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CAPITOLO VI EL DESENCANTO

6.6 REAZIONI AL DESENCANTO

In questo studio viene analizzato come ogni personaggio del romanzo abbia un ruolo nella società della Spagna durante gli anni della Transizione e come, ognuno di loro, reagisca ai cambiamenti in atto e alla non realizzazione delle trasformazioni sperate

290 Ivi, p. 122. 291 Ibidem. 292 Ivi, p. 25. 293 Ivi, p. 23. 294 Ivi, p. 50.

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rispetto alle decadi del franchismo. Chi di loro si sente insoddisfatto dalla realtà ed entra in uno stato di desolazione e, talvolta, frustrazione, può reagire in modi diversi: alcuni sono immobilizzati dall’incapacità di confrontarsi con la nuova società e, per questo, soccombono al desencanto; altri, invece, vanno in crisi, ma riescono a reagire sia alle regole imposte che alle delusioni inaspettate, e, in questo modo, riescono a liberarsi degli stereotipi e a crearsi una propria identità. Questi ultimi rappresentano un raggio di speranza per arrivare al cambiamento, perché sono capaci di comprendere la società in cui vivono, confrontarsi con essa e trovare uno spazio proprio, personale. È innegabile che la situazione della donna, con la fine della dittatura, sia cambiata: arriva la liberazione sessuale, vengono introdotti i metodi contraccettivi e si inserisce sempre più nel mondo del lavoro. Tuttavia, nessuno di questi punti si realizza pienamente, né corrisponde a una vera liberazione e le storie di donne raccontate in Crónica dimostrano che la loro situazione non è cambiata come speravano e che, anzi, c’è stata solo una «supuesta liberación»295, come conclude Candela in una sua riflessione:

Pensó en la liberación de la mujer, o mejor dicho, en esa supuesta liberación que a ojos de muchos hombres sólo se concretaba en lo sexual, en tener hembras dispuestas, el olvidar el odiado condón, el coito interrumpido. Los hombres que inventaron la píldora la ofrecieron como clave mágica de la revolución de la mujer, como si eso fuera suficente296.

Prendiamo l’esempio di Ana, madre single, con un lavoro di giornalista: sembra una donna libera dalle imposizioni della società patriarcale, simbolo del femminismo nascente. In realtà, la sua vita dimostra che la liberazione della donna dalle catene del franchismo, che si sarebbe dovuta realizzare durante il passaggio alla democrazia, è stata solo parziale. Ana è così intrappolata negli stereotipi della società che, per sfuggire alla

295 Ivi, p. 37. 296 Ibidem.

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sua insoddisfazione e al desencanto, sente la necessità di inventarsi un amore. Così la giornalista in carriera crea, nella sua mente, un amore nei confronti del suo capo Eduardo Soto Amón, tutto basato su aspetti esteriori e superficiali, invece di fondarsi su una vera conoscenza personale. Il capo della rivista in cui lavora Ana, incarna il modello del capitano d’industria, ben vestito, altero e irraggiungibile, tanto da essere paragonato a un faraone quando fa visita in ufficio: «[…] ahí llega Ramsés a vigilar el trabajo de sus esclavos, y, en efecto aquí está hoy Soto Amón, distante e impecable, cortando el aire de la redacción con su perfil agudo»297. Ana inizia a fantasticare, vede ciò che a lei piacerebbe trovare in un uomo e s’innamora:

Y sí, Ana creyó verle sonrojado [...] era capaz de emociones por lo tanto el acerado Eduardo. Era quizá tímido, quizá humano, bajo su envoltura sin arrugas de Madelman perfecto. Y allí mismo, en aquel momento, el abrigo de aquel rubor impensable, Ana sintió el desmayo de comprender que Soto Amón le gustaba298.

