» (Introduzione a un commiato, in Giorgio Cesarano, Romanzi naturali, Guanda, Milano, 1980, p. 113, d’ora in avanti con la sigla RN).

8 Cfr. «è chiaro che a confrontarci, noi lettori, in un’ipotesi del genere [quella del raccontare in poesia], viene anche precisissima l’indicazione testuale dello stesso Cesarano: e perché mai dovremo rifiutarne una così diretta e fuori dai denti? – il quale, raccolti in un unico libro i risultati d’allora e di dopo, nel constatare, immagino, certe loro tendenze obiettive e reciproche ha pensato di assumerne in pieno la paternità, di riconoscerle per volute e per buone aggiungendo al titolo questo sottotitolo di Romanzo [...]. Ci troviamo di fronte [...] a una di quelle illuminazione a posteriori sulla propria volontà, di autodecifrazione critica (e proprio per questo di nuovo creativa) del proprio lavoro, che Proust aveva in mente quando parlava della tardiva architettura della Comédie humaine» (G. Raboni, Poesia degli anni Sessanta, Roma, Editori riuniti, 1976, p. 152).

160 «programma, un profilo tematico» ma «un succedersi di nuclei intuitivi, di astrazioni da un vissuto impellente»9, un vissuto che ambisce talvolta a risolversi in clausola per

forza di una vocazione gnomica di stampo lombardo. Meno rapsodica, convergente verso la possibilità di un intreccio, la linea poetica di Cesarano all’altezza de La pura verità si inscrive nel percorso della trasversalità dei generi letterari, sperimentando incursioni nel dominio non solo della narrativa, ma anche del linguaggio cinematografico come vedremo più avanti.

Ma torniamo alla condizione del ‘nome’: «Romanzo», «romanzi». Prima sottotitolo, poi intestazione riassuntiva degli ultimi tre lavori in versi di Cesarano, l’etichetta metasegnica attrae attenzione su di sé portando a considerare il «peritesto rematico», ovvero – secondo Genette – la presenza di quel termine (come quello di romanzo) che «specifica non l’oggetto della raccolta […] ma in qualche modo la raccolta stessa: non quel che dice ma quel che è»10. L’etichetta assume dunque un

carattere non periferico, ma assume un valore preciso in una prospettiva funzionale, in quanto – come scrive Paolo Giovannetti (il discorso del critico riguarda l’utilizzo del termine ballata per indicare testi poetici) - «costringono il lettore a fare i conti con una tradizione, o, al limite, con il suggerimento d’una tradizione, e quindi ad attivare meccanismi ricettivi conformi alla specifica sollecitazione comunicativa, a interrogare adeguatamente l’opera per coglierne le tracce positive di un [essere romanzo]»11. Ma

cosa intende suggerire questo slittamento? Direi due cose, strettamente connesse. Primo, l’interesse critico nei confronti di opere letterarie ibride tra prosa e poesia vedrà coinvolgere, implicitamente o meno, una riflessione sui confini di genere inscrivendo la pratica di scrittura poetica nel generale svuotamento delle funzioni regolative e normative che stanno alla base della codificazione dei generi letterari. A questo proposito, si legga l’intervento di Cesarano su «Rinascita» (8 dicembre 1967) nella sezione Problemi di cultura dove figura assieme ad altri tre pezzi di poeti-intellettuali (Elio Pagliarani, Marco Forti, Carlo Villa) chiamati a rispondere alla stessa domanda: «Per chi si scrive un romanzo? Per chi si scrive una poesia?». Il bersaglio umano è il titolo delle colonne di Cesarano, che così scrive:

9G. Luzzi, Il percorso letterario di Giorgio Cesarano, cit., p. 52. 10G. Genette, Finzione e dizione, Parma, Pratiche, 1994, p. 30.

11P. Giovannetti, Occasioni metriche della poesia discorsiva, in Le forme della discorsività nella poesia del ‘900, Atti del Convegno nazionale della Società italiana per lo studio della modernità letteraria (Pescara 30-31 maggio e 1 giugno 2001), p. 30.

