• Non ci sono risultati.

Il rapporto tra gli atti di destinazione e il trust

Con l’entrata in vigore dell’art. 2645 ter c.c. si è aperto un dibattito sul rapporto intercorrente tra il trust di cui alla Convenzione dell’Aja del 1989 e gli atti di destinazione disciplinati dall’art. 2645 ter c.c.

In particolare la dottrina si è chiesta se il vincolo di destinazione, introdotto con l’art. 2645 ter c.c. non sia in sostanza una sorta di trust interno.

Per cercare di risolvere la questione è utile procedere ad una comparazione tra i due istituti, evidenziandone le analogie e differenze.

Innanzitutto il trust si incentra sull’affidamento gestorio dal settlor al

trustee, che può invece mancare del tutto nell’atto di destinazione.

Non è infatti, come si è visto, necessaria per l’art. 2645 ter c.c. la nomina di un gestore, poiché il destinante potrà riservare a sé l’attività gestoria ovvero demandarla al beneficiario. Elemento centrale del negozio di destinazione è infatti la mera “funzionalizzazione del bene allo scopo”.

Quanto alla forma l’art. 3 della Convenzione dell’Aja dichiara riconoscibile un trust contenuto in un mero atto scritto, senza imporre

il ricorso ad un atto pubblico come fa l’art. 2645 ter c.c. Ove poi si aderisca alla tesi contraria ad un atto di destinazione in forma testamentaria, emergerebbe un ulteriore elemento di divergenza rispetto al trust, poiché l’art. 2 paragrafo primo della Convenzione espressamente ammette sia il trust inter vivos che quello testamentario.

Continuando nell’esame delle diversità tra le fattispecie, l’istituto del

trust (ad eccezione del c.d. trust auto-dichiarato369) presuppone un fenomeno di carattere attributivo-traslativo, dal quale prescinde invece l’atto di destinazione.

Come già detto in precedenza, infatti, nella fattispecie di cui all’art. 2645 ter c.c. il trasferimento a terzi del bene destinato può essere o meno presente e in ogni caso non assume rilevanza rispetto alla natura destinatoria dell’atto370. L’atto di destinazione si caratterizza appunto per il fatto che il conferente rimane proprietario dei beni sottoposti al vincolo e li amministra in prima persona nell’interesse del soggetto beneficiario.

La fattispecie delineata nell’art. 2645 ter c.c., inoltre, produce una forma di separazione patrimoniale, definita “unidirezionale”, che permette ai creditori il cui titolo sia ricollegabile alla destinazione, di

369 Come si è visto nel paragrafo che precede si è discusso in dottrina

sull’ammissibilità del trust auto-dichiarato. Forti dubbi a proposito sono stati ad esempio sollevati da LUPOI, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645 ter cod.

civ. quale frammento di trust, in Trust e attività fiduciarie, 2006, p. 171.

370 Anzi, con riferimento al nuovo art. 2645 ter, si afferma che non sia tanto

l’attribuzione, bensì la destinazione a caratterizzare l’atto, così BIANCA, Il nuovo

articolo 2645 ter. Notazioni a margine di un provvedimento del Giudice Tavolare di Trieste, cit., p. 190. Sull’argomento si rinvia alla trattazione già svolta al capitolo 1

soddisfarsi non solo sui beni destinati, ma su tutto il residuo patrimonio del conferente.

Il trust invece realizza una vera e propria segregazione piena e bilaterale nel patrimonio del trustee: il trustee, infatti, per le obbligazioni contratte al fine di perseguire lo scopo sotteso al trust, non risponde con tutto il suo patrimonio, ma solo con i beni conferiti in trust.

Vi è poi chi ravvisa nel giudizio di meritevolezza la peculiarità dell’art. 2645 ter e l’elemento distintivo rispetto all’istituto del trust371.

