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La Toscana fu tra le regioni italiane che pagarono maggiormente, in termini di sangue, l’occupazione nazifascista nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La stessa Lucchesia fu luogo di una delle più efferate stragi compiute dall’esercito tedesco in Europa occidentale: a Sant’Anna di Stazzema, il 12 agosto 1944, i soldati della XVI Divisione “Reichsführer SS”

furono gli autori di un massacro che comportò la morte di 394 persone; per lo più anziani, donne e bambini221. Questa operazione ricadeva nel ciclo di attività di “lotta alle bande222

portata avanti dal comando tedesco, a partire dal mese di agosto 1944, in vista del riposizionamento dell’apparato difensivo germanico sulla Linea Gotica. A queste attività di ripulitura delle retrovie parteciparono soventemente anche i fascisti repubblicani in veste di guide, delatori e fornendo, in determinate circostanze, gli uomini per il plotone di esecuzione.

La violenza salodiana non fu però soltanto uno strumento o un’appendice di quella nazista ma ebbe una sua caratterizzazione ed una sua autonomia. Nel quadro provinciale analizzato da questo studio, l’attività repressiva portata avanti dalla Repubblica di Salò nel territorio lucchese durante i suoi 13 mesi di attività può essere fondamentalmente divisa in due fasi ben distinte: la prima, che va dall’avvento dell’ultimo fascismo in provincia fino al mese di giugno 1944; la seconda, che ha inizio con la militarizzazione del partito e termina con l’abbandono del territorio provinciale, verso metà novembre 1944, da parte degli uomini della XXXVI BN “Mussolini”.

Lo spartiacque di questa periodizzazione è il giugno 1944: durante questo mese si assistette infatti all’avvio delle grandi operazioni di ripulitura del territorio operate dalle forze tedesche in vista del ripiegamento. In concomitanza alle azioni di antiguerriglia si ebbe l’arrivo a Lucca di Utimpergher e la nascita della BN provinciale. Queste due componenti determinarono un vero e proprio cambiamento nelle manifestazioni di violenza da parte della Repubblica. Se fino a quel momento, essa, si era concretizzata attraverso l’operato del plotone di esecuzione, con l’arrivo dell’estate 1944 e del presentarsi dei suddetti elementi, essa si materializzò attraverso forme e modi ben diversi. Fino al mese di giugno 1944 le pene capitali e le punizioni più esemplari erano state inflitte mediante plotoni di esecuzione composti da militi della GNR locale e operanti su sentenza di un tribunale speciale. I condannati venivano condotti presso il muro perimetrale di un cimitero urbano e lì fucilati. I 221 http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=4908

222 M. Battini-P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro, Padova, Marsilio,

cadaveri dei giustiziati erano lasciati sul luogo del decesso, con il divieto più assoluto di essere spostati o seppelliti, al fine di essere utilizzati come simbolo della durezza e della inesorabilità della giustizia repubblicana.

Con la nascita e lo sviluppo della XXXVI BN, e il conseguente accentramento in essa di tutti i poteri repubblicani sul territorio, si passò ad una violenza del tutto diversa: essa non si manifestò più a seguito di un procedimento penale eseguito da un ente giuridico, capace di rivestire la condanna capitale con un alone di liceità. Le forme della giustizia repubblicana divennero più brutali, corporee ed arbitrarie. Sfruttando il fatto di esser l’unico corpo militare di Salò in Lucchesia e l’omertà dei camerati, Utimpergher ed i suoi uomini, furono protagonisti di efferate rappresaglie, brutali omicidi e personali rese dei conti. Il comportamento che i brigatisti della XXXVI tennero in provincia nei loro quatto mesi e mezzo di permanenza in zona fu del tutto privo di qualsiasi copertura giuridica e, per molti aspetti, simile a quello portato avanti dai loro camerati tedeschi nelle operazioni di ripulitura del territorio portate avanti proprio in quel periodo.

