3.1. La prima regia senza D’Amico
Dopo solo due stagioni di attività la Compagnia dell’Accademia chiuse i battenti. Purtroppo per Costa quella breve esperienza si concluse nel peggiore dei modi. Dopo una prima stagione all’insegna dell’instabilità economica e delle critiche altalenanti ricevute dalle diverse realizzazioni, il secondo ciclo di spettacoli iniziò con un fatto assolutamente inaspettato.
D’Amico pose la direzione della compagnia nelle mani di Corrado Pavolini, il critico e regista, fratello del potente Alessandro Pavolini, divenuto da poco ministro della Cultura Popolare, padrone quindi del cinema, della radio, del teatro e, in un certo senso, anche della stampa:
[…] dopo il trionfo della Compagnia nel '39-'40, [D’Amico] rinunciò a dirigerla. E per l’anno successivo l’affidò, con un atto ingenuamente politico, che non gli somigliava, a Corrado Pavolini, colto e raffinato poeta, modesto regista, uomo di teatro inesperto che ne stravolse subito lo spirito con l’immissione di un’attrice quanto mai estranea agli assunti artistici del gruppo179.
Pavolini aveva iniziato la sua esperienza teatrale al fianco di Renato Simoni, collaborando con il Teatro dell’Opera, con il Maggio Musicale Fiorentino e con la Scala. Secondo i piani di D’amico, Pavolini avrebbe dovuto soltanto coordinare le regie di Costa, di Brissoni e della Fabro, ma le cose purtroppo andarono in maniera del tutto differente.
Innanzitutto il nuovo direttore ebbe un durissimo diverbio con Costa, che in teoria avrebbe dovuto prendere il posto di D’Amico alla guida della compagnia o quantomeno essere considerato una specie di direttore in seconda. Il giovane regista, invece, con un abile colpo di mano fu allontanato. Pavolini gli comunicò che tutte le decisioni della compagnia, compresa la scelta e la direzione degli spettacoli, sarebbero state prese da lui e solo secondariamente dai giovani registi che insieme a Costa avrebbero dovuto dirigere gli spettacoli. Dopo la pausa estiva, Pavolini anticipò la ripresa delle prove, in maniera tale da servirsi anche degli allievi che ancora non avevano conseguito il diploma. In questo modo avrebbe svuotato la scuola dall’interno, allo scopo di formare
179 Orazio Costa, A cinquant’anni dalla fondazione dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, dattiloscritto, Fondo Orazio Costa, p. 4.
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una Compagnia Pavolini. Costa, vedendo mancare la libertà con la quale pretendeva di svolgere il suo lavoro, se ne andò, accettando la scrittura offertagli dalla Compagnia Pagnani che si sciolse poco dopo. Nel frattempo D’Amico, appresa la notizia, cercò anche lui di dimettersi. Venne convocata, quindi, una riunione straordinaria, a cui partecipò lo stesso D’Amico che tentò di far reintegrare Costa nelle file della compagnia senza successo, ottenendo, però, la promessa che si continuasse a scritturare solo allievi o ex allievi dell’Accademia, senza prendere in considerazione l’eventualità di poter assumere degli artisti dall’esterno. Di lì a poco, invece, Pavolini chiamò Simoni e Fulchignoni a dirigere alcuni spettacoli, restringendo sempre di più il campo d’azione di Brissoni e della Fabro, gli altri due registi rimasti all’interno della compagnia. Dal canto suo, Pavolini intendeva solo far confrontare i giovani allievi con le diverse poetiche che animavano gli attori e registi dell’epoca, che prendevano spunto dai più disparati metodi d’insegnamento, ma in realtà condusse la compagnia alla sua inevitabile fine, cercando di portarsi via anche gli attori migliori.
Dopo quanto accaduto con la Compagnia dell’Accademia, Costa rimase quasi un anno senza lavoro. Dopodiché, sul finire di quella sfortunata stagione teatrale, iniziò un lungo periodo in cui, con alterne fortune, diresse spettacoli per diverse compagnie. Il suo primo lavoro come regista di compagnia gli venne probabilmente offerto grazie all’interessamento di D’Amico, che nonostante tutto continuò a seguire e ad aiutare il suo allievo.
