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Oltre ai missionari apostolici, ai mercanti cristiani ed ebrei, e ad altri non musulmani liberi che vivevano stabilmente in Barberia, anche i consoli di vari paesi europei venivano coinvolti nella liberazione degli schiavi loro connazionali.120 Per questa ragione, il commercio dei captivi può rivelarsi un ottimo punto di osservazione anche per apprezzare la progressiva diffusione e l’affinamento di tecniche di comunicazione per la trasmissione di informazioni riservate e di ordini governativi tra le sedi consolari. Per intenderci, un po’ quello che oggi chiameremmo la trasmissione di dati “sensibili” e la captazione di informazioni e ordini politici affidate ai servizi segreti. La corrispondenza tra le due sponde del Mediterraneo era fittissima - lo era già tra Cinque e Seicento, ma lo divenne ancor più nel Settecento - e le vie di trasmissione delle informazioni erano molteplici, beneficiando a volte di canali ufficiali, a volte di surrettizi, a volte dando luogo a complicati

escamotages per sfuggire all’intercettazione da parte delle spie, sempre in agguato, delle potenze

nemiche. Nel febbraio del 1787, ad esempio, per inviare un dispaccio al Primo Ministro conte di Floridablanca, il console spagnolo ad Algeri dovette ricorrere all’intermediazione congiunta del capitano generale del porto di Cartagena e del capitano di un mercantile che doveva recarsi a Bona, tale Andrés Escudero. Questi, come ammise lo stesso console, era

el único de quien me puedo fiar, para que mis pliegos no sean interceptados, y le despacho sin que lo sepa el conde de Expilly, con pretexto de que va à cargar à Bona. Súplico à V.E. que cuanto antes sea posible se sirva dirixirme las respuestas por medio del Capitan general de Cartagena, quien mandará al citado Escudero se restituya con ellas à este Puerto.121

119 Ancora la Rozen afferma: « Guidelines were nonetheless instituted that limited the size of the ransom paid for captives in order to prevent a situation where Jewish prisoners would become too desirable a commodity. Already in the Mishnah [ uno dei testi sacri per la religione ebraica, databile intorno all’anno 200 dell’era cristiana ] it is stated: “Prisoners should not be redeemed for unreasonably high ransoms, for the protection of society” - that is, to avoid burdening the community excessively, or encouraging future kidnappings ». Cfr. Minna Rozen, The Mediterranean in the Seventeenth Century cit., p. X.

120 Aurora Romano, Schiavi siciliani e traffici monetari nel Mediterraneo cit., p. 275.

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Il tema della formazione e dello sviluppo dei rapporti diplomatici tra le due sponde del Mediterraneo ha ultimamente attirato in modo crescente l’attenzione degli storici. Analizzando il caso di Algeri nel decennio 1670-1680, con particolare riguardo ai complessi negoziati intrattenuti dalle due parti per i riscatti di captivi, Guillaume Calafat ha recentemente sostenuto che, «qu’elles soient pacifiques ou conflictuelles, les relations entre pays chrétiens et pays musulmans en Méditerranée ont progressivement façonné un ensemble de pratiques et de normes diplomatiques communes». A partire dalla seconda metà del XVII secolo, una serie di trattati di pace e di libera navigazione vennero stipulati tra alcuni Stati cristiani (Francia, Inghilterra, Province Unite, Regno di Napoli) e le Reggenze ottomane di Tripoli, Tunisi e Algeri - trattati che peraltro avevano durata temporanea e che spesso furono disattesi. Pur nondimeno, essi avrebbero favorito, secondo Calafat, il progressivo sviluppo della diplomazia internazionale nel Mare interno - grazie anche all’inserzione di clausole specifiche riguardanti il riscatto dei prigionieri - e, più in generale, l’individuazione di un insieme di «normes partagées du droit de la paix et de la guerre».122