Prima fase: una violenza legalizzata

Con il ritorno del fascismo a Lucca, dopo i fatti del settembre 1943, i rappresentanti salodiani si mossero al fine di mostrare come la Repubblica fosse vitale e reale. Come abbiamo già mostrato precedentemente, sia Morsero che Piazzesi si adoperarono energicamente al fine di rimettere in piedi tutte le componenti (amministrazione, uffici leva, assistenza, etc) venuti inizialmente meno a seguito dell’Armistizio. Come nel resto dello stivale, anche in Lucchesi furono spesi innumerevoli sforzi al fine di contribuire, attraverso l’arruolamento dei giovani prescritti, alla ricostruzione del nuovo esercito e alla restaurazione della GNR locale, erede diretta dell’LXXXVI Legione “Intrepida” nella quale avevano militato numerosissimi fascisti lucchesi.

Sfogliando i numeri del “L’Artiglio”, il giornale del PFR della Lucchesia, ci si rende subito conto degli sforzi che le autorità e i vertici del partito misero in campo al fine di convincere il maggior numero di giovani, e non, ad imbracciare il fucile al servizio della Repubblica. Non passava numero senza che non comparisse un qualche articolo inneggiante all’arruolamento o alle capacità offensive mostrate dalle nuove truppe in addestramento in Germania. La stampa fascista provinciale fu molto attiva anche nella lotta contro il fenomeno degli imboscati, esentati dal servizio a seguito di fantomatiche problematiche mediche o grazie all’interessamento di qualche facoltoso parente. Molto inchiostro fu inoltre speso contro i “gagà”, giovani moralmente corrotti, più interessati ai vestiti e ai vizi che al servizio per la patria invasa. Al fine di convincere i giovani a rispondere positivamente ai bandi di leva

fu richiamata anche tutta l’epopea risorgimentale, pozzo inesauribile di esempi civici da impugnare all’occorrenza; gli stessi Mazzini, Garibaldi ed il loro spirito di sacrificio furono utilizzati come esempi positivi per i giovani abitanti della Repubblica.

Nonostante tutto questo attivismo non fu possibile raggiungere il numero di reclutati che le autorità repubblicane si aspettavano. Per fare un solo esempio estremamente indicativo del fenomeno della diserzione e della renitenza, in data 6 gennaio 1944, alla caserma Castracani di Firenze mancavano all’appello 70 giovani provenienti dalla Lucchesia223. Lo

stesso Piazzesi si era attivato in prima persona, nel novembre 1943, mediante una serie di circolari inviate ai podestà e ai commissari prefettizi della provincia nelle quali richiese il massimo impegno di ogni singolo funzionario repubblicano al fine di ottenere una presentazione totalitaria: per il Capo provincia «il successo della presentazione sarà il segno sicuro della ripresa nazionale, che deve essere conseguita con tutti i mezzi»224.

Visti gli esiti dei bandi e del mancato supporto da parte della popolazione civile i rappresentati governativi lucchesi risposero con draconiane misure ben prima che fosse varato il bando Graziani, con il quale venne sancita la fucilazione per renitenti e disertori. La giustizia repubblicana iniziò a far girare i propri ingranaggi nel dicembre 1943 con il primo episodio di fucilazione in provincia. Come citato precedentemente, la prima vittima dei plotoni di esecuzione della GNR fu Trento Benassi: accusato di renitenza, furto di bicicletta e protagonista di un conflitto a fuoco con i carabinieri intenzionati ad catturarlo. Arrestato a Barga il 5 dicembre fu condotto a Lucca dove venne condannato alla pena capitale da un tribunale speciale appositamente costituito. Così, il 6 dicembre, per la prima volta in Lucchesia, un plotone di esecuzione fascista entrò in azione: Benassi fu fucilato all’alba davanti al muro di cinta del cimitero di Lucca225. Il giornale del fascio repubblicano lucchese

presentò la notizia mediante un articolo dal significativo titolo di “Giustizia fascista226”. Ma l’esecuzione del giovane scosse profondamente l’opinione pubblica e fu utilizzata dai movimenti antifascisti per aizzare la popolazione contro il governo: furono infatti rinvenuti numerosi volantini di denuncia, sia a Viareggio che a Lucca, inerenti al «barbaro assassinio perpetrato dai nazi-fascisti» nei confronti del giovane di Camaiore e invitanti la popolazione a ribellarsi al giogo fascista227. Questo episodio fu il primo fatto di sangue di matrice

prettamente fascista in provincia, che concretizzò il clima di guerra civile anche in Lucchesia. Successivamente a questo evento, il plotone di esecuzione rimase inattivo fino al varo del bando Graziani del 22 febbraio 1944 dove, per la prima volta, fu istituzionalizzata la pena 223 Cfr. Elenco militari che non hanno risposto alla chiamata o si sono assentati arbitariamente, fasc. 311, in

fondo fascismo e RSI, Isrec

224 RSI Lucca: corrispondenza in arrivo della prefettura di Lucca, fasc. 209, in fondo fascismo e RSI, Isrec 225 http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=5947

226 Giustizia fascista, in “L’Artiglio”, 11 dicembre 1943.

di morte a carico di disertori e renitenti. Dopo questa data le scariche di fucileria dei plotoni della Guardia risuonarono spesso in provincia.