Durante l’allestimento de Il poeta fanatico di Goldoni, D’amico inviò una lettera a Costa, in cui cercava di rassicurarlo dicendogli di aver risolto l’intera faccenda con l’Eiar, che avrebbe dovuto lasciar libero un attore permettendogli così di continuare le prove. Costa avrebbe dovuto soltanto aspettare il consenso da parte del direttore generale dell’ente Chiodelli:
[…] Le notizie sarebbero buone; tutte le difficoltà pratiche per lasciar libero il Tommei dal 20 luglio a tutto il 7 agosto sono state superate; manca un assenso, formale ma necessario, del Direttore Generale Chiodelli, che arriva mercoledì mattina; per le II ant. di quel girono avrò la risposta, e te la darò per telegrafo, o per telefono se mi richiamerai a casa fra le 13,30 e le 14180.
Costa aveva trovato delle difficoltà a lavorare per la prima volta distante dal suo maestro e dai suoi consigli. Tanto è vero che lo esortava a raggiungerlo al più presto per avere il suo preziosissimo appoggio. D’Amico, però, gli riferiva che non sarebbe riuscito ad arrivare prima della
180 Lettera di Silvio D’Amico a Orazio Costa, 14.07.1941, Fondo Orazio Costa, Faldone 2, Cartella 5. Per Orazio da Silvio D’Amico.
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sua penultima prova: «[…] ti prego di scrivermi subito a che ora la farai, per vedere di mettere in
relazione con essa il mio arrivo»181.
Nella sua lettera di risposta, Costa confidava a D’Amico di aver incontrato non pochi ostacoli che avevano minato la buona riuscita del suo lavoro. Difatti, aveva dovuto condurre le prove sopperendo alla mancanza del Tommei, malgrado avesse già stabilito con gli altri interpreti il movimento scenico che si adattasse in maniera adeguata al testo. Il regista riteneva fosse impossibile che in pochi giorni l’attore avrebbe potuto mettersi al passo con gli altri interpreti, che ormai provavano da più di quindici giorni, raggiungendo così una buona intesa recitativa:
Adesso se non fosse per questo sciagurato Tommei (lui non c’entra credo) sarei già abbastanza a posto per quanto riguarda la recitazione. Ormai sono già in grado di provare tutta la commedia regolarmente dal primo all’ultimo atto con tutti i suoi movimenti. E se avessi già tutti gli attori potrei dedicarmi ad altre cose importanti quali la scena e le mu- siche. Ma pare un destino che non si possa mai essere tranquilli interamente. E io dovrò così aspettare fino al 24 (!) il buon piacere dell’Eiar! Nemmeno se questo Tommei fosse un genio credo che riuscirà più ad affiatarsi completamente e tranquillamente con gli altri attori che provano ormai da oltre dieci giorni e quando lui arriverà avranno provato per quindici182.
Costa, inoltre, precisava a D’Amico che, d’accordo con la direzione della Biennale e con il maestro Malipiero, avevano deciso di affidare le musiche allo stesso Malipiero. Alla fine, invece, senza che lui venisse interpellato, la direzione aveva affidato le musiche al Gorini, un musicista per lo più sconosciuto. Una soluzione che, secondo lui, aveva spostato il carattere della commedia verso un’esteriorità troppo distante dalla natura dell’opera. Come se non bastasse, il tecnico incaricato di realizzare le scene, tratte dai bozzetti di Valeria Costa, aveva cercato di ritardarne la costruzione, come rivalsa per non essere stato interpellato durante l’ideazione, a cui seguirono altri imprevisti nella realizzazione dei costumi per la mancanza dei materiali. Ciononostante, gli attori si dimostrarono piuttosto disponibili nel mettere in pratica le sue idee, pur non essendo abituati al suo metodo di lavoro. In particolare Baseggio era tra quelli che maggiormente avevano assecondato le sue trovate, lasciandosi ispirare anche dalla sua fantasia. Il distacco dall’ambiente dell’Accademia, invece, non fu facile per Crast che non era riuscito ad accordarsi con il carattere del suo personaggio e ad abituarsi così presto a un metodo di lavoro del tutto differente:
Voglio parlare degli attori che, a prescindere anche qui da alcuni inconvenienti di distribuzione che ben conoscete, si sono dimostrati verso me pieni di attenzioni di cortesia e perfino d’una almeno apparente gratitudine. Mi pare che Ninchi vada molto bene e così anche la Palmer (se non fosse la poca avvenenza) specialmente per quel che riguarda [il] movimento. E tutti gli altri seguono abbastanza bene l’insieme tranne forse, per ora almeno, il nostro Crast che ho
181 Lettera di Silvio D’Amico a Orazio Costa, 21.07.1941, Fondo Orazio Costa, Faldone 2, Cartella 5. Per Orazio da Silvio D’Amico.
