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Relazioni familiari

Nel documento Caserma Pepe (pagine 81-86)

CAPITOLO 3 RELAZIONI

3.4 Famiglia Pepe

3.4.2 Relazioni familiari

In antropologia non esiste una definizione univoca di cosa sia l’amicizia (Killick, Desai, 2010). Il significato che essa ha nella vita sociale degli individui varia nel tempo e nello spazio (Beer, Gardner, 2015: 425), per cui non è possibile definirla come concetto a sé stante e occorre sempre inquadrarla nel contesto in cui nasce e si realizza. Secondo Daniel Mains (2012), per esempio, l’amicizia è una

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categoria flessibile, e le persone possono formare o sciogliere relazioni di amicizia. Per l’antropologo americano l’ambiguità di questo tipo di rapporto è ciò che lo contraddistingue dagli altri (337). Tra le persone che hanno continuato a frequentare la ex caserma anche dopo la fine di Esperienza Pepe si era indubbiamente instaurato un rapporto di amicizia. Ci legava un sentimento di affetto, passavamo del tempo insieme per divertirci, e ci definivamo amici. Quando è mutato il contesto in cui si sviluppavano le dinamiche relazionali del gruppo, è cambiata anche la loro natura, soprattutto tra chi viveva in Casa Rossa. Nonostante l’estate fosse finita, quello che avevamo condiviso in Pepe, unito alla convivenza, aveva formato dei rapporti che, per come li stavamo vivendo, erano del tutto simili a quelli familiari. Il gruppo che continuava a frequentare la Casa Rossa era eterogeneo da più punti di vista – come età, occupazione o interessi personali – eppure il fatto di aver condiviso la Pepe per un certo periodo ci accomunava e faceva di noi un gruppo unito.

Marshall Sahlins ha descritto la parentela come “mutualità dell’essere”, e i parenti come “persone che si appartengono l’un l’altra […], che sono presenti l’una nell’altra, le cui vite sono legate e interdipendenti” (2011:2). Vivere insieme, condividere cibo ed esperienze, come stavamo facendo noi, sono alcuni dei modi in cui questa mutualità si realizza (2011:5). Ormai non ci consideravamo più solo amici, avevamo iniziato a definirci una famiglia, perché ci prendevamo cura l’uno dell’altro come accade in un nucleo familiare. Il 21 novembre a Venezia si celebra la Madonna della Salute mangiando castradina con i parenti. Abbiamo deciso di trascorre insieme questa festività organizzando una cena in Casa Rossa perché, come ha detto Giulia Mazzorin: “È una festa che va trascorsa in famiglia”. Quando qualcuno di noi stava male, gli altri si preoccupavano e cercavano di essere d’aiuto, se qualcuno tardava per la cena, lo si chiamava per chiedere quando sarebbe tornato e se servisse lasciargli da parte qualcosa da mangiare. La vicinanza che provavamo era sia fisica, sia emotiva: non solo abitavamo insieme, ma stavamo anche vivendo un’esperienza che era possibile solo in quel luogo e in quel momento. I nostri legami erano per noi unici e irripetibili, e solo le persone con cui avevamo condiviso lo spazio potevano comprendere ciò che stavamo provando. Sabrina Tosi Cambini (2004), parlando degli abitanti della Stazione di Firenze, ha definito “sentimento” il legame che esiste tra di loro. Esso è “comprensione e affetto” e si basa sull’esperienza della solitudine che ciascuno di loro aveva provato prima di

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incontrarsi (158-159). Sapere cosa l’altro ha passato rende più facile la connessione, per cui la relazione che si crea è percepita come più forte e significativa: condividere le difficoltà le rende più facili da sopportare. Quando la sera tornavamo a casa stanchi per la giornata passata in Pepe, ad aspettarci c’erano persone che sapevano quello che stavamo provando, perché lo stavano vivendo con noi, per cui la comprensione era immediata.

Condividere la quotidianità era diventato così spontaneo da rendere normale anche vivere in una casa che soffriva le conseguenze del lungo periodo in cui era rimasta disabitata. Nonostante quasi tutti avessimo una sistemazione alternativa, abbiamo deciso di rimanere perché ormai quel luogo era diventata casa nostra: lì c’era la nostra famiglia, perciò lì dovevamo essere anche noi, quindi invece di andarcene abbiamo cercato di adattarla alle nostre esigenze. Con il passare del tempo e, soprattutto, quando si è delineato in maniera definitiva il gruppo di persone che viveva in Casa Rossa, ogni stanza ha iniziato ad assumere un aspetto sempre più riconoscibile, perché con la nostra presenza stavamo dando loro un’identità. La casa non è solo un posto in cui si sta, è anche uno spazio creativo, in cui un considerevole impegno è sempre rivolto a modellare l’ambiente in cui si svolge la vita domestica (Allan, Crow, 1989: 10). È significativo il fatto che tutto ciò che aggiungevamo alla Casa Rossa provenisse dalla ex caserma – dove mobili, elettrodomestici e utensili non servivano più – perché questo sottolineava che nonostante lo spazio fosse cambiato, non mutava la voglia di continuare a stare insieme. Spostare dalla Pepe ciò che era utile per abitare un altro spazio significava simbolicamente che le relazioni tra noi potevano continuare anche altrove. In quel momento si trattava di un trasloco temporaneo, in attesa di ricominciare a lavorare nell’edificio dopo l’inverno, tuttavia abbiamo dovuto ripeterlo in maniera definitiva anche qualche mese dopo, quando l’abbiamo svuotato per restituirlo al Demanio in seguito all’esito del bando per il suo utilizzo temporaneo. Perdere lo spazio in cui si erano sviluppate tutte le nostre relazioni ha rischiato di comprometterle, perché ha rotto tutti gli equilibri che vi avevamo costruito. Non solo l’“Organizzazione Pepe”, ma anche la sua comunità e la nostra famiglia sono state messe a dura prova da una situazione in cui speravamo di non doverci mai trovare. Come vedremo nel prossimo capitolo, alcuni rapporti che sembravano stabili si sono incrinati, mentre altri sono rimasti invariati, o si sono addirittura rafforzati grazie alla condivisione

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di un evento – cioè l’abbandono della Pepe – che è stato difficile sia dal punto di vista emotivo, sia da quello fisico.

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1. Avviso di gara per l’assegnazione della ex Caserma

Nel documento Caserma Pepe (pagine 81-86)