Il 24 marzo furono accusati di diserzione due giovani di 19 anni, Andrea Cassiani e Mario Marveggio , catturati pochi giorni prima nel centro di Lucca228. Durante il processo,

anche questo presieduto, come quello del Benassi, dal Capo della provincia Piazzesi, fu inflitta la pena di morte tramite fucilazione. In questo caso, invece, l’esecuzione ebbe un effetto deleterio sulle stesse reclute presenti:

ad assistere alla tragica scena furono obbligati i militari del presidio di Lucca […]. I due condannati, con gli occhi sbarrati e con tutto il corpo percorso da un costante tremito, erano assistiti da un cappellano militare che li abbracciava e li sosteneva nel breve tragitto per raggiungere le due sedie preparate vicino al muro del cimitero. Dopo averli legati, alcuni fascisti li bendarono. Noi che assistevamo all’allucinante scena, fummo presi dallo sgomento e i nostri volti sbiancarono. Il silenzio sovrastava quel luogo, un silenzio rotto soltanto dai singhiozzi e dai lamenti delle due vittime. […] Non appena il sacerdote si fu allontanato partì la prima scarica, ma, con nostra grande sorpresa constatammo che i colpi non avevano raggiunto i condannati. Agli uomini del plotone di esecuzione, tutti giovani, era mancato il coraggio di mirare ai corpi. Un ufficiale repubblichino inveì contro di loro minacciandoli di pene severissime. Fu cambiato il plotone, intanto i due disgraziati gridavano di farla finita al più presto. Al nuovo ordine di “fuoco!” i proiettili colpirono il segno, ma non in maniera tale da uccidere, così fu necessario il colpo di grazia sparato dal maresciallo. Molte delle reclute che assistevano alla scena caddero a terra svenute.229

Anche questo episodio fu utilizzato dall’opposizione per esortare i civili alla lotta contro i fascisti e i tedeschi invasori230.

Tre settimane dopo fu il cimitero di Massarosa ad essere scelto come luogo di supplizio per altri due giovani accusati di renitenza e di aver fatto parte del movimento resistenziale: Domenico Randazzo e Vittorio Monti, rispettivamente di 27 anni e 22 anni. I corpi dei fucilati furono lasciati, ancora una volta, davanti al muro come monito per la popolazione civile231. Significativa di questo episodio è la testimonianza di un testimone:

fummo ad un tratto, tutti quanti gelati da una scarica di fucilate, che venivano in direzione Viareggio, proprio dove si era diretta quella camionetta, e appena ci fummo ripresi dallo spavento, c’incamminammo tutti verso Viareggio, e alla curva del frantoio Provenzali (l’incrocio tra la via Sarzanese e la via del Pantaneto), si vide […] la solita camionetta (che proseguiva) in direzione di Viareggio […]. […] Appena giungemmo nei pressi del cimitero, scorgemmo qualche persona, che stava già sul posto piangendo, con le mani nei capelli e il volto stravolto […], scorgemmo due persone stese a terra, in un bozzo di sangue, vicino al muro di cinta del cimitero, a calcio dei lunghi cipressi, mentre alcune donne stavano coprendo con un bianco lenzuolo, quei corpi, salvaguardando la loro dignità di uomini, in quel caso sfortunati232.

228 http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=4449 229 Bergamini-Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, cit., p. 86 230 Notiziario della GNR del 15/4/1944 .