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dovuto prendere per la parte di Lelio e alla quale non si sente portato. Ma spero di ridurre anche lui. Non vi ho detto di Baseggio perché veramente si merita un posto a parte, anche per l’interessamento particolare che mette nel lavoro. Certo se vi sarà un successo lo si dovrà in grandissima parte alla sua maschera. Ho inventato per lui, e lui stesso ha portato un certo contributo alle invenzioni, moltissime cose che lui realizza sempre, bisogna riconoscerlo, come se fossero partite dalla sua fantasia. Ho avuto delle prove veramente divertenti in cui gli attori hanno messo tanta volontà e fertilità di fantasia che è stato per me un vero grande piacere compiere il mio ufficio di suscitatore di idee e di discriminatore di effetti183.
Costa, infine, pregava ancora D’Amico di raggiungerlo il prima possibile e di chiedere a De Pirro di mandare il suo collaboratore Lodovici, a sincerarsi della qualità del suo lavoro per cercare di avere in futuro dei benefici dal Ministero.
Il 29 luglio 1941 Costa mette in scena, durante la Biennale di Venezia, Il poeta fanatico di Carlo Goldoni, con una compagnia riunita appositamente per l’occasione. Lo spettacolo fu allestito nei
Giardini dell’esposizione184.
3.2. La seconda Compagnia dell’Accademia
Nel corso della nuova stagione, Costa venne chiamato dalla Compagnia di Renzo Ricci per dirigere
Ciliegi a Roma di Hans Hoemberg, al Teatro Odeon di Milano185. Ancora una volta si trattava di una collaborazione occasionale che Costa accettò per continuare a lavorare ed affinare il suo metodo di regia.
In questo frangente Costa conobbe Paolo Grassi, che, in quel periodo, collaborava come critico teatrale per «Il sole» e per la rivista «Spettacolo-Via Consolare», oltre a lavorare in teatro come regista ed organizzatore. In seguito a questo avvenimento, Costa ebbe l’opportunità di pubblicare un suo articolo proprio sulla rivista gufina forlivese, dove raccolse le varie lettere che il personaggio di
Amleto scrisse al suo amico Orazio186. La passione di Costa per quel testo era nata quando in alcuni
183 Ibidem.
184 Il poeta fanatico di Carlo Goldoni, regia di Orazio Costa, Compagnia della Biennale, scene e costumi di Valeria Costa, musiche di Gino Gorini, direzione musicale Nino Sanzogno, coreografie di Aurelio Milloss, con Annibale Ninchi (Ottavio), Daniela Palmer (Rosaura), Pina Renzi (Beatrice), Gino Sabbatini (Florindo), Eva Magni (Eleonora), Antonio Crast (Lelio), Cesco Baseggio (Brighella), Fausto Tommei (Tonino), Andreina Carli (Corallina), Carlo Lodovici (Arlecchino), Giardini dell’esposizione, Biennale di Venezia, 29 luglio (1941).
185 Ciliegi a Roma di Hans Hoemberg, regia di Orazio Costa, Compagnia Renzo Ricci, scene e costumi di Valeria Costa, con Renzo Ricci, Andreina Pagnani, Luigi Carini, Brizzolari, Bianchi, Oppi, Teatro Odeon di Milano, 1° dicembre (1941).
186 Orazio Costa, Dalle “Lettere di Amleto”, in «Spettacolo-Via Consolare», dicembre 1941. All’interno del Fondo Orazio Costa è stato rinvenuto un dattiloscritto di 18 pagine che molto probabilmente doveva essere la bozza dell’articolo successivamente pubblicato. Cfr. Orazio Costa, Lettere di Amleto a Orazio, dattiloscritto, Fondo Orazio Costa. Poco dopo, Costa scrisse un’altra critica su «Spettacolo-Via Consolare» recensendo l’atto unico che Giorgio
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dei suoi primi quaderni intraprese una lunga riflessione sul dramma shakespeariano187. Secondo
Meldolesi, quell’esperimento era stato tentato per dimostrare come un regista avrebbe dovuto risolvere i diversi problemi di rappresentazione che si sarebbe trovato ad affrontare, nell’interpretazione di un testo così difficile come l’opera di Shakespeare: «Come il regista dovesse tendere all’atto scenico puro, alla sintesi riordinatrice mostrano le Lettere di Amleto che Costa
scrisse da «regista orale» da aspirante allestitore del capolavoro shakespeariano»188.