Trattasi di quella parte di dottrina secondo cui l’elemento qualificante del nuovo atto di destinazione è, come detto, identificabile nella volontà di prevedere uno schema negoziale idoneo a tutelare interessi personali, di natura per lo più solidaristica e comunque attinenti alla persona, che non trovano adeguata tutela nelle fattispecie tipiche previste dalla legge.

Inteso in questo modo il giudizio di meritevolezza sotteso all’art. 2645

ter c.c., l’istituto verrebbe conseguentemente a differenziarsi dal trust,

che per sua natura è suscettibile di essere utilizzato per la realizzazione di qualunque interesse, anche speculativo e comunque al di fuori delle ipotesi tipiche previste dal legislatore372.

371 SPADA, Riflessioni conclusive a: La trascrizione dell’atto negoziale di

destinazione. L’art. 2645 ter del codice cilvile, Roma, 17 marzo 2006, p. 201. 372 Sul punto sempre SPADA, Riflessioni conclusive a: La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice cilvile, Roma, 17 marzo 2006,

p. 201, secondo il quale l’art. 2645 ter c.c. è un istituto che “una lettura intellettualmente severa ed eticamente rigorosa del materiale normativo dovrebbe limitare alla autonomia privata della solidarietà ed interdire all’autonomia privata

Pur sussistendo evidenti diversità tra le fattispecie, una parte della letteratura ha esaltato le affinità tra i due istituti, concludendo per una coincidenza pressoché totale tra gli stessi373.

Qualche Autore si è addirittura spinto a sostenere che, a seguito della riforma, il nostro ordinamento non potrebbe più essere annoverato tra quelli che “non prevedono l’istituto del trust” e conseguentemente l’art. 13 della Convenzione de L’Aja non potrebbe più “essere invocato per negare il riconoscimento ad un trust interno”374.

Vi è chi, invece, riconoscendo le differenze tra trusts e atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c., considera quest’ultimo un “frammento di trust”, poiché “tutto ciò che è nell’atto di destinazione è anche nei trust, ma i trust si presentano con una completezza

testualmente l’A. “È mai possibile che a fronte di questo esemplare testuale noi si possa immaginare che qualsiasi interesse purché non illecito sia “causa sufficiente” di un atto anche unilaterale di destinazione capace di generare un costo per i creditori nel momento in cui ne articola il ceto e ne differenzia le probabilità di capienza. Questo risultato non mi pare accettabile; anche se sono fermamente convinto che la deriva sarà questa, sia per l’atteggiamento dei giudici di merito che già conosciamo (alludo all’atteggiamento in tema di trust interno) sia perché abdicando ad ogni sindacato che vada oltre la liceità dell’interesse si esonera il notaio da un rischio professionale che, probabilmente, non è nemmeno giusto che sia scaricato su questa meritoria categoria”.

373 PETRELLI, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., cit., p. 203

ss.: secondo l’Autore sembra che gli elementi essenziali, caratterizzanti il trust “convenzionale”, ricorrano anche nella fattispecie in esame, con l’effetto di legittimare una forma di “trust di diritto italiano”, alternativo, benché dalla disciplina più lacunosa rispetto alle consolidate figure internazionali.

374 RISSO- MURITANO, Il trust: diritto interno e Convenzione de L’Aja. Ruolo e responsabilità del notaio, Studio approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il

10 febbraio 2006. Nel senso che l’art. 2645-ter c.c. costituirebbe “il completamento normativo (finora mancante) della previsione dell’art. 12 della convenzione dell’Aja del 1985 relativa alla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento” v. MOLINARI, Gli effetti della trascrizione dell’atto di destinazione nei confronti dei

creditori e dei terzi aventi causa, testo dattiloscritto della relazione agli atti del

regolamentare e una collocazione nell’area della fiducia che l’atto di destinazione non presenta”375.

Altra parte della dottrina, invece, proprio mettendo in risalto le sopraindicate differenze strutturali ed effettuali del trust rispetto a quelle dell’atto di destinazione, esclude la riconducibilità del primo nella categoria generale delineata dall’art. 2645 ter c.c.376.