Il 6 maggio 1944 l’intonaco del muro perimetrale del cimitero urbano di Lucca fu nuovamente scalfito dalle pallottole della Guardia. Le due vittime di questo episodio furono Ottavio Franchi di 46 anni e Agostino Pippi di 18 anni, entrambi partigiani233. Pochi giorno

dopo, il 14 maggio, fu ucciso, a Piazza al Serchio, Alberto Galanti per mano di un plotone della compagnia di Ordine Pubblico della GNR locale. Galanti era un ex partigiano che si era consegnato volontariamente per beneficiare dell’amnistia concessa dal “bando del perdono” in vigore al tempo. Nonostante il tentativo di domanda di grazia portato avanti dal tenente della GNR Zamboni e dal locale comandante dei carabinieri Petruzzo, l’ex partigiano fu comunque fucilato a seguito degli insistenti ordini provenienti del comando provinciale della GNR234.

Gli episodi illustrati fino a questo punto avevano come base comune il fatto di dipendere da verdetti del tribunale speciale di Lucca, presieduto dallo stesso Capo provincia. La personalità e il background fascista di Mario Piazzesi lo resero sicuramente una delle figura più intransigenti della provincia, influendo pesantemente sul verdetto delle aule di tribunale: fascista della prima ora, fondatore della “Disperata” a Firenze durante il Biennio Rosso, fedelissimo della causa, era caratterizzato da uno spirito violento che lo fece spesso scontrare con gli stessi camerati tedeschi. Indicativa, dell'estremismo del Capo provincia, è la testimonianza presente negli incartamenti del procedimento penale del dopoguerra a carico dell’alto ufficiale della GNR Messori: risulta che Piazzesi andò su tutte le furie quando venne a conoscenza del fatto che i due giovani disertori fucilati a Massarosa erano stati seppelliti all’interno del campo santo in quanto era stato espressamente vietato di inumare i resti dei fucilati in terra consacrata235.

Solo la fucilazione di Galanti non proveniva da un’aula giudiziaria ma si trattava pur sempre di un ordine diretto del comando provinciale della Guardia. Probabilmente, tale condanna fu frutto del desiderio di controbattere al movimento partigiano che proprio intorno a quella data stava iniziando ad agire in maniera efficace contro i presidi nazifascisti sparsi sul territorio della Garfagnana. Inoltre, proprio in quei giorni, stava avvenendo la successione tra Piazzesi ed Olivieri alla carica di Capo provincia; i vertici della GNR sfruttarono il momentaneo vuoto di potere per dare una propria risposta violenta, portando avanti un’autonoma linea d’intransigenza.

L'excursus giudiziario alle spalle di questi atti di giustizia sommaria permetteva di circondare queste tetre azioni con un velo di legittimità rendendole formalmente lecite nonostante l’enorme brutalità e l'ostentazione della morte dalle quali erano caratterizzate. 233 http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=5946

234 http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=5946 235 Cfr. busta 27 fascicolo 9, in fondo processi, Isrec.

Questi episodi, contrassegnati tutti dall’esposizione dei cadaveri degli uccisi, utilizzati come monito nei confronti di coloro che pensavano di potersi opporre a Salò, gettarono gli spettatori di tali supplizi e la stessa comunità nella quale avvenivano, in uno stato di angoscia. Questi pubblici martiri contribuirono ad alienare gli astanti dalla causa repubblicana e ad aumentare il clima di guerra civile all’interno della società.

Questa tanto sbandierata violenza concorse ad inasprire ulteriormente lo scontro tra italiani, raggiungendo il suo zenit con l’estate 1944. Avvisaglie di queste crudeltà posso essere però avvistate precedentemente a questa data e mostrano come lo stesso tessuto comunitario delle realtà locali si fosse frantumato a seguito della guerra civile in atto. Non tutte le violenze fasciste di questo periodo infatti furono conseguenza di verdetti di tribunali; in determinate circostanze le brutalità repubblicane furono frutto di eventi improvvisi, non pianificati all’interno di un aula giudiziaria. È all’interno di eventi di questo genere che possono essere maggiormente analizzate le tracce del solco che questa guerra aveva scavato tra gli italiani. Nel Camaiorese, zona ad alta attività partigiana, può essere ritrovato un riscontro di queste improvvise, ed improvvisate, azioni violente che, come detto, caratterizzeranno la brutalità fascista a partire dall’estate. Il partigiano Renzo Torcigliani si trovava in missione il 16 aprile 1944 a Monteggiori, frazione collinare del comune di Camaiore, per conto della brigata partigiana “Marcello Garosi” quando incontrò una pattuglia della locale GNR. Il manipolo fascista, del quale facevano parte molti camaioresi, riconobbe il loro concittadino Torcigliani ed essendo a conoscenza della sua appartenenza al movimento resistenziale, gli intimarono di arrendersi. Da queste parole scaturì uno scontro a fuco durante il quale il partigiano rimase gravemente ferito. Sopraffatto dai repubblicani fu finito tramite il lancio di una bomba a mano. Dopo l’uccisione i fascisti umiliarono il corpo del giovane Torcigliani facendo strazio del suo cadavere che fu abbandonato sul luogo dell’esecuzione236. Da questo significativo