Poco dopo, Costa, con l’aiuto di D’Amico, cercò di formare una nuova compagnia a cui avrebbero dovuto prender parte anche la Fabro e Salvini. L’intenzione di D’Amico, seppur velatamente, era quella di creare una sorta di seconda Compagnia dell’Accademia, dove gli spettacoli sarebbero stati diretti da più registi e gli interpreti sarebbero stati scelti tra gli allievi dell’Accademia, affiancando gli artisti già affermati. Questa volta, però, D’Amico voleva tentare un esperimento diverso dall’esperienza precedente, affiancando a Costa una regista giovane come la Fabro ed un regista esperto come Salvini. Costa, invece, pretendeva di comparire come unico direttore dell’impresa per evitare sgradevoli inconvenienti di gestione come accaduto in passato.
Per quel che riguardava la composizione della compagnia, in un primo momento Costa aveva pensato di scritturare la Torrieri, la Bagni, Cortese, Randone e Stival. A questi si sarebbero aggiunti gli interpreti provenienti dall’Accademia, che avrebbero ricoperto i ruoli mancanti. Inoltre, in previsione di un mancato accordo con la Torrieri, aveva pensato di reclutare la Galletti e la Sivieri o addirittura la Pagnani che aveva mostrato un vivo interesse per la sua nuova impresa. La scelta del repertorio sarebbe dipesa dalle intenzioni degli altri registi e dalla disponibilità degli interpreti, poiché riteneva opportuno affidare agli attori solamente quelle parti che avrebbero potuto mettere in risalto le loro qualità artistiche. L’intenzione di Costa era quella di proporre un repertorio che avrebbe compreso alcune delle migliori opere comiche e drammatiche del panorama internazionale, senza trascurare qualche testo in italiano per il quale si sarebbe potuto scegliere fra le opere di Pirandello, D’Annunzio e Betti:
Quanto al repertorio non è improbabile che ci tocchi, o ci convenga, (come meglio si vuole) ritoccare le nostre intenzioni secondo gli attori di cui disporremo e così come mi parrebbe imprudente affidare Amleto a Cortese, per il quale sarebbe forse preferibile ripiegare su un “Romeo e Giulietta” cosi forse potrebbe essere opportuno anche rivedere qualche altra delle nostre intenzioni, sempre di pieno accordo fra noi, anche per non rischiare di aver un repertorio
Strehler presentò accanto ad un altro testo, che considerò di difficile rappresentazione, a causa dello stile troppo antirealista dell’autore: Orazio Costa, Nota a “Un cielo”, in «Spettacolo-Via Consolare», gennaio 1942.
187 Cfr. in particolare Orazio Costa, Quaderno 1 bis, 1938-1939-1940, (versione digitale), Fondo Orazio Costa e Orazio Costa, Quaderno 2 bis, 1940-1941-1942, (versione digitale), Fondo Orazio Costa, dove, nel primo dei due Quaderni, sono riportate le bozze delle lettere di Amleto a Orazio estremamente somiglianti a quelle del dattiloscritto citato nella nota precedente.
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esclusivamente drammatico, anche se sia nei miei sogni averlo prevalentemente tale. Bisogna saper che cosa desidera fare Sal. e io sono disposto a rivedere i miei desideri in conseguenza del peso degli altri lavori. Ci vorrebbe un De Musset, e poi anche qualcosa di comico, uno Schow [sic] per esempio o un Gogol! Il problema sarà al solito la parte italiana: si potrà pensare a Pirandello, a D’Annunzio e a Betti189…
D’Amico avrebbe voluto scritturare la coppia Scelzo-Cortese, mentre la Fabro avrebbe preferito unire al nome del secondo quello di Stival. Salvini, invece, si era mostrato piuttosto titubante sulla scrittura di Randone, al posto del quale avrebbe voluto mettere un nome di sicuro richiamo per il pubblico. La scelta della Torrieri, inoltre, non convinceva D’Amico, che in un suo lavoro precedente aveva notato quanto l’attrice tendesse a ricopiare ogni volta le sue stesse trovate. Al suo posto avrebbe preferito una tra la Ferrati e la Morelli, anche se la Fabro aveva cercato di metterlo in guardia sul brutto carattere della prima, mentre l’indole più dolce della seconda non avrebbe di certo compensato le sue limitate capacità artistiche:
Per gli uomini, si penserebbe al binomio Scelzo-Cortese; la F. preferirebbe Stival-Cortese; Randone non piace a Sal., che vuole nomi di cartello, graditi già al gran pubblico. Più difficile la scelta dell’attrice: la Torr., a parte la sua provenienza, sono stata a rivederla nella CATERINA IVANOVNA di Andreiev, e ricopiava in tutto e per tutto sé stessa nella Elettra del LUTTO; Torraca sta impegnando Sara e Rina, ma si farebbe in tempo a prenderne una, tanto più che tutte e due sono seccate di stare insieme: quale delle due? La F. dice che Sara è un carattere pericoloso e, seppure accetterà, sarà difficile a trattarsi; Rina, dato che sia di carattere migliore (a me è più simpatica), è deliziosa ma limitata190.