Quanto detto nel capitolo precedente a proposito della comune griglia di valori e dell’esistenza di pratiche mercantili e sociali condivise, si applica anche al terreno della diplomazia e dei rapporti economico-finanziari, fatti entrambi di regole scritte e non scritte, in ogni caso condivise. È innegabile, infatti, che le relazioni tra paesi cristiani e paesi musulmani nel Mediterraneo, fossero esse pacifiche o conflittuali, abbiano progressivamente creato un insieme di pratiche e di norme diplomatiche comuni. Il numero considerevole di trattati di pace e di commercio conclusi tra i sovrani europei e quelli del Nord Africa testimonia, d’altra parte, la lunga storia condivisa degli scambi economici e delle negoziazioni commerciali, politiche e militari tra le due sponde del Mediterraneo. Tali trattati, che avevano una durata media che poteva variare dai cinque ai quindici anni, regolavano il funzionamento dei funduq, i privilegi economici e la presenza di basi europee nei porti e nelle città mercantili del Nord Africa, nell’intento di regolare il commercio e la navigazione. E, a conferma del nostro discorso, man mano che la guerra da corsa s’intensificava nel Mediterraneo, quei trattati cominciarono ad includere, con sempre maggior frequenza, clausole concernenti lo scambio e il riscatto dei captivi.123 Nel 1751, ad esempio, la Reggenza di Tunisi pretese 1.300 schiavi mori, da qualsiasi parte d’Europa, per scambiarli con le centinaia di abitanti cristiani dell’isola di Tabarca che da oltre dieci anni erano tenuti schiavi nella città maghrebina. Si incaricò di negoziare lo scambio il re di Sardegna (costituito nel 1748), che l’anno precedente aveva firmato proprio con il bey di Tunisi

122 Cfr. Guillaume Calafat, Les interprètes de la diplomatie en Méditerranée. Traiter à Alger (1670-1680), in Dakhlia et Kaiser (sous la direction de), Les musulmans dans l'histoire de l'Europe, vol. II., pp. 371-410.

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un trattato di pace che includeva tra le sue clausole lo scambio dei prigionieri tra le due parti.124

Insomma, come si è cercato di mostrare, proprio la negoziazione tra schiavitù e ritorno in libertà giocò un ruolo strategico nella creazione di quello spazio condiviso, come e forse più che altre relazioni commerciali, al pari delle consuetudini marittime, di quei saperi e usanze comuni alle genti rivierasche e degli spostamenti di popolazione che nel tempo hanno forgiato il mondo mediterraneo.

2.6 «Charitable par compassion, intraitable par obligation»

Gli intermediari del riscatto

Come è già stato largamente anticipato, il commercio dei captivi nel Mediterraneo di età moderna non solo servì a foraggiare l’economia delle principali città barbaresche e ad alimentare ulteriormente la guerra di corsa, ma fu anche occasione di guadagno per una pletora di intermediari, tanto individuali quanto istituzionali. Solo per il caso di Malta Anne Brogini ha individuato una molteplicità di attori e di istituzioni che controllavano l’affare delle redenzioni e dello scambio di schiavi e ha mostrato come alcuni di essi agissero a livello personale, mentre altri erano organizzati in vere e proprie società di affari.125 Ciò non deve sorprendere: infatti, a partire dalla metà del XVI e fino a tutto il XVII secolo,

Malta fu uno dei più importanti centri di riscatto degli schiavi nel Mediterraneo, e la presenza sull’isola di intermediari specializzati nel riscatto fu una costante durante quasi l’intero periodo. Questi intermediari si occupavano sia di riscattare ebrei e musulmani che si trovavano schiavi sull’isola - i secondi soprattutto in conseguenza delle azioni di guerra da corsa praticata dai Cavalieri di Malta - sia di organizzare riscatti di captivi cristiani in terra d’Islam. È interessante notare che, se nella maggior parte dei casi si trattava di personale «specializzato», tanto laico (come i mercanti o i corsari stessi), quanto religioso (l’Ordine stesso, o ancora le confraternite votate alla redenzione), in alcuni casi tali intermediari potevano anche essere degli «anonimi». Il caso più frequente in questo senso era quello in cui a svolgere il ruolo di mediatori o «agenti del riscatto» erano proprio gli stessi schiavi, che venivano inviati dal loro padrone a raccogliere le somme necessarie al loro proprio riscatto, o a quello dei loro familiari.