161 Ci sono tempi come questi, in cui diluvia negatività. Si è tutti come indeboliti, malati. Anche il farsi della poesia è minacciato da debolezza e da malattia. [...] al pari dell’uomo, che a mala pena resiste, la poesia a mala pena resiste. Quanto più siamo dominati dalla tentazione della morte, tanto più la poesia tende a negarsi, tende a dire che non può dire.

Ma seguita, purtuttavia, a dire. Con qualsiasi mezzo. È già divenuto difficile, per esempio, distinguere oggi fra la forma della poesia e la forma del romanzo (e altre forme ancora che si possono inventare). Ci sono romanzi che vogliono essere letti come poesie e poesie che vogliono essere lette come romanzi. Ci sono poesie formate con pezzi di altre forme, letterarie o no, e ci sono film, sempre per esempio, che sono fatti come poesie. Può darsi che fra non molto non sia più affatto interessante stabilire a priori che forma debba avere una poesia o se addirittura si debba pensarla in una forma. In stato d’assedio, la poesia si difende arrangiando armi per la sua sopravvivenza, come Robinson, secondo la legge di necessità che fa del bricolage un metodo, (non una poetica), in mancanza di meglio e pur di non morire12.

L’esautoramento del loro carattere prescrittivo tuttavia non disconosce l’esistenza né segna la fine dei generi, ma è funzionale ad una ridefinizione del rapporto tra testo e codificazione in virtù dei meccanismi di contaminazione, spostamento di funzioni, ibridazione, novità, superamento particolarmente attivi e visibili nel romanzo in versi. Secondo: occorrerà forse considerare i generi letterari come «dispostivi pragmatici che inquadrano un patto di lettura tra autore e lettore» (Zublena13),

ridefinendo quindi non solo il rapporto tra testo e codificazione, ma anche il rapporto tra orientamento di lettura e orizzonte d’attesa. Pertanto, le soglie del libro possono diventare i luoghi deputati per la strategia autoriale. Più oltre, si potrà vedere come lo sconfinamento della linea di demarcazione tra poesia e racconto, porta a considerare da un lato che la narrazione può esistere anche a prescindere dal medium formale canonicamente autorizzato (la oratio soluta), e dall’altro che le pratiche di avvicinamento della poesia al mondo del romanzo sono inesorabilmente pratiche di allontanamento della poesia dal mondo della poesia stessa. Con l’etichetta romanzo si

12G. Cesarano, Il bersaglio umano in «Rinascita», 8 dicembre 1967, n. 48, p. 26.

13P. Zublena, Esiste (ancora) la poesia in prosa?, «L’Ulisse» (Dopo la prosa. Poesia e prosa nelle scritture contemporanee), n. 13, 2010, p. 44.

162 vuole pronunciare non tanto quello che si è, ma soprattutto quello che non si riesce e non si vuole più essere14.

In un contesto storico (quale è quello della poesia degli anni Sessanta) di straniamento espressivo e di spostamento di funzioni tra generi, è utile considerare l’opera in versi di Cesarano nel suo svolgimento da La tartaruga di Jastov fino al postumo Romanzi naturali per comprendere il senso della sua collocazione all’interno del quadro in cui figurano Majorino e Pagliarani. Come si sarà capito fin qua, l’opera di Cesarano, pur mostrando una continuità di ricerca con autori di un’area latamente milanese, disegna una traiettoria personale e perfino unica negli esiti espressivi: al pari degli altri romanzi in versi, quelli di Cesarano mostrano una serie di sfondamenti del genere-poesia (allestimento di una impalcatura macrostrutturale a carattere narrativo, riconversione del linguaggio alla realtà, moltiplicazione di poli enunciativi diversi dall’io autoriale, allontanamento dall’area del soggetto e creazione di personaggi) però subito riconvertiti, snaturati anch’essi per via di una istanza etico-ideologica sempre più radicale che finirà per stigmatizzare l’alterità del discorso letterario rispetto alla realtà. Cesarano è in fondo un decostruttore che mostra la cifra della sua disobbedienza sociale attraverso una narrativa schizoide e anticomunicativa, e quindi attraverso romanzi in versi che sono in realtà anti-romanzi in versi chiudendo così la stagione sperimentale degli anni Sessanta.

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