Alla fine la nuova compagnia assunse la denominazione di Zacconi-Bagni-Stival-Cortese, prendendo accordi con il Teatro Eliseo di Roma, come luogo designato per la presentazione dei suoi lavori.
Gli spettacoli che la nuova impresa mette in scena sono Fermenti di Eugene O’Neill191, Le case
del vedovo di George B. Shaw192 e Candida di George B. Shaw193.
Durante la preparazione di Candida, Costa chiese a D’Amico di prestargli il testo: «[…] dovendo riprendere la regia di “Candida” per la Bagni e Cortese e mancando (ahimè!) del testo, Le sarei grato se potesse prestarmelo Lei: glielo restituirei non appena fattene battere a macchina alcune
189 Lettera di Orazio Costa a Silvio D’Amico, 12.03.1942, Museo Biblioteca dell’Attore di Genova.
190 Lettera di Silvio D’Amico a Orazio Costa, 18.03.1942, Fondo Orazio Costa, Faldone 2, Cartella 5. Per Orazio da Silvio D’Amico.
191 Fermenti di Eugene O’Neill, regia di Orazio Costa, Compagnia Zacconi-Bagni-Stival-Cortese, scene e costumi di Mario Pompei, con Ermete Zacconi, Eros Pagni, Valentina Cortese, Giulio Stival, Teatro Eliseo di Roma (1942). 192 Le case del vedovo di George B. Shaw, regia di Orazio Costa, Compagnia Zacconi-Bagni-Stival-Cortese, scene di Aldo Calvo, con Giulio Stival, Leonardo Cortese, Ermete Zacconi, Pagliarini, Toniolo, Teatro Eliseo di Roma (1942). 193 Candida di George B. Shaw, regia di Orazio Costa, Compagnia Zacconi-Bagni-Stival-Cortese, con Giulio Stival, Margherita Bagni, Leonardo Cortese, Ermete Zacconi, Toniolo, Pagliarini, Teatro Eliseo di Roma (1942).
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copie»194. Inoltre, gli comunicava che forse avrebbe realizzato anche un’Aminta, pensando alla
Morelli nei panni di Silvia: «Non è quella descritta dal satiro nemmeno lei (ah no!) ma è brava e
può somigliare ad un’aspra piccola Diana»195.
Le regie realizzate per la Zacconi-Bagni-Stival-Cortese, però, non furono firmate da Costa che di conseguenza non ebbe il suo nome in cartellone. I presupposti iniziali su cui si sarebbe dovuta fondare la sua nuova impresa evidentemente non andarono a buon fine e il regista decise di rendersi estraneo alle sorti della compagnia.
Poco tempo dopo aver terminato la sua collaborazione con la Zacconi-Bagni-Stival-Cortese,
Costa venne richiamato in servizio per l’aggravarsi della situazione bellica196. Durante questo
periodo continuò a tenersi in contatto con D’Amico che gli prospettò la possibilità di fargli ottenere una licenza straordinaria, affidandogli degli incarichi d’insegnamento in Accademia. In questa circostanza Costa cercò di tenersi occupato buttando giù delle idee per il suo futuro incarico, con la speranza che i giorni di leva finissero al più presto così da non dover rinunciare ai suoi propositi:
Così questo servizio si prolunga senza che se ne veda molto chiaramente la fine. Mi hanno perfino detto che non è improbabile che mi trattengano nel luogo di arrivo per penuria di ufficiali! E in tal caso se il provvedimento relativo alle scuole non sarà già cosa fatta mi toccherà rinunciarci chi sa per quanto tempo! Se non sarà per le scuole spero che sarà per qualche altra cosa di importante. Ma come vi ho già detto la cosa mi interessa e già vado immaginando e progettando programmi ed iniziative che credo vi sembreranno interessanti.
Nei momenti di ozio le vado stendendo queste idee e appena sarò un po’ più tranquillo, se lo sarò, ve le manderò un po’ per disteso. Intanto voi pensate a me, altrimenti addio Scuole e Compagnie ed ogni altra cosa che potrebbe accadermi di dover dirigere197.
Le intenzioni di D’Amico purtroppo non videro la luce e Costa fu costretto a continuare il suo servizio, durante il quale partecipò alla realizzazione di un teatrino di marionette per la Gioventù
Italiana del Littorio (GIL)198.
194 Cartolina di Orazio Costa a Silvio D’Amico, s.d., [06.1942], Museo Biblioteca dell’Attore di Genova. La cartolina è