124 BNE, Ms. 2727, cc. 71 r-v.

125 Anne Brogini, Intermédiaires de rachat laїcs et religieux à Malte aux XVIe et XVIIe siècles, in Wolfgang Kaiser (a

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Le modalità utilizzate dagli intermediari del riscatto maltesi erano anch’esse molto variabili, a seconda che si trattasse di intermediari individuali ovvero di «specialisti», laici o religiosi. In questo secondo caso, soprattutto, le procedure del riscatto prevedevano luoghi specifici destinati alla raccolta dei fondi e il ruolo degli intermediari era assai variegato: si andava dai «bailleurs de fonds» agli «intermédiaires accompagnateurs», ai semplici «transporteurs de fonds».126

In ogni caso, di norma tutti gli intermediari, di qualunque tipo fossero, percepivano una commissione per il ruolo da essi giocato nel riscatto degli schiavi: tale commissione veniva contabilizzata nella somma finale del riscatto che lo schiavo versava o rimborsava. Essa riguardava in via prioritaria l’intermediario principale, ma poteva anche essere condivisa con gli intermediari secondari o con tutte le persone che avessero a vario titolo aiutato o fornito appoggio alla transazione. In media, tale commissione raggiungeva il 10% della somma del riscatto (a volte più, a volte meno). Anche lo stesso Ordine dei Cavalieri di Malta non esitava a prelevare percentuali consistenti in occasione di ogni riscatto, cumulando spesso commissione e beneficio.127

Soprattutto nei casi in cui gli intermediari erano mercanti, creditori o affaristi che agivano su base individuale (casi che supponiamo essere stati di gran lunga maggioritari, in accordo con la bibliografia più recente128), le reti formali ed informali di credito e di fiducia che permettevano al denaro di circolare fisicamente o virtualmente e di giungere, infine, a destinazione (il padrone) si complicavano. A volte la trasmissione del denaro e delle impegnative al riscatto poteva seguire vie traverse, dipendendo dalle connessioni che mercanti e uomini d’affari stabilivano, per i loro traffici, tra luoghi distanti l’uno dall’altro, e così il denaro viaggiava sfruttando le reti commerciali e di credito da Smirne a Marsiglia, da Livorno a Tunisi, dalla Sardegna al Levante. Ad esempio, per contribuire al riscatto di Geronimo de Pasamonte, schiavo a Rodi alla fine del Cinquecento, il sacerdote sardo Bartolomeo Perez aveva fatto arrivare da Nuoro 150 scudi d’oro «por via de mercaderes» a Chio, dove li aveva consegnati a tale Sobastopoli, dottore in legge, mentre dalla Spagna Don García de Toledo gli fece arrivare altro denaro «por vía de espías».129

Più in generale, possiamo affermare che, sebbene alcuni intermediari si approfittassero dei captivi, la maggioranza di questi ultimi restavano «soddisfatti del loro servizio». Inoltre, non bisogna

126 Anne Brogini, Intermédiaires de rachat laїcs et religieux à Malte aux XVIe et XVIIe siècles cit., pp. 47-57.

127 Ivi, pp. 56-57.

128 Giovanna Fiume, Redimir y rescatar en el Mediterráne moderno; Bernard Vincent, Procédures et réseaux de rachats

de captifs dans l’Espagne des XVIe-XVIIe siècles; Sadok Boubaker, Réseaux et techniques de rachat des captifs de la course à Tunis au XVIIe siècle; Wolfgang Kaiser, Introduction; gli ultimi tre in W. Kaiser (a cura di), Le commerce des captifs cit.

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dimenticare che gran parte di questi captivi non avevano dei familiari che potessero inviare loro il denaro per il proprio riscatto, né in contanti né per via di lettere di cambio. In questi casi, alcuni captivi riuscivano ad accordarsi con il loro padrone sul fatto che il pagamento del riscatto sarebbe avvenuto soltanto una volta che questi fossero stati ricondotti alla propria città. Naturalmente, di fronte al rischio che questi captivi potessero fuggire prima di pagare il riscatto e, comunque, a causa della dilazione nei tempi del pagamento, i prezzi del riscatto con questi tipi di accordi si innalzavano: così, ad esempio, il padrone di Emmanuel D’Aranda gli offrì la possibilità di pagare per la sua liberazione o 500 patacche subito (ad Algeri) oppure 2.000 patacche a Livorno.130

Si è detto nel capitolo precedente del ruolo giocato dagli intermediari del riscatto operanti nell’isola di Tabarca, possedimento genovese (sebbene, di fatto, quasi proprietà privata delle famiglie Lomellini e Girmaldi), e del particolarissimo network del riscatto degli schiavi facente capo a famiglie europeo- barbaresche, composte da mercanti genovesi, marsigliesi e rinnegati tunisini. Erano proprio questi ultimi a fornire alla Repubblica ligure i contatti ed il servizio di mediazione necessari per negoziare i riscatti dei suoi cittadini, percependo naturalmente un compenso, sotto forma di emolumenti o di una percentuale sulle transazioni. Peraltro, contrariamente a quanto potremmo aspettarci, non fu solo il

