Con il termine delle ostilità prese subito piede il desiderio di vendicarsi dei soprusi e delle violenze dei fascisti. Questa brama di rivalsa si condensò, nei giorni a cavallo tra l’aprile e il maggio del 1945, in una sanguinosa serie di rese dei conti:
Nel corso dell’insurrezione e nei giorni immediatamente successivi numerosi sono stati gli atti di giustizia sommaria compiuti da elementi partigiani su persone che risultavano gravemente compromesse con il regime fascista repubblicano. Nella sola provincia di Bologna, ad esempio, i morti furono più di 500, e ancora verso la metà di maggio, stando ad un rapporto del console generale americano, i corpi che venivano rinvenuti ogni mattina nelle strade di Genova erano mediamente una decina293.
Nella sola Reggio Emilia, nell’ultima settimana di aprile, furono fucilati 266 fascisti
appartenenti alle BN e alla GNR294. In determinate zone dell’Italia Settentrionale si formarono
addirittura delle squadre volanti, composte per lo più da ex partigiani, che si spostavano da una località all’altra al fine di giustiziare gli ex sostenitori del regime fascista; queste “compagnie della morte” furono attive fino alla fine degli anni Quaranta295. Con il
progressivo consolidamento dell’autorità statale si ebbe un rapido ritorno alla normalità e un contemporaneo crollo di questi fenomeni di epurazione sociale; le vittime di questa ondata di giustizia sommaria furono circa 10.000296.
La resa dei conti nei confronti degli ex fascisti proseguì, comunque, su altre vie. Moltissimi furono licenziati dai comitati aziendali mentre altri, ma spesso gli stessi, finirono difronte a tribunali popolari o a corti di giustizia militari dipendenti dalle formazioni
partigiane, create appositamente e con durata limitata, per giudicare i reati di collaborazionismo con i tedeschi. I processi di questi organi collegiali furono però
generalmente poco meticolosi sul piano formale in quanto erano soliti non riconoscere alcun diritto di difesa agli imputati297. Ad Asti, per esempio, tra il 26 aprile e il 3 giugno 1945
293 H. Woller, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia 1943-1948, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 374. 294 G. Focardi-C. Nubola, Nei tribunali: Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell'Italia
repubblicana, Il Mulino, Bologna, 2016, p. 146.
295 Woller, I conti con il fascismo, cit., p. 379. 296 Ivi, p. 390.
furono giudicati 55 «tra i più noti criminali fascisti» ed inflitte 24 pene capitali; 19 delle quali furono realmente eseguite298. Il problema di fondo di questa tipologia di tribunali era
intrinseco alla loro natura: non erano stati concepiti come strumenti per amministrare giustizia ma come un'ennesima arma epurativa in mano ai CLN.
Queste corti furono sostituite tra maggio e giugno 1945 dalle corti d’assise straordinarie, presiedute da un giudice scelto dalla corte di appello competente per il territorio in questione. Nacquero con l’obiettivo di “smaltire” il maggior numero di procedimenti pendenti nel giro di sei mesi; dopo questo periodo sarebbero state infatti sciolte. Tali nuove entità giuridiche fecero fronte, così, a innumerevoli denunce e centinaia e centinaia di imputati comparvero davanti alle corti le quali emanarono numerose e pesanti sentenze, comprese molte condanne alla pena capitale299. I rigidi verdetti delle corti miravano, soprattutto, a soddisfare il
desiderio di giustizia delle masse: nei primi mesi dopo la Liberazione i processi penali a carico di famosi fascisti erano estremamente seguiti dalla popolazione la quale sperava, e premeva, di vedere esaudita le proprie aspettative di rivincita. L’assoluzione dell’imputato non era assolutamente concepita. Per questo motivo, spesso, furono condotte indagine poco approfondite e i testimoni chiamati dalla difesa, se non lo stesso avvocato difensore300,
venivano sommersi di offese e fischi quando chiamati a deporre o a perorare la causa del reo. Tale sentimento di rivalsa arrivò a contagiare gli stessi giudici i quali spesso, al fine di accontentare la folla, deposero le loro vesti di garanti permettendo lo svolgimento di processi non perfettamente conformi al diritto penale e alla legge301.
Le corti d’assise straordinarie prevedevano, a differenza delle istituzioni giuridiche speciali precedenti, la possibilità da parte dell’imputato di impugnare il verdetto in
Cassazione302. Moltissime sentenze furono annullate da quest’ultima in quanto considerate
frutto della pressione popolare o del clima politico presente al momento del processo. La stessa condotta giuridica dei magistrati fu spesso considerata d’ostacolo alle garanzie processuali dell’incriminato e ritenuta foriera di condanne non eque 303. I processi invalidati
dalla corte suprema furono eseguiti nuovamente presso corti d’assise dell’Italia centrale, come Perugia e Potenza. Il clima in queste zone era ben più disteso rispetto a quello dell’Italia settentrionale. Qui le ferite dovute alle azioni dei nazifascisti erano relativamente meno 298 M. Franzinelli, L’amnistia Togliatti, 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Milano, Feltrinelli, 2016, p.
20.