episodio possiamo riscontrare il livello di alienazione raggiunto all’interno delle stesse comunità: la salma del nemico partigiano, compaesano della maggior parte dei militi della GNR che lo uccisero, fu umiliata e vilipesa in quanto appartenente alla fazione opposta che, a questa data, era oramai divenuta quella del nemico assoluto, destinato ad essere annichilito anche a livello umano.

Secondo fase: arrivano i neri

Il trasferimento di Piazzesi, lo spostamento del fronte sud, l’arrivo di Pavolini con il suo

entourage a Lucca e la militarizzazione del partito modificarono enormemente il modus

236 I particolari sulla morte di Torcigliani sono consultabile presso l’omonimo plico contenuto in “1944, elenchi

operandi repubblicano inerente alla soppressione dei movimenti di opposizione interni. Se

fino a questo momento si era seguita una via violenta ma pur sempre scandita nel suo operato da una trafila burocratica e giudiziaria definibile, in termine legali, lecita, durante il corso dell’estate 1944 fu sostituita da una brutalità istintiva, passionale ed episodica caratterizzata da veri e propri episodi di banditismo compiuti dai militi repubblicani.

La sostituzione di Piazzesi con Olivieri agli inizi di maggio aveva momentaneamente sospeso l’operato della giustizia repubblicana. L’insediamento del nuovo Capo provincia era avvenuta il 14 maggio, lo stesso giorno in cui era stato fucilato l’ex partigiano Galanti a Piazza al Serchio. Con il definitivo insediamento di Olivieri il tribunale speciale non entrò più in funzione ed i plotoni di esecuzione della Guardia non fecero più nessuna apparizione. Questa momentanea sospensione del pugno di ferro repubblicano non fu però frutto di un comportamento “bonario” del nuovo Capo provincia ma dipese della disperata situazione che si trovò a fronteggiare. Come il suo predecessore, anche Olivieri era un fascista di lunga data molto credente nella causa ma, trovandosi davanti ad uno scenario in pieno collasso, dovette correre ai ripari cercando di salvare il salvabile. Infatti, in quel periodo, tutta l’impalcatura politico-militare della Repubblica nelle regioni del centro Italia stava cedendo a seguito della spallata alleata sul fronte della linea Gustav grazie alla quale era stata aperta la via per Roma agli anglo-americani. Furono giorni di grave marasma per Salò, intere unità militari e reparti della GNR si disfecero nel giro di poche ore e con esse interni rami della burocrazia statale; si temette addirittura che la stessa Repubblica non avesse potuto reggere a questa avanzata e che sarebbe crollata su se stessa.

Fu proprio in questo momento che entrarono in gioco i fascisti più intransigenti, capitanati da Pavolini. Il Segretario del partito si recò in missione nelle regioni a ridosso della linea del fronte al fine di gestire il ripiegamento dei fascisti verso Nord ed intenzionato ad opporre una qualche forma di resistenza di carattere prettamente politico all’invasione alleata. Durante il suo soggiorno nell’Italia centrale si era reso conto che soltanto i dicasteri e le unità gestite dai veri credenti fascisti non si erano sbandate: fu proprio in questo momento che si diede avvio alla formazione delle Brigate Nere e al tentativo di costituire una sorta di resistenza fascista nelle retrovie alleate; quest’ultima, poi, si sarebbe soltanto parzialmente compiuta con il fenomeno del cecchinaggio a Firenze.

Come già precedentemente esposto, fu durante il suo passaggio da Lucca che Pavolini autorizzò la nascita della brigata nera “Mussolini” ponendone il comando nelle mani di Utimpergher. Fu proprio la comparsa di questa unità ad inasprire il clima di guerra civile in

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