Magistrato del Riscatto di Genova, impegnato nella liberazione di captivi sudditi della Repubblica, a

servirsi di tale mediazione, ma anche le confraternite di altre città, a dimostrazione del fatto che ci troviamo di fronte a una rete di interessi e di scambi economici in cui i mediatori agivano come professionisti del riscatto. Ad esempio, l’Arciconfraternita palermitana di Santa Maria la Nova, votata al riscatto dei captivi siciliani, dava queste istruzioni ai suoi deputati:

Mandare il denaro in Tabarca per via di Genova alli signori Lomellini, padroni di Tabarca, ove lo trasferissero; i quali poi commettessero al governatore di detta fortezza, che egli andasse riscattando li cattivi, che dall’Arciconfraternita gli saranno dati in lista. Al detto governatore sarà necessario dare le sue ragioni, e provvisioni al modo mercantile del tre per cento. Lo stesso deve rimandare a noi i ricattati con barca sicura, o salvocondotto, in modo che non patiscano pericolo alcuno di corsari.131

Emerge, insomma, con ogni evidenza la commistione fra movente economico e religioso nell’affare delle redenzioni di schiavi e, soprattutto in determinati casi (a Tabarca, ad esempio, ma non solo), l’intreccio di interessi, in una stessa operazione, di attori appartenenti ai due mondi solo

130 Daniel Hershenzon, Las redes de confianza y crédito en el Mediterráneo occidental cit., p. 138.

131 Achille Riggio, Tabarca e il riscatto degli schiavi in Tunisia (1593-1702), in «Atti della Deputazione di Storia patria per la Liguria», vol. III, 1938, p. 272.

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apparentemente opposti, quelli dell’una e dell’altra sponda del Mediterraneo. «L’intrico fra beneficienza e guadagno», fra interessi dei cristiani e interessi di rinnegati e barbareschi risulta quindi molto stretto e la situazione «moralmente assai delicata».132 In effetti, ci troviamo di fronte alla

situazione quasi paradossale per cui le stesse persone che facilitavano i riscatti e permettevano ai prigionieri di tornare nei loro paesi, traevano al tempo stesso buoni introiti da questa trattativa, se non erano addirittura essi stessi - nel caso dei rinnegati - autori della razzia.

Sebbene il ricorso ad agenti ed intermediari specializzati sia stato ben più frequente da parte delle deputazioni statali e delle confraternite locali votate al riscatto dei propri concittadini, esso non fu, tuttavia, una caratteristica esclusiva di questi operatori del riscatto e coinvolse, seppur in modo assai meno ampio e più limitato nel tempo, anche gli Ordini religiosi redentori principali. Infatti, contrariamente a quanto affermato da Garí y Siumell, che difendeva - ed esaltava - l’azione diretta dei religiosi per l’invio e la negoziazione dei riscatti di captivi in terra d’Islam, sappiamo che in diverse occasioni anche i Mercedari e i Trinitari fecero uso di intermediari per il riscatto. Ciò si verificò soprattutto nel primo quarto del secolo XVII, dopo che una missione di Trinitari ad Algeri si era risolta in un disastro, poiché a causa di un torto subìto da uno dei personaggi influenti della Reggenza, per ritorsione i frati erano stati imprigionati e tenuti in ostaggio nella città per oltre un decennio e, alla fine, vi trovarono la morte.133 Così, per molti anni Trinitari e Mercedari decisero di appoggiarsi all’intermediazione di mercanti e creditori, in particolare di mercanti ebrei con basi tra Algeri, Tetuán e Ceuta. Secondo alcuni, le circostanze eccezionali dei primi decenni del secolo XVII fecero sì che, sebbene non ne fossero minimamente entusiasti, né fossero convinti della «moralità» di tale modus operandi, ad un certo punto ai religiosi dei due Ordini redentori fu chiaro che essi non potevano prescindere dall’intermediazione e dall’aiuto di questi «go-betweens».134

132 Lucetta Scaraffia, Rinnegati cit., pp. 23-24.

133 Torneremo su questo episodio nelle pagine seguenti.

134 Scrive Hershenzon: « Once go-betweens were formally charged with the task of negotiating and executing ransom in Algiers on behalf of Trinitarians and Mercedarians, they came to control a greater portion of ransom deals. The Orders recommenced sending expeditions to Algiers on a regular basis only in 1627. Until then, they were completely dependent on go-betweens for. Members of the Orders knew they could do little without the help of intermediaries and often expressed their discomfort about it. Referring to the Jewish merchants’ offer to bring captives from Tétouan to Ceuta, where the friars resided and kept their money, the Mercedarian Pedro Ortiz de Loyando wrote: «It does not seem

advisable, nor will it ever be, that the redemptions would be executed by intermediaries, especially not by Jews».