299 Tra maggio e metà agosto 1945 si tennero 10.028 processi. All’alto numero di condanne alla pena capitale
inflitte corrispose solitamente un basso numero di fucilazione. Questo fenomeno era fondamentalmente dovuto ai ricorsi che furono presentati in Cassazione dai condannati e alla difficoltà di formare i plotoni d’esecuzione in quanto, molto spesso, i carabinieri ed i militari si rifiutarono di farne parte. Cfr. Franzinelli, L’amnistia Togliatti, cit., p. 23.
300 Focardi-Nubola, Nei tribunali, cit. p. 59. 301 Woller, I conti con il fascismo, cit., p. 413.
302 In vista del gran numero di ricorsi che sarebbero sicuramente prevenuti dalle regioni settentrionali fu istituita
a Milano una sezione speciale della Corte di Cassazione. Franzinelli, L’amnistia Togliatti, cit., p.30.
profonde rispetto alle regioni a Nord della Linea Gotica; non era presente un desiderio di rivalsa e di giustizia forte e sentito come nelle zone settentrionali. L’empatia nei confronti delle vittime e i drammi della Resistenza non ebbero nelle aule di tribunale dell’Italia centrale lo stesso effetto, e lo stesso peso, sui verdetti giuridici: molto spesso, presso le corti d’assise scelte dalla Cassazione, si ebbe il ribaltamento del verdetto della corte d’assise straordinaria e la riabilitazione, in termine legali, dell’imputato.
Il 5 ottobre 1945, allo scadere del loro ciclo vitale, le corti d’assise straordinarie, visto anche il gran numero di processi ancora da discutere, furono rinnovate, eccezionalmente, per altri dodici mesi e trasformate in “sezioni speciali” con competenza su tutto il territorio nazionale.
Tali istituti giuridici, presentati da Togliatti come elementi di un’ulteriore
intensificazione dell’attività giudiziaria contro i criminali fascisti304, continuarono ad operare
in un contesto dove, però, il “clima di epurazione” stava però andando ormai scemando305. Il
desiderio, perorato soprattutto dalla componente moderata del Governo306, di ritorno ad un
clima di normalità stava andando, infatti, gradualmente soppiantando la brama di punire i fascisti. Lo stesso 5 ottobre 1945 fu posta fine all’Alta corte di giustizia, ideata un anno prima dal governo Bonomi (27 luglio 1944) con il compito di giudicare i fascisti più famosi e coinvolti con il Regime. L’Alta corte non era mai entra realmente in attività in quanto la maggior parte delle personalità di spicco del fascismo era stata fucilata durante i giorni dell’Insurrezione Generale oppure erano state processate dalle corti d’assise straordinarie davanti alle quali erano stati condotti una volta catturate.
Il 14 novembre 1945 fu varato un nuovo decreto inerente all’estromissione dei fascisti dalla pubblica amministrazione. La “legge Nenni”, dal nome dell’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo che la ideò, permise di mettere sotto inchiesta i funzionari statali dal I al VII grado e, nel caso, di licenziarli se il loro background politico fosse stato
incompatibile con il nuovo stato democratico. I gradi inferiori dell’amministrazione furono invece fondamentalmente amnistiati anche nei casi in cui avessero aderito alla Repubblica Sociale e rivestito ruoli di rilievo in essa. Furono circa 1370 gli alti funzionari che dovettero abbandonare il proprio posto di lavoro307.
304 «Il legislatore ha voluto con tali norme porre fine rapidamente allo stato di malcontento che esiste in molte
province per l’impunità di cui tuttora godono i criminali fascisti e i responsabili della catastrofe nazionale nonostante la esistenza di leggi penali che prevedono la loro punizione». Cfr. Franzinelli, L’amnistia Togliatti, cit., p. 25.
305 Nonostante tutto, tra il 1945 e il 1947, furono quasi 30.000 i processi nei quali, un numero ancora più grande
i fascisti e collaborazionisti, dovettero comparire. Le condanne capitali, solo in piccola parte eseguite, furono circa 1.000 mentre migliaia furono i verdetti inerenti a lunghe pene detentive. Cfr. Woller, I conti con il fascismo, cit., p.419.
306 Soprattutto la componente cattolico-moderata si stava adoperando al fine di ritornare al più presto possibile
ad un clima di normalità. Lo stesso Pio XII aveva negativamente commentato l’operato delle corti d’assise straordinarie e la facilità, secondo lui, con cui veniva emanata la pena di capitale. Cfr. Ivi, p. 422.
Il 22 giugno, infine, fu varato un nuovo decreto che prese il nome dal guardasigilli Togliatti, Ministro di Grazie e Giustizia e suo ideatore. Questo provvedimento prevedeva che le pene capitali venissero commutate in ergastoli, l’incarcerazione a vita in detenzioni di trent’anni; le pene superiori ai cinque anni dovevano essere invece ridotte di un terzo mentre quelle inferiori cancellate. Era inoltre previsto che non si dovesse legalmente procedere contro coloro che avevano compiuto “reati politici”, partigiani compresi. Coloro che invece avevano commesso stragi, atroci violenza e sevizie particolarmente efferate «la cui traccia è ben lungi dall’essere stata cancellata e che quindi devono continuare ad essere puniti con tutto il rigore della legge»308. Questa definizione lasciò spazio alle più libere interpretazioni del decreto
consentendo a numerosi e famigerati fascisti di impugnare la causa in Cassazione e di ribaltarne il verdetto.