Ana, senza avere una storia con lui, sente comunque la sua mancanza e un dolore quasi fisico a causa di colui che crede di amare. La giornalista porta avanti questo romantico, quanto irreale, film nella sua mente, proprio con un uomo che incarna tutto ciò che lei rifiuta: il potere maschile e l’egemonia del patriarcato; «Soto Amón es hombre acostumbrado a hablar y callar a los demás, y parece haber perdido la capacidad de escucha»299. Solo quando riesce ad avere un vero contatto con Soto Amón riconosce nelle frasi stereotipate da macho latino, «es como si te conociera desde hace mucho […]»300, nel sorriso accennato e nel tono sussurrato, il solito rituale di conquista. Nonostante l’intuizione di Ana su chi sia, realmente, Soto Amón, cioè un bluff, lei sa che, comunque, cederà al corteggiamento, anche se scontato e ovvio, perché dentro di sé nutre ancora la

297 Ivi, p. 48. 298 Ivi, p. 49. 299 Ivi, p. 253. 300 Ivi, p. 254.

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speranza che sia diverso dagli altri. Purtroppo il presentimento di Ana si rivela esatto: faranno l’amore, ma in modo impersonale, freddo, quasi meccanico, dopodiché lasceranno l’appartamento e lui le chiamerà un taxi. Ma è proprio in quel momento che avviene la svolta. La consapevolezza di Ana è sempre più forte, vuole uscire dal circolo vizioso dei suoi rapporti fotocopia, per riprendere il controllo della sua vita e non seguire più il copione che la società ha stabilito per lei, con una semplice frase: «No me acompañes: voy a coger un taxi»301, poche parole che destabilizzano lo spavaldo capo: «¿seguro que no quieres que te acompañe? insiste ahora él, […] observándola con atenta, estrecha mirada por primera vez en toda la noche»302. Non è successo niente di eclatante, ma Ana cambia, decide di reagire e non rifugiarsi più nel sogno di un amore, ciò la porta, addirittura a ridere di Ramses: «Ana siente súbitamnte unos histéricos, irrefrenables deseos de réir»303 e lo lascia lì, imbambolato e umiliato: «atrás queda Soto Amón, inmóvil sobre la acera, mirándola»304. Dunque Ana è la figura vincente di questa scena, perché riesce a rompere con i modelli seguiti fino ad allora305, a reagire alle delusioni e non aver paura della solitudine:

Ana advierte que dentro de ella crece un extraño y denso orgullo, la serena certidumbre de que en este ajedrez de perdedores más pierden aquellos como Soto Amón que ni tan siquiera juegan306.

Solo attraverso l’azione e il coraggio di confrontarsi con ciò che si vuol cambiare, Ana riesce a trovare una propria identità ed uscire dal desencanto; solo giocando la partita della vita vince e riesce a scrivere il libro che racconti la vita delle Anas, come una cronaca

301 Ivi, p. 256. 302 Ibidem. 303 Ivi, p. 257. 304 Ibidem.

305 Moszczyńska-Dürst individua, in questo incontro finale tra Ana e Soto Amón, un momento cruciale per

la protagonista, che solo quando riesce a vedersi «desde afuera» e uscire dal copione scritto dalla cultura tradizionale per le donne, può smascherare gli stereotipi in amore e, solo a questo punto, è capace di opporsi al potere maschile «riéndose de sus mecanismos» (K. MOSZCZYŃSKA-DÜRST, cit., pp. 41-42).

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ma senza rancore307. Quindi trova nella scrittura il suo modo per realizzarsi, la sua via di salvezza dalla disillusione della Transizione. Infatti Ana, all’inizio del romanzo, rivela la sua intenzione di scrivere un libro «de las Anas»308, però non è convinta del contenuto scelto: «Pero escribir un libro así, se dice Ana con desconsuelo, sería banal, estúpido e interminable, un diario de aburridas frustraciones»309.

Moszczyńska-Dürst individua nella storia di Ana la trasformazione più significativa del romanzo, in quanto la protagonista lascia sia il suo ruolo passivo nelle relazioni che quello di semplice musa ispiratrice della creazione letteraria, per passare a quello di autrice «del libro sobre el discurso del desamor»310. Quindi, in questa soluzione al desencanto proposta dalla Montero, le donne devono passare da oggetto del discorso sia amoroso che letterario, a soggetto attivo che parla, vive e scrive, per far sentire la loro voce, «antes silenciada»311, al mondo.

Anche per l’autrice di Crónica la scrittura è un elemento essenziale della sua vita, come ha dichiarato in varie interviste, tra le quali citiamo quella rilasciata a Susanna Regazzoni, in cui paragona la passione che anima la sua scrittura, a quella che trascina l’amore:

Para mí escribir […] es lo único que puede sustituir mínimamente al truco del amor. El amor es un truco para vivir, y el sentimiento pasional y el escribir tienen características parecidas. Escribir es alienante como el amor; te ocupa totalmente, es apasionante, te hace olvidar312.