Similarly, the pamphlets that the Orders printed and circulated, which praised their redemptive work, also diminished and indeed silenced the degree to which they were dependent upon local intermediation. Ortiz de Loyando, however, knew that he and his fellow Mercedarians were incapable of ransoming captives independently of these go-betweens ». Daniel Hershenzon, Early Modern Spain and the Creation of the Mediterranean cit. ( Tesi di dottorato ), p. 241.

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L’economia del riscatto nel Mediterraneo di età moderna ebbe, dunque, come conseguenza collaterale la contaminazione «dei più nobili moventi della carità e della pietà cristiana» con logiche puramente mercantili di interesse e di profitto. E, si badi, ad ammetterlo furono perfino gli stessi religiosi redentori. Quando, nel 1652, i Mercedari francesi di Tolone sporsero una petizione ai consoli di Marsiglia per chiedere un ospizio più comodo in quella città, si scontrarono con l’opposizione dei Trinitari e di altri individui a vario titolo legati alla macchina dei riscatti. Alla fine essi riuscirono ad installarsi a Marsiglia grazie al sostegno ricevuto dal governatore, ma è interessante notare che nella loro petizione i padri della Mercede avevano espresso un’argomentazione che toccava al cuore la questione della detta contaminazione di sacro e profano. Fare passare il denaro necessario al riscatto dei captivi per Marsiglia, sostenevano i frati, costituiva una occasione di arricchimento per i mercanti della città,

comme desia plusieurs Marchands l’ont recogneu que du Commerce dudict argent la ville en retire de tres grands avantages soit en l’achapt des marchandises qui se faict par les deniers desdictes questes, soit aux asseuretés qui se payent à la loge, soit aux proffits qui reviennent aux Marchants qui en font la vente aux ports de la barbarie, soit en ce que les [dicts] Religieux seront toujours pretz d’aller en ce pays d’infidelles exposer leur propre personne au soulagement mesme des Esclaves de la Ville.135

Nella loro lamentela, dunque, i padri redentori della Mercede associavano il lavoro e il sacrificio, il beneficio delle anime e quello della borsa: forse un «caso particolare - si chiede sarcasticamente Kaiser - di partita doppia?».136

Insomma, da quanto detto fin qui emerge chiaramente come le due figure che giocarono ruoli antitetici nell’ambito dell’economia del riscatto mediterranea di età moderna non furono quella del cristiano e del musulmano, reciprocamente impegnati in una «guerra santa» l’uno contro l’altro, bensì quella del

captivo, da un lato, e quella del redentore o dell’intermediario del riscatto, dall’altro. Il captivo (assir)

appare in una condizione differente a quella dello schiavo (abd). La linea di confine che separava i due status era certamente assai tenue, ma la sua esistenza aveva almeno una giustificazione: appunto, il riscatto. L’intermediario, a sua volta, non va confuso con il «negriero», il trafficante di schiavi neri (nella quasi totalità provenienti dall’Africa sub-sahariana) che riforniva di manodopera le piantagioni americane e che fu alla base del noto modello di sfruttamento schiavile atlantico, attivo tra la fine del

135 Archives Communales de Marseille, GG. 108, cit. in Wolfgang Kaiser, Les «hommes de crédit» dans les rachats de

captifs provençaux (XVIe-XVIIe siècles), in Id. (a cura di), Le commerce des captifs cit., pp. 318-319.

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Seicento e la prima metà dell’Ottocento. Ciò non toglie che anche gli intermediari del riscatto mediterranei considerassero i captivi, in un modo o in un altro, come «un objet négociable».137

L’iniziativa privata nei riscatti

Come si è visto, i governanti degli Stati europei furono spesso coinvolti nelle operazioni di riscatto, che implicavano l’invio di lettere e il mantenimento di stabili relazioni diplomatiche con le autorità