Sempre nella stessa intervista, Rosa Montero chiarisce che tutti gli esseri umani cercano qualcosa che dia un senso alla vita, rispetto alla morte, che sia una religione o

307 «Un gesto cruel y poderoso que, quién sabe, recapacita ella con ácida sonrisa, puede ser un buen

comienzo para ese libro que ahora está segura de escribir, que ya no será el rencoroso libro de las Anas, sino un apunte, una crónica del desamor cotidiano, rubricada por la mediocridad de ese nudo de seda deshecho por la rutina y el tedio» (ivi, p. 258).

308 Ivi, p. 20. 309 Ivi, p. 23.

310 K. MOSZCZYŃSKA-DÜRST, cit., p. 34. 311 Ibidem.

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un’ideologia, che l’autrice sintetizza nell’avere la passione per qualcosa: un sentimento “alienante”, che ti prende totalmente e non ti fa pensare ad altro, come l’amore e, per lei, come la scrittura. Addirittura, ammette di scrivere per sopravvivere: «es una cosa estructural, casi de la personalidad: la escritura te estructura»313; tanto è necessaria, per lei, che quando ha il blocco dello scrittore ha la sensazione di non poter sentire la vita e, di conseguenza, di non poterla vivere. Quindi una scrittura intesa come risorsa vitale, ma anche come cammino verso la conoscenza di sé stessi, comprese le parti più oscure; una scrittura che serve per apprendere e non per insegnare, come mezzo per sopravvivere, e superare, i momenti di crisi, per Rosa Montero e per il personaggio di Ana:

[…] todos los libros te enseñan algo, te curan, gracias a ellos puedes vivir [...] la creatividad en momentos de crisis es lo que nos permite sobrevivir y ella hoy que recurrir, al arte314.

Ebbene, riprendendo il tema della scrittura in Crónica, Ana rappresenta, quindi, la possibilità di aprire, veramente, la porta a un possibile cambio, in opposizione a coloro che non ci riescono e, magari, scelgono la fuga davanti al disincanto. Il confronto tra le diverse reazioni mette in luce che la chiave del cambiamento sta nel reagire alle crisi che il desencanto genera.

Esiste infatti anche chi, di fronte a una società che delude le aspettative, reagisce, diversamente da Ana, con la fuga; ne sono un esempio Zorro e Olga, che cercano di scappare da un sistema opprimente, che non permette loro di vivere come vorrebbero. Infatti, Olga confida ad Ana quanto sia, per lei, insopportabile la situazione sul lavoro e quanto i suoi colleghi la odino, perché diversa da loro; per questo decide di andarsene, definitivamente, in India. Olga sceglie quindi di non far niente per cambiare la situazione a Madrid e, al contrario, ricerca un ambiente migliore, dove potersi esprimere per come

313 J. ESCUDERO, J. GONZÁLEZ, “Rosa Montero ante la creación literaria: Escribir es vivir”, in Arizona

Journal of Hispanic Cultural Studies, n. 4, 2000, p. 1 [https://www.rosamontero.es.; ultima consultazione

il 19/09/2019].

314 I. MARTÍN RODRIGO, Rosa Montero: “todos los libros te enseñan algo, te curan, gracias a ellos

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realmente è; ciononostante, quello che ottiene, è scomparire nel nulla e finire i suoi giorni annientata dalle droghe. Non tornerà più in Spagna, nessuno la rivedrà più. Anche Zorro compie un cammino simile a Olga: fugge dalla Spagna e dal suo ruolo di avvocato Antonio Abril, per raggiungere San Francisco, dove tocca il fondo provando a sua volta ogni tipo di droga. A differenza della compagna, Zorro cerca di recuperare la sua vita e il rapporto con lei, decide quindi, di imbarcarsi su di un cargo per andarla a cercare in India, ma, tramite una lettera, Olga gli fa sapere che lei non vuole più vederlo, di conseguenza, l’uomo torna a Madrid senza più speranza di cambiare: «quemada ya la India, quemados los paraísos del mundo, quemadas las últimas esperanzas»315 e s’immerge, di nuovo, nella droga e nell’alcool, che vede come unico modo per non far riemergere quella parte di sé che ha cercato di cancellare: «El Zorro se mira en los espejos para encontrarse […] para no perder la propia imagen […] el Zorro refirma su destino y entierra un poquito más hondo al abogado Antonio Abril al que tanto teme»316. L’ultima scelta, per Zorro e Olga, è quindi la fuga, dove l’India che, negli anni Settanta, rappresenta l’ultimo luogo, in fondo al mondo, in cui rifugiarsi, fuori dagli schemi della cultura occidentale; in realtà si rivela essere un ulteriore desengaño, perché anche la fuga ha un limite, oltre il quale non si può scappare e a quel punto non rimane altro che affrontare la crisi o arrendersi:

Ya no puedes escapar a otro sitio, es el último lugar del mundo, ya no hay más tierra a la que huir, ningún paraíso más remoto que buscar. Cuando has ido a India, macho, ya has llegado hasta el forro del mundo, hasta el forro de ti mismo317.

Zorro, oltre a rappresentare chi fugge davanti al desencanto, simboleggia colui che si arrende anche al desamor. Infatti ha un’altra opportunità di vivere un amore, dopo Olga, e di aprirsi a un’altra persona: Ahinoa, l’ex combattente basca. Ma stavolta è lei a fuggire, dopo una notte passata insieme, «desapareciendo para siempre»318; anche Ahinoa

315 R. MONTERO, op. cit., p. 189. 316 Ivi, p. 180.

317 Ivi, p. 189. 318 Ivi, p. 190.

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appartiene a coloro che hanno rinunciato a vivere, lei lo ha fatto dopo l’esperienza del carcere duro: era «muerta en vida»319, ha rinunciato ai sentimenti, ha ceduto il suo cuore alla paura, alla miseria e alla «desesperanza»320. Quando, all’alba, Ahinoa lascia la casa di Zorro, lui nota, sul tavolo, l’indirizzo di Olga in India che «comprende ahora inútil»321, ormai gli è chiaro che le loro vite non si ritroveranno più, e, soprattutto, che questo inizio di un nuovo giorno per lui è «el fin de tantas cosas»322, mentre per persone come Ana rappresenta un nuovo giorno di lavoro. L’atmosfera è volta a rappresentare un momento finale, senza speranza per Zorro, è infatti una mattina che preannuncia la fine dell’estate, con il freddo e la pioggia insistente, ma di un’estate particolare: l’ultima per Zorro, «un verano muy loco, sí, un verano de tensos miedos y ansiedades solitarias, un verano último, el forro del verano»323.

Un altro personaggio che si muove nelle notti madrilene, insieme a Zorro, e sceglie un finale tragico per la sua vita, quando non riesce più a vivere in una società che vuole per lui un’identità che non gli corrisponde, è il Gobernador. Dopo giorni chiuso in casa, una notte, non vede altra soluzione alla sua vita, che non sia quella estrema: suicidarsi. Una morte orribile, ma scelta, infatti si butta, una prima volta, dal suo appartamento al secondo piano, si fa molto male, ma senza riuscire a uccidersi, allora non desiste e sale fino al quinto piano dove trova la sua soluzione al triste epilogo. Atto, questo, che denuncia la tragica non adattabilità dell’essere umano a ciò che lo circonda, come conclude Escudero nel suo lavoro su Rosa Montero, riguardo ai diversi casi di suicidio che trova nelle opere dell’autrice324.

La disillusione e la solitudine vengono viste, da alcuni personaggi del romanzo, come elementi che appartengono alla società in cui vivono, infatti donne, come ad esempio Pulga e Candela, a un certo punto della loro vita, associano la capacità di venire a patti con la solitudine, come un passaggio necessario per accedere al mondo degli adulti. Pulga ha, fino a quel momento, riempito la sua solitudine e la paura di vivere, rifugiandosi nelle amicizie, circondandosi sempre di persone, avendo storie con ragazzi più giovani di lei e, persino, piegandosi alle loro passioni, senza seguire le sue, tanto che Ana la definisce

319 Ibidem. 320 Ibidem. 321 Ibidem. 322 Ibidem. 323 Ibidem. 324 J. ESCUDERO, cit., p. 25.

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«pobre Pulga indefinida y despistada»325. L’ennesimo rapporto di Pulga sta andando male, ma stavolta la donna non cerca «de llenar las horas muertas y el vacío»326 con un’altra relazione, vuol provare a vivere da sola, anche se, specialmente di notte, le ansie e le paure la assalgono:

[…] quiere acostumbrarse a la soledad y ser adulta. Pero los días se llenan con los pozos sin fondo y las noches se deshacen con ruidos extraños y terribles [...] temiendo siempre que la vuelta de la esquina le aceche algún horror, el horror mismo que esconde la vida [...]327.

Anche Candela, a seguito del doloroso fallimento della sua ultima relazione con Vicente328, pensa alla possibilità di vivere da sola e sente, forte, l’esigenza di rimettere in sesto la sua vita: dal lavoro, ai suoi interessi personali. Ora vede i suoi trent’anni come rinascita e non come inizio del declino, come periodo che non potrà più tornare e, quindi, da non lasciar scivolare via: «Tenía treinta años, estaba en el centro de su vida, presentía que nunca más sería tan bella: una belleza consumida banalmente»329.

Diverso è il progetto dell’amico di Ana, Cecilio, che, per i suoi cinquanta anni, ha intenzione di organizzare una festa a cui inviterà tutti gli amici, gli amanti e gli ex, allo lo scopo di annunciare loro che il giorno dopo si castrerà e avrà, di conseguenza, una vita tranquilla: «Y luego me dedicaré a vivir tranquilamente, a trabajar, a leer, a oír música, mientras voy engordando, perdiendo pelo […]»330. Dietro l’ironia di Cecilio si nasconde l’esigenza di un cambiamento nella sua vita, che, evidentemente non lo soddisfa: correre

325 R. MONTERO, op. cit., p. 115. 326 Ibidem.

327 Ivi, pp. 109-110.

328 «[…] me di cuenta de que vivía supeditada a él, intentaba borrar, quemar los días que me separaban de

sus citas. Una tarde me encontré con treinta años y quedé horrorizada: cómo era posible que estuviera permitiéndome tirar así mi vida por la ventana, sin aprovechar mis días hasta el máximo. [...] Proyectas los deseos de felicidad en un hombre, o en que toque la lotería, o en conseguir una casa mejor, o en lo que sea, no importa qué, con tal de que te desvíe el futuro la responsabilidad de ti misma» (ivi, p.139).

329 Ivi, p. 217. 330 Ivi, p. 133.

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dietro ai ragazzini di notte, aspettare un loro sguardo al pub per avere un incontro di una notte e ubriacarsi ogni sera per non pensare.

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CONCLUSIONI

Con il presente elaborato abbiamo cercato di evidenziare come il primo romanzo di Rosa Montero, Crónica del desamor pubblicato nel 1979, rifletta la situazione di instabilità e desencanto che vive, in particolare, la donna nella società spagnola a pochi anni dalla morte di Franco, nel 1975, periodo conosciuto come Transizione. Soprattutto durante la dittatura, che abbraccia gli anni dal 1939 al 1975, la società spagnola mantiene una serie di norme riguardanti la vita quotidiana che delineano il pensiero e l’educazione della donna e dell’uomo. Il regime che si instaura con la fine della guerra civile, infatti, accentua una serie di norme rigide morali che regolano la vita sociale degli spagnoli e relegano la donna a un ruolo secondario, non solo nello spazio pubblico, ma anche in quello privato, come risulta dall’educazione che la donna riceve, tutta incentrata sulla maternità, la vita familiare, la sottomissione e lo spirito di sacrificio. L’inclusione dei valori del passato, specialmente culturali e religiosi, riguardo ai ruoli di genere è così profonda nella Spagna di Franco da influenzare la società che segue la dittatura, quella, appunto, della Transizione. Con l’inizio della nuova tappa democratica per la Spagna, anche la narrativa spagnola inizia un processo di cambiamento e nella cultura, come negli altri settori della società, il mondo femminile è costantemente subordinato a quello maschile nel rispetto dell’ordine stabilito dal sistema patriarcale ed è per questo motivo che la donna nella letteratura viene rappresentata senza una propria identità, ma come “figlia di…”, “moglie di…”, “vedova di…” e acquisisce valore solo negli scambi con l’uomo: alla donna è negata un’autodefinizione331. Alla fine degli anni Settanta, le autrici spagnole escono dalla sottomissione all’autorità maschile e passano dall’essere oggetto di cui si parla, a soggetto che parla in prima persona alla ricerca di una